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Autore: vannagio    14/03/2011    14 recensioni
Un lupo grigio, grande meno della metà di Matthew, lo stava studiando da lontano. Era incredibilmente magro e denutrito, tanto che i contorni della sua sagoma si confondevano con la pioggia e i rami circostanti. Sembrava reggersi a stento in piedi, mentre la pelliccia fradicia era sporca e spelacchiata. Matthew seppe subito che si trattava di un lupo normale, ma qualcosa in quei suoi occhi, tanto vigili e intelligenti, gli impediva di considerarlo come tale.
[Terza classificata al contest 'Quando divenni lupo', indetto da Kagome_86 e Jakefan sul forum di Efp]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Paul Lahote, Quileute
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
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***

Dedico questa shot ad Abraxas (ti avevo promesso una statua, ma spero che una dedica vada bene ugualmente) e a chiaki89 (sorpresa!), perché si sono sorbiti tutti i miei deliri durante il classico blocco dello scrittore e perché senza le loro insistenze, molto probabilmente, questa ff non esisterebbe.

***



Per la serie...
"Quando vannagio vaneggia!"




Matthew e il lupo grigio







La foresta lo aveva sempre terrorizzato, reso inquieto, nervoso. Abitava a La Push - un agglomerato di case completamente circondato da una foresta nera come la pece - da quando era nato. Dopo sedici anni, sei mesi, tre settimane e cinque giorni, era ragionevole supporre che si fosse abituato, no? Eppure lui la temeva ancora, quella grossa macchia verde e onnipresente, che pareva incombere e premere sulla nuca. Una paura, la sua, che aveva radici profonde. Risaliva al periodo dell’infanzia, quando, per colpa di un gioco idiota e di un cugino ancora più idiota, si era perso nel bosco. Aveva ben poca memoria di quel fattaccio. Ricordava soltanto alberi, alti e numerosi, che lo circuivano e che si stringevano intorno a lui come a volerlo seppellire sotto le loro chiome. Da quel giorno Matthew non aveva osato più addentrarsi da solo nel bosco.
Adesso, pero, qualcosa era cambiato.
Era incazzato. E correva. Chissà da quando e chissà perché, ma correva. A perdifiato. Scalzo. Per la rabbia, infatti, era uscito da casa, urlando parole insensate sull’ingiustizia della vita. Aveva spalancato con violenza la porta d’ingresso e aveva cominciato a correre. Soltanto qualche minuto più tardi, quando un sassolino si era conficcato nella carne della pianta del piede, Matthew si era reso conto di non aver indossato le scarpe. Se n’era fregato e aveva continuato a correre. Incespicante e goffo per via del dolore, ma non si era fermato.
Sì. Qualcosa era cambiato.
Perché la rabbia alimentava il suo corpo, fornendogli una fonte inesauribile di energia, e la furia aveva scacciato la paura, tanto da indurlo ad attraversare la strada e varcare i confini della foresta senza pensarci due volte. Una leggera spinta, un salto… ed eccolo, mentre sfrecciava tra quegli stessi alberi che fino a quel momento aveva guardato con timore e inquietudine.
Ma più si inoltrava nella foresta, più aveva l’impressione che la vegetazione circostante stesse cercando di trattenerlo, di impedirgli di proseguire. Lo lambiva, lo graffiava, gli strappava i vestiti, gli tirava i capelli. Tentava di tenerlo prigioniero in quello sputo di universo che era la riserva di La Push. Era una lotta, contro l’anima più selvaggia della foresta, contro se stesso, che Matthew sapeva di aver perso in partenza. Riuscì a spingersi in avanti per altri trenta metri. Poi il panico si ridestò all’improvviso e lui inciampò su un sasso. Cadde rovinosamente per terra. Sbatté la testa contro una radice. Perse i sensi.


