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Autore: Mary15389    20/03/2011    4 recensioni
Una personalissima rivisitazione di come le cose potrebbero andare in seguito all'episodio 6x18. Passano molti anni da quel triste giorno, ma in un attimo tutte le certezze della squadra possono crollare e nel buio potrebbero ritrovare la luce.
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Coming back home Spoilers: In generale molti spoiler dalla sesta stagione, ma soprattutto dall'arco di episodi che va dalla 6x12 alla 6x18. Non dite che non vi avevo avvertito
Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
Note: Ho provato a superare l'immenso blocco che mi porto avanti da un bel po' partorendo questa ff. Non so ancora bene se sono soddisfatta o no, ma mi riservo di capirlo prima o poi. Intanto se non pubblico non arriverò mai ad una fine. Devo forzarmi un po' per sbloccarmi.
Questa oneshot l'ho scritta di getto, elaborando un po' di teorie che mi vagavano nella mente e mescolandola con alcune immagini che sono accorse alla mia mente dopo gli avvenimenti degli ultimi episodi. Diciamo che è una mia personalissima rivisitazione di come le cose potrebbero andare in seguito.

 


Coming back home
 
Erano passati alcuni anni da quel fatidico sette marzo che aveva cambiato le vite di tutti e ogni tanto si poteva vedere ancora Derek Morgan stringere le mani in pugni così fitti da rendere chiare le nocche, quasi incapaci di trattenere la furia che lo assaliva. Ricercava nel pensiero quella stretta di dita che si facevano sempre più fredde e deboli, cercando allo stesso tempo di evitarla, per far sì che non facesse ancora più male.
Poi c’era Penelope Garcia, che continuava a sussultare per ogni squillo del telefono, desiderosa di risentire quella voce che invece non avrebbe mai più potuto ascoltare di nuovo, rendendosi ancora più conto dell’assenza di quell’amica al suo fianco, che ormai poteva vedere solo nella foto che teneva sul tavolo accanto ad uno dei monitor della sua multitasking.
Anche Ashley Seaver, ormai terminato il suo periodo di addestramento e entrata a tutti gli effetti con pistola e distintivo tra i profiler di quella squadra, percepiva il clima teso che non aveva mai smesso di turbare i suoi colleghi. Non aveva la presunzione di dire che soffrisse quanto loro, perché non aveva alle spalle tutti gli anni di lavoro a stretto contatto con la collega che avevano avuto loro, ma era pur sempre stata il suo agente supervisore, colei che l’aveva aiutata ad ambientarsi in quel nuovo mondo, che l’aveva sostenuta nei giorni precedenti gli esami all’Accademia, che aveva creduto in lei quando aveva mandato la richiesta per completare tra loro il suo addestramento. E colei che le era stata vicina durante il caso in cui era stata richiesta la sua collaborazione, che l’aveva colpita così da vicino.
E allo stesso modo, David Rossi non riusciva a farsene una ragione. Quella donna così decisa e sicura di sé, che trattava alla stregua della figlia che non aveva mai avuto, non c’era più. Non era lì a dispensare sorrisi nei momenti liberi, a mostrare le sue indiscutibili qualità umane e di profiler. Doveva essere quello con maggiore esperienza, anche in questo campo. Quanti colleghi negli anni aveva visto andare via? Ma quella continuava ad essere la ferita che bruciava più di tutte.
Il dottor Reid ricercava ancora con il pensiero un momento che avrebbe potuto anche lontanamente somigliare ad un addio, quello che in realtà gli era stato impedito dalle circostanze. Forse l’ultima volta che si erano ritrovati vicini a parlare era stato quando le aveva confessato dei suoi mal di testa, unica persona a conoscere quel suo pericoloso e preoccupante segreto. Ma nemmeno quello riusciva a rendergli le cose più facili.
