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Autore: foxfeina    16/02/2011    3 recensioni
Anche il tuo ombrello (quello grigio, brutto e troppo grande) è ancora qui, penzolante da dove ti avevo detto di non appenderlo. Perché lo sapevo che lo avresti dimenticato.
Io sono di nuovo davanti al computer. Come faccio sempre, in fondo.
E scrivo. Male, ma scrivo.
Come sempre.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come sempre.




Quanto si fatica a rendersi conto di una fine.

Mi guardo intorno, e sembra che tutto sia come prima: la pioggia, fuori, batte ancora sulla finestra, le mie mani sono sempre troppo piccole rispetto a quelle di tutti gli altri, la mia felpa – che sa troppo di ammorbidente – è ancora sulla sedia, fuori posto, dove l'ho lasciata ieri.

E' tutto uguale.

Anche il tuo ombrello (quello grigio, brutto e troppo grande) è ancora qui, penzolante da dove ti avevo detto di non appenderlo. Perché lo sapevo che lo avresti dimenticato.

Io sono di nuovo davanti al computer. Come faccio sempre, in fondo.

E scrivo. Male, ma scrivo.

Come sempre.

Il cellulare è sotto carica, il caricatore è vecchio e funziona male: devo controllare a ripetizione che non faccia falso contatto. Chissà se in questo momento sta solo facendo finta di essere un caricabatterie come si deve? No, funziona.

Non ci sono nuovi messaggi, su quel vecchio cellulare.

E' tuo anche quello. Il mio si è schiantato pesantemente a terra due mesi fa.

Non ci sono nuovi messaggi, su quel tuo vecchio cellulare.

Ci sono quelli vecchi, però.

Quelli ricevuti, quelli inviati e quelli salvati.

Le bozze le cancello sempre.

L'ultimo messaggio che hai mandato non è così brutto come mi ero convinta che fosse: non felice, ma nemmeno triste. Non arrabbiato.

Per un paio di istanti mi chiedo il perché, poi mi rendo conto.

Non c'è un messaggio, me l'hai detto a voce.

Una zanzara mi ha punta. Questo è strano, di solito a loro non piace il mio sangue.

Sì, me l'hai detto a voce. Perché le cose importanti non si fanno per messaggi.

Giusto, sacrosanto.

Verba volant, scripta manent.

Qualche parola di latino mi è rimasta in testa, dal liceo...e io, adesso, non mi ricordo cosa mi hai detto. Abbiamo parlato poco, non più di qualche minuto. Hai alzato la voce, forse?

Forse no, non stavolta.

Chi aveva ragione? Probabilmente io.

Mi diresti che sono presuntuosa e arrogante.

Scuoteresti il capo con un sospiro.

Mi diresti “come devo fare con te?” e poi, forse, mi abbracceresti.

Se fossi qui, naturalmente.

Ma, ancora una volta, non ci sei.

E se le cose dobbiamo dirle a voce, anziché in un messaggio, sarebbe meglio che accadesse guardandosi negli occhi. Hanno un bel colore, i tuoi occhi.

Non te l'ho mai detto, lo so. Forse il primo anno, i primi mesi.

Poi basta.

Mi ricordano il muschio montano.

Eppure non solo... sono i tuoi occhi, punto. E mi ricordano i tuoi occhi.

Sono una cosa a parte, capisci? No, forse no.

Ma, in fondo, non te l'ho mai detto.

E i tuoi occhi non li ho visti nemmeno questa volta, mentre ascoltavo la tua voce.

Buona vita.”

Grazie. Ciao.”

Ho messo giù io.

Forse sei rimasto qualche secondo ancora al telefono dopo la fine della chiamata, nell'attesa di dire qualcosa che non ti ho concesso.

O forse no.

Forse hai chiuso in contemporanea a me e non me ne sono resa conto...magari tu sei convinto di essere stato tu a mettere il punto.

Buona vita.”

Grazie. Ciao.”

L'ultimo messaggio inviato non è per te, è per papà.

Gli ho augurato il buongiorno, in tarda mattinata, nient'altro.

Poi ci sono i messaggi salvati, ma quelli non li leggo.

Sono pieni di noi e fanno male.

Come quando muore qualcuno, capisci?

Ero una bambina quando è morto il nonno.

Piangevo, presa da uno sconforto che forse nemmeno capivo.

Ero sulle ginocchia di mia madre, in quel balcone ricoperto da mattonelle verdi. Mamma mi ha detto “non piangere, ricorda le cose belle che avete fatto insieme”.

Non l'ho mai capito, quel consiglio.

Perché ricordare le cose belle mi ha sempre fatto piangere di più.

Il distacco.

Forse solo tu e lei sapete quanto io odi quella parola, vero?

Non ci sono nuovi messaggi, su questo vecchio cellulare.

Quello che ti costringo a tenere in tasca ogni volta che usciamo e non ho voglia di portare la borsa.

Un'altra zanzara. Le loro punture sono le uniche cose anormali e diverse.

Oltre al cellulare. Non ci sono nuovi messaggi.

Sai che non ho ancora finito le caramelle mou? Sono durate più di una settimana questa volta, hai visto?

Non hai visto e non lo sai, no. Non te l'ho detto.

Avrei potuto dirti questo, prima di chiudere.

E invece no.

Grazie. Ciao.”

Però le abbiamo comprate insieme quelle caramelle...avresti potuto portarne qualcuna con te, sai?

No, certo che no, non te ne ho offerte.

E sono rimaste lì, in quel pacchetto marrone, e io ne ho la nausea.

Anche le lenzuola...sono le stesse anche quelle. Sono terribile, lo so, le dovrei cambiare.

Non posso, non voglio, non riesco. Non c'è più il tuo odore, ma so che tu ci sei stato. E io le ho sporcate di sangue grattandomi la notte e tu mi hai preso le mani dicendomi di smetterla e io non ho smesso comunque e tu ti sei arreso.

E il copriletto è ancora tutto storto, perché tu sei ingombrante – a letto – e mi hai costretto a tirarlo tutto via da una parte.

Ma che cazzo sto scrivendo, mi chiedo?

Che cosa?

A volte penso di diventare più stupida ogni giorno che passa.

Tu mi avresti detto che stupida ci sono nata, io avrei fatto l'offesa e poi avremmo riso.

E' bello ridere insieme...

Dopo aver pianto mi fa male la testa, è normale.

Tutto è come sempre, anche Lupetto che mi guarda in tono consolatorio, e la bottiglia mezza piena ai piedi del letto, e il mouse – quello bello e azzurro – che non funziona.

Ma non ci sono nuovi messaggi, su quel cellulare.

   
 
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