Serie TV > Criminal Minds
Ricorda la storia  |      
Autore: Kessi    06/03/2011    2 recensioni
Si trattano temi di violenze fisiche\psicologiche ... Temi piuttosto toccanti!
Annuisco e gli dico di stare tranquillo.
Cautamente mi avvicino alla porta per cercare la chiave che non c’è più.
Dannazione!
L’avevo nascosta bene, in modo che lui non me la portasse via di nuovo.
Sento il cuore battere all’impazzata. Osservo il bambino speranzoso. Si fida di me.
Trema leggermente per la paura.
Non posso lasciare che gli faccia del male, non a lui.
Dei passi minacciosi si avvicinano.
Anche io ho paura, ma devo proteggerlo.
“Nasconditi sotto il letto, presto” gli dico mentre io mi metto davanti alla porta, cercando di non farlo entrare, cercando di bloccarlo.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aaron Hotchner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Autore: Franci;;
Titolo: Painless
Rating: Arancione
Categoria: Drammatico, Sentimentale
Avvertimenti: Si trattano temi di violenze fisiche\psicologiche ... Temi piuttosto toccanti!
Personaggi: Aaron Hotchner, Jack Hotchner
Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.

 

 

painless

 

 

Come αffrontiαmo il dolore dipende dα Noi.
Ci αnestetizziαmo, lo αccettiαmo,
 lo elαboriαmo, lo ignoriαmo.
E il mαssimo cui possiαmo αspirαre è,
 che un giorno,
αvremo lα Fortunα di Dimenticαre.
{Grey’s Anatomy

 

 

 

 

 

 

Sento delle urla al piano di sotto, qualcosa che si rompe … Probabilmente dei piatti.
“Non sei capace di fare niente!”.
“Ti prego …” singhiozza una donna. Parte uno schiaffo.
Riesco a sentirlo da qui. Non oso immaginare il dolore che deve provare in questo momento.
“Ho paura” sussurra un bambino di tre anni al mio fianco. Si stringe di più a me. Gli accarezzo i capelli cercando di confortarlo al mio meglio.
Annuisco e gli dico di stare tranquillo.
Cautamente mi avvicino alla porta per cercare la chiave che non c’è più.
Dannazione!
L’avevo nascosta bene, in modo che lui non me la portasse via di nuovo.
Sento il cuore battere all’impazzata. Osservo il bambino speranzoso. Si fida di me.
Trema leggermente per la paura.
Non posso lasciare che gli faccia del male, non a lui.
Dei passi minacciosi si avvicinano.
Anche io ho paura, ma devo proteggerlo.
“Nasconditi sotto il letto, presto” gli dico mentre io mi metto davanti alla porta, cercando di non farlo entrare, cercando di bloccarlo.
“Apri questa cazzo di porta!” urla l’uomo.
Trattengo a malapena le lacrime.
Viene dato un calcio alla porta ed io non riesco più a tenerla chiusa.
Si avvicina a me, con aria minacciosa. Gli occhi  sono rossi, sembrano iniettati di sangue.
Mi guarda sprezzante, afferrandomi per un polso.
“Che diavolo pensavi di fare, eh?”.
“Niente” dico, abbassando lo sguardo.
“Niente?!” mi tira uno schiaffo che mi fa cadere a terra. Cerco di tenerlo lontano da me, ma non sono abbastanza forte. Mi tira su, afferrandomi per i capelli, tirandomi una gomitata allo stomaco, che mi fa piegare in due.
Non riesco più a trattenere le lacrime dal dolore. So che non dovrei piangere, che se lo faccio lui si arrabbia ancora di più, ma fa male.
Come previsto, si accanisce ancor più su di me, ed io non posso far altro che sopportare. Almeno non se l’è presa con il più piccolo, penso. Spero solo che abbia chiuso gli occhi e si sia coperto le orecchie. Non voglio che mio fratello veda …

 

 

