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Autore: Istant    28/02/2011    1 recensioni
Per adesso ciò che rimane da fare è guardare davanti a noi rivedendo il passato, probabilmente pronti a far risplendere ricordi che il tempo ha perfezionato, aspettando solo il compimento dei propri sogni. Gli istanti di un Cloud che ancora dopo anni non ha dimenticato quei giorni insieme a lei.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Marlene Wallace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Revisionata 

Per I Viandanti Le Sirene




La prua sbatte contro le rocce nascoste dalla spuma delle onde e alcune carpe di fiume sfregano i fianchi facendo sbandare l'andamento della barca. 

Una lampadina a risparmio di luce energetico illumina debolmente la stanza nella quale si sente un leggero odore di medicinali, cercato di mascherare con un semplice e comune deodorante per ambienti al muschietto selvatico. Una lampadina, sorretta da un semplice e piccolo lampadario di vetro a forma di cuffia, che rende la luce più giallastra, illumina una stanza incupita da una giornata uggiosa, dal cielo grigio. Una pioggia ritmica cade debole, lasciando solo dietro di se un ticchettio di gocce infrante sui cornicioni delle case. Qualcuno potrebbe associare questo strano rumore al tip-tap, quel curioso ballo in cui si produce una specie di melodia a cappella sbattendo ritmicamente i tacchi delle scarpe sul pavimento. Un ballo silenzioso per un momento come questo.
Uno sguardo alla finestra; oltre i vetri si può vedere un circondario non più speciale di quelli che chiunque può immaginare o che qualunque vicino molto curioso troverebbe davvero poco interessante. I palazzi bagnati da quell’acqua si uniformano alla cupidigia del cielo: sembra quasi che quelle nuvole schiacciate e tirate dal loro stesso peso si siano dilatate e siano colate sul paesaggio urbano.
Qualche volta attraversa la strada una macchina con i fari accesi che creano una strana ombra luminosa davanti a loro, deve esserci anche un po’ di nebbia in giro. Le ruote girano velocemente, sollevano l’acqua depositatasi negli affossamenti dell’asfalto. Ciò produce un leggero fruscio che si sente lontano per poi scomparire dietro qualche barriera architettonica. La strada è di nuovo vuota e solo due lampioni sono accesi per illuminare un minimo quel luogo stretto e non fornito di marciapiede. Solo adesso attraversa arriva una persona con passo svelto, porta un ombrello marrone e cerca di riparare il suo cappotto grigio dagli schizzi della pioggia.
Che odore ha la pioggia mischiata alla benzina?
Solo in giornate così monocolore si riesce a farsi queste domande a cui non si sa dare una risposta, perché la pioggia rallenta ogni attività e perché, probabilmente, viene naturale fermarsi ad osservare un cielo che piange.


Così il capitano guarda i remi e capisce che sono logori, sradicati nella pala e ormai non servono più a nulla.