Si svegliò poco dopo con un’emicrania incipiente e la sgradevole sensazione di essere osservato. Nonostante la faccia spalmata nel fango e le tempie pulsanti per il dolore, Matthew non si mosse. Trattenne il respiro, come una preda che si finge morta, e serrò forte gli occhi per la paura di quello che avrebbe potuto vedere.
Intanto la rabbia era ancora lì. Strisciava sotto la sua pelle incandescente, come una bestia che aspetta soltanto un pretesto per scattare e azzannare. Ma la creatura doveva rimanere intrappolata. Matthew non ne capiva il perché, ma sapeva che era meglio così.
La nuca, però, continuava a prudere. Qualcuno, o qualcosa, lo stava osservando, decisamente. Matthew non poteva rimanere lì per tutto il giorno, nella speranza che quel qualcuno o qualcosa lo risparmiasse credendolo morto. Oltretutto stava ancora trattenendo il respiro e aveva un disperato bisogno di aria. Perciò, facendosi coraggio, socchiuse gli occhi - appena appena, lo stretto necessario per sbirciare -, e…
Nessuno! Non c’era nessuno. Eccetto cespugli, alberi e… verde. Tantissimo verde. Verde in tutte le salse. Una grossa, viscida macchia verde.
Stupida paranoia! Dannata fobia del cavolo! Era colpa della foresta e di tutto quel verde, Matthew non aveva dubbi: si divertivano a spaventarlo e a tormentarlo.
Arrabbiato e sollevato allo stesso tempo, affamato di ossigeno, ricominciò a respirare affannosamente. Si concesse ancora qualche attimo per verificare la corretta risposta di dita, braccia e gambe e poi si tirò su, carponi. Non era ferito, ma la testa pareva sul punto di esplodere in una poltiglia sanguinolenta. Cazzo, se gli faceva male! Senza contare che il suo respiro non voleva saperne di tornare normale.
Faticosamente, Matthew si mise in piedi. Pessima idea! Gli alberi avevano subito cominciato a girare come in una giostra. Colto da un fortissimo attacco di nausea, fu solo per miracolo se non vomitò cena, colazione, stomaco, fegato e intestino, tutti in una volta. Barcollò come un ubriaco fino al tronco più vicino e vi si appoggiò. Sudava freddo e ansimava. Il cuore pompava e martellava dentro il suo torace come un indemoniato.
Che cosa gli stava succedendo?
Si guardò intorno e quando comprese davvero dove si trovava - nella foresta - o, meglio, dove non si trovava - non aveva la più pallida idea di come tornare a casa -, il terrore lo assalì più potente e disarmante di prima. Gli alberi facevano ancora giro-girotondo intorno a lui e Matthew cominciava a pensare che la botta in testa non c’entrasse un accidente con il suo malessere.
Sollevò il viso, rivolgendo uno sguardo disperato e supplichevole alle nuvole che, plumbee e irraggiungibili, si stagliavano contro il cielo diversi metri sopra la sua testa. I rami degli alberi si allungavano a dismisura verso di esse - o forse erano le nuvole, e il cielo anche, ad allontanarsi sempre di più? -, come a farsi beffe di Matthew. “Noi possiamo toccarlo, tu no. Tu resterai inchiodato qui, a marcire per il resto della tua vita”, parevano canzonarlo.
BASTARDI!
E senza alcun preavviso, una furia cieca mai provata prima esplose dirompente. Guidato esclusivamente dalla rabbia e dal furore, Matthew chiuse la mano destra a pugno e colpì il tronco sul quale poco prima aveva trovato un appoggio. Seguì una violenta scarica di calci, della quale Matthew fu solo vagamente consapevole e alla quale si alternarono altri poderosi pugni. Il ragazzo andò avanti in quel modo per pochi interminabili istanti, fin quando, sfinito dal dolore, nauseato dall’odore del sangue che imbrattava le sue nocche, Matthew si lasciò cadere in ginocchio, con le pupille iniettate di rosso fisse sulla corteccia martoriata.
Era una reazione a dir poco spropositata, lo sapeva bene. In vita sua non aveva mai provato una rabbia tanto grande verso qualcuno, eppure adesso se la prendeva con degli innocui alberi.
“Innocui un corno!”, gridò la bestia dentro di lui, dimenandosi rabbiosamente per uscire.
Matthew scattò in piedi e con un urlo spaventoso sferrò un ultimo, potentissimo pugno. Il legno scricchiolò, il tronco si spaccò e si piegò su se stesso. Terrorizzato da quello che aveva appena fatto, Matthew rimase a osservare immobile e a occhi sgranati il precipitare dell’albero. Come in una scena a rallentatore, lo vide inclinarsi lamentoso e sofferente, abbattersi sugli abeti circostanti, trascinarseli dietro nella caduta e schiantarsi al suolo insieme a essi. Il tonfo non fu assordante come Matthew aveva immaginato e previsto, ma soffocato e attutito da rami e foglie. Poi, un silenzio innaturale scese ad avvolgere ogni cosa. La foresta tutta sembrava essersi resa conto del pericolo cui stava andando incontro e pareva aver deciso di tacere per non provocare ulteriormente la furia del mostro. Chi aveva paura di chi, adesso?
La bestia scalpitava, vittoriosa e soddisfatta. Desiderava ardentemente ripetere l’impresa. Tartassava Matthew dall’interno, come un toro inferocito che cerca di abbattere a colpi di cornate il recinto in cui è stato rinchiuso. Sfiancato, sfibrato, incapace di reggere le sferzate di quell’essere che sembrava aver preso possesso del suo corpo, Matthew cedette. E la bestia emerse, squartandolo dall’interno, facendolo letteralmente a pezzi, rompendo, sminuzzando, trasformando in poltiglia le sue ossa.
Quando tutto sembrava perduto, quando tutto lasciava supporre che di quel ragazzo di sedici anni e mezzo non sarebbe rimasto più nulla, Matthew riaffiorò in superficie, boccheggiante.
Adesso era tutto chiaro: non qualcosa, ma qualcuno era cambiato.
Matthew era cambiato. Rinato in una nuova forma.
In un nuovo se stesso.