Mi risveglio di soprassalto, con le coperte scomposte. Ho il respiro affannato, il cuore che batte veloce.
Sospiro, mettendomi seduto e prendendomi le mani tra i capelli.
Di nuovo quell’incubo … Incubo che non è altro che un ricordo.
Oggi è il 20 marzo, il giorno in cui mio padre è morto anni fa, quando avevo 16 anni. È un tempo lontano, una vita passata e dimenticata.
Il telefono squilla.
Con poca voglia lo afferro. Spero solo che non ci sia un caso. Oggi non ce la farei.
“Aaron” sento una voce familiare dall’altro capo del telefono.
“Ciao Sean”.  Ci sentiamo raramente, e le volte in cui ci vediamo si possono contare sulle dita di una mano.
“Non sei venuto” mi dice con tono leggermente critico.
“Scusami. Non sono a casa. Sono in Canada, mi sto occupando di un caso” mento.
“Ah.” Mi risponde deluso.
Non ho voluto andare, semplicemente. Trovarmi davanti alla lapide di mio padre e fingermi dispiaciuto per la sua morte, sarebbe stata una presa in giro.
Mi ricordo ancora il giorno del suo funerale. Ero vestito in giacca e cravatta, un completo che mi dava fastidio e che non volevo affatto indossare. Sean era anch’esso vestito allo stesso modo.
Aveva sei anni, io dieci in più.
Lui piangeva, spaventato e confuso dalla situazione, io no.
Ero impassibile. Non ho provato, nemmeno per un minuto, tristezza. Non potevo provarla. L’uomo nero, colui che mi perseguitava se n’era andato. Non piansi nemmeno quando dovetti gettare una rosa sulla sua bara. Ero felice che un cancro se lo fosse portato via. Aveva avuto quello che meritava.
Quella sera, riuscii a dormire sonni tranquilli. Non dovetti più preoccuparmi se la porta era chiusa a chiave, se Sean stesse dormendo. Da quella sera in poi, non avrei più avuto lividi ovunque.
“Mi dispiace” altra bugia.
Sean non si ricorda di tutti questi momenti. Credo che la sua mente lo stia proteggendo, cancellandogli i ricordi. È un semplice meccanismo di difesa, semplice ma efficace. Perché in me, questo meccanismo non si è attivato? Gli eventi traumatici vengono rimossi.
Lui non ricorda di quando nostro padre arrivava in camera nostra ed io mi facevo picchiare per proteggerlo. Non ricorda di quando, tutte le sere, spaventato, piangeva dopo aver sentito le urla dei nostri genitori.
Gli ho mentito su tutto. Ho raccontato che nostro padre era un uomo favoloso, un padre modello, un eroe.
Sono un gran bugiardo, ma ho dovuto esserlo. Ancora una volta, per proteggerlo.
“Ora devo andare” mi dice lui “Ciao, Aaron. Ci vedremo per il prossimo Natale?”.
“Lo spero”.
“D’accordo. Ti voglio bene”.
“Anche io, Sean”.
Poi chiudo la conversazione, riponendo il cellulare sul comodino. Mi alzo, andandomi a fare una doccia. Ne ho un disperato bisogno.
Rimango a lungo sotto il getto caldo e penso.
Nessuno sapeva che mio padre era un alcolizzato.
Nessuno sapeva che avevo avuto un’infanzia tremenda, paragonabile a quella di un futuro serial killer. Ricordo il caso di qualche anno fa, quando un SI aveva tentato di uccidermi ed io mi ero lasciato sfuggire un dettaglio di troppo.
Hai fatto agli altri quello che tu hai subito, quando si cresce in un ambiente simile, in un'atmosfera violenta, brutale, non è strano che qualcuno da adulto diventi un assassino." dissi
"Qualcuno?" chiese il serial killer, guardandomi stupito.
Che cosa?"
"Hai detto che qualcuno finisce per diventare un assassino..."
Lo guardai negli occhi, e sospirai.
"...e qualcuno finisce per dargli la caccia." Avevo detto per poi allontanarmi.
Era l’unico a cui aveva lasciato intendere che mio padre era un violento. Avevo rivelato il mio unico segreto.
Avevo deciso di dare la caccia ai serial killer a causa sia. Avrei potuto trasformarmi in un mostro, in un assassino, ma non potevo, non volevo …
La mia mente mi riporta a galla altri ricordi che credevo aver dimenticato, che avrei voluto cancellare.
Erano le due di notte e in casa tutti dormivano. Sean, accanto a me, mormorava qualcosa nel sonno.
Io ero rimasto sveglio, come sempre, temendo il suo ritorno.
Sperai che fosse così ubriaco da svenire sul divano in salotto, ma purtroppo non fu così.
Ritornò a casa, sbattendo la porta. Sentì i suoi passi avvicinarsi verso camera mia e di mio fratello.
Chiusi gli occhi, fingendo di dormire, sperando che se ne andasse, che mi lasciasse in pace.
La porta si aprì lentamente, ed io cominciai a tremare.
“Aaron, so che sei sveglio” mi sussurrò mio padre. Mi irrigidì. Non ero bravo a fingere.
Aprii gli occhi, ritrovandomelo davanti.
“Vattene” trovai il coraggio di dire. Non so dove trovai la forza per pronunciare quella frase … Forse perché sapevo che, quella sera, qualcosa era diverso …
“Come hai detto?” chiese alterato, afferrandomi per la maglia del pigiama che indossavo. Cercai di affrontarlo, di continuare a guardarlo. Volevo essere forte, non volevo avere paura.
Ricordo benissimo che il sguardo cambiò. Alzò una mano, ed io convinto che volesse picchiarmi, e mi ritrassi subito. Ma non fu così. Mi sfiorò la guancia, in modo delicato …. Ma non era un gesto che un padre farebbe al proprio figlio … Era un gesto disgustoso.
Ricordo che mi paralizzai, mentre lui continuava a toccarmi. Ero spaventato, confuso. Non sapevo che cosa stesse facendo, ma ricordo che il mio cervello mi inviò segnali di pericolo.
Trovai la forza di tirargli un calcio che gli fece sanguinare il naso. Lui, ovviamente, si arrabbiò e mi picchiò, mi picchiò fino a quando aveva forza. Ricordo che non versai una lacrima. Era molto meglio che mi avesse picchiato confronto a quello che mi avrebbe voluto e potuto fare.
Quella fu l’ultima volta che mio padre provò ad abusare di me.
Ma un bambino non dovrebbe essere sollevato dal fatto che il proprio padre l’avesse massacrato, rischiando di rompergli le costole.
Un bambino dovrebbe essere felice perché il proprio padre ti ha preso quel giocattolo, il tuo preferito, piuttosto che un altro …. Un bambino dovrebbe essere felice perché quel giorno tuo padre, tornando a casa, ti ha portato un gelato per merenda …
Un bambino non dovrebbe mai provare sollievo per una cosa simile.
Un bambino non dovrebbe aver paura di chiudere gli occhi.
Un bambino non dovrebbe essere terrorizzato all’idea di tornare a casa.
Un bambino non dovrebbe essere felice al funerale del proprio padre.
Pieno di questi brutti pensieri, esco dalla doccia, indossando una maglia a maniche corte e dei pantaloni.
Sospiro. Ho un rapporto da compilare.
Mi armo di pazienza, accendendo il computer che ha come sfondo una foto mia e di Jack scattata quando eravamo in vacanza un anno fa.

