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Autore: Will P    18/02/2011    6 recensioni
"Ci sono certe giornate, d’inverno - specialmente dopo essersi arrampicati per le scale antincendio di mezza Londra o essere stati aggrediti alle spalle con un tubo d’acciaio o, in una memorabile occasione, essere caduti nel Tamigi -, in cui la ferita alla spalla torna a fargli male."
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi sono di sir Conan Doyle e liberamente utilizzati da mr Moffat e mr Gatiss.
Note: Per il prompt pioggia @ COW-T, prima missione, di maridichallenge (angeli ftw!)


Let the rain wash away the pain

Ci sono certe giornate, d’inverno - specialmente dopo essersi arrampicati per le scale antincendio di mezza Londra o essere stati aggrediti alle spalle con un tubo d’acciaio o, in una memorabile occasione, essere caduti nel Tamigi -, in cui la ferita alla spalla torna a fargli male. Di solito è solo una sensazione leggera, un promemoria discreto dell’Afganistan, ma quando piove inizia prima a bruciargli e poi si trasforma in dolore sordo, costante, snervante. Di solito non è un problema - di sicuro non la cosa peggiore che gli sia capitata - ma ogni tanto è veramente brutto. Una volta, durante un temporale particolarmente violento, era stato persino costretto a far finire il turno a Sarah per evitare di cavare un occhio a qualche ragazzino mentre cercava di prendere un tampone.


(Un’altra volta, invece, la pistola tiepida sotto la giacca, tra la schiena e la cintura, e la pioggia che continuava a cadere e cadere e cadere mentre cercava di trascinare via Sherlock prima che arrivasse la polizia, si era trovato a ringraziare il signore di essere ambidestro.)


Quando Sherlock irrompe in salotto e al suo e il latte? risponde che Lestrade ha finalmente trovato i denti dell’ultima vittima l’orizzonte è carico di nuvole gonfie e scure, e la spalla di John formicola ad ogni pagina del giornale voltata.
Ma il cappotto di Sherlock è già sparito giù per le scale con un fruscio, e John fa solo una smorfia mentre agguanta la giacca e si affretta dietro di lui.


“Sherlock, dov’è la borsa dell’acqua?”
“Mh?”
“La borsa. La borsa dell’acqua calda.”
“Non mi serve.”
“Serve a me. Era in questo armadietto, dove l’hai messa?”
“Oh, in cantina. Mi serviva un contenitore per far fermentare…”
John smette di ascoltarlo, massaggiandosi la spalla attraverso il maglione con un’imprecazione a mezza bocca. Se solo la caldaia del bagno non se ne fosse misteriosamente esplosa.


Un giorno Sherlock lo usa come manichino di una rissa, sballottandolo di qua e di là per il vicolo senza premura, perché è il realismo che conta; un altro giorno John passa un pomeriggio intero a fare su e giù per Londra, senza ombrello, pedinando un sospetto narcotrafficante che alla fine si rivela un idraulico in pensione nel posto sbagliato al momento sbagliato; neanche una settimana dopo viene rapito, di nuovo, e drogato, di nuovo, e quando si sveglia è perché Donovan lo sta tirando su dal pavimento di pietra di una cella umida. Ma non fiata, non una volta, e tira avanti a pugni stretti e viso impassibile.
Giorni del genere, rientrando a Baker Street stanco, bagnato e dolorante per trovare il suo computer smontato o il teschio nella lavatrice, gli viene da pensare che anche al solo ed unico consulente investigativo del mondo possono sfuggire certi particolari. Poi si ricorda di non essere un attore così bravo, e che evidentemente è solo che non gli importa.


E poi ci sono notti, con le gambe infinite di Sherlock avvolte attorno ai fianchi e i lampi che illuminano il suo collo quando getta la testa all’indietro, che mentre si perde nel ritmo delle spinte sente una mano di Sherlock sulla nuca, che gli accarezza i capelli corti e umidi di sudore e poi scorre più giù, sulla spalla, e all’improvviso è sulla sua cicatrice e stringe, la punta di quelle dita lunghe e affusolate premuta in un cerchio perfetto attorno alla sua ferita, ed è come una scossa, ogni nervo che prende fuoco e gli occhi che gli si riempiono di scintille bianche.
Ci sono notti che dopo aver fatto l’amore Sherlock resta accanto a lui, un gomito puntato sul cuscino e il mento appoggiato sul palmo della mano, e lo guarda come sa fare solo lui mentre scorre le dita sulla cicatrice, disegnandola, imprimendosela nella memoria. Sono notti in cui John si addormenta col ticchettio della pioggia contro i vetri e il calore gentile di una carezza a scacciare fantasmi passati.





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John/Sherlock: e infine ce l'abbiamo fatta. Un giorno riuscirò anche a metterci una trama, yo *autoconvincimento*

Will

   
 
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