I primi quindici minuti furono terrificanti per Matthew. Panico e disorientamento presero il sopravvento: trovarsi all’improvviso nei panni di un animale, più precisamente nel corpo di un lupo, non era un’esperienza che capitava tutti i giorni, a tutti i ragazzi della riserva di La Push.
Si convinse di essere impazzito. E considerata la sfuriata di prima, nessuno al suo posto avrebbe escluso a priori quell’eventualità. Poi, però, i ricordi si fecero più nitidi e gli tornò alla mente l’immagine di un albero che veniva sradicato a mani nude. Allora il ragazzo comprese che no, nel suo caso non poteva trattarsi di pazzia.
Matthew si era davvero trasformato in un lupo gigante.
Schiacciato dal peso di quell’orripilante verità, si accucciò al suolo, tremante come una foglia al vento. Guaì per la disperazione e la paura, mentre si guardava ripetutamente intorno, come se da dietro quel grosso cespuglio lì in fondo fosse potuto saltar fuori qualcuno capace di aiutarlo.
Inaspettatamente, proprio da dietro quel grosso cespuglio lì in fondo, giunse l’origine della sua salvezza.
Una zampettante lepre grigia, non accortasi di Matthew a causa del vento contrario, era appena uscita dal suo nascondiglio. Emanava un odore forte, invitante, accattivante. Un odore che lui era certo di non aver mai sentito, ma che sapeva di conoscere da sempre. Come se fosse stato inciso a fuoco, secoli prima, nel suo cervello, pronto per essere riconosciuto nel momento più opportuno. Un odore che parlava di…
“Preda. La mia preda”.
La razionalità umana si spense. Matthew non c’era più. Esistevano soltanto la lepre e il lupo.
Proprio in quel momento, la direzione del vento cambiò e la lepre si accorse di non essere sola. Allora seguì un istante di pura consapevolezza, in cui ogni essere vivente e la foresta intera parvero bloccarsi e trattenere il respiro in trepidante attesa. Preda e predatore si fissarono per alcuni secondi, riconoscendo l’uno nell’altro la propria nemesi ancestrale.
Poi, l’incantesimo si infranse.
Il lupo balzò in avanti, nel tentativo di azzannare la lepre, ma - troppo tardi! - quella era già sfrecciata via. Senza perdere altro tempo, il predatore si lanciò all’inseguimento dell’animale. Anche se l’aveva persa di vista, riusciva a percepirne l’odore, reso ancora più intenso e penetrante dal fetore della paura, e udiva le sue zampette scalpitare per la corsa, insieme al piccolo cuoricino sovraeccitato.
Si mantenne accuratamente sotto vento, muovendosi rapido e silenzioso, mentre la vegetazione lo nascondeva dagli sguardi indiscreti. La individuò poco dopo: una piccola macchia argentea che saltellava a zig-zag nell’erba. La lepre era veloce ma il lupo lo era di più: con un secondo balzo la sorpassò e le sbarrò ogni via di fuga. La poveretta non ebbe alcuno scampo.


Matthew tornò cosciente poco più tardi, quando ormai aveva cominciato a piovigginare. Le goccioline imperlavano la sua folta pelliccia grigia, gli accarezzavano il muso, scioglievano il sangue raggrumato e il fango incrostato.
L’odore di terra bagnata e l’umidità dell’aria gli fecero venire sete. Come se avesse sempre saputo che cosa fare in una simile circostanza, puntò il muso verso l’alto e inspirò a pieni polmoni. Decine e decine di effluvi differenti inondarono le sue narici, ma egli individuò immediatamente quello che stava cercando: una scia pulita, fresca, dissetante. Acqua. Così, naso a terra, guidato esclusivamente dal suo fiuto, raggiunse un piccolo fiumiciattolo e bevve a grandi sorsate.
Nel frattempo, la pioggia si era fatta più fitta e prepotente. Matthew trovò una grande quercia e si rifugiò sotto la sua ampia chioma. Si accucciò tra due grandi radici sporgenti, poggiò il muso sulle zampe anteriori e, sereno come non lo era mai stato, chiuse gli occhi.
Matthew non aveva idea del che cosa gli fosse successo. Tanto meno del come e del perché. A mala pena era consapevole del quando. Forse era impazzito. Forse stava soltanto vivendo un sogno incredibilmente vivido. Ma non aveva importanza, perché Matthew non aveva paura. Non più, ormai.
Non era in pericolo, probabilmente non lo era mai stato. La foresta non era sua nemica. Forniva cibo, acqua e protezione. Perfino il suo odore palpitante di vita gli era familiare, come se in sedici anni e mezzo non avesse fatto altro che correre e scorrazzare per il bosco. Gli alberi che aveva odiato e ritenuto ostili parevano sorridergli e dargli il benvenuto. Matthew era uno di loro, adesso. Un abitante della foresta. Una creatura selvaggia e libera. Un lupo.
La grossa, viscida macchia verde che lo aveva inquietato e turbato era scomparsa. Al suo posto vi erano miliardi di puntini, ognuno di un verde differente: verde chiaro, verde scuro, verde smeraldo, verde brillante, verde bandiera, verde foglia, verde oliva. Soltanto l’occhio attento di un lupo poteva distinguere e apprezzare a pieno tutte quelle tonalità.
E il cielo? Quel cielo lontano, austero e irraggiungibile? Non era altro che l’immenso soffitto di una nuova vita. A Matthew sarebbe bastato salire su una roccia e ululare al vento, per sentirsi tanto vicino a esso da poterlo quasi sfiorare.
La foresta non era sua nemica. Lo aveva accolto a braccia aperte, sfamato, dissetato, protetto. La foresta era un mondo nuovo da esplorare, ben più vasto e misterioso della ristretta e limitata riserva di La Push in cui era stato prigioniero per anni.
La foresta era la sua nuova casa.


