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Autore: Lady Antares Degona Lienan    19/03/2011    8 recensioni
Le prostitute la odiano, perché chi mai vorrebbe una mocciosa petulante e dai capelli sfibrati intorno mentre si cerca di adescare qualcuno? Anna glielo dice una volta schiumando di rabbia ed Eva (Eva col tatuaggio di una mela sul braccio), all’angolo con lei, la prende in parola: afferra il paio di forbici che tiene nella borsetta per difendersi e affonda con un unico colpo la mano nei capelli scuri della ragazza.
Varsavia ha un animo oscuro; lei non ne ha uno.
E voi siete pronti a seguire Leokadia Wójcik sotto il cemento della sua città?
Seconda Vincitrice del concorso "Collapsing Night" indetto dal Collection of Starlight.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il soffitto è basso: le volute del fumo riescono a compiere appena quattro arabeschi prima di schiantarcisi contro. Lei sorride con il suo solito ghigno impertinente che però non riesce a smuovere i quattro uomini che le si sono parati davanti: sul loro giubbotto la scritta Policja non incute alcun timore. Tossisce, li scruta, infine accavalla le gambe e lascia andare la testa all’indietro: perde il cappello. In un attimo si torce sulla sedia, quando ritorna composta l’ha di nuovo in mano e se lo cala sulla testa. È veloce quando vuole. Lo sfoggio di dinamismo pare averla impigrita: poggia la testa sui gomiti e chiude gli occhi. I capelli cadono scompostamente sul tavolaccio in acciaio. Sono scuri ma nessuno ha mai capito se li tinga.

“Signorina”, la saluta l’ispettore capo entrando. Lei apre gli occhi e inclina appena la testa per scrutarlo dal basso verso l’alto. Lui l’osserva con attenzione. “Sono l’ispettore capo Gmina e sono qui per interrogarla in merito ai fatti della scorsa sera”, dice e scosta la sedia per farsi spazio. “Vuole iniziare dal principio?”

Lei spegne la sigaretta – adesso che ci pensa per un secondo non capisce bene perché l’abbiano fatta fumare – e raddrizza la schiena. Il cappello è un po’ malconcio ma fa tuttora la sua figura; gli occhi bordati di nero e rosso – stanchezza - sono più naturali del colore della sua pelle. Prende fiato. “Sono nata a Varsavia venti anni fa da una madre che non era una madre e da un padre che faceva finta di esserlo: quando lessi Alice nel paese delle Meraviglie desiderai di cadere nel buco al più presto… non ce l’ho mai fatta ma ho provato a calarmi in un paio di tombini. È stato allora che ho conosciuto la donna…”

Gmina piega la testa appoggiandola a una mano e gli altri quattro uomini si voltano verso di lei per ascoltarla, attenti: è iniziato lo spettacolo che la –

“Incredibile!”, dice Ivan spegnendo il televisore. L’immagine della ragazza si congela e scompare. “Se li stava incantando come tanti piccoli serpenti!”

“Già”

Lei ha sempre avuto la tendenza all’invenzione; pertanto, prima che cadiate anche voi nella sua meravigliosa rete, sarò io a raccontarvi come sono veramente andate le cose.

Il gatto in un appartamento

(vuoto).

Leokadia Wójcik nasce nel 1973 a Varsavia, nel cuore di una Polonia ancora scossa dai singhiozzi della guerra. Non è una bambina a cui piaccia camminare o più in generale muoversi, pertanto rimane sempre là dove sua madre Maria la posa e dimentica; osserva il mondo dalla bassa prospettiva di un neonato. Non piange. Cerca istintivamente l’ombra perché il sole le ferisce gli occhi, seppur mitigato dalle nubi scure che spesso avvolgono Varsavia. Leokadia ha occhi azzurri inquietanti, piatti, privi di sfumature di colore. I pochi capelli scuri che le pendono dalla testa annientano il rossore sul suo viso: non è una bella bambina, Leokadia Wójcik; nel vicinato si parla di lei ma mai con toni benevoli. A suo padre non piacciono le chiacchiere, men che meno se dai risvolti imbarazzanti; sbarra le finestre e porta fuori la bambina solo alle prime ore del mattino, quando nessuno può vederli. È un lusso che può concedersi, visto che non lavora più da qualche anno: la famiglia di Maria paga per ogni spesa, anche la più ridicola. La nonna di Leokadia, Roksana, è l’ultima erede del ramo cadetto dei Skłodowska, una delle famiglie più prestigiose e colte della Polonia ottocentesca; Maria però è l’unica figlia rimasta in vita: la guerra s’è portata via tutto, dal padre ai fratelli maggiori ai possedimenti sul mare. È rimasta loro una piccola fortuna ben amministrata, fortuna che entrambe, Maria e Roksana, rifiuterebbero per riavere indietro i propri cari. Stefan Wójcik è contento che non possano farlo: a lui lavorare non piace, e di un vecchio suocero non sa proprio che farsi.

