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Autore: Slits    27/02/2011    2 recensioni
« Era un misantropo e per assurdo, come ogni misantropo, sembrava conoscere il mondo meglio di chiunque altro. »
Cinque mesi dopo aver dato l’ultimo esame, uno psicologo si ritrova a far tirocinio in una clinica divenuta famosa per aver dato asilo ad un misantropo. Un assassino, a detta dei protocolli.
Ad ogni seduta rivivranno le tracce di un passato che non può più aspettare, mentre la storia mostrerà l’innocenza di una persona che, per una volta, non è l’assassino.
Prima classificata al The Nightmare Hospital Contest indetto da LoLLy_DeAdGirL e vincitrice Premio Giuria.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sanji
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Terzo appuntamento. [Parte II]

Imboccò il corridoio che portava fino all’aula di consultazione. Era buio, quando si mise a sedere davanti ad una finestra che dava sulla strada, ai confini della città. Il cielo era slavato di tinte arance. In lontananza, Baratie sprofondava in un sonno caotico e l’orizzonte si perdeva in un tripudio di luci che danzavano fino ed oltre la piana. Il confine che separava terra e cielo sembrava essersi perso fra i comignoli e le canne fumarie che svettavano fra le vie della cittadina. Sanji squadrò il grumo di pietre e viali oltre la finestra e deglutì con uno schiocco secco e deciso. Quella visione gli dava una sensazione di stordimento.
Il profilo del mare si stagliava fra i rilievi scoscesi. Era un nugolo d’acqua e fondali e le luci delle barche venivano fagocitate mano a mano che il legno scivolava in profondità. Il cielo incominciava da lì. Sul versante opposto alla corrente l’orizzonte osservava annoiato terra ed abisso e sceglieva dove collocarli. Il biondo aveva sempre pensato che la natura avesse riservato al mare il compito di delimitare il sottile confine fra finito ed infinito, correndo ai ripari lì dove l’uomo aveva deciso di scavalcare Dio. Non contava quanto fosse infinito: l’oceano era uno spazio che non aveva bisogno di costruzioni per essere ordinato. Gli stormi di gabbiani che lo sorvolavano, il fruscio sordo e continuo delle onde, lo scorrere delle maree. Avrebbe potuto spendere una vita intera a cercare: non c’erano altri punti fermi come quelli in tutto il mondo.
Le luci dell’anticamera schioccarono in alto come fuochi d’artificio. A fondo sala, una donna camminava a passi insicuri fra le alte scaffalature. Sanji richiuse il libro che stava leggendo e lo infilò nella borsa. Quando scostò la sedia il riflesso di una copertina gli rimandò l’immagine di sua madre che lo fissava. La vide sostare immobile finché il ronzio di una lampada non lo spinse a sollevare lo sguardo da terra.
- Di sera questo posto ha un fascino tutto particolare. – disse la donna, guardandosi per un attimo attorno.
- Hm. -
Il biondo accostò la sedia e si rimise a sedere. Poggiò entrambi i gomiti sulle ginocchia ed attese. Clarissa Regū sorrise, confortata da quell’insolito invito a restare.
- Voglio farti vedere una cosa. – accennò, lo sguardo perso oltre la foschia del paese – Stamattina l’ho trovata in una vecchia rivista. Ormai erano anni che non ci pensavo più… -
Un pezzo di carta lacera scivolò davanti alla borsa senza far rumore. Sanji lo fissò in silenzio. Uno strano bruciore lo colse per tutta la trachea, fino alla bocca dello stomaco. Aria. Immaginò che fosse l’aria che serpeggiava in quel posto, spessa e ruvida come pagine di pergamena. Soltanto aria.
Sollevò la foto – perché era di questo che si trattava, senza ombra di dubbio – e si immerse una sola volta in quella galleria di un passato ormai troppo lontano per essere raggiunto. Uno scatto rapido e disincantato mostrava una barca il cui nome era sepolto sotto una lingua di sole. Accanto, una donna dal viso di bambola, con un cappello di paglia in mano, stringeva la mano ad un bambino. Assecondando gli svolazzi della carta, le memorie continuavano ad andare e venire, come sprazzi di luce in un corridoio senza fine. Un uomo con un sorriso rozzo e delle mani grandi e forti, piene di antichi calli. Un padre il cui ricordo svaniva giorno dopo giorno, costretto a guardare il proprio figlio soltanto attraverso una pellicola impressionata. Géricault. Suo padre. Quello vero.
Dietro di loro, si intravedeva il mare cristallino e sconfinato di Baratie.
Da quella fotografia avevano cominciato a far capolino i ricordi di un’altra persona che, occasionalmente, incontrava e si sovrapponeva al ragazzo, il quasi uomo e quasi pazzo, che ora Sanji Regū stava diventando. Sembravano quasi voler tracciare un profilo da un’altra epoca.
- E’ rovinata. – disse il biondo dopo un po’, in un mormorio impastato e pesante.
- Ha quasi dieci anni. -
Sanji rimase in silenzio.
Clarissa fece una smorfia imperscrutabile e riprese a guardare oltre la finestra.
- Ho chiamato alla rimessa per…sapere. La barca è ancora in buone condizioni, certo, non ottime, ma a galla sta che è una meraviglia. -
Il biondo la ascoltò senza interromperla, concentrato sui silenzi e le pause che di tanto in tanto si concedeva. Percepiva che quell’imbarcazione era, a modo suo, il filo conduttore che ancora muoveva le memorie di sua madre.
- Domani. – propose. – Domani andremo al mare. -