All’improvviso, la sgradevole sensazione di prima tornò a tormentare Matthew.
Qualcuno, o qualcosa, lo stava osservando.
Scattò sulle zampe in posizione di attacco. Gli occhi ridotti a due fessure, le orecchie appiattite, il muso arricciato, i denti scoperti e il brontolio minaccioso che gli sgorgava dal petto non lasciavano spazio a fraintendimenti. Quando, però, Matthew incrociò lo sguardo dell’intruso, la rabbia sfumò in un baleno.
«Chi sei?», chiese con la mente, quasi senza rendersene conto.
Un lupo grigio, grande meno della metà di Matthew, lo stava studiando da lontano. Era incredibilmente magro e denutrito, tanto che i contorni della sua sagoma si confondevano con la pioggia e i rami circostanti. Sembrava reggersi a stento in piedi, mentre la pelliccia fradicia era sporca e spelacchiata. Matthew seppe subito che si trattava di un lupo normale, ma qualcosa in quei suoi occhi, tanto vigili e intelligenti, gli impediva di considerarlo come tale.
«Che cosa vuoi?».
Com’era prevedibile, non ottenne alcuna risposta. Il lupo si limitò a voltarsi verso il cuore della foresta, scuotere la coda in un gesto che suggeriva impazienza e poi tornare a fissare Matthew con intensità.
«Dovrei seguirti? Venire con te?».
Gli occhi del lupo grigio parvero scintillare di luce propria.
«Perché?», domandò ancora, prendendo quello strano sfavillio come un segno di assenso.
Il lupo continuò a osservarlo, impassibile. Come se la risposta a quella domanda fosse talmente ovvia da non meritare nemmeno un cenno delle orecchie.
Una folata di vento colpì Matthew in pieno muso, portando con sé l’odore di quello strano animale. Era un’essenza particolare e indefinita, la sua. Assomigliava a quella della foresta, solo più ricca e affascinante. Sapeva di mare, salsedine e sabbia, di muschio, terra umida e clorofilla, di pianure verdeggianti e deserti aridi, di paesi lontani e sconosciuti di cui lui ignorava perfino il nome. Ma anche di pelliccia calda, di salti nel vuoto, di corse a perdifiato, di nuotate notturne, di giornate estive e notti invernali, di lotte all’ultimo sangue, di caccia, di sopravvivenza... sapeva di vita, sapeva di libertà.
Ammaliato e inebriato, Matthew mosse il primo passo in direzione del lupo grigio. Un altro passo e un altro ancora, uno dopo l’altro, verso una nuova esistenza.
E proprio quando stava per raggiungerli, quel lupo e quella libertà, dentro la testa di Matthew si scatenò un vero e proprio inferno.


***


«Matthew!».
«Matthew, amico!».
«Resta fermo dove sei!».
«Matthew!».

Due, tre, forse quattro, voci ansiose e preoccupate. Dentro la sua testa.
«Matthew! Sono io, Paul! Stiamo arrivando!».
Facciamo cinque. Sì, la quinta era anche un po’ incazzata. Ma non gli importava.
«Sta’ calmo, Matthew. Andrà tutto bene. Ti spiegheremo tutto, ma non ti agitare».
Matthew non era agitato e non voleva ascoltare quelle voci, Matthew voleva raggiungere il lupo e andare via con lui.
«Matthew, aspettaci!».
«Non ti muovere!».

No, Matthew non li avrebbe ascoltati. Matthew voleva soltanto…
«Matthew!».
«Matthew!».
«Matthew!».

No, no! Il lupo stava scappando, no! Se ne stava andando senza di lui.
«Dannazione, Matthew!».
Doveva fermarlo, doveva raggiungerlo. Voleva andarsene.
«Cazzo, Matthew! Te la sei proprio andata a cercare!».
Sì, doveva cercarlo. Doveva ritrovarlo, quel lupo. Andarsene via con…


E un dolore atroce alla coda lo fece svegliare di soprassalto. Matthew scattò sulle zampe, furioso e frastornato. Guaiva per il dolore e ringhiava per la rabbia allo stesso tempo. Girò in tondo su se stesso, nel tentativo di raggiungere la coda e verificare l’entità della ferita.
Una risata sguaiata e decisamente umana risuonava nella sua mente, mentre un latrato sardonico gli riempiva le orecchie.
«Ma che cazz…?».
«Ti sei svegliato, finalmente!».

