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Autore: MrEvilside    20/03/2011    1 recensioni
[ Replica ]
Nito sapeva che – persino quando aveva finto di dormire – Zenri lo aveva osservato con grande attenzione, sempre preparato a soccorrerlo qualora si fosse trovato in difficoltà. E, al tempo stesso, apparentemente innocuo e addormentato come un qualunque essere umano, di modo da non metterlo a disagio.
Ma – di quest’ultimo particolare – Nito se n’era reso conto soltanto quando ormai era stato troppo tardi.

[ SPOILER! dell'ultimo volume ]
[ partecipante alla Clash Of The Writing Titans con prompt "nostalgia" ]
[ Zenri/Nito♥ ]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Zenri/Nito (shounen-ai molto vago; probabilmente c'è solo nella mia mente), basata sul quarto volume (di nuovo, SPOILER!).
Perché Replica è un fandom che va portato a conoscenza del mondo ♥
Buona lettura!

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Profumo di noci ammuffite
 
C’era un divano, nella sala comune di Cards, che Zenri occupava sempre: si stendeva su di esso, incurante della possibilità che qualcun altro avrebbe potuto avere piacere di sedersi sui cuscini morbidi, e dava ordini agli altri di occuparsi di ciò che lui non aveva voglia di fare. Era un divano rosso, sebbene sin da quando si erano stabiliti a Rattle Park il colore fosse quasi del tutto sbiadito, scalcinato, dai lati del quale pendevano alcune molle e sul pavimento era sparso buona parte del suo contenuto, tuttavia Zenri non si era mai lamentato.
Disteso su quel divano, talvolta il capitano di Fiori chiudeva gli occhi, quasi stesse dormendo, oppure appoggiava un polso alla fronte, di modo da nascondere agli altri il proprio sguardo.
Su suo ordine, al loro arrivo quel divano era stato sistemato vicino alla scrivania alla quale avrebbe dovuto sedersi per lavorare; naturalmente, non aveva mai occupato quel posto, preferendo scaricare sul suo assistente il lavoro d’ufficio per occuparsi di leggere “Lo scherzo del fattore”, ogni volta mentendo su quanto in realtà si stesse impegnando, sebbene fosse palese che non era la verità.
In realtà, Nito sapeva che – persino quando aveva finto di dormire – Zenri lo aveva osservato con grande attenzione, sempre preparato a soccorrerlo qualora si fosse trovato in difficoltà. E, al tempo stesso, apparentemente innocuo e addormentato come un qualunque essere umano, di modo da non metterlo a disagio.
Ma – di quest’ultimo particolare – Nito se n’era reso conto soltanto quando ormai era stato troppo tardi.
Se soltanto fosse stato più disposto a dargli fiducia, Zenri non sarebbe stato divorato dal lupo.
Eppure lui, malgrado vedesse il modo condiscendente con cui Nito accoglieva le sue bugie, senza mai dare loro reale credito, aveva sempre sorriso, gli era sempre stato accanto, non si era mai arreso all’evidenza che, se non fosse stato sincero, nessuno gli avrebbe dato ascolto.
Dimmi, Nito,” lo aveva apostrofato una volta, in procinto di cominciare una di quelle conversazioni che Nito era convinto non avrebbe dimenticato mai “pensi mai di andartene? Di ricominciare una vita tua e lasciare gli altri a rischiare la propria per distruggere qualche pezzo di metallo assassino?
Beh, sì” Nito si era vergognato di ammetterlo così apertamente, tuttavia non aveva motivo di nascondere la realtà a Zenri come si ostinava a fare lui. “È che… tante volte mi sembra così sciocco – combattere la stessa guerra di un libro di favole, voglio dire. Tu eri il suo migliore amico: perché quell’uomo è così legato a quel racconto?
Non vergognartene” l’aveva rassicurato Zenri – quella doll lo conosceva molto meglio di quanto avesse mai lasciata intendere – senza prestare la minima attenzione alla domanda che gli era stata rivolta. “Di tanto in tanto penso anch’io che sarebbe bello smettere di vivere il ruolo di una stupida carta da gioco…
Quindi hai considerato più di una volta la possibilità di sciogliere Cards?” si stupì Nito, senza sapere bene cosa pensarne; all’epoca, Zenri aveva sorriso, divertito, e finalmente il ragazzo ne capiva appieno il motivo: allora era convinto che, malgrado tutto, in fin dei conti Zenri altro non fosse che un ammasso di ferri vecchi che prima o dopo avrebbe smesso di funzionare. Un giocattolo, uno schiaccianoci, qualcosa che mai avrebbe potuto provare un sentimento simile a quelli degli esseri umani.
E Zenri l’aveva sempre saputo.
Aveva sempre saputo tutto di lui, più di quanto conoscesse lui stesso.
Naturalmente. Credi che mi faccia piacere mettere in pericolo Cal, Shirahime e gli altri? E te, chiaramente. Ci ho pensato, sì, ma è ovvio che non posso: chi altri si occuperebbe di AAA?
