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Autore: Slits    03/03/2011    3 recensioni
« Era un misantropo e per assurdo, come ogni misantropo, sembrava conoscere il mondo meglio di chiunque altro. »
Cinque mesi dopo aver dato l’ultimo esame, uno psicologo si ritrova a far tirocinio in una clinica divenuta famosa per aver dato asilo ad un misantropo. Un assassino, a detta dei protocolli.
Ad ogni seduta rivivranno le tracce di un passato che non può più aspettare, mentre la storia mostrerà l’innocenza di una persona che, per una volta, non è l’assassino.
Prima classificata al The Nightmare Hospital Contest indetto da LoLLy_DeAdGirL e vincitrice Premio Giuria.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sanji
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Epilogue.


« L’etimologia della parola “misantropia” deriva dal greco μῖσος ("odio") + ἄνθρωπος ("uomo, essere umano") e fu adottata nella psicologia per descrivere l’atteggiamento di chi prova odio totale o sfiducia nei confronti del genere umano, per cui ricerca l’evasione nell’arte, nell’alienazione, nell’isolamento finché queste non lo intercalano in una propria dimensione ideale.
Fondata su queste basi, la misantropia assume varie forme che assecondano la naturale propensione del soggetto, e che lo indurranno ad uno stato di totale chiusura verso il mondo circostante (scelta destinata a sfociare in casi di eremitismo, suicidio o assunzione di stupefacenti) o a tracce di odio e avversione nei confronti della società e dell’individuo in particolare (studi clinici rinvengono con maggiore frequenza tipologie simili di pazienti).
A seguito di ricerche mirate, i ricercatori psicoanalitici notarono che tratti peculiari dell’atteggiamento misantropo si riscontrarono in pazienti che soffrono di altri disturbi, per esempio, angoscia esistenziale, apatia o atteggiamenti parossistici, o tormentati da una profonda delusione.  
Considerata sotto quest’ultimo aspetto, la misantropia non sarebbe più una prova di avversione verso il genere umano, ma una forma di chiusura, che, spinta dalla preservazione, induce il soggetto a rifuggire ulteriori possibilità di delusione.
Uno dei motivi che mi ha spinto a occuparmi dei vari aspetti della misantropia, nacque in seguito al tentativo di uno psicologo norvegese, Trafalgar Law [1], di dimostrare come una degenerazione della forma seconda possa indurre il soggetto ad agire con atti di violenza esplicita nei confronti del genere umano. Il paziente affetto da tali condizioni, che l’analisi clinica ha poi portato a definire “dissociato” (termine da intendere nel senso letterale della parola) , presenta una delle caratteristiche fondamentali, accantonata nello studio clinico per ragioni a noi ancora sconosciute: la tematica del sogno perduto.
A causa di questo sconvolgimento, il paziente si è reso inaccessibile ai metodi tradizionali della psicanalisi e ogni sforzo terapeutico ha finito col rivelarsi vano.
Questa sfiducia nell’umanità, propria del misantropo, nell’accezione del caso clinico osservato dal norvegese, merita un ulteriore approfondimento. Anche un paziente affetto da una forma elevata, nella casistica finora nota, non si allontanerebbe dai protocolli sociali a lui tanto noti quanto disprezzati. Per volerla enunciare con parole semplici, si potrebbe dire che nessun misantropo giungerebbe a commettere un omicidio.