Nel 1976, però, cambia tutto in virtù di quello che la ragazza chiamerà, più tardi, “un inatteso accumulo d’energia”. A tre anni di vita, Leokadia si stufa di rimanere seduta e comincia ad agitarsi per casa sotto gli occhi terrorizzati di sua madre, che improvvisamente comprende quanto faticoso sia gestire un figlio. Quando non scala il davanzale della finestra cammina per le rampe del palazzo signorile inciampando sui tappeti di damasco, osservando i quadri dei suoi antenati che piano piano, senza clamore, vengono staccati dalle pareti per essere venduti. Solo un dipinto la quieta: una sua prozia, Marie Curie, siede scompostamente su un divanetto ostentando una fretta irritante, quasi debba correre via dallo sguardo del pittore più per partito preso che per un altro motivo. Gli occhi scuri della donna incendiano le guance di Leokadia, il suo mento volitivo la spaventa: eppure quando sosta davanti a quel ritratto non sente più la necessità di urlare, correre e saltare. Maria e Stefan lo capiscono immediatamente. Quell’estate Marie Curie viene spostata nella sua stanza e lì resta fino a che non sarà necessario, cioè per undici anni. Ma ora è troppo presto: Leokadia scopre a cinque anni d’amare le storie fittizie che suo padre crea per lei, e se ne abbevera fino ai sette anni. Poi Stefan l’abbandona a se stessa in virtù di un’ipotetica crescita di cui però ella non si sente parte, e alla fine di tutto il discorso le lascia una mano sulla spalla e le calca un cappello in testa, una vecchia bombetta di suo nonno che le inghiotte tutta la fronte e parte delle sopracciglia. Si guarda allo specchio incuriosita: pare che con quel relitto storico in testa i suoi capelli abbiano una forma migliore, non come falde che le penzolano al lati del viso ma come serpenti che le circondano il volto; questo però lo pensa a tredici anni; sei anni prima, semplicemente considera ‘mi piace’. Non le piacciono i libri, invece, e non le piace la carta stampata che pare aggredirle la vista con quei segni terribilmente neri e ostinati. È presa tra due fuochi: vorrebbe leggere per apprendere, per conoscere storie, ma non è capace di affrontare quei tomi che il suo precettore le affida settimanalmente per sfidarla a reagire. Sua madre la perseguita cercando di provare a se stessa di non aver messo al mondo una figlia deficiente, suo padre la osserva con un pizzico di disappunto nello sguardo grigio, Marie Curie altro non fa che piantarle gli occhi di brace sulla nuca mentre dorme e sua nonna si rende conto improvvisamente che lei indossa il cappello. Leokadia ha un po’ paura di Roksana Skłodowska, perché sua nonna perdendo gli affetti ha perso anche un poco di senno; si aggira come un fantasma per la casa chiamando i figli e il marito, apre porte a tradimento e poi le chiude con fare assente. Non indossa mai scarpe, sua nonna, per non fare rumore; non le indossa nemmeno quel giorno di marzo nel 1983 quando la guarda da sotto un ciuffo di capelli bianchi e le dice tranquillamente, come se nulla fosse: “Ludwik, sei tu caro? È passato molto tempo. Ci vediamo in biblioteca dopo il whiskey delle otto, allora”.