E infine c’era Hotch, colui che più di tutti portava evidenti i segni del disagio di quella situazione. Quando era in mezzo ai colleghi mostrava un’espressione triste e addolorata, ma in cuor suo quel dolore era dovuto al fatto di essere costretto a mentire alla sua squadra, di essere l’unico custode all’interno di quell’ufficio del segreto che forse, una volta svelato, avrebbe reso la vita più semplice a tutti, che avrebbe riportato una certa serenità tra quelle quattro mura. Era vero che Emily non era più fisicamente lì tra loro, ma tra il crederla morta e il saperla lontana sicuramente ci sarebbe stata una grande differenza. Poi finiva per ripetersi che era solo ed esclusivamente per il bene e la protezione di tutti, e in qualche modo faceva finta di convincersi che fosse la cosa giusta da fare.
Ma prima ancora che qualcosa potesse cambiare, gli eventi erano nuovamente precipitati: Aaron aveva ricevuto la telefonata di una preoccupata JJ, che gli comunicava come alcuni importanti documenti, proprio quei documenti, le fossero stati rubati. Qualcun altro oltre loro due adesso sapeva e temevano che si trattasse proprio dell’ultima persona che avrebbe dovuto scoprirlo.
Erano tutti in pericolo, dal momento che quei semplici fascicoli non sarebbero bastati per ciò che quell’uomo desiderava con tutto se stesso. Accanto al senso di impotenza, dovuto al non poter chiedere aiuto al resto della squadra, il capo dell’unità si domandava quali sarebbero state le conseguenze se tutto ciò sarebbe in qualche modo venuto fuori, che fine avrebbe fatto la fiducia da sempre predicata all’interno di quel team.
Ma ancora una volta non c’era tempo per delle risposte.
Erano in quel freddo e umido capannone, pistole spianate e indosso i giubbotti antiproiettili, per quello che doveva sembrare la risoluzione ultima di un caso come qualsiasi altro. Per tutti tranne che per l’agente Hotchner: lui in realtà conosceva benissimo l’identità dell’S.I. che stavano cercando, ma senza le adeguate spiegazioni e prove non poteva metterne al corrente gli altri.
E fu proprio lui, dopo aver vagato nell’immenso luogo, il primo ad entrare in quell’ampio loft, dove si scontrò per la prima volta, viso contro viso, con Ian Doyle. La sicurezza che passava attraverso quelle iridi cerulee era ancora più penetrante di quanto già trasparisse dalle foto segnaletiche e il ghigno su quelle labbra non prometteva niente di buono.
Ci volle solo un secondo per gli altri per raggiungerlo e realizzare: era la resa dei conti che tutti loro aspettavano da troppo tempo. Puntarono le pistole, aspettando il momento per far fuoco.
Derek avrebbe voluto saltargli addosso senza un attimo di esitazione, ma uno sguardo scambiato con il suo capo gli fece comprendere che non sarebbe stata la mossa più consigliata. Rimase quindi indietro, mentre la mascella si serrava per la rabbia con tanta forza da far male.
«Finalmente ci incontriamo di persona agente Hotchner.» ringhiò l’irlandese, con volto soddisfatto, ma il profiler non rispose, evitando di distogliere lo sguardo dai suoi occhi: non avrebbe vacillato. «Quando c’è in gioco troppo di personale si commettono parecchi errori, ma spererei che il vostro non sia così irrecuperabile.» si divertì a provocare, quindi l’agente Rossi alle sue spalle, portò il polso vicino alla bocca per comunicare per mezzo della trasmittente con gli agenti che erano rimasti all’esterno. Provò e riprovò senza ottenere alcuna risposta, e smise solo quando l’uomo ricominciò a parlare.