Si era addormentato in forma di lupo, di nuovo. Aveva sognato il giorno della sua trasformazione, di nuovo. Merda!
Intanto, un grosso licantropo grigio sghignazzava come una iena isterica, con la lingua che penzolava fuori dalla bocca. Si divertiva parecchio alle spalle di Matthew e del suo balletto improvvisato, a quanto pareva.
«Vaffanculo, Paul!», replicò stizzito Matthew, «E tu saresti mio cugino? Ti hanno scambiato alla nascita: adesso ne ho la certezza».
«Quante storie per un piccolo morso!»
, lo sbeffeggiò l’altro, portandosi accanto a Matthew, «Ho dovuto farlo. Non volevi svegliarti e stavi sognando di nuovo quel brutto lupo rachitico. Sta diventando una vera ossessione, non è così?».
Ecco, quello non doveva dirlo.
Cogliendolo alla sprovvista, Matthew gli diede una violenta spallata e lo fece scivolare per terra.
«Fuori dalla mia testa!».
Ovviamente, Paul non apprezzò il gesto. A una velocità impressionante si rialzò e gli saltò addosso. Rotolarono per alcuni metri, fin quando Matthew non si ritrovò con le zampe all’aria.
«Pensi che mi piacciano i viaggetti psichedelici dentro la tua mente del cazzo?», urlò il cugino, sovrastandolo dall’alto, ringhiando e scoprendo i denti. «Pensi che mi sia piaciuto lasciare il letto di Rachel proprio questa notte, l’ultima notte, per andare a cercare quel gran coglione di mio cugino? Eh? Rispondi! Credi che mi sia piaciuto? A te sarebbe piaciuto?».
Lo aveva fatto incazzare di brutto. Ma aveva cominciato lui e ormai la frittata era fatta.
«Nessuno te l’ha chiesto».
Oh, sì! Fare lo sbruffone era proprio il modo migliore per calmare Paul, complimenti!
E, infatti, i canini del licantropo si avvicinarono in modo preoccupante alla gola di Matthew.
«Sì, invece. Me l’ha chiesto tua madre. Mi ha telefonato. È spaventata a morte, dice che non ti vede da ieri notte. Si può sapere che cazzo stai combinando? Sam è stato chiaro. Dovevamo trascorrere l’ultimo giornata, prima dell’arrivo delle sanguisughe reali, in compagnia delle persone care, non dormendo sotto un albero con addosso coda e pelliccia. Passi troppo tempo in questa forma. Non va bene. Non è normale».
«La normalità non esiste, Paul. Specialmente per dei lupi come noi».
«“Persone”, Matthew»
, ringhi minacciosi proruppero dalla gola del grosso licantropo, «Forse intendevi dire “per delle persone come noi”».
«No, intendevo proprio “lupi”»
, lo corresse Matthew con sfrontatezza.
Paul gli rivolse un’occhiata sprezzante. Poi, con uno sbuffo che pareva proprio un sospiro rassegnato, si scostò, permettendo al giovane licantropo di rialzarsi.
«Matthew…».
«No, Paul»
, lo interruppe. Adesso era lui quello incazzato. «Sai che cosa non è normale? Non è normale che un lupo faccia il “cane da guardia” a un gruppo di succhiasangue. Non è normale che alcuni membri della nostra razza scodinzolino dietro a degli… degli assassini come se fossero i loro padroni. Non è normale mettere a repentaglio le nostre vite per… per…».
«Non piace neanche a me, Matthew. Ma non si tratta soltanto di loro. C’è in ballo l’incolumità della nostra gente e della nostra terra».
«Noi siamo lupi, dannazione! La nostra casa è la foresta. Non dovremmo avere dei padroni, non dovremmo obbedire a delle regole. Non dovremmo barattare la nostra libertà per un regno. Invece rimaniamo con il culo appiccicato a questo schifo di riserva e a quelle dannate sanguisughe».

Paul lo fissava con intensità, adesso. C’era apprensione nel suo sguardo.
«Non è un’imposizione ma una libera scelta».
«Libera scelta?».

Questa volta fu Matthew a ridere di Paul con il pensiero e la bocca.
«Matthew, torna a casa», insistette ancora il cugino, «La tua famiglia ti aspetta. Mangia qualcosa di ben cotto e dormi in un letto vero. Vedrai che cambierai idea».
«Non saranno una fetta di carne arrostita e un cuscino di piume a farmi ricredere».
Che schifo! Vendere la propria libertà per così poco. Matthew non riusciva a condividere quello stile di vita. «Forse a te tutto questo basta per sentirti in pace con te stesso ed essere felice. Ma a me no. Farò quel che mi è stato ordinato, ma non devo farmelo piacere per forza».
E voltandogli le spalle, Matthew scomparve nel cuore della foresta.
Mentre la neve cominciava a cadere, proprio come la succhiasangue nana aveva previsto, Matthew non poté fare a meno di pensare che, molto probabilmente, quella sarebbe stata l’ultima notte della sua vita.
Qualcosa attirò il suo sguardo: una piccola sagoma grigia, malconcia e spelacchiata sfrecciava veloce tra gli alberi. Il suo odore era inconfondibile. Matthew sorrise felice, per nulla sorpreso. Ululò al cielo per salutare il lupo grigio, che dal giorno della metamorfosi aveva rivisto soltanto in sogno. Escluse dalla mente i richiami di Paul che lo pregavano di tornare indietro e aumentò l’andatura della sua corsa. Aveva intenzione di trascorrere le ultime ore che lo separavano dalla fine come meglio credeva.
Almeno per quel giorno sarebbe stato un lupo libero.


