Questo capitolo lo dedico a Madda
che vedrà la scena che aspetta da mesi
sfumare via
drasticamente.
Abbi fede, bella donna, e goditi
la dedica.
James mi sollevò
senza troppi problemi, il che significava che la dieta aveva fatto effetto, e
mi fece sedere sul lavandino.
Okay, devo ammettere che
non era propriamente comodo, ma in
tale situazione l'unica cosa che mi premeva era che nessuno aprisse la porta
del cesso.
Ecco, effettivamente non
era neanche da definirsi un luogo adeguato, ma tant'è.
Continuando a baciarmi,
iniziò a passare la mano sotto la mia camicetta che, ci terrei a
sottolineare, era decisamente bella.
Ma non tergiversiamo!,
dicevo, mi passò la mano sotto la camicia, poi, capendo che la cosa era
decisamente scomoda, prese la magnifica iniziativa di sbottonarla direttamente.
Ovviamente io non
m'opponevo, il che era l'unica cosa giusta che portavo a compimento in quel
santissimo giorno; il pensiero che James stava tradendo Virginia, che lo stava
facendo nel bagno, e più correttamente, che lo stava facendo con me, non
poteva che farmi bene.
Mi ritrovai, non
chiedetemi come e nel giro di quanti millesimi di secondo, schiacciata tra il
muro e il suo corpo decisamente bello e palestrato.
Non m'ero mai resa conto
di quanto fosse scolpito il suo petto, sotto la camicia che solitamente
indossava; ehi, un attimo, non sarebbe stato meglio osservare dal vivo quei
muscoli? Io e Gertrude convenimmo che sbottonargli la camicia era la cosa
più giusta da fare.
Lui, intanto, non se lo
fece ripetere due volte e si sciolse la cravatta dal collo, mentre io
armeggiavo con il bottone nei pressi del petto.
Quel cazzo di robo sembrava non avere alcuna
intenzione di sbottonarsi, mentre le mie mani iniziavano a sudare e James non
si poneva nessun problema.
Egoista.
Passò una mano
sotto la gonna, preso della foga; era impressionante come solo pochi secondi
prima ci stessimo baciando innocuamente; quello era il bello d'essere
ventiquattrenni -parlando per me- non dovevi porti il problema di apparire
troia o meno.
Almeno, quella era la
scusa su cui mi stavo amabilmente adagiando, moralmente parlando, perché
oggettivamente ero bell'e adagiata sempre sul lavabo.
Ce l'avevo quasi fatta con
quel santissimo bottone, quando un colpo alla porta ci fece separare
istantaneamente.
- E' occupato?- James
s'allontanò alla velocità della luce, iniziando a riabbottonare
la camicia, mentre io l'osservavo decisamente delusa: ero a tanto così
dal sbottonarla definitivamente, cazzo, tanta fatica per nulla.
- Ehm, sì- rispose
lui, tossicchiando.
Io, dal canto mio, mi
rivestii totalmente, mi girai e gli detti le spalle, iniziando a sciacquarmi le
mani, giusto per non vederlo in faccia e servirgli su un piatto d'argento la
delusione che si faceva strada nel mio ego personale.
Sfiga, sfiga.
Ciò che in quel
momento iniziò a lampeggiare nella mia testa, era un cartello gigante
con su scritto "Emma, deficiente, sei nel bagno dei maschi".
James mi prese per un
braccio, guardandomi negli occhi - Senti- iniziò.
Eh no.
Il senti no, porca
puttana, il senti no! Mi avrebbe detto una cosa del tipo senti, ho sbagliato, io amo Virginia e questa è stata una
debolezza che non accadrà mai più.
Allora sì che avrei
dovuto fuggire in Uzbekistan.