«Agente Rossi è tutto fiato sprecato, non c’è più nessuno in grado di sentirvi e aiutarvi all’esterno. Ma adesso veniamo a noi.» pronunciò con fermezza facendo qualche passo in avanti, continuando a tenere bassa la pistola. Non avrebbe dato loro l’occasione di sparare per una presunta legittima difesa. «Vi do la possibilità di scegliere cosa dirmi, ma in entrambi i casi non vi assicuro che uscirete da qui vivi.» rise sonoramente, «O mi rivelate dove si trova mio figlio, così da permettermi di riprendermelo, oppure...mi basta sapere come arrivare ad Emily Prentiss, poi sarà lei a darmi le informazioni necessarie con le buone o con le cattive.» disse e quelle parole risuonarono tra le mura vuote della stanza, amplificate dal dolore che ciascuno di loro provò al sentire quel nome.
«Figlio di puttana!» gridò Morgan cercando di non far incrinare la sua voce, trattenendosi a stento. A che gioco stava giocando? Era stato lui con le sue mani a trafiggere lo stomaco dell’agente con quel pezzo di legno appuntito, quindi sapeva benissimo di averla uccisa. Poi vide il volto dell’uomo cambiare espressione mentre si rivolgeva verso il suo capo, che non aveva ancora detto una parola.
«Davvero Aaron? Non sanno nulla?» si divertì ancora a provocare Ian, «E dire che nel tentativo di salvarla sembravate così compatti.»
Il supervisore capo continuò a trattenersi, sentendo però su di sé il peso degli sguardi dei suoi colleghi.
«Che cosa vuole dire?» gli domandò Derek, leggermente adirato, con uno sguardo confuso. «Hotch, che cosa dovremmo sapere?»
«Sta cercando di metterci uno contro l’altro per spezzarci, si sta prendendo gioco di noi.» disse dal fondo Dave, rivolgendosi al collega di colore e cercando di evitare che l’uomo avesse la meglio sui loro sentimenti. «Non dobbiamo permetterglielo.» concluse riportando lo sguardo sulla canna della pistola, percorrendola con gli occhi fino al corpo di Doyle.
L’agente Hotchner continuò a mantenere una certa calma, solo apparente. «Non so di cosa tu stia parlando.» disse, stringendo la presa con più forza al calcio della pistola.
Il tono dell’uomo si fece canzonatorio. «Ma veramente? Eppure in quei documenti c’era scritto che tu eri al corrente del piano, insieme all’agente Jennifer Jareau.»
«Cosa c’entra JJ?» si lasciò sfuggire Reid, smarrito da quella situazione come forse mai gli era successo, cercando risposte negli occhi dei suoi colleghi, ma vi ritrovò solo le sue stesse domande.
«Di che piano sta parlando?» gli venne dietro l’agente Seaver.
«Siamo  cinque contro uno. Quanto pensi di poter sopravvivere?» domandò Aaron evitando accuratamente di soffermarsi sulle parole dell’uomo e dei suoi colleghi, senza perdere di vista il suo bersaglio.
Adesso quello che ignorò l’interrogativo fu Ian, che con un sorriso beffardo sulle labbra continuò a parlare. «Ho toccato un nervo scoperto?»
«Non so di cosa tu stia parlando.» ripeté Hotch scandendo ogni parola con attenzione. Non sapeva quanto ancora sarebbe riuscito a resistere a quella tensione.
Doyle avrebbe voluto alzare la pistola e sparargli, così da vedere se poi forse avrebbe confessato. Ma per un suo colpo, altri quattro sarebbero prontamente partiti, quindi rinunciò. «Cos’è? L’ennesimo tentativo di proteggerla? O paura di come i tuoi colleghi potrebbero reagire nello scoprire cosa hai tenuto loro nascosto?» si stava divertendo, e anche molto.
I quattro agenti cominciarono a scambiarsi delle fugaci occhiate tra loro e anche verso il loro capo, di cui avevano davanti solo la schiena. Non potevano farsi vedere dubbiosi e confusi, anche se decisamente era ciò che cominciavano ad essere.
