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Autore: Indygodusk    06/01/2006    0 recensioni
Durante un’ondata di caldo Kaoru si ritrova sola, frustrata ed estremamente accaldata. Scoraggiata dal comportamento amichevole di Kenshin, decide di rinunciare al suo amore. Però rifiuta di arrendersi al sole. I vestiti iniziano a volare, ma tanto non c’è nessuno che potrebbe vederla, giusto? Battosai/Kaoru. (Scritta da Indygodusk e tradotta da Quenya)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hakama Dake

By Indygodusk

Traduzione By Quenya



Capitolo 2 : Un uccellino che ringhia?




Durante quella stiratina gli hakama le scivolarono ancora qualche dita più in basso, restandole a mala pena sui fianchi, ma lei era troppo soddisfatta di se stessa per notarlo. Ritornando nella posizione originale con un sospiro di beatitudine, udì un basso ringhio, o forse era un tuono? Aprendo gli occhi, Kaoru si ritrovò a fissare direttamente un paio di splendenti occhi dorati.




Per un momento il respiro le si bloccò in gola, mentre Kaoru sentiva una scossa di shock percorrerle il corpo. Poi, rilassando le spalle, camminò fino al bordo del portico e si sporse con un sorriso invitante, “Sei venuto per una lezione privata? Ti stavo aspettando”. La sua voce suonava più roca del solito a causa della gola secca.

Inclinando la testa, il piccolo passerotto color cannella emise un trillo interrogativo, dal suo ramo di pino. Kaoru ridacchiò tra se. Per un secondo, aveva lasciato che la sua immaginazione eccitata dal sole le sfuggisse di mano ed aveva immaginato che fossero stati gli occhi dorati di Kenshin a scrutare la sua figura mezza nuda. Ti piacerebbe… pensò con un sospiro. E poi cosa avrebbe fatto se fosse stato lui? Battosai in tutta la sua passionale gloria, che le… sorrideva sensualmente stringendola al suo petto virile?

Ha, si, come no! Con la fortuna che aveva, qualunque misterioso uomo dagli occhi ambrati si sarebbe probabilmente rivelato essere Saito, con le sue puzzolenti sigarette e il suo sorriso da lupo venuto ad arrestarla per atti osceni.

“Per questa corruzione morale, Aku Soku Zan!” e poi bam, fine dei sogni di Kaoru Kamiya.

Mhh, ancora peggiore del pensiero di essere uccisa da lui, è l’idea che mi sorrida mentre sono mezza nuda, ewww.

Raddrizzandosi e scostandosi i lunghi capelli neri su una spalla, Kaoru decise di farsi un’altra bevuta, per far sparire quella gola secca e quei pensieri fastidiosi.

Come si mosse, il passerotto sbattè le ali e arruffò le penne sul petto, forse per un condiviso disgusto? Poi emise un trillo ancora più acuto.

Quando Kaoru aveva incontrato Kenshin per la prima volta ed aveva sentito la sua voce dolce, si era chiesta se avesse mai sofferto per il fatto di avere una voce dal timbro così alto. Certamente non riusciva ad immaginarsi come la sua voce potesse diventare ancora più acuta. La sua statura bassa, solo qualche centimetro in più di lei, non lo aiutava di certo.

Non che non amasse il suono della sua voce, anzi. Le faceva venire in mente gli ohagi : dolci, morbidi e confortanti, capaci di sembrare buffi cambiando aspetto a seconda dell’occasione, ma rimanendo all’interno sempre con lo stesso affidabile sapore.

C’era voluta la battaglia con Jinnei per rivelare che la sua voce poteva scendere diverse ottave più in basso. Unita ad un pulsante ringhio che Kaoru aveva potuto quasi sentir risuonare attraverso le suole delle sue scarpe.

La sua voce non si abbassava spesso. In effetti aveva notato che i suoi rari cambi di registro erano sempre accompagnati da un momento particolarmente emotivo: di solito per rabbia, dolore, o rimorso, ma raramente anche per tenerezza.