Leokadia chiede a sua madre qualche spiegazione e così scopre che i suoi nonni erano soliti trovarsi nella sala delle letture dopo il whiskey tra parenti. Roksana leggeva per Ludwik, che era un po’ cieco e non riusciva bene a scorgere le lettere sulla carta. Dopo la lettura gli diceva sempre ‘addio’, mai buonanotte, perché bisognava essere preventivi, sosteneva. Maria crolla il capo: gli ha detto addio anche quando è partito per la guerra, e non se l’è mai perdonato. È allora che Leokadia capisce di avere un’opportunità. Quando si presenta in biblioteca, quella sera, il cappello ben calato in testa, sua nonna sorride malinconicamente e le chiede che libro gli piacerebbe ascoltare oggi. Lei non risponde. Roksana quindi afferra la Bibbia e comincia a parlare.

Leokadia Wójcik impara a conoscere la paura e la rabbia verso un Dio di cui non conosce la forma ma solo le parole e i gesti crudeli; a undici anni comprende meglio il significato di fede, che porta con sé fiducia cieca verso qualcuno che non sia se stesso e la necessità di aggrapparsi a un destino già delineato; decide presto che tutte quelle chiacchiere non fanno per lei: sua madre è sparita con un attore di teatro, suo padre ormai non riesce più nemmeno a raccapezzarsi dell’inquietante forma che la sua pancia ha assunto per colpa della troppa birra e sua nonna, sua nonna che è l’ancora di salvezza in quella assurda famiglia nel bel mezzo del naufragio, sua nonna pensa che lei sia un uomo morto un sacco di anni prima. Nessuno la iscrive a scuola e lei continua a rifarsi unicamente al suo insegnante privato, che però a tredici anni l’abbandona per un infarto del miocardio. Poiché ha preso abitudine di accomiatarsi con un addio, Leokadia non ha rimorsi: in un certo senso capisce che sua nonna ha ragione.

Tredici anni, una casa immensa, un ritratto nella camera, una nonna matta, un padre distratto, una madre assente, della servitù invisibile, i vestiti sporchi e nessun amico. Leokadia pensa che la sua esistenza non sia fatta per essere vissuta troppo a lungo: sette anni dopo, trovandosi una pistola puntata alla testa, capirà di aver avuto ragione. Per il momento però vuole solo avventurarsi al di fuori di quell’isola che l’ha tenuta prigioniera per tutta la sua vita e pertanto decide di esplorare Varsavia nell’unico momento in cui sa di essere veramente libera: di notte.

Varsavia di notte è un piccolo universo fatto di criminalità che s’articola in droga, soldi e prostitute. Leokadia Wójcik tuttavia è troppo piccola per capire gli esatti risvolti del crimine organizzato, e non coglie le mille occhiate che gli abitanti della strada le rivolgono. Le prostitute la odiano, perché chi mai vorrebbe una mocciosa petulante e dai capelli sfibrati intorno mentre si cerca di adescare qualcuno? Anna glielo dice una volta schiumando di rabbia ed Eva (Eva col tatuaggio di una mela sul braccio), all’angolo con lei, la prende in parola: afferra il paio di forbici che tiene nella borsetta per difendersi e affonda con un unico colpo la mano nei capelli scuri della ragazza. Il taglio è storto ma efficace e le porta via più di metà dei capelli; a quel punto, visto che il danno è fatto, si procede con l’eliminazione della parte restante, il che le lascia la testa leggera e capace quasi di ragionare meglio. Non torna più in strada, perché adesso ha paura.

A quattordici anni decide che Marie Curie le ha insegnato tutto ciò che doveva insegnarle e quindi il ritratto viene di nuovo spostato nella galleria principale, lungo le scale. Suo padre lo vende tre giorni dopo. Di questo Leokadia si pentirà tutta la vita, anche per lui. Roksana quella sera le legge ‘Le affinità elettive’ e una strana poesia su Cassandra che la lascia dapprima perplessa, poi schiacciata, infine annientata. Persa, senza una guida, lei non è niente se non un’entità astratta, priva d’idee e corpo.