Doyle si grattò la testa, senza smettere quel ghigno dalle labbra, «Ho capito, devo pensarci io. Vi racconto una storia: l’agente Emily Prentiss ha superato brillantemente l’intervento a cui è stata sottoposta, ma a voi è stato fatto credere che fosse morta. Un modo come un altro per allontanarsi senza dare spiegazioni? O un inutile tentativo di proteggervi? Direi proprio che non c’è riuscita dal momento che voi siete nelle mie mani e nessuno può fare niente per salvar...» prima ancora che potesse completare la frase il rumore di uno sparo squarciò l’aria, seguito subito dopo da un ringhio di dolore da parte di Doyle che cadde a terra portando una mano al braccio colpito che aveva perso l’arma, ora a terra, scivolata lontano dal suo corpo: mentre il sangue già imbrattava la sua mano, si spinse sul pavimento per recuperare la pistola.
Fu un movimento fulmineo, avvenuto prima ancora che i cinque agenti capissero ciò che stava avvenendo davanti ai loro occhi. Cercarono di capire da quale delle loro pistole fosse partito il colpo, ma il fumo che si stava diradando proveniva da un angolo buio della stanza, appartato, in cui un’ombra cominciò a muoversi. «Non è esatto Ian.» scandì una voce, appartenente a quell’ombra e la pistola dell’uomo si rivolse quindi verso quella zona, ma prima che potesse rispondere al fuoco un colpo lo trafisse in testa, facendolo crollare a terra morto. Ancora una volta il proiettile era arrivato da un’altra direzione.
Quelli che sembravano solo anfratti bui, in realtà dovevano essere dei passaggi, da cui due figure erano arrivate nello stesso ambiente in cui si trovavano i cinque profiler, ancora bloccati dall’aver sentito quella voce che li gettò in una maggiore confusione di quella in cui già cominciavano a trovarsi, come se un fantasma avesse parlato dall’oltretomba. Ma finalmente a quel timbro fu affiancato un corpo, che venne fuori dall’antro in cui era rimasto nascosto, lasciandoli di stucco.
Gli anni avevano sortito i loro cambiamenti, ma mai avrebbero potuto non riconoscere quel volto, quel cipiglio deciso, quello sguardo profondo. La donna aveva dei lisci capelli a caschetto castani e qualche segno sul viso del dolore e della stanchezza dovuti alla vita che aveva vissuto in quegli anni. Ma era lei. Era Emily Prentiss.
Lo smarrimento iniziale si tradusse in un grido di gioia soffocato dentro il cuore da tutti loro per le troppe domande che ora vagavano nelle loro menti. Nel frattempo dall’altra parte venne fuori un altro volto conosciuto, quello dell’agente Clyde Easter dell’Interpol, che abbassando l’arma si chinò sul corpo di Doyle per assicurarsi che non ci fosse più battito cardiaco. Dopo un suo segno del capo, la tensione scese sia sul suo volto che su quello della donna che trepidante attendeva un segnale, voltandosi ora verso i suoi ex colleghi.
Morgan fu il primo a muoversi, riponendo la pistola e sfilandosi con rabbia il giubbotto antiproiettili, che gettò a terra con violenza prima di allontanarsi da quel loft. Quando gli altri si accorsero della reazione dell’uomo, abbassarono a loro volta le pistole e si voltarono verso la donna che fece lo stesso gesto continuando ad osservarli con un’espressione mista di gioia e paura per la loro reazione.
Il sollievo momentaneo fece sospirare Hotch: il peso della verità non gravava più sulle sue sole spalle e per un momento voleva mettere da parte i timori per lasciarsi andare alla felicità nel rivedere la collega.
Tutti stavano vivendo le loro emozioni a distanza, senza riuscire a muovere un muscolo o a dire una parola. Ma quella tensione fu spezzata da Spencer, che d’improvviso si volse a grandi passi verso la donna, gettandosi al suo collo e stringendola. Il viso di tutti si distese mentre anche lei rispondeva a quella stretta e un sorriso si liberava sulle sue labbra.
Una stretta raggiunse la spalla di Aaron che si voltò per incrociare lo sguardo soddisfatto di Clyde. Sapeva quanto significasse per lui aver finalmente posto fine al capitolo Ian Doyle proprio come avrebbe voluto, nell’unico modo in cui non si sarebbe potuto riaprire. «Grazie.» mormorò l’uomo.