Tuttavia, il caso recente del paziente ricoverato al Santa Maria ci mostra che la ripercussione della profonda delusione scaturita dal sogno infranto può influire attivamente sul modo del malato di rapportarsi con il mondo esterno. È soltanto a causa di questa condizione di angoscia che è pensabile contemplare l’eventualità di una simile degenerazione e non, seguendo la traccia proposta precedentemente [2] da Trafalgar Law, limitandosi ad avanzare la teoria di un possibile terzo stadio misantropo, destinato a sfociare in un’inestinguibile forma di violenza ai danni della società.
Nel caso del paziente in questione, è stato il progressivo accumularsi di nevrosi a determinare il crollo e non, come finora sostenuto, una degradazione della forma di misantropia in sé.
L’analisi, di fatti, ci ha mostrato che egli non ha affatto interrotto le sue relazioni con le persone ed i medici.
Le intrattiene ancora nella propria dimensione; cioè, sotto un punto di vista puramente utilitaristico, ha sostituito l’impianto della semplice conversazione con una forma colloquiale mirata a ridare vigore alla radice secca lasciata dal sogno infranto, rafforzandolo.
Ne ebbi la prova il pomeriggio in cui mi recai all’ospedale. Avevo già avuto modo di conoscere il caso clinico, pienamente intercalato nella propria misantropia ma ancora sufficientemente fiducioso da richiedere la consultazione con un nuovo psicologo. Penso che fu soltanto per questa condizione che ritenne legittimo raccontarmi i suoi precedenti senza mostrare alcuna reticenza.
Tuttora non so quanto conoscesse di me, ma ad ogni modo si comportò in modo impeccabile, come un paziente qualsiasi. Vi furono brevi visite, alternate da altrettante richieste mute. Fu soltanto durante l’ultimo incontro che, prima della consueta seduta, cominciò col chiedermi, una volta diventato esterno al caso, di dargli una voce nella storia. Mi auguro che voi tutti potrete convenire con me nell’ammettere che alle basi di questo comportamento vi sono ben pochi degli indizi ritenuti validi dal dottor Trafalgar a sostegno della propria tesi. Ciò di cui in quell’ultima seduta venni a conoscenza era in grado di spiegare i – frammentari – particolari appresi dopo aver letto un primo trattato sul caso Regū, sempre ad opera dell’esimio collega norvegese: che a istigarlo a compiere l’omicidio non furono i propri ideali misantropi (nell’articolo brutalmente estremizzati) , quanto piuttosto le fratture che, di fronte all’angoscia del sogno infranto, il subconscio era stato incapace di risanare al momento. Mentre guardavo l’uomo seduto al mio fianco parlare e discutere amabilmente, ebbi modo di approfondire quel campo dello studio misantropo spesso volontariamente frainteso. Nel racconto del sogno infranto del paziente di proteggere e poter sempre vegliare sulla propria madre rividi l’origine delle nevrosi che lo avevano condotto fino a quel punto e, sbigottito, gli chiesi se fosse stata per semplice avversione nei confronti del genere umano o per preservare e rivendicare il ricordo della donna (lasciata a morire dal compagno durante un tragico incidente in mare) che commise il delitto e se, ora, non temesse di passare il resto della propria vita a rimpiangere quell’unica azione. Alla prima domanda scosse vibratamente la testa, in segno di diniego, poi mi sorrise in modo disteso e tranquillo e rispose in tono scherzoso, riprendendo una frase che avevo già avuto modo di sentire durante uno dei nostri primi incontri: “Il tempo, quando hai qualcosa per cui valga la pena uccidere, solitamente è l’ultimo dei problemi.”
Credeva che continuare a perseverare nella propria condizione sarebbe stato sufficiente a ridare vita al proprio sogno.