Nel 1988 il sindaco di Varsavia annuncia ufficialmente la creazione di una linea della metropolitana sotterranea che attraversi la città per agevolare i movimenti dei cittadini. Leokadia improvvisamente viene fulminata da un’idea geniale che le permetterà di muoversi per la città senza correre troppi rischi. È quasi sera quando sua nonna sprofonda nella poltrona della biblioteca per leggere e non si rialza più: la trova lei stessa alle otto e mezza; le poggia una mano sulla guancia e rabbrividisce nel trovarla fredda. Lancia un urlo spaventoso e si precipita in salotto, dove trova suo padre addormentato, come fosse morto. Terrorizzata lo scuote per controllare che respiri e viene malamente spinta via quando spiega all’uomo cosa sia successo; suo padre le intima di andare in camera ma Leokadia, sopraffatta dalle menzogne che raccontava alla nonna da anni, corre fuori dalla porta di casa.

Apre il primo tombino che le si para davanti e vi si intrufola dentro. L’oscurità che la inghiotte è appena mitigata dalla luna che spunta da alcune grate; nel complesso tuttavia le fognature sono un ambiente macabro e costellato d’immondizia. Dopo un lungo corridoio svolta improvvisamente a destra e sbatte contro una figura ferma appoggiata al muro; urla, pensando che sia un cadavere – nonna? - poi un urlo risponde al suo e un fascio di luce la investe, caldo come solo un fuoco può creare. Leokadia alza la mano per proteggere i propri occhi e di primo acchito pensa: “Marie Curie?”. La donna però ha delle sopracciglia più belle, arcuate, un naso meno imponente e un sorriso pieno. La fissa per qualche secondo e poi fa una smorfia. “E tu che ci fai qui?”

“Potrei farle la stessa domanda”, l’aggredisce Leokadia Wójcik.

“Io sono un’adulta, cara la mia ragazzina. Nel mio tempo libero faccio quello che voglio”.

“Ho quindici anni. Anche io”, dice lei. “Mia nonna è morta due ore fa”.

Il viso della sconosciuta si contrae per poi distendersi in un sorriso amareggiato. “Mi dispiace. Come ti chiami?”

“Leokadia. Leokadia Wójcik”.

“Bene Leokadia, io sono Wislawa. Mi spiace per tua nonna”

Lei fa una smorfia. “Le ho sempre mentito”

“A tua nonna?”

“Sì. Fingevo d’essere il nonno Ludwig, che è morto da tempo, così non sarebbe stata male”

“Capisco”

“Wislawa… che ci fa qui?”

“Io scrivo. Sto cercando di scrivere di sporcizia, quindi mi sono calata nel posto più sporco di Varsavia.”

“Ah.”

“Vai a casa, Leokadia. Perché non provi a scrivere qualcosa a tua nonna? Scrivere fa bene all’anima”

“Anche alla sua?”

“La mia ormai è troppo malata per guarire”.

“Dolore?”
“Nostalgia”.

“Allora, addio”.

“Che paroloni!”

Quella notte, Leokadia scrive fiumi di parole su un vecchio quaderno sfatto dal tempo. La mattina successiva, il ritratto della nonna le sorride e le parole sui libri non le fanno più così paura.

Rivede la donna al funerale. Chiede ad una zia paterna chi sia quella signora e le viene detto un cognome strano. Comunque è una poetessa di una certa fama, anche al di fuori della Polonia: sua zia le spiega come i suoi lavori siano stati tradotti in francese e in inglese, e di come il partito tenga in considerazione la sua opinione. Leokadia annuisce e non le scolla gli occhi azzurri di dosso; l’osserva da sotto la tesa del suo cappello nero ormai malconcio.

Un mese dopo, la ritrova nelle fognature, nello stesso posto dell’altra volta. Ha appena compiuto sedici anni. Wislawa la famosa poetessa ascolta di come lo scrivere abbia guarito le paura di Leokadia e poi la invita a casa sua, ogni domenica, per leggere qualcosa insieme. Dapprima la ragazza ha paura, poi con fare diffidente accetta. Quella sera la saluta prima del tempo perché è troppo felice per rimanere in quel luogo angusto. Urla un addio e scompare rapidamente in superficie.