La notte era trascorsa troppo in fretta per i gusti di Matthew. Perciò era già abbastanza nervoso di suo, senza che quelle dannate sanguisughe si mettessero a conversare amabilmente del più e del meno.
«Mi chiedo se...».
Ecco il Boss dei succhiasangue. A Matthew non piaceva il modo in cui quel coso guardava Jacob. Non che Jacob gli stesse particolarmente simpatico - per ovvi motivi "filovampirici" - ma era pur sempre un fratello del branco.
«Non funziona così», intervenne il leggipensieri con un tono di voce improvvisamente poco amichevole.
Forse, finalmente, le acque stavano per smuoversi. Uffa! Non potevano parlare come due persone normali? Ah, giusto! Loro non erano persone. Pardon!
Al suo fianco Paul sbuffò, sintomo che era impaziente tanto quanto Matthew. Per una volta i due cugini si trovavano d’accordo su qualcosa.
«Era solo un pensiero come un altro», si giustificò il Padrino dei succhiasangue, per poi spostare quel suo sguardo cortese, falso e… bramoso da Jacob al resto del branco.
Matthew avvertì un brivido freddo correre lungo la sua spina dorsale: aveva paura del succhiasangue? Impossibile.
«Non appartengono a noi, Aro. Non eseguono i nostri ordini in quel modo. Si trovano qui unicamente per volontà loro».
Il leggipensieri appariva ancora più incazzato di prima e Jacob non era da meno. Ma di che diavolo stavano parlando? Perché non ci davano un taglio, così potevano passare subito alla fase “farsi ammazzarsi brutalmente”, com’era stato predetto dalla nana?
«Però sembrano piuttosto affezionati a te», continuò il Boss, «Alla tua giovane compagna e alla tua... famiglia. Sembrano fedeli».
Forse Matthew cominciava a comprendere che cosa intendesse dire quel damerino inamidato. Ringhiò automaticamente e solo un colpo di frusta sul fianco da parte della coda di Paul riuscì a farlo tornare in sé.
Fu allora che Matthew percepì l’odore. Quell’odore inconfondibile - di vita e di libertà -, che avrebbe riconosciuto tra mille. E poi lo vide. Al limitare della radura, seminascosto dagli alberi e dalla neve, il lupo grigio sedeva sulle zampe posteriori e con sguardo placido osservava ora Matthew, ora la comitiva di vampiri e licantropi. Pareva volesse suggerirgli qualcosa. Ma che cosa?
Matthew lanciò occhiate confuse e ansiose ai suoi fratelli. Possibile che nessuno avesse notato il lupo?
«La loro missione è proteggere vite umane, Aro», stava spiegando il leggipensieri nel frattempo, «Questo ne facilita la coesistenza con noi, ma non con voi. A meno che non mettiate in discussione il vostro stile di vita».
Il succhiasangue-capo rise, come se l’idea di una simile prospettiva fosse estremamente divertente per lui. «Era solo un pensiero come un altro», ripeté.
Matthew si era proprio stufato di quelle chiacchiere. Non potevano attaccarli per primi e farla finita una volta per tutte? Rivolse un’occhiata al lupo grigio, che lo fissava sempre impassibile, e poi un’altra al cugino, il quale - pur apprezzando la proposta di Matthew - scosse la testa come per dire “non pensarci neanche”.
«Lo vedi anche tu?», chiese Matthew con il pensiero.
«Vedere che cosa?», rispose Paul, distratto. Era troppo preso dal teatro dei burattini che quei quattro buffoni stavano inscenando, per capire di cosa stesse parlando Matthew.
«Ehi, voi due! Volete piantarla?», li rimbeccò qualcuno, forse Jared.
Matthew era irrequieto. Il lupo grigio era lì, ma nessuno a parte lui pareva vederlo.
Intano la conversazione era andata avanti.
«Non potrebbe mai funzionare, Aro», insistette il leggipensieri e poi, rispondendo allo sguardo interrogativo di Jacob, spiegò: «È molto affascinato dall'idea dei... cani da guardia».
Improvvisamente, la mente di Matthew si svuotò di ogni pensiero, che fosse suo o dei suoi fratelli.
Cani da guardia.
Cani da guardia?
Cani. Da. Guardia.
CANI DA GUARDIA?
Matthew era troppo stordito e incazzato per accorgersi di quello che gli stava accadendo intorno. Non udì i ringhi furiosi dei suoi fratelli e neanche il latrato di Sam che li richiamava all’ordine.
Quindi erano quelle, le possibilità a loro disposizione? Farsi ammazzare o diventare i… cani da guardia - quasi vomitò all’idea - di un gruppo di luride sanguisughe? Proprio come lui aveva previsto?
Nessuno sembrava fare caso alle sue riflessioni. I fratelli erano diventati immuni alle sue idee eccentriche - come le definivano loro - e ormai escludevano la sua mente a priori.
Per l’ennesima volta, Matthew tornò a fissare il lupo grigio.
“Vieni con me, riprenditi il posto che ti spetta nella foresta”, sembrava sussurrare quel suo sguardo intenso e imperscrutabile, “Questa non è la tua vita. Tu sei un lupo libero!”.
«Matthew, cazzo! Smettila di fantasticare!», lo rimproverò Paul.
Fantasticare? Matthew non fantasticava affatto… oppure sì?
Guardò Paul, che si stava sforzando di ignorarlo, e poi il lupo grigio. Di nuovo Paul, di nuovo il lupo grigio. Fece scorrere lo sguardo su tutti i suoi compagni, a uno a uno.
Possibile che solo Matthew fosse in grado di vedere l’animale? Si trattava di un’allucinazione o di un’immaginazione incredibilmente fervida?
Incrociò gli occhi vigili e attenti dell’animale… e alla fine Matthew comprese.
Quel lupo grigio altri non era se non Matthew stesso; la proiezione del lupo che viveva in lui, che cercava di uscire, di liberarsi dalle catene e di convincere Matthew a fare altrettanto. Il lupo grigio rappresentava la sua parte più selvaggia e primitiva, che non si rassegnava a vivere rispettando delle regole che non comprendeva e che gli stavano strette.
«Immagino che ciò risponda alla mia domanda», stava dicendo il capo dei vampiri, riferendosi alla reazione del branco, e rise di nuovo. «Questo gruppo ha scelto da che parte stare».
Sì, anche Matthew aveva fatto la sua scelta.
Se mai fosse riuscito a uscire vivo da quella situazione, non avrebbe più permesso a nessun succhiasangue o capobranco di decidere della sua vita. Se ne sarebbe andato da La Push, con o senza il consenso di Sam. Si sarebbe ricongiunto definitivamente alla sua parte animale, per diventare un lupo libero.
E tale sarebbe rimasto, fino alla fine dei suoi giorni.