Erano nei pressi della costa quando Guerric attraccò. Clarissa era talmente assorta a fissare il profilo frastagliato delle onde che Sanji non volle disturbare la sua concentrazione. Faceva scivolare le dita sul pelo dell’acqua con lo stesso sorriso con cui faceva ogni cosa, tenendo ben stretto in grembo il cappello di paglia, e sollevandosi una manica di tanto in tanto. Poco oltre la prua, le ombre gelatinose delle imbarcazioni si proiettavano sulla riva. Stormi di gabbiani svolazzavano fra pescherecci e piccole barche. Il ragazzo immaginò che seguissero le rotte delle navi, sorvolando le correnti della costa, proseguendo poi verso nord. Più che una distesa d’acqua sconfinata, vista dalla tenda di cielo antracite oltre le nuvole, Baratie doveva apparire un fazzoletto di azzurro pastoso e denso. Tra i remi incagliati sul fondale si intravedevano i profili scintillanti di pesci e ciottoli sbrecciati. Poco distanti pescatori e vecchi marinai lanciavano le reti per l’ennesima caccia invisibile, condensata in inganno ed attesa, a turno.
Verso pomeriggio inoltrato da est si sollevò una brezza limacciosa e pungente. Un paio di pescatori gridarono qualcosa in direzione della barca, facendo segno con mani, reti e arpioni scheggiati, ma Guerric borbottò un sussurro di rimando – un’offesa, forse - e scelse di imboccare uno dei canali che serpeggiavano la costa, come se sapesse dove andare. Sanji si voltò a fissarlo, senza dire niente, e per qualche istante il suo sguardo si perse in direzione della riva. Frastuono della corrente, echi nell’aria. Persino inclinazione delle onde. Contemplò il panorama a lungo in attesa di un indizio che lo aiutasse a decifrare i bisbigli dell’oceano. In cielo spicchi di luce disegnavano figure impossibili. A poppa, un groviglio di capelli e scialli si muoveva alle cadenze dei seni di Clarissa, in archi di respiri regolari.
- Se continui a guardarlo così finirai col consumarlo. Rilassati un po’, Sanji. - mormorò la donna.
Il ragazzo sussurrò qualche parola che l’altra non colse e si mise a sedere. Lo scheletro della barca attraversava un grumo d’acqua fatto di increspature cristalline. In lontananza, alcuni scogli svettavano fra le onde simili a basiliche dimenticate.  Al calar del sole un vento caldo mosse l’imbarcazione, scuotendo i remi che penzolavano ai lati, ballonzolandogli come delle specie di braccia, magre e nodose. Clarissa era sprofondata in un sonno così pacifico da poter intravedere, sotto le falde del cappello, un sorriso di mezzaluna. Guerric abbracciava con lo sguardo l’intero orizzonte, senza fissare niente in particolare. In cielo, oltre la costa, grosse nuvole piangevano lacrime di sangue. Il ragazzo non accennò a muoversi, con gli occhi ben piantati sulla figura di carne e seta al suo fianco. Col passare del tempo, poco alla volta, il respiro di Clarissa venne inghiottito dal frastuono delle onde, fino a dissolversi.
Sanji si addormentò con la bocca piegata in una strana smorfia. Un sorriso, forse.
Ricominciò a respirare soltanto dopo aver visto la barca capovolgersi alle sue spalle. Il mare si alzava sopra di lui.
Per qualche istante non riuscì nemmeno a muoversi. La rete della barca si era impigliata ai piedi con un fruscio sordo e lo trascinava giù. Uno dei remi scivolò in profondità. Poi un fascio di legno. E una scarpa. Le ombre che prima popolavano l’imbarcazione. La tempesta le stava inghiottendo tutte. Sbarrò gli occhi. Qualcosa si muoveva sul pelo dell’acqua. Sanji smise di lottare e puntò gli occhi al cielo, oltre l’oscurità. Vide una sagoma agitarsi febbrilmente e un’altra, scossa da un fremito, avvicinarsi sempre più.
Clarissa. Veniva inghiottita a poco a poco.
