Il sogno
“Remo,
sei uccelli. Romolo, dodici. Sei tu il nostro re, Romolo.”
Le
parole del sacerdote risuonavano ancora nella mente del ragazzo,
impedendogli il sonno. Ma era lo sguardo che gli aveva rivolto Remo a
turbare ancora di più il suo animo. Nei suoi occhi aveva letto
incredulità, delusione, e, soprattutto, odio.
Romolo
si mise a sedere, le mani stringevano il capo. Per la prima volta, si
rifiutava di credere agli avvenimenti accaduti nei giorni appena
trascorsi.
Da
semplici pastori, lui e Remo erano diventati figli di un dio e
legittimi eredi al trono di Alba Longa.
Eppure
in quel momento avrebbe voluto ritornare alla sua infanzia, a quando
lui e suo fratello non conoscevano rivalità, cullati dal caldo
affetto che Faustolo e Larentia non avevano mai fatto mancare loro.
Istintivamente
maledisse Marte. Poco gli importava che fosse il suo vero padre. Era
dal momento in cui lui e Remo avevano scoperto la verità che il suo
gemello era cambiato.
L'essere
figlio di un dio aveva annebbiato la sua mente, come un fuoco che
brucia lento e distrugge tutto ciò che è sulla sua scìa.
Romolo
si distese nuovamente sul suo giaciglio. I suoi occhi erano stanchi,
elemosinavano un sonno che tardava ad arrivare.
Fissò
un punto indefinito del soffitto, finché le sue gemme verdi si
chiusero, concedendogli il riposo tanto agognato.
-Romolo-
-Chi..chi
parla?- il ragazzo guardò intorno a sé, confuso. Il luogo in cui si
trovava riportava alla sua mente dei ricordi confusi. Una grotta.
-Romolo-
La
voce che chiamava il suo nome si faceva più insistente e ora poteva
anche distinguerne chiaramente il suono. Pacato, ma allo stesso tempo
solenne.
Si
voltò. L'uomo che aveva davanti era rivestito da un'armatura
lucente, riccamente decorata. L'elmo gli copriva il volto, impedendo
a Romolo di distinguerne i tratti.
Vedendo
lo sconforto negli occhi del giovane, l'uomo decise di liberare il
suo viso dal bronzo.
Romolo
rimase sorpreso dalla bellezza di quei lineamenti. Così lungi
dall'essere di natura umana, ma anche così simili ai suoi.
-Padre-pronunciò
questa parola senza neanche accorgersene, come se fosse scontato,
ovvio.
-Sì,
figlio.- Marte si avvicinò al ragazzo-Perché indietreggi? Il
mio aspetto non è forse un bello spettacolo per i tuoi occhi?-
chiese, notando che Romolo si era scostato dalla posizione
precedente.
-No-
rispose laconico, come se le parole gli fossero morte in gola.-Dove
siamo? Certamente questo è un sogno- aggiunse, ritrovando padronanza
di sé
-Dici
il vero, figlio. Ma ho reputato fosse il modo migliore per
incontrarti. Questo è il posto in cui la lupa, animale a me sacro,
ti allattò insieme a tuo fratello. Ecco il motivo dei tuoi ricordi
confusi-Marte si avvicinò di nuovo e, questa volta, Romolo non
si mosse.
Il
ragazzo lo fissò attentamente negli occhi. Verdi, spietati. Lo
sguardo di Marte, il dio della guerra, il distruttore di uomini. Suo
padre.
-Perché
sei venuto?- gli chiese, pochi istanti dopo
-Il
tuo animo è turbato, figlio. Mi hai maledetto poco fa. Credi che sia
io il motivo dei tuoi contrasti con Remo-
-E'
così. Quasi rimpiango la mia vita da semplice figlio di un pastore.