Presa dalle mie enormi
seghe mentali, scostai il braccio, spingendo il mio capo verso la porta - Tu
vai, io mi nascondo nel gabinetto finché il tipo non ha finito-
sussurrai, poi mi chiusi nella prima porta a destra, abbandonando James e
restando in ascolto della porta che si chiudeva e del tipo che la riapriva,
entrando e lavandosi le mani.
Mi sedetti sul water,
abbassando la tavoletta e tirando su i piedi, così che non si vedessero
dall'esterno.
Restai lì, ad
immaginarmi le possibili scuse che James mi avrebbe rifilato per mettere fine a
quell'incontro decisamente troppo spinto per un capo e un avvocatessa in erba.
"Te l'ho detto
dall'inizio che non avrebbe mai funzionato" Gertrude fece capolino nella
mia testa.
"Fanculo,
Gertrude, tu mi incitavi"
" Non è
affatto vero" canticchiò. Dovevo smetterla di parlare da sola, la
situazione stava degenerando.
"Sì,
effettivamente dovresti smetterla"
" basta, Gertrude,
tra me e te è finita"
" E' mai
iniziata?" restai, quindi, a piagnucolare da sola sul fatto che Gertrude
continuava a
perseguitarmi senza posa,
finché qualcuno non aprì la porta del gabinetto e non mi colse in
fallo.
Alzai la testa, squadrando
l'impiegato del secondo piano, la faccia sudaticcia e le mani gocciolanti, che
mi osservava imbarazzato.
Aprii la bocca, cercando
di dire qualcosa di sensato, per quanto mi sarebbe risultato difficile in
situazioni normali, infine cedetti - Sa che c'è? Eh? Sa cosa le dico?-
dissi, scendendo dal water e avviandomi verso l'uscita - Non si baci mai con un
suo collega nel cesso, perché va a finire tutto una merda- feci per
andarmene, poi tornai indietro - Ah, e a proposito, non sono una maniaca, non
avevo intenzione di spiare lei e il suo pirillo mentre faceva la pipì,
giusto per chiarire- dietrofront, uscita teatrale.
Figura di merda abnorme,
mostruosamente infinita.
Strisciai fino al mio
studio, e mi chiusi all'interno: avevo bisogno di solitudine, seriamente;
volevo affogare i dolori nel vino (che avevo nascosto nel terzo cassetto, a
destra, qualche mese prima) e ubriacarmi fino a dimenticare l'accaduto.
E se Brianne fosse entrata
nel mentre, le avrei finalmente detto che le sue scarpe facevano cagare, le
paperine erano decisamente brutte, che lei era un mostro e che io non avevo
alcuna intenzione di restare ulteriormente in quel cazzo di ufficio.
E infine le avrei
suggerito di farsi vedere quel neo ricoperto di peletti che aveva sotto il
mento, perché era proprio impressionante.
Mi sedetti alla
poltroncina, passandomi una mano sugli occhi: la verità era che James
avrebbe potuto benissimo venire a cercarmi, che avrebbe potuto dirmi qualcosa
di diverso dal senti; la
verità era che per James era stata solo una debolezza, come già
immaginato e che non c'era più motivo per restare.
M'alzai, buttai tutti i
fogli sul pavimento in preda ad una
crisi isterica, afferrai cappotto e borsa, mi vestii di tutto punto e avanzai
con sin troppa convinzione verso l'ufficio di Brianne. Non ci sarebbe stato
alcun "e se qualcuno mi vedesse bere"; non ci sarebbe stato
più niente da nascondere.
Arrivata dinanzi alla
porta su cui spiccava la targhetta col suo nome e cognome, deglutii decisa e la
aprii, senza bussare.
Brianne, seduta in
poltrona, alzò gli occhi su di me - Sa che c'è, Brianne?-chiesi,
e la vecchia mi guardò insistentemente.
- Che succede, Owens?
Vuole un permesso per uscire? E' successo qualcosa?- chiese, infastidita.
Io sorrisi - No, Brianne.