Passano quattro anni di relativa tranquillità in cui Wislawa Szymbrorska le insegna tutto quello che sa sulle parole e sul loro modo di comporsi in un foglio. Quando la domenica si ritrovano insieme a leggere, spesso Leokadia Wójcik ha modo di ricredersi su certi aspetti della vita che adesso le appaiono meno scuri ed assoluti di quanto potessero sembrare nella mente ottenebrata di una ragazzina cresciuta da sola. Wislawa è la nonna e la mamma che non ha mai avuto: la costringe a iscriversi a un corso scolastico serale e in tre anni e mezzo Leokadia ottiene un diploma dignitoso. Spesso di sera, accompagnate solo da una torcia elettrica o da una lampada a gas, discendono nelle fognature per cercare un po’ d’ispirazione; in realtà è solo Wislawa a trovarla veramente, Leokadia s’accontenta di respirare i refoli di tale genialità, come il fumo passivo delle sigarette che ha iniziato a fumare da quando aveva diciassette anni. Solo due cose non sono cambiate in lei: i capelli lunghi e il cappello. Persino gli occhi si sono un poco arrotondati, così da perdere quella cattiveria intrinseca, e la bocca riempita, anche se non di dolci parole. Wislawa tuttavia la ama così com’è; non bella, ma affascinante. Non colta nella classica maniera, ma curiosa di sapere. Non cinica, ma realista. Non simpatica, ma pungente. Lei non ha amici che non siano lei; i suoi coetanei la spaventano con la loro esagerata spensieratezza.

Una sera del 1993 Wislawa le annuncia di aver quasi finito la nuova raccolta. “La chiamerò ‘La fine e l’inizio’, e c’è una poesia che riguarda te”, le confida. Leokadia socchiude gli occhi e stiracchia un breve sorriso. “Ode all’arpia?”, chiede. “Parla di un gatto. Un gatto in un appartamento vuoto. Adesso andiamo giù, che devo trovare ancora qualche dettaglio”.

Giù è il loro termine per le fognature. Ridono e scoperchiano il solito tombino. Quella sera però, qualcosa va terribilmente storto. Ci sono delle voci che gracchiano numeri da dietro l’angolo, voci non raccomandabili seguite da risate sguaiate. Gli intrusi notano la luce della lampada prima che Wislawa possa spegnerla, e allora due uomini e due donne sono davanti a loro in un attimo: malviventi, senza dubbio. La malavita di Varsavia, nelle fognature della propria città. Leokadia si lascia sfuggire un sorriso. Wislawa è dietro di lei, seminascosta. Gli uomini hanno il passamontagna, le donne un berretto tagliato malamente. Leokadia però riconosce un tatuaggio a forma di mela sul braccio della bionda: è Eva, la ragazza che le ha tagliato i capelli anni prima. Eva la prostituta; Leokadia capisce di essere stata riconosciuta. La situazione peggiora, la polizia irrompe nelle fognature. “Wislawa, scappa, risali su! Addio!”, urla la ragazza spingendo via la donna. I criminali scappano sparando; Leokadia finisce a terra, nel fango odoroso delle fognature. Viene portata al commissariato.

“E cosa è successo poi?”, chiede Ivan. Io riaccendo il televisore. Due secondi dopo, il filmato riparte e -

Un uomo fa improvvisamente irruzione nella sala degli interrogatori e punta la pistola con cui minacciava un poliziotto in ostaggio contro la ragazza.

“Sei finita, stronza. Non avresti dovuto parlare.”

Leokadia sbianca, china il capo, cerca di sorridere ma la bocca è una linea invisibile. “Addio”, dice. Il proiettile passa attraverso il cappello e le sfonda il cranio, tingendo il muro di rosso. L’uomo viene ucciso pochi istanti dopo, non sarà mai ricollegato ai criminali nelle fognature.

Al funerale di Leokadia Wójcik Wislawa Szymbrorska legge la poesia del gatto in un appartamento vuoto. La poesia ispirata a lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Partecipante al contest Collapsing Night sul Collection of Starlight.

Allora, ho il terrore che qui le note saranno più lunghe della storia. Parto subito dall’oggetto base della fan fiction, cioè l’immagine; ammetto di aver pensato una sola cosa, quando Alex mi ha postato il ritratto: questa qui è una stronza. Per certi versi in effetti Leokadia Wójcik è una signorina davvero poco a modo; per altri, invece, è una ragazzina selvatica che ha paura dei libri.