[1] Specialista nello studio di casi di misantropia e alienazione del paziente, noto nel proprio campo per aver avanzato la teoria di un terzo stadio misantropo
[2]  Si veda a proposito la sua esposizione su “Io come Dio”  nella trattazione del terzo stadio misantropo »



Quando arrivò ai confini del Santa Maria un vento pungente invadeva la via, sovrastata da una prigione fatta di vetri e squallidi padiglioni ospedalieri. Si era lasciato alle spalle l’università di psicologia e i suoi passi lo avevano condotto fino alla genesi di quella scelta. Sottobraccio, in uno scatolone, teneva le quattro cose che possedeva in facoltà. L’eco del proprio pensiero e dell’articolo ancora rimbombava in quelle aule tappezzate di perbenismo, senza mai riuscire ad oltrepassare le mura. La voce di un pazzo non arrivava a chi su di lui si sarebbe poi costruito un nome.
In pochi istanti, da una delle finestre di quegli edifici, comparve l’ombra sbiadita di Sanji Regū. Sul volto, come segni di un parassita tronfio e pesante, spiccavano le prime tracce della malattia. Victor sollevò gli occhi al cielo e si fermò a contemplare quello spettacolo di miseria. L’uomo si spegneva poco a poco, costretto in un camice che presto gli avrebbe fatto anche da sudario. Complicanze dovute alla presenza di liquido nei polmoni, avevano detto i medici. L’aver passato troppo tempo in acqua nel tentativo di ridar vita ad un morto lo stava uccidendo a sua volta.
Lo psicologo indicò con un cenno del capo i plichi del trattato al bordo del davanzale. A piè di pagina intravide annotazioni e richiami. Erano le puntualizzazioni che Sanji aveva voluto fare a chi, pur avendolo conosciuto con il solo scopo di cambiarlo, alla fine lo aveva accettato per com’era e ne aveva scelto di prendere le difese. Gli ultimi ringraziamenti da parte di un misantropo corrotto che, in quanto tale, non avrebbe per alcuna ragione al mondo desiderato farne. Ma che, proprio in quanto corrotto,alla fine aveva deciso di porli in maniera che nessuno, benché meno la persona a cui fossero indirizzati, potesse riceverli. Del resto, Sanji conosceva gli abissi della mente umana meglio di chiunque altro. Persino più dello psicologo che gli era stato mandato nel tentativo di capire quelli che lo tormentavano.
Victor lo cercò un’ultima volta con lo sguardo. L’ultima. Sanji rispose col sorriso di un bambino a cui era stata strappata qualcosa di importante troppo presto. L’infanzia, forse.
O, più semplicemente, era soltanto gratitudine.
Poi sparì nell’oscurità che avvolgeva la camera alle sue spalle. Tenebre che servivano a rendere meno opprimente il cinismo che aveva inglobato la clinica. Questo, ne era certo, lo sapevano entrambi.
Victor sprofondò le mani nelle tasche del soprabito e fece per andarsene ancora prima che l’altro avesse tempo di richiudere le imposte. Per uno psicologo non esisteva niente più denigrante di questo.
Vedere un misantropo che, per aver amato troppo il genere umano, alla fine aveva deciso di trascorrere il proprio inferno in terra.






Note Finali:
● Pur avendo scelto di rendere Sanji misantropo, ho preferito lasciare immutati alcuni aspetti del carattere, quelli che per lo meno ho considerato i capisaldi: la tematica del sogno ed il rispetto, in questo caso estremizzato dall’ideale misantropo, per le donne.


● La malattia di Sanji è la causa per cui, pur essendo accusato di omicidio, ha ancora la possibilità di restare in ospedale. Il particolare ho voluto metterlo in evidenza con la presenza del braccialetto elettronico, tipico dei condannati agli arresti domiciliari.


● Non esiste alcun tipo di terzo stadio misantropo. Il tutto, trattati compresi, è stata una mia invenzione ai fini della storia.


● Suppongo sia inutile ribadire che, a dispetto dell’accanimento terapeutico di medici ed infermieri, non fosse intenzione di Sanji salvarsi. Il particolare ho voluto metterlo in evidenza, oltre che con i metodi usati degli infermieri per curarlo, anche con il fumo, tratto caratteristico del Sanji di One Piece, ma, in questo caso, anche mezzo usato per dar modo alla malattia di avanzare.



---
C
ome tutte le cose belle era anche giusto che questa storia giungesse a termine. Come? Non è bella? E che ci posso fare io! Lamentatevi all'ufficio reclami.
Usopp: psss pss psss!
Coso, davvero. Non fa più ridere. .-.
* continua a fissarla con fare indignato
Ok, ok! Per carità! Usopp dice che è nel cuore di ognuno di voi.
* palla di fieno
Ecco! Sei contento adesso?
* se ne va mortificato.
...
Vabè.

Insomma, tutto questo gran papello per dirvi che la storia è finita. Andate in pace. Che davvero non ho parole per ringraziare chiunque mi abbia commentata, preferita, aggiunta chi lo sa dove, o usata come esca per gatti in una via di Roma.
Grazie, di tutto Quore. *O*
Per chiunque abbia commentato, le risposte sono al solito posto. Basta spostare lo zerbino.
   
 
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