Me ne vado. Me ne vado, ecco cosa c'è. Me ne vado e non torno
più, se proprio lo vuole sapere- presi un bel respiro- Quindi, prima di
andarmene, credo proprio che sia giusto che lei sappia qualcosina, giusto per
informazione- mi passai una mano tra i capelli- Le sue scarpe fanno cagare- e
qui mi tenni ai miei piani iniziali- il suo studio è penoso, dovrebbe
farsi togliere quel neo, ed è simpatica come un compasso nel sedere, se
proprio lo vuole sapere. E' sola ed acida, una zitella di vecchia data, per il
semplice fatto che è isterica e brutta, che non sa cosa vuol dire
viversi la vita, che è nata vecchia, con tanto di zampe di gallina
intorno agli occhi. Che la bellezza non sa dov'è di casa, che gli uomini
la vedono e si sentono attratti da lei tanto quanto potrebbero sentirsi
attratti da un calamaro, e se lo vuole sapere, è anche decisamente priva
di umorismo. Oltretutto, per finire, le vorrei dire che non ho idea di chi sia
questo Owens delle Olimpiadi, e me ne fotto altamente- aggiunsi, nonostante
l'ultima frase non c'entrasse molto.
Ma tant'è.
Le detti le spalle,
uscendo dall'ufficio.
Avevo decisamente urlato,
perché per il corridoio molti impiegati guardavano nella mia direzione.
All'angolo, vicino alle macchinette del caffè, James stava parlando
concitato con... Virginia.
Sentii la gelosia pervadermi,
il senso dell'ingiustizia urlare nella mia testa, e un non so che di pazzo
incitarmi.
La frittata l'avevo fatta,
tanto valeva farla per bene, no? Avanzai meno sicura di prima verso quei due,
mentre lo sguardo di James si spostava da Virginia a me, facendosi preoccupato.
Mi dispiaceva un po'
fargli quello, ma Virginia doveva soffrire come stavo facendo io in
quell'istante.
Le puntai un dito contro -
Senti, botolo di silicone incorporato in un corpo umano- dissi, mentre lei si
voltava a sua volta, rivolgendomi uno sguardo vacuo - sai cosa stava facendo
mezzora fa il tuo futuro marito? Stava sbottonando la mia camicetta, se proprio
vuoi saperlo. E non sembrava proprio preoccupato del fatto che le mie tette
fossero più piccole delle tue di due taglie. Fatti delle domande, quindi-
non aspettai che lei ribattesse qualcosa di sciocco e tettoso,
lanciai uno sguardo a James e me ne andai, iniziando a scendere le scale a due
a due.
Quando infine uscii dalla
struttura, il sole di Londra, quel santo giorno, sembrava volesse giocare alla
caccia al tesoro.
Tirai su col naso, sentendo
la delusione che mi aveva accompagnato in quei mesi salire pian piano fino a
raggiungere l'altezza degli occhi, poi girai a destra, verso la metropolitana.
Un mano, improvvisamente,
mi fermò, aggrappandosi al mio braccio; istintivamente pensai che fosse
il barbone di qualche tempo prima, e mi voltai decisa e regalargli direttamente
il portafoglio.
Quando però i miei
occhi indugiarono sul viso di James, constatai che non aveva propriamente
l'aspetto di un barbone.
- Emma, senti, per...
ciò che è successo..-
- Non sei arrabbiato,
James? Ho appena mandato a monte il tuo matrimonio- gli feci notare, confusa;
sotto sotto, ero felice che mi avesse ricnorso.
- Non importa, Emma, non
importa. Ciò che mi preme, è che tu non ti sia offesa- disse,
passandosi una mano tra i capelli. Ah, ecco.
In quel momento, lo avrei
rapato seduta stante. Un moto di rabbia crebbe nel mio cuore: a lui importava
che non fossi offesa, non che restassi sola o che mi fossi appena licenziata.
