Fuori. Sotto la pioggia. Aspettando un autobus che forse non sarebbe arrivato.
Barbi si girò verso l'alto, a guardare la finestra della camera d'hotel da cui era appena uscita. Ovviamente, accadde l'ultima cosa che voleva accadesse: lo sguardo di William, affacciato alla finestra a fissarla, incrociò il suo.
“Oh, cazzo” pensò, distogliendo lo sguardo come se si fosse scottata.
Lui invece non lo distoglieva.
E lei, beh, s'era scottata davvero.
Era arrivata tre mesi prima, come il vento. Era finita per caso nello studio di registrazione, ossia un vecchio magazzino chiamato “Hellhouse”, e lo sguardo di lui si era posato su di lei.
Così, casualmente.
Gli erano subito piaciuti i suoi capelli biondi, quasi incorporei, mossi e spettinati. I suoi occhi blu oceano, con le ciglia lunghe, che strizzava quando sorrideva. Era così delicata. Non aveva mai avuto una donna così, sempre e solo ragazzacce.
Lei, invece, non aveva mai avuto un ragazzo, dato che era sempre in casa a studiare. Aveva frequentato, e solo superficialmente, alcuni rampolli di famiglie prestigiose amiche dei suoi. Suo padre, il signor Von Grief, la voleva avvocato. L'anno dopo si sarebbe diplomata, e lui la voleva far ammettere a tutti i costi in una delle più prestigiose scuole del paese.
Quando aveva visto lui, le erano tremate le gambe. Era la fine dell'agosto del 1985, e lui girava in pantaloncini e a petto scoperto per quella specie di garage, con i capelli rossi svolazzanti. La fissava con la sua espressione da cattivo ragazzo, cosa che la intrigava oltremodo.
<< Scusa, ma chi sei tu? >> le aveva chiesto un po' irritato un tipo riccio seduto su una sedia sgangherata con in mano una chitarra, e che aveva tutta l'aria di essere fatto del tutto.
<< Ehi! >> aveva protestato il rosso, prima che lei potesse rispondere. << Le tratti così, le ragazze?! Cazzo, ma datti una regolata! >> E poi, rivolgendosi a lei: << Ehi, ciao, come ti chiami? Io sono William, in arte Axl, come posso esserti utile, bellezza? >>
Le parole di quello sconosciuto la fecero sussultare. Qualcosa le disse di tenersi alla larga. Ma quando lo guardò negli occhi e vi lesse quello sguardo strafottente e ribelle, seppe che non c'era niente da fare. Era andata.
Alla fine, il giorno dopo era tornata. E quello dopo ancora. E quello ancora dopo.
Dopo due settimane i ragazzi si erano abituati ad avercela intorno. E William (o Axl, come preferiva farsi chiamare), nel letto.
Era proprio in un letto d'albergo che erano finiti quella notte, a novembre inoltrato, in periferia, dove tutto era sgangherato, e soltanto per fuggire al padre di lei. Lui, ovviamente, non sapeva che stava andando a letto con un aspirante cantante, accompagnandosi con la sua banda di amici strafatti, e prendendo parte alla vita dei locali più rock e ribelli di Los Angeles: lei si inventava sempre scuse, vado a studiare con Kelly, sto a dormire da Sophia, e via dicendo; quella volta non ricordava neppure cosa si fosse inventata. William accettava di buon grado che lei gli chiedesse di andare a stare nei posti più introvabili (e più malfamati) pur di non essere trovati. Gli importava solo di stare con lei.
Ad ogni modo, non andava bene. Si stava bagnando completamente, il pullman non c'era, e lei si stava rendendo sempre più conto del fatto che non aveva intenzione di fare l'avvocato, non aveva mai avuto un rapporto con suo padre (né tanto meno con sua madre), e la sua vita, fino all'incontro con i Guns, non aveva avuto molto senso. E non aveva ancora detto a William che suo padre la faceva uscire sempre più spesso con un figlio di papà con il quale probabilmente le stava combinando un matrimonio.
Ogni volta che avevano fatto l'amore negli ultimi giorni, aveva pensato di dirglielo, ma non era mai il momento giusto.
E la pioggia continuava a scorrere.
Lui, invece, la fissava da lontano. Lei lo sapeva, e lui sapeva che nonostante sapesse che lo stava facendo non si voleva girare verso di lui. Sapeva che gli stava nascondendo qualcosa, lo percepiva quando la toccava, quando la guardava.
Ma non voleva che lei fosse così lontano. Voleva che saltasse le lezioni ancora una volta e tornasse a letto con lui, voleva che lo accompagnasse al magazzino. Voleva solo lei.
Guardò giù...e vide che lei non c'era.
La cercò rapidamente e vide che si stava allontanando, visto che il pullman tardava.
Afferrò la prima cosa che gli capitava in mano, non era nemmeno vestito, e se la infilò addosso. Poi prese il suo giubbotto e corse giù, dietro di lei, per buttarglielo sulle spalle.
Appena si sentì qualcosa di asciutto addosso, Barbi si girò. Con sua immensa sorpresa, gli occhi azzurri di William la stavano fissando, stesso sorriso ribelle che lei adorava, un po' malinconico.
<< Vieni su, Barbi >>.
Lei lo fissò. “Sei scemo” dicevano i suoi occhi.
<< Perchè te ne vuoi sempre andare, qual'è il problema? >>
Lei scosse la testa e si rigirò.
Lui le afferrò le spalle e la fece girare per guardarla negli occhi. << Ti ho detto tutto, Barbi. E so che non mi vuoi dire niente. Cosa credi, che non mi accorga che mentre sei sopra di me piangi? >>
Barbi cercò di trattenere le lacrime, ma sapeva che quello aveva capito tutto. Era pazzo, era senza regole, ma era un genio. Aveva capito tutto senza che lei dicesse niente. Aveva capito che lei non poteva tornare a casa quel giorno.
<< Vieni a casa con me, tesoro. Mi fai vedere le stelle. Stavolta ti farò sedere sulle mie ginocchia, come se fossi tuo padre, e potrai piangere sulla mia spalla quanto vuoi >>.
Lei affondò il viso nella sua spalla fradicia. Era un sì. Lui lo sapeva.