Erano passati quasi due mesi dall’ultima volta che l’aveva sentito. Suzume e Ayame, le nipoti del Dottor Genzai, erano state lasciate al dojo quando un problema aveva impedito l’anziano dottore di portarle al picnic che avevano organizzato. Deluse, le bambine si erano sedute sul portico facendo il broncio, scalciando i piedi contro le tavole di legno fino a che, esasperata, Kaoru aveva smesso di allenarsi e gli aveva proposto di fare un picnic insieme a lei.

Naturalmente avevano invitato anche Kenshin e tutti e quattro si erano lanciati in un’allegra gita per i boschi. Mangiando una merenda a base di spicchi di mela fatti a forma di coniglietti (merito di Kenshin ovviamente), avevano riso e giocato fino a che, esauste, le bambine erano crollate sulla coperta blu per fare un riposino.

Suzume si era addormentata immediatamente un secondo dopo aver appoggiato la testa sulla coperta, ma Ayame si era dimostrata molto più testarda. Con la testa appoggiata ad un braccio, Ayame aveva fissato la figura distesa di Kenshin come se tentasse di risolvere un puzzle. I suoi occhioni marroni avevano iniziato a chiudersi, con le lunghe ciglia che le ombreggiavano le guance rosate, ma poi li aveva testardamente riaperti.

Alla fine la bambina si era alzata e si era seduta vicino a Kenshin, iniziando a giocherellare con il bordo sfilacciato dei suoi hakama. Sorridendo teneramente a quelle manine appiccicose, lui le aveva detto gentilmente. “Dovresti cercare di dormire un pochino”

Le piccole dita avevano smesso di tirare, ma avevano stretto saldamente il tessuto. “Ken-nii…?” aveva chiesto all’improvviso, con aria sonnolenta.

“Si?” le aveva risposto lui, dopo un momento di silenzio.

Gli occhi le si erano finalmente chiusi quando aveva sospirato, “Tu…ci vuoi bene?”

Kaoru non era riuscita a vederlo in faccia, visto che era voltato in basso verso la bambina, e si era persa la sua espressione. Ma questo l’aveva fatta ascoltare ancora più attentamente la sua voce, ed era riuscita a cogliere il tono più profondo quando lui aveva risposto.

“Ma certo che vi voglio bene piccolina”

Un lieve sorriso era spuntato sulle labbra rosa della bambina. “Bene, perchè noi te ne vogliamo tanto” aveva sospirato ancora, prima di rannicchiarglisi contro una gamba e cedere finalmente al sonno.

“Certo che ve ne voglio” aveva ripetuto lui, in quel raro, caldo, profondo tono di voce.

Non volendo interrompere l’intenso silenzio, Kaoru gli aveva gentilmente appoggiato una mano sulla spalla. Dopo un momento, per non disturbare i suoi pensieri, aveva iniziato a ritirare la mano. Ma quando le sue dita avevano lasciato il tiepido materiale del suo gi color magenta, lui si era girato leggermente e le aveva preso la mano, stringendola fermamente mentre l’aveva guardata brevemente negli occhi.

Anche se solo per una manciata di secondi, Kaoru aveva visto il caleidoscopio di rosa, oro e violetto nei suoi occhi, come un turbine di petali, ciliegio e prugno, mossi dal vento verso il sole. Altre prove da aggiungere alla sua teoria sull’enigma Himura Kenshin: deshi, Battousai, rurouni, ed attuale residente del Dojo Kamiya.

Mentre Kaoru era la prima ad ammettere che c’erano molte cose che non sapeva di Kenshin, amava pensare che dopo oltre un anno di approfondito, forse qualcuno poteva chiamarlo ossessivo, studio, i suoi sforzi stessero dando i primi risultati.

Kenshin aveva un autocontrollo quasi sovrumano; era quasi certa di affermare che il controllo era uno dei punti chiave della sua vita. Solo un guerriero con un simile controllo fisico, mentale e spirituale avrebbe potuto ottenere la reputazione del più grande spadaccino del Giappone.