Gli importava che non
serbassi rancore, giusto perché nei suoi confronti quello era uno dei
tanti sentimenti che non dovevo provare, vero? Era stato solo un errore, non
dovevo offendermi.
La mano andò da
sola, colpendo la sua guancia chiara e sbarbata - Prima mi sbatti al muro,
facendomi capire che è solo una questione di una botta e via, e poi mi
dici di non offendermi? Sai che c'è, Davies? Ma vaffanculo-
* * *
Infilai le chiavi nella
toppa, girai con forza e aprii la porta.
Linda sbucò da
dietro la libreria con lo scopettino della polvere in
mano - Che ci fai già a casa?- indagò, sospetta.
- Torno a casa- le dissi soltanto, entrando in camera mia.
- Ho capito, ma come mai
sei tornata così presto? Come è andata con James?- io, senza
risponderle subito, tirai giù la valigia dall'armadio.
- No, non hai capito,
Linda. Torno a casa. Casa mia- dissi, iniziando a ficcare alla rinfusa gli
abiti.
- Cosa?!-
- Me ne vado. Ho sbagliato
sin dall'inizio, non dovevo venire a Londra. Non dovevo proprio. Tu fratello
è uno stronzo, con tutto il rispetto, e a lavoro mi sono appena
licenziata. E per James no sono niente, se non una botta e via- sputai tutto
d'un fiato.
Linda rimase in silenzio,
continuando ad osservarmi fare la valigia.
- E' uno scherzo?- disse,
infine.
- No, Linda, torna a casa
per davvero-
* * *
La voce automatica
chiamò il mio treno, ricordando ai passeggeri che stava per partire.
Tirai un sospiro,
trascinando la mia valigia - Se trovate qualcosa di mio speditemelo, non
preoccupatevi- dissi, voltandomi verso le mie coinquiline.
La verità era che mi
sarebbero mancate tanto.
- Emma, vieni a trovarci-
singhiozzò Andreea,
affondando il naso nel fazzoletto ormai lercio.
- Certo, Drea.
Verrò- le abbracciai entrambe - E voi venite a trovare me-
Ci stringemmo ancora,
infine salii sul treno, sventolando un po' la mano.
Ero partita alla volta di
Londra con gli occhi lacrimanti per l'allergia e nessuno da salutare; ora mi
trovavo in lacrime, sventolando convulsamente la mano in direzione delle mie
amiche.
Tirai un sospiro,
affondando nel sedile assegnatomi.
- Oh, ci si rivede,
signorina!- una voce felice mi ripescò dai miei pensieri.
Alzai lo sguardo,
osservando un uomo stritolato nel suo sedile.
Oh, no, il ciccione
maniaco scoreggione no!
Saaaaaaaaaaaalve :D
Allora,
questo capitolo di comico ha poco o niente, lo so, lo so, ma che ci posso fare?
Dovevo proseguire, dopotutto, e non possiamo mica servire alla nostra povera
Emma la vittoria su un piatto d'argento, no? Deve sforzarsi un altro po' :D
Ma
non temete, gente, presto avremo un lieto fine.
Credo
ahahahah :D
Comunque
sia, dal prossimo capitolo si tornerà a ridere, non preoccupatevi, ma
avevo bisogno di un capitolo mediamente serio per reggere la situazione, quindi
state calme :D
Lo
so, lo so, credevate che fra James e Emma ormai fosse fatta, ma non m'andava
proprio di far iniziare una tresca amorosa ora; no, direi proprio di no. Vi
assicuro però, visto che vi ho lasciati con l'amaro in bocca, che
presto, prestissimo lui tornerà: sotto sotto
è innamorato di Emma, e non si lascerà sfuggire la donna della sua
vita.
Non
temete, quindi :D Vi lascio assicurandovi che è solo un capitolo serio
passeggero, e che la speranza deve essere l'ultima a morire.
basta,
basta, ho detto sin troppo.
Al
prossimo capitolo, cari!
Un
bacio
~Ellens