Addio, caro. Goditi pure le tue gioie. Io non baratto la mia libertà per un regno.
Fedro, “Il lupo e il cane: libertà e servitù”




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Nota di autore:

Questa one-shot si è classificata terza al contest ‘Quando divenni lupo’, indetto da Arahan86/Kagome_86 e Jakefan sul forum di Efp.
Ringrazio le due giudici per la pazienza e per aver organizzato un contest così interessante.

Cos’altro aggiungere?

Matthew è uno dei sette licantropi che in Breaking Dawn vengono soltanto citati e che non hanno nemmeno uno straccio di nome. Perciò Matthew è mio (e ci mancherebbe altro, dopo le sette camicie che mi ha fatto sudare!) e tutti i diritti sono riservati (non è vero, basta chiedere se avete voglia di usarlo).

Anche nelle shot in cui non dovrebbe esserci, Aro fa la sua piccola - seppure importantissima (?) - apparizione. Ormai metto e vedo Aro da per tutto, un po’ come Jakefan che inserisce le Jake/Bella ovunque (ti voglio bene, cara).

I discorsi diretti pronunciati da Edward e Aro sono stati ripresi per intero dal libro “Breaking Dawn”, capitolo 36 “Sete di sangue”.
L’esclamazione “Non dovremmo barattare la nostra libertà per un regno” (messa in bocca a Matthew nel corso della discussione con Paul) è una reinterpretazione della frase conclusiva della favola di Fedro (Il lupo e il cane: libertà e servitù), alla quale questa one-shot fa riferimento.

Credo sia tutto.
Grazie a chi leggerà e a chi, eventualmente, recensirà.
A presto, vannagio.



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Ecco il giudizi delle giudici:


Grammatica: 9
IC e caratterizzazione del personaggio: 9,75
Sfruttamento del tema proposto: 10
Originalità: 9,5
Gradimento personale: 9
Punti bonus: 10
Punteggio totale: 57,25


Jakefan

“Una folata di vento colpì Matthew in pieno muso, portando con sé l’odore di quello strano animale. Era un’essenza particolare e indefinita, la sua. Assomigliava a quella della foresta, solo più ricca e affascinante. Sapeva di mare, salsedine e sabbia, di muschio, terra umida e clorofilla, di pianure verdeggianti e deserti aridi, di paesi lontani e sconosciuti di cui lui ignorava perfino il nome. Ma anche di pelliccia calda, di salti nel vuoto, di corse a perdifiato, di nuotate notturne, di giornate estive e notti invernali, di lotte all’ultimo sangue, di caccia, di sopravvivenza... sapeva di vita, sapeva di libertà.”
Mi è successa una cosa strana, con la tua storia. Mentre da quelle che ho commentato finora sono riuscita ad estrapolare frasi e momenti, la tua me la sono letteralmente bevuta, divorata fino in fondo, in una sola lunga sorsata di acqua fresca, come se ne avessi sete in una giornata caldissima e non potessi fare a meno di bere tutto d’un fiato pur rischiando la congestione. E questo mi fa pensare ad una struttura narrativa costruita alla perfezione, la cui nota dominante è la fluidità, che non ti lascia tregua, ti cattura e ti costringe ad andare fino alla fine.
Ho estrapolato solo il brano che cito all’inizio del mio commento, perché ha fatto registrare un sussulto al fazzolettometro. Mi ha commosso l’odore della vita di Matthew arrivato alle sue narici sulle ali del vento.
Non sappiamo come finirà, per Matthew. O meglio, lo sappiamo perché abbiamo letto Breaking Dawn, ma non sappiamo se in questo universo che ci proponi il nostro lupo combatterà o meno, sopravvivrà o meno. Abbiamo una sola certezza: non si farà mai mettere una catena al collo. Nessuno lo domerà, nemmeno il branco e Sam e i suoi fratelli. Se fosse un pochino più maturo, lo chiamerei Won-Tolla. Ma Matthew è ancora più selvaggio di Won-Tolla, che aveva perso la compagna ed i cuccioli. Won-Tolla alla fine muore per il branco, mentre Matthew accetta un solo vincolo ed una sola compagna, quella che all’inizio gli faceva così paura: la foresta. Matthew è un bel carattere, un bel personaggio ribelle, un rompiscatole, uno che non si fa fregare nemmeno da Sam; non importa se sono buoni o cattivi, se sono padroni non vanno bene e punto.
L’integrazione con l’opera letteraria c’è, e la tua storia corrisponde perfettamente allo spirito della favola di Fedro. La grammatica è perfetta, ho visto solo la mancanza di un accento, che ritengo un errore di battitura, e un’altra stupidaggine che mi sono dimenticata. Nulla che mi costringesse a interrompere l’incantesimo della lettura.
Lo sai che ti dico sempre la verità. Stavolta mi spiace molto dire che la conclusione della storia non è, a mio parere, all’altezza di tutto il resto. La sensazione che ho provato, quando spieghi chi è il lupo grigio e spelacchiato, è quella che proverebbe un bimbo ad uno spettacolo di magia se il prestigiatore, terminato il suo numero, quando ancora tutti hanno gli occhi spalancati e gli adulti sono tornati bambini, uscisse dalle quinte e spiegasse il trucco. Interessante, certo, ma ti ammazza la magia. Avrei preferito che dicessi le stesse cose lasciando intatta la magia (poi di questo se vuoi ne parliamo), senza interrompere lo stato “onirico” di chi legge un bel racconto.
Ti conoscevo già come autrice e, ancora una volta, non mi sono sbagliata; come ti ho già detto, sei sempre una garanzia.