La più grossa falla nel suo controllo, tuttavia, era costituita dalle sue emozioni. Si lasciava coinvolgere troppo. Per sua fortuna, le sue emozioni spesso lo rendevano più forte, almeno secondo l’opinione di Kaoru. Ma da qualche parte lungo questo processo, forse quando sua moglie Tomoe era morta, o alla fine della rivoluzione, il dolore era stato troppo intenso da sopportare, ed alla fine lui si era ritirato nell’educata, umile e distaccata facciata del rurouni.

Viaggiare costantemente probabilmente l’aveva aiutato ad evitare di stabilire saldi legami con persone e luoghi, anche se ovviamente non aveva impedito agli altri di affezionarsi a lui. Kaoru non poteva biasimarli. Dio solo sa quanto mi sia affezionata a lui fin dall’inizio. Se solo si affezionasse anche lui a me. Ma in fondo ha vissuto a casa mia per oltre un anno dopo dieci anni di costante vagabondare, quindi questo deve significare qualcosa per lui.

O forse gli piace solo avere una casa e della biancheria da lavare, idiota. Avevi deciso che non volevi pensare più a queste cose, ti ricordi?

Le nuvole si erano abbassate e scurite mentre si allenava, anche se non sembravano ancora abbastanza tempestose per portare un po’ di sollievo. Prima che potesse muoversi per prendere quel sorso d’acqua, il suo pennuto ospite girò la testa e volò via. Sorridendo, Kaoru lanciò un’occhiata al pino ora deserto.

“Ehi bellissimo, vorresti una lezione privata?”

Kaoru scoppiò a ridere per la sua stupidaggine. Giusto, quindi torna a fare quello che stavi per fare prima di sentire quel basso ringhio. A quel pensiero, Kaoru ricordò un semplicissimo fatto che le era sfuggito fino a quel momento: gli uccellini non ringhiano. Allora quel suono da dove era uscito?





Preview del Capitolo 3


“Kaoru-dono” ripetè, non sapendo ancora cosa dire. Avrebbe dovuto dirle che gli dispiaceva? Che non pensava avesse potuto sopportare di sentire nella sua voce un tono spaventato o disgustato? Che aveva paura che se lei lo avesse colto a fissarla con gli occhi dorati avrebbe potuto farsi un’idea sbagliata, o ancora peggio, una precisa idea di che tipo di pensieri gli facessero venire in mente quel suo corpo sinuoso e quelle invitanti labbra rosse? Voleva veramente sapere che tutto il suo autrocontrollo era rimasto appeso ad un filo, un solo fragile filo che lo tratteneva dal stringere le sue curve contro il proprio corpo, tuffarle una mano nei setosi capelli della nuca e mordicchiarle il labbro inferiore con i denti?

“Va bene Kenshin. Quando vuoi farlo, fammelo sapere” gli disse lei da sopra una spalla prima di allontanarsi verso la sua camera.

Farlo…? Oh, sta parlando dei capelli. Riscuotendosi dal suo stordimento, decise di alzarsi e andare a fare qualcosa che non richiedesse l’uso del cervello, tipo spaccare altra legna per il bagno.




Dizionario:


Hakama – una spece di gonna-pantalone indossata da alcuni praticanti di jujitsu. Ha degli spacchi che vanno dalla vita fino a metà coscia. Kaoru li indossa al posto del kimono per allenarsi, e Kenshin e Yahiko li portano sempre.

Dake- solo, soltanto

Hitokiri- assassino

Busu- racchia (molto rude), nomignolo con cui Yahiko chiama Kaoru.

Aku Soku Zan- Uccidi il Male all’Istante, il motto di Saito.

Rurouni- Vagabondo.

Deshi- discepolo, apprendista.

Ohagi- una tortina di riso coperta di azuki (marmellata di fagioli rossi), farina di soia o sesamo. Possono essere fatti in molti colori e forme, a seconda della stagione e dell’occasione.


  
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