«Le avevo promesso che avrei fatto di tutto per salvarla.» rispose Hotch annuendo con il capo, quindi si voltò e si rese conto che piano piano anche Dave e Ashley stavano trovando il coraggio di avvicinarsi a Prentiss che si liberava dalla stretta di Reid carezzandogli il volto con delicatezza. «Grazie a lei per essersene preso cura.» continuò all’indirizzo dell’uomo che scosse il capo sorridendo e lasciandolo libero di avvicinarsi anche lui alla donna, tornando ad occuparsi di quel cadavere.
Si era creato un cerchio intorno alla donna, in cui tante emozioni, anche diverse tra di loro, si accavallavano, si rincorrevano, si spingevano. Ci fu uno scambio di gesti e parole, ma d’improvviso Emily capì che c’era qualcos’altro d’importante da fare in quel momento, quindi chiese scusa ai suoi colleghi dai quali si congedò incamminandosi verso l’esterno.
 
L’agente Prentiss si strinse nel cappotto non appena fu investita dall’aria fresca della città e continuò a camminare fino a quelle spalle ricurve a poca distanza da lei. Scese dal marciapiedi e si sedette accanto a quella figura che teneva il capo tra le mani. «Era esattamente come me lo sarei immaginato.» disse, cingendosi le ginocchia con le braccia.
«Cosa?» ringhiò l’uomo senza muoversi dalla posizione che aveva assunto.
«La tua reazione.»
«E non ti sembra inevitabile?» domandò quasi parlandole sopra, sollevando gli occhi vibranti verso i suoi. «Ho stretto le tue mani, ho sentito la tua vita sfuggirmi tra le dita e ti ho creduto morta per tutto questo tempo. E quello che è peggio è che Hotch lo sapeva. Come ha potuto farci questo? Che fine ha fatto la fiducia?» riversò come un fiume in piena, lasciando che subito dopo un silenzio pesante li avvolgesse.
La donna spostò una ciocca di capelli che la brezza le aveva fatto ricadere sul viso, «Non prendetevela con lui, è stato costretto a farlo, era necessario perché voi foste al sicuro e io potessi lavorare nell’ombra.»
«Perché? Credi che non ce lo saremmo fatto sfuggire alla prima occasione mettendoti nei guai?» chiese Morgan ancora infuriato.
Emily sollevò una mano poggiandola sulla spalla dell’ex collega, «Io so chi era Ian Doyle, io so di cosa sarebbe stato capace pur di ottenere ciò che voleva. E non era qualcosa a cui potevo condannarvi. Per la vostra salvezza era necessario che non aveste nulla da farvi estorcere con la violenza.» spiegò con un sorriso, ma con voce carica di preoccupazione, che scalfì la dura corazza di Derek Morgan, permettendogli di lasciarsi andare ad un sorriso. «C’è voluto meno del previsto.» scherzò la donna riportando la mano sull’altro braccio.
«Aspetta di imbatterti in Penelope Garcia non appena scoprirà tutto.» rispose l’uomo dandole una leggera  spinta con la spalla, alla quale la donna controbatté allo stesso modo.
«E ora cosa succederà?» domandò poi Morgan tornando a fissare i suoi occhi e facendosi nuovamente serio.
Prentiss scrollò le spalle, «Ci sarà tempo per chiarire tutto, ma per ora so solo che voglio tornare a casa. Dalla mia famiglia.» rispose con dolcezza, dandosi la spinta per rimettersi in piedi, subito seguita dal collega.
Si voltarono entrambi verso il capannone da cui stavano arrivando gli altri. Era chiaro a tutti che ci sarebbe voluto del tempo per rimettere tutto al proprio posto, per lasciare spazio a spiegazioni, motivazioni e racconti per poter ricominciare. Ma al momento non volevano pensarci, volevano solo godere della felicità ritrovata.
  
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