Si avventò sulle reti dopo averle lanciato un ultimo sguardo. Non respirava. Schiuse le labbra in cerca d’aria, ma dalla sua bocca non uscì nient’altro che un singulto. La sagoma scura di Clarissa precipitò e colpì il fondale prima che l’altro potesse muovere un muscolo. Riecheggiò un rantolo, un gemito assordante che perforò il silenzio. Il vestito le aderiva al corpo come un sudario. Un fremito di freddo e terrore, di angoscia e paura, le squassò il petto come lo schiocco di una pistola. E allora gli occhi di sua madre si spalancarono. La bocca si socchiuse senza però far uscire alcun suono. I suoi capelli ora ondeggiavano nonostante non si movesse più. Sanji sentì le sue pupille posarsi sulle sue, mentre uno scialle le ricadeva addosso. Si rese conto troppo tardi di stare guardando un cadavere.
Riprese a lottare con le reti, cercando disperatamente di liberarsi. L’angoscia invase quello che l’acqua non aveva ancora raggiunto. Era la sua sola speranza. I polmoni sembravano bruciare dall’interno. Si dimenò con tutte le sue forze, urlando, inghiottito dal buio.
Aveva quasi perso la forza di divincolarsi quando una delle reti allentò la morsa, liberandolo. Si fermò di colpo. Una mano inerte teneva il lembo di una maglia e la tirava verso il fondo. Sanji indietreggiò a fatica. Le dita di Clarissa si posarono su di lui. Immobili sembravano accanirsi sulle reti quasi quanto le sue. Erano fredde e incolori. Il ragazzo sentì con spietata lucidità il nodo che aveva in gola stringersi fino a mozzargli il fiato. La consapevolezza era la sola ragione che ancora il terrore non gli avesse strappato. Clarissa era morta. Nessuno aveva fatto niente per salvarla.
In superficie qualcosa si mosse. Lo scheletro della barca si ribaltò su se stesso e si spezzò a prua. Fra i detriti Sanji credette di intravedere qualcosa. E per un istante pregò che fosse soltanto un altro cadavere. Ma poi l’acqua cominciò a turbinare e quel corpo di carne, dolore e vita riprese a muoversi. Guerric.
Le increspature si propagavano dalla poppa. L’ombra dell’uomo che si agitava gli bruciò la vista e il tocco con la mano gelida di Clarissa gli gelò il sangue. Guerric si issò a fatica su una trave e rimase immobile. Per salvarsi l’aveva lasciata morire. Oltre la superficie arrivavano i richiami ovattati di uomini e marinai. La pressione dell’acqua parve aumentare improvvisamente e Sanji si piegò bocconi. Vedeva soltanto i contorni sfocati del fondale. Qualcosa gli sfiorò il braccio. Socchiuse le palpebre ed intravide le dita della madre che galleggiavano accanto a lui e lo cercavano.
Sentì all’improvviso il fragore dell’antica rabbia e un lamento riempire le profondità dell’oceano. Poi afferrò Clarissa per una manica. Per un istante, lento come un’imbarcazione che manovra in un’ansa troppo stretta, ricordò di averla strattonata per una mano, istintivamente, e di averla lasciata subito dopo perché terrorizzato. Infine risalì, avido d’aria come mai lo era stato in vita sua, fino a percepire ogni muscolo, osso o tendine del proprio corpo dimostrargli che era ancora vivo.
Quando rivide la superficie, il peschereccio era a poco meno di una lega dall’imbarcazione di Géricault.
Aveva ancora tempo.
La luce in cui il mare era immerso era quasi violenta. Il sole scivolava dietro la linea d’orizzonte e un odore che sapeva di rovina proveniva da est. Immobile, accanto allo scheletro della barca, qualcuno lo osservava in silenzio. Guerric.
Sanji avanzò a fatica. Le gambe per un attimo parvero cedere ed il corpo di Clarissa scivolò di qualche spanna in acqua. La sostenne mentre l’aria pulita gli perforava i polmoni.
- Clari…a. – sussurrò l’uomo.
L’altro non disse niente.
- Clarissa… - gracchiò, mentre in gola il rancido dell’acqua si faceva meno persistente.
Era stata la propria boria a metterla in pericolo e la sua incapacità a darle il colpo di grazia. Per lo meno le lacrime, si ritrovò a pensare, gliele avrebbe dovute.
- Non volevo…ucciderla. Devi credermi, ti prego di credermi. – disse, cercando con lo sguardo l’assenso del biondo – E’ stato il terrore a guidarmi, credimi Sanji, non ero in me… non ero… mi credi? Mi credi, vero Sanji? Stai annuendo, vero? Mi credi, no? – si inebriò di quella ragione delirante e con entrambe le mani si appoggiò alle gambe del biondo, che nel frattempo si era issato su un fasciame di prua.