Nito non aveva saputo che cosa rispondere, in parte perché Zenri l’aveva colpito con quella dimostrazione di onestà e umanità, in parte perché, se in bocca a qualcun altro “occuparsi” avrebbe potuto essere sinonimo di “sconfiggere”, sulle labbra della doll aveva suonato come “prendersi cura”.
Quindi tu hai intenzione di rivestire per tutta la vita il ruolo di capitano di Fiori per AAA e per noi?” Quella domanda aveva abbandonato la sua gola prima che potesse soffocarla. “Voglio dire…” aveva soggiunto in tono vergognoso “… non serve a niente, no? Quell’uomo è folle, distrugge le sue stesse creazioni, quando gli vengono a noia. Non merita che qualcuno faccia qualcosa per lui. E noi sappiamo cavarcela, lo sai: ci hai insegnato tu”. Aveva abbassato gli occhi, perché Zenri aveva preso a fissarlo intensamente con quelle sue orbite prive di calore, forse colpito dalla sua capacità di discernere il legame che ancora legava la doll al suo creatore oppure dalla sua inaspettata rassicurazione sulle capacità e sulla lealtà del loro gruppo, all’epoca neonato.
Hai ragione, Nito. Hai ragione tu”.
In un primo tempo Nito non aveva saputo che valore dare a quel dialogo quasi del tutto illogico, tuttavia adesso il significato delle parole di Zenri si era inciso a fuoco sulla sua pelle.
Se avesse rinunciato alla possibilità di incontrare ancora AAA per farlo ragionare, di proteggere le altre doll e di far terminare quell’orrenda fiaba, Zenri non avrebbe avuto più nulla per cui vivere e probabilmente presto si sarebbe tolto la vita, schiacciato dalla consapevolezza d’essere stato inutile, sia come schiaccianoci che come amico.
Forse, se avesse capito allora, avrebbe considerato le motivazioni di Zenri persino egoistiche; adesso, tuttavia, non poteva più ritenerle tali.
Senza più un superiore sfaticato di cui occuparsi, senza più menzogne senza alcun filo logico da ascoltare, senza più neppure quegli occhi a scrutarlo e dei quali doveva imparare a sostenere lo sguardo, in un primo momento, dopo la fine della guerra, Nito si era chiesto che cosa avrebbe fatto ed era persino arrivato a pensare che sarebbe stato meglio avere ancora dei nemici da combattere.
Aveva temuto che, avendo trascorso tre anni della propria esistenza a tentare di distruggere i toy, non sarebbe mai più stato capace di fare nient’altro.
Non era stato del tutto convinto che sarebbe riuscito a fare il primo passo per ricucire i brandelli di quella vita nemmeno quando era stato rianimato dalla determinazione e dal coraggio del giovane Luck, né quando Cal, Shirahime e Sattsu si erano risvegliati e Cards aveva cominciato i lavori di restauro di Rattle Park.
Era stato in quei quattro anni successivi alla sconfitta di AAA che aveva finalmente realizzato come Zenri avesse dovuto sentirsi: costantemente terrorizzato dalla possibilità di non trovare un modo per proseguire la propria vita, quando AAA fosse morto.
Per questo, probabilmente era meglio così se non avevano trovato il progetto di costruzione dello schiaccianoci; forse Zenri era stato sollevato quando aveva appreso che sarebbe morto con Alice.
Nito non avrebbe mai più avuto occasione di chiederglielo.
Tuttavia, se dapprima l’assenza di Zenri l’aveva fatto sprofondare nella disperazione, adesso accettava che non l’avrebbe mai più incontrato. Voleva che la doll fosse felice, laddove aveva scelto d’essere, perché aveva avuto modo di decidere e non era stato trattato come un giocattolo: riportato alla vita contro la propria volontà, costretto a un’esistenza vuota.
Sospirando, Nito sedette alla sua vecchia scrivania, dispiegò un foglio bianco sul ripiano in legno, prese una penna e scrisse.
Ciao, Zenri. So che ti avevo promesso che quella precedente sarebbe stata la mia ultima lettera, ma mi sono dimenticato di ringraziarti per avermi restituito il mio libro. O forse l’ho fatto… non me ne ricordo. In realtà, ti scrivo per ringraziarti di tutto. Ti vorrei qui, qualche volta, ma so che tu preferisci che le nostre vite restino separate, e che sei fiero di me e lo fai per insegnarmi l’indipendenza. Sai, credo che adesso riuscirei a guardarti negli occhi – no, ne sono convinto”.
A causa della sua lunghezza, somigliava più a un biglietto che avrebbero potuto scambiarsi in un’aula scolastica, in segreto, prede dell’adrenalina suscitata dalla consapevolezza di stare facendo qualcosa che andava contro le regole, tuttavia Nito ne era soddisfatto.
Mentre guardava la carta bruciare, comprese che quello era il suo secondo passo.
Lasciare da parte la nostalgia per qualcosa che non sarebbe tornato. Vivere orgoglioso di aver conosciuto l’uomo che gli aveva cambiato la vita, non triste perché non aveva avuto modo di restargli accanto.
Buonanotte, Zenri: so che stai facendo il sogno più bello della tua esistenza.
  
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