Comincio a digitare sulla tastiera velocemente, cercando di essere il più dettagliato e preciso possibile … Quando rialzo la testa dal monitor, è mezzogiorno. Ricontrollo velocemente, assicurandomi che non ci siano errori di battitura o qualche espressione da correggere, ma è tutto esatto. Stampo il rapporto e lo ritiro nel fascicolo del caso che poso sulla mia scrivania.
Qualche minuto dopo, sento suonare alla porta. Sorrido e vado ad aprire.
Jack è di fronte a me, per mano alla zia. Appena mi vede, si illumina e mi corre incontro, abbracciandomi e stringendomi forte.
“Papino!”
“Ehi piccolo” gli sorrido, prendendolo in braccio “Ti sei divertito con la zia e i cugini?”.
“Sì, tanto .. Però …”.
Assumo un’espressione leggermente preoccupata “Però?”
“Mi mancavi, papà”
Il mio cuore si riempie di gioia. È grazie a mio figlio che riesco a non pensare costantemente alla mia infanzia terribile, è grazie a mio figlio che sono riuscito a dimenticare …
Io non lo sfiorerei mai, nemmeno con un dito … Non gli farei mai del male, nemmeno se mi chiedessero di farlo con una pistola puntata contro.
Io darei la vita per Jack.
Come si può fare una cosa del genere al proprio figlio?
Come ha potuto mio padre farmi questo per tutti quegli anni?
“Anche tu mi sei mancato, Jack”.
“Mi vuoi bene, papi?”
“Certo che sì” dico scompigliandogli i capelli.
“Un bene grande come il mondo?”.
Gli sorrido, guardandolo negli occhi, dello stesso colore dei miei “Ti voglio un bene grande come l’universo”.
“Ma l’universo è infinito” replica prontamente lui.
“Infatti io ti voglio un bene infinito”.
Lui mi stringe la mano, stringendosi a me “Sei il papà più migliore del mondo!”
Sorrido per quell’affermazione imperfetta, ma bellissima. Mio figlio mi considera un padre fantastico ed io ne sono orgoglioso. Sono riuscito a essere diverso dall’uomo che mi tormentava quando ero piccolo. Sono riuscito a sconfiggere l’uomo nero, dei miei incubi.
La mia paura più grande era proprio quella di non essere un buon padre, ma ora, mio figlio mi ha gatto passare ogni dubbio. È grazie a lui che ora, riesco a fare sogni tranquilli, è grazie a lui che ora sono senza dolore.
“Sono orgoglioso di te, Jack”.
“Per cosa?” mi chiede confuso.
“Per tutto”.
So che non capisce la frase che gli ho appena detto, ma mi sorride raggiante, stringendosi a me.
Sento il suo piccolo cuore battere tranquillo e regolare. Si fida di me, sa che lo proteggerò.
Il sole splende alto nel cielo.
Finalmente, posso dimenticare.
Finalmente, tutto volge per il meglio.

 

 

Note Autrice: One shot che mi è venuta in mente ricordando l’episodio 1x08 “Natural born killer”.
Da quest’episodio, la mia mente ha prodotto questo.
Parla dell’infanzia di Hotch, che, ovviamente, è stata tutt’altro che un’infanzia bella e felice.
Infine, vediamo Aaron insieme a Jack ^^
E’ stata dura, per me, scrivere queste cose su Aaron …
Spero solo che vi sia piaciuta!
Ho fatto molta fatica a scrivere un finale adeguato … E comunque questo non mi convince più di tanto.
Grazie a tutti per la lettura! Spero che lascerete un commento! ^^
Ps. So che la frase Sei il papà più migliore del mondo, in italiano non  è corretta, ma ho voluto scriverla per
adeguarla ad un linguaggio che userebbe un bambino di circa 4 anni xD

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Criminal Minds / Vai alla pagina dell'autore: Kessi