L’ambiente è freddo, i termosifoni sono accesi ma non riescono a riscaldare un ambiente così poco esposto al sole. La punta del naso è fredda, come le orecchie, mentre il corpo è riparato sotto una coperta di lana e cotone, una di quelle che hanno la fantasia a quadretti di diversi colori un po’ sbiaditi. I piedi dentro le pantofole imbottite hanno comunque le dita ghiacciate, le unghie ormai sparite sotto la pelle.
Gli occhi hanno cominciato a fissare quell’immagine oltre la finestra da tanto tempo senza lasciarla, neanche per dare sollievo a alle palpebre che chiedono di chiudersi per lubrificare l’occhio. Il fiato si condensa in piccole nuvolette bianche davanti alla bocca aperta.
Respira a bocca aperta perché spesso le vie nasali sono otturate dal catarro che è ristagnato, portandolo spesso a tossire per l’impressione di soffocare. Dovrebbe soffiarsi il naso e usare quelle acque medicinali che prescrivono spesso ai bambini per far si che non gli venga l’otite per via del muco, ma lui non lo fa mai, perché trova inutili le medicine. La mano sinistra è costantemente infilata nella tasca di un pantalone di velluto marrone a strisce, dentro la tasca c’è un fazzoletto che dovrebbe usare per il naso ma non lo tira fuori, lo tiene costantemente stretto nella sua mano sudata. L’altra mano è poggiata sulla coscia, ad un ritmo molto lento contrae e rilassa le dita.
E’ un tic, probabilmente non se ne accorge nemmeno.
Il suo petto di alza e si abbassa impercettibilmente ogni manciata di secondi e dal fondo della gola arriva un sommesso fischio ad intervalli regolari.
Un bicchiere ripieno d’acqua è poggiato sul balconcino della finestra, aspetta di essere portato su quelle labbra per attenuare il fastidio alla gola secca. Ma ormai sul pelo dell’acqua si sono depositati molti acari, come piccole fatine che pattinano su un'ipotetica distesa ghiacciata o come cadaveri che riversi sulla schiena galleggiano dondolanti.
Guarda ancora fuori, incessantemente, con lo sguardo tra il rapito e il vacuo. Certe volte ci si potrebbe chiedere se la morte l’abbia preso e lasciato con gli occhi aperti a fissare quelle case che sembrano non cambiare mai. Poi però un piccolo movimento comunica che si è solo perso in un universo che non ci è dato conoscere.
Sopra il comò, davanti alla finestra si alternano tante foto ormai dimenticate e non più guardate, la polvere ha ricoperto la parete superiore della cornice, l’umidità si è nutrita pian piano, ma con costante avidità del legno che serviva da sostegno, il vapore ha appannato i vetri internamente.
Tossicchia ancora ma non stacca mai il viso da quel vetro, neanche lo sguardo riesce a distogliere perché non c’è nulla di più interessante del "fuori". Se si voltasse avrebbe solo davanti a se la sua immagine riflessa in uno specchio incrostato ai bordi, appeso al di sopra di quel comò. Meglio di no, anche quando lo sguardo passa erroneamente di li lo distoglie perché non c’è alcun motivo per guardare l’immagine riflessa.


E poi si rende conto che non ha più ne la voglia ne la forza di continuare a sforzarsi per remare incessantemente contro corrente.