I personaggi storici in questo caso sono due. In realtà uno è meno storico dell’altro, visto che è ancora vivo, ma vi posso garantire che la storia l’ha fatta lo stesso. Comunque, per ordine di età, il primo personaggio storico è Marie Curie, nata Maria Skłodowska, discendente della nota famiglia Skłodowska, famosa nella Polonia ottocentesca per aver dato i natali a molti scienziati e letterati, tra cui anche il padre e i fratelli di Marie. Il ramo cadetto della famiglia è effettivamente estinto, ma non il cognome Skłodowska. La madre di Leokadia, Maria, si chiama così in onore appunto del personaggio storico da me scelto. Ah, la nonna si chiama come me, solo in polacco; in realtà non so come mi sia venuto di dare a una vecchietta pazza il mio nome, visto che al principio volevo chiamarla Olga. Tuttavia Olga Skłodowska suona davvero male, mentre Roksana Skłodowska è decisamente meglio.

Il secondo personaggio storico è niente meno che Wislawa Szymbrorska, famosissima poetessa polacca ancora in vita (ha la veneranda età di 87 anni, se non erro); tutti i riferimenti alle poesie sono suoi. Esiste una sua poesia su Cassandra, quella citata per prima solo per una parte del titolo, che si chiama ‘Monologo per Cassandra’ (http://efialte.wordpress.com/2007/07/11/w-szymborska-«monologo-per-cassandra»/), tratta dalla raccolta ‘Uno spasso’ del 1967. Quanto a ispirazione la Szymbrorska si rifaceva spesso a Goethe, quindi anche la comparsa di ‘Le affinità elettive’ non è un caso. Nel 1993 la Szymbrorska pubblica la sua raccolta ‘La fine e l’inizio’ (http://www.threepennyreview.com/samples/szymborska_su97.html) in cui è contenuta l’omonima poesia di cui la poetessa parla nel primo incontro con Leokadia. Nel testo si parla metaforicamente di pulizia delle macerie della guerra, e ho pensato che la Szymbrorska volesse veramente immergersi nel clima giusto. Nella stessa raccolta è inserita anche la poesia ‘Il gatto in un appartamento vuoto’ (http://libertango.myblog.it/archive/2009/10/21/il-gatto-in-un-appartamento-vuoto.html) a cui mi sono ispirata per il personaggio di Leokadia. Se ne avete la possibilità, cercatela e leggetela, perché è bellissima e toccante, oltre che uno specchio ben più preciso del mio personaggio di quanto io abbia mai saputo realizzare.

C’è una certa somiglia tra la Curie e la Szymbrorska, anche se non è del tutto fisica. Mi spiego meglio: c’è qualcosa negli occhi che le rende simili. Anche la piega della mascella è uguale. La Szymbrorska comunque aveva già una certa età, verso i 65. Diciamo che la immagino come una signora agguerrita e motivata.

Inoltre, la metro di Varsavia è stata inaugurata nel 1995. Per quanto riguarda il breve panorama sulla Varsavia notturna, la mia tata è di Varsavia, quindi ho ragione di credere che i miei brevi tratteggi siano abbastanza verosimili.

La morte di Leokadia: un obbligo o un piacere? Non vorrei che si pensasse che Leokadia sia morta solo perché era necessario ucciderla, come da esigenze di copione (concorso); lei era un personaggio progettato per morire. Volendo, come ragazza e persona non è mai nata.

Ho sofferto, invece, le quattro pagine. Mi sarebbe piaciuto parlare di più della nonna e del nonno, ma pace. Non si può aver tutto!

Dimenticavo, i credits all’immagine vanno a Boundary. Trovate il suo LJ qui: http://community.livejournal.com/collapsingnight/

Edit: grazie ad Alex per il giudizio brillante e be’, per il secondo posto. Partecipare a questo concorso è stato un vero piacere.

Grazie alla Sis, e a Erika che m'ha suggerito che fare.

Per Hacchan: sono un po' in anticipo per il compleanno, ma confido che due giorni non sian troppi.

   
 
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