Il ragazzo scostò le anche come se il contatto con l’altro bruciasse. La sola idea di poterlo sostenere – aiutare – gli dava il voltastomaco. Guerric fece per schioccare un paio di volte la lingua, punto nel vivo, e si sostenne ad una delle assi della barca mentre con le labbra cercava la veste di Clarissa. Quella pelle trasparente come carta e biancastra sembrava mormorare la sua colpevolezza. Le prese una mano e la strinse forte fra le sue, forse per riscaldarla e rendere le cose meno evidenti.
- Ci volevamo bene, ricordi quanto ce ne volevamo? Lo ricordi vero? Non avrei mai potuto… io non ti avrei mai… -
Le appoggiò un labbro sulla mano e lo lasciò lì per qualche secondo.
Le braccia di Clarissa disegnavano nell’aria cerchi invisibili come ali di gabbiani, sospinte dall’impeto di Guerric. Sanji, pallidissimo, le osservava danzare al suono di melodie impercettibili. Odoravano ancora di salsedine, e sabbia e tante altre cose che neppure cercò di indovinare. Probabilmente sapevano soltanto di morte.
Senza dire una parola, spinse l’altro in acqua. In mano teneva un braccio arrugginito dell’ancora. Poi, lentamente, mise a riposare il corpo di Clarissa sullo scheletro della barca. L’uomo si limitò a fissarlo. Sanji aveva l’impressione che fosse stupito, incerto sul motivo per cui gli fosse stata riservata una punizione così tremenda, nonostante le prove della propria innocenza.
Non tentò di risalire a bordo, ma rimase a guardare sbigottito l’altro. Lo scrutò per un istante che parve infinito, e non si decise a guardare altrove fino a quando le mani del biondo non si strinsero attorno a quelle di Clarissa, quasi come se temessero, in fondo, che qualcosa di ben più grande della morte potesse di nuovo portargliele via.
- Con i tuoi modi di fare l’avevi già uccisa anni fa. – a dispetto della follia che aveva dimostrato in quegli ultimi istanti, il tono con cui Guerric pronunciò quelle parole fu secco e conciso.
Senza rendersene conto, l'altro strinse ancora più forte.
- Non le avrei mai fatto del male. – disse in un fiato.
- Ma non l’avresti neanche mai amata. È il destino dei misantropi questo: non amare e non essere amati. Vi odiate e sopportate a vicenda, ma senza amare. Perché, in fondo, nessuno potrebbe mai amarvi a sua volta.
Neanche Clarissa ti volev… - non riuscì a concludere la frase perché il pezzo di ferro, che prima era nella destra del biondo, gli si conficcò nella spalla.
Sanji si allontanò di scatto ed arretrò fino alla punta estrema di prua. La mano ancora gli tremava. Le grida d’aiuto dell’uomo inondarono il tratto di mare ma lui non si mosse, immerso nello stesso torpore pesante ed acquoso che aveva fagocitato la cittadina. Forse lo stava osservando con l’accenno di un sorriso.
Fu questo che i vecchi pescatori della “Sartie” dissero di vedere quando arrivarono in prossimità del relitto. Un uomo che affogava ed un figghiolazzu che lo fissava senza muovere un dito per aiutarlo.
E sul fondo di prua, come una richiesta di pace, spiccava la mano candida ed emaciata della donna riversa al suo fianco.
Era immobile e si teneva stretta a quella del figlio.
Qualcosa alla fine aveva ceduto.



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* s
i guarda nervosamente attorno e tenta una fuga
* viene placcata in massa
Ehm, yo! Cosa volete? E' stata una settimana dura! Compiti in classe, interrogazioni, uscite fallimentari... dovevo pur rifarmi su qualcuno! Non è mica colpa mia se Sanji è stato il primo biondo di passaggio!
Ok, siamo seri. Lui è sempre il primo biondo di passaggio. .-.

Vi comunico, per la gioia dei vostri intestini, che questo è l'ultimo capito effettivo della storia. I prossimi saranno l'epilogo e... nonsobeneneancheiocosa. Diciamo che Victor non sapeva cosa fare per passarsi il tempo e che tutte le partite in tivì ormai erano finite.

Come sempre ringrazio le beate anime che recensiscono [sì, pie ormai è passato di moda] e le altre graziate che preferiscono e seguono.

Or dunque! Arigatuò! *O*
   
 
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