« Cloud, è ora di prendere la medicina. »
Gli dice una signora di mezz’età (più che inoltrata), entrata in quella stanza silenziosamente tanto che non si è nemmeno accorto della sua presenza. Oppure semplicemente l’udito ha iniziato ad abbandonarlo. Lei si chiede se forse non sia la sua stessa mente ad averlo assopito in un sonno oscuro, riparatore da ogni agente esterno. Gli poggia delicatamente una mano sulla spalla, non si è ancora girato.
« Cloud, sono io. Sono venuta per la medicina. »
Il calore umano non può essere ignorato e probabilmente è stato creato apposta perché un semplice gesto possa riscuotere da uno strano torpore. Molto lentamente l’uomo gira la testa, stacca lo sguardo per la prima volta da quell’orizzonte scuro. Occhi color nocciola incontrano degli occhi grigi, proprio come il cielo di quel giorno. Anche tu fai parte di tutto questo adesso?
Lei lo sa, quegli occhi non sono grigi ma bensì azzurri, un azzurro che si è spento con lo scorrere del tempo. Se lo ripete sempre.
Gli fa un sorriso e va verso il comodino accanto al letto.
« Lo sai che devi rispettare tutti gli orari che ti ha prescritto il medico. »
Non dice nulla, abbassa solo la testa. Lei lo prende come un segno di consenso. Lei ha iniziato a frugare in uno dei cassetti di fronte a se, poi tira fuori una scatola e subito dopo un’altra, trasparente, dove si può vede che contene una siringa ancora sigillata. Alza la testa e si guarda un attimo intorno, si morde il labbro e lascia tutto li sul letto. Esce frettolosamente dalla stanza. Lui adesso non guarda ne più fuori ne tanto meno da qualche altra parte, fissa il vuoto.
« Eccoci qua, scusa tanto, avevo dimenticato le salviette. »
Sicuramente è andata a prenderle nello sgabuzzino li vicino. Si volta e vede il bicchiere appoggiato al bordo della finestra, si avvicina e afferrandolo lo porta via fino al bagno di servizio che è stato costruito proprio per questa camera da letto. Si sente l’acqua che scorre nel rubinetto.
« Dovresti bere di più sai, fa bene al corpo ed aiuta a depurarsi. »
E' abituata a parlare senza ricevere risposta, ormai da circa due anni non parla più ne con lei ne con nessun altro.
Uscita dal bagno si dirige verso il comò dove sopra è poggiata una bottiglia d’acqua. La apre e riempie quasi metà bicchiere, prende una medicina liquida che è li accanto e sollevandola inizia a contare le gocce che cadono dentro il bicchiere. Dieci sono il numero giusto, richiude la medicina e la posiziona in un cassetto. Agita un po’ il tutto in modo che la miscela si sciolga per bene con l’acqua. Allora si trova ad alzare lo sguardo e incontrare in quello specchio il suo stesso volto. Sorride tristemente nel vedere riflesso nel vetro il suo volto di bambina che si trasforma piano piano in quello suo attuale. Ovviamente le rughe dei cinquant’anni passati iniziano a farsi vedere e la sua treccia si è trasformata in una pettinatura a forma di cipolla.
Certe volte si ritrova ad avere paura di invecchiare, per paura dell’apatia. Ma lei sa che non è il caso di Cloud. Si avvicina a lui e porta alle sue labbra il bicchiere. Con grande sforzo sarebbe riuscito anche lui a prenderlo ma vuole risparmiargli quella fatica. Un piccolo rivolo di acqua scende dalla bocca sino al mento. Marlene allora si affretta ad afferrare una salvietta e tamponarla delicatamente su quel viso stanco. Le viene quasi naturale fissare quei capelli sempre più radi e quella pelle calante. Solo allora si accorge del fischio che proveniva dalla sua bocca aperta per respirare. Quell’incosciente di suo fratello non gli aveva dato lo spruzzino per il naso. Lo prende e lo spruzza in quelle narici secche.
« Dopo soffiamo il naso, mi raccomando. »
Apre il pacchetto contenete la siringa, la scappuccia poi prende anche l’altra medicina e conficca l’ago nel tappo di quest’ultima. Tira lo stantuffo in modo da riempirla fino a metà di una sostanza verdognola.
Alza delicatamente la manica del braccio della persona che ha davanti a se, scoprendo una pelle bianco-giallastra con molte macchie. Cerca la vena e appena è sicura di averla trovata infila l’ago nella carne.


Alla fine si lascia trasportare dal flusso impetuoso della corrente trovando una melodia nella tempesta.


« V-vorrei… »
La donna alza di scatto la testa con lo stupore dipinto in volto. Lui è sempre uguale, non è tornato ad essere il ragazzo giovane e bello di un tempo ma per un attimo le sembra diverso.
I suoi occhi ora sono chiusi, non cercano più nulla, la testa un po’ inclinata all’indietro, sorretta dalla sedia in cui è poggiato. Vorrebbe dire qualcosa ma è bloccata, non può che ritornare indietro nel tempo, pensare a quelle avventure susseguitesi in quei giorni così lontani e perdere ogni parola, ogni senso di fronte all’uomo che ha davanti. Dovrebbe essere felice ma è solo ansiosa, dipende da lui e da quelle sue parole, adesso che il tempo ha smesso di scorrere. Muove la bocca a fatica e le parole non gli escono perché coperte da un precoce asma e irritazione ai bronchi. Allora prende fiato, lei trattiene il respiro mentre continua ad aspettare senza proferire parola.
« Vorrei vedere il mare. »
Lei sorride.
Che sciocco, quello non è il mare, è un lago, ma forse è il mare di sogni che ti aspetta ormai da tanto tempo.




Cloud Strife morì due giorni dopo e le sue ceneri furono sparse nelle acque del lago vicino alla Città degli Antichi.

  
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