Arahan86

Non si può certo dire che questa storia manchi di originalità: Matthew è il lupo che si “perde”, quello che apprezza più la sua seconda natura che i panni in cui è nato, quello che vuole essere libero, e che si sente libero solo sottoforma di lupo.
Il finale, altrettanto originale, è per certi versi shockante: Matthew non pensa ai suoi genitori, o a chi non vedrà più, sembra aver perso quasi del tutto gli istinti umani, pensa solo a quella libertà assoluta alla quale, da lupo, anela disperatamente.
I due personaggi che interagiscono maggiormente, in questa storia, sono Matthew e Paul, entrambi decisamente ben caratterizzati.
Ho particolarmente apprezzato la decisione di raccontarci Matthew all’inizio della sua carriera lupesca con l’espediente del sogno. Anche perché è proprio in questo modo che introduci il suo prepotente desiderio di libertà: Matthew ha sempre visto il suo “alter ego” come un silenzioso compagno che lo invitava alla fuga, fino a quando non capisce che quell’alter ego non è altro che la personificazione del suo bisogno di non avere legami.
Inoltre, nello stesso sogno, utilizzi un’altra immagine che riesce a caratterizzare alla perfezione l’idea che Matthew voglia essere libero: gli alberi che si distendono verso il cielo, l’orizzonte lontano. Tutto si presta a fare di Matthew un insoddisfatto per quello che sente come una catena, e che invece si rivelerà essere la sua chiave per la libertà.
Ottima la descrizione della trasformazione di Matthew, che diventa progressivamente sempre più consapevole di quello che sta per succedergli, e che tuttavia non lo capisce fino a quando non si ritrova con una coscienza azzerata dalla forza prepotente del lupo.
La forza e la rabbia sempre crescente serpeggiano sotto la pelle di Matthew e vengono trasmesse a quella del lettore, che aspetta l’esplosione del ragazzo da un momento all’altro, fino a quando arriva e lascia a bocca aperta sia Matthew che il lettore stesso.
Riguardo a correttezza grammaticale, lessico e sintassi, non ti ho dato il punteggio pieno per qualche imprecisione:
“Eppure lui la temeva ancora, quella grossa macchia verde e onnipresente, che pareva incombere e premere sulla nuca”.
- La costruzione, con l’uso del pronome “la” come complemento oggetto che viene esplicitato nella frase incisiva seguente, è tipica della lingua parlata. Nello scritto sarebbe meglio togliere quel pronome e la virgola dopo “ancora”. Il senso della frase rimane inalterato ed è meno “ostico” alla lettura. In questo caso andrebbe tolta anche la virgola dopo “onnipresente”.
“Matthew rimase a osservare immobile e a occhi sgranati il precipitare dell’albero verso il basso”.
- “verso il basso” è ridondante dopo “precipitare”, in quanto nel verbo è già compresa l’idea della direzione. Normalmente, infatti, se si dice “precipito”basta e avanza per capire che “sto muovendomi velocemente verso il basso”.
“Guaì per la disperazione e la paura, mentre si guardava ripetutamente intorno, come se da dietro quel grosso cespuglio lì in fondo potesse saltar fuori qualcuno capace di aiutarlo”.
- Nella giusta consecutio temporum quel “potesse saltar fuori” dovrebbe essere sostituito con un “fosse potuto saltar fuori”.
“Decide e decine di effluvi”.
- Errore di battitura. “Decide” = “Decine”.
“E proprio quando stava per raggiungerli, quel lupo e quella libertà”.
- Stessa costruzione della prima frase segnalata.
Lo stile che usi è buono, tiene il lettore incollato allo schermo a leggere riga dopo riga.
Complimenti anche per la scelta della favola di Fedro, non ci avrei mai pensato.
   
 
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