Ma, certo, chi nasce divino, come te, non potrà mai capire cosa si
nasconde nel cuore di noi mortali- la voce di Romolo era ferma e a
Marte sembrò di ascoltare la propria. Il suo ragazzo gli aveva
gettato addosso tutto l'odio che provava senza un minimo di vergogna.
Dovette ammettere, se non altro a sé stesso, che era orgoglioso
dell'atteggiamento privo di riverenza del figlio.
-Romolo-
la sua voce ora era ferma, senza possibilità di replica-Credi che
odiandomi potrai cambiare ciò che il Fato ha scelto per te? E'
scritto che tu sei destinato a diventare il fondatore di una città
immortale. Così come è scritto che lo dovrai fare da solo, senza
Remo- un groppo alla gola gli si formò nel pronunciare il nome
dell'altro figlio, ma il suo divino autocontrollo gli permise di non
mostrare nessun cedimento agli occhi di Romolo.
-Senza
Remo. E' proprio questo che mi turba. Non accetterà mai di essere
messo da parte. Cosa dovrei fare? Ucciderlo, pur di salvaguardare il
titolo regale che il Fato mi ha assegnato?-
Marte
non rispose.
Un'espressione
sconvolta si dipinse sul volto di Romolo-No, non può essere così!
Non deve! Come posso uccidere mio fratello? Come puoi rimanere
impassibile alla morte di tuo figlio?-
-La
vita è fatta di scelte, figlio. Spetta a te decidere. Remo o la tua
città.- Marte gli appoggiò le mani sulle spalle, in segno
paterno.
-Come
puoi mettermi di fronte a una simile condizione?- lacrime calde
solcavano le guance del ragazzo. Delle cascate impetuose che non
conoscevano sosta.
-Romolo...
è pur sempre mio figlio...-
anche questa volta Marte non diede segno del minimo cedimento-Ho
imparato da tempo a controllare il dolore. Fin dal momento in cui
possedetti tua madre, sapevo che avrei generato figli mortali.
Tuttavia mi rassicurava il fatto che i vostri nomi, soprattutto il
tuo, non sarebbero mai periti. E tutto ciò è strettamente legato
alla città che tu fonderai. Domani, figlio. E' scritto.-
-Vorrei
aver ereditato da te la forza di non cedere al dolore- sussurrò
Romolo, gli occhi a terra
-No,
figlio. I miei occhi sono asciutti, ma sangue sgorga dal mio cuore.
Il dolore è un compagno costante, perfino per noi dei. Credi che
Apollo non avesse sofferto per la morte di Orfeo? O Mercurio, per
quella di Abdero? Abbiamo solo imparato ad accettare il corso degli
eventi che neanche noi possiamo cambiare-
Romolo
si asciugò in fretta le ultime lacrime. Il discorso del padre gli
aveva colpito il cuore. E in un attimo, gli comparvero nella mente
tutte le persone che lo avevano seguito. Gli avevano affidato il loro
futuro, e lui aveva promesso di non deluderli. Volevano una città, e
lui l'avrebbe fondata. A qualsiasi prezzo.
-Padre,
perdonami.- fu tutto quello che riuscì a dirgli, alzando di nuovo
gli occhi in direzione di quelli del dio. Una luce solenne ora li
illuminava.
Marte
ricambiò lo sguardo e si voltò, rimettendosi l'elmo sul viso.
-Padre-
lo chiamò ancora Romolo-Ci rivedremo?- assaporò queste parole,
ansioso di una risposta
-Sì-
rispose il dio-Ma solo fra molto tempo.-
Marte avrebbe voluto aggiungere altro. Dirgli che, una volta
ritrovati, l'avrebbe reso una divinità e niente li avrebbe più
divisi. Ma si fermò, non sarebbe stato saggio rivelare troppi
particolari sul futuro.
-Il
mio cuore si rallegra per questo, padre- Romolo lo osservò mentre la
sua figura stava lentamente svanendo dal suo sogno.
Romolo
si svegliò di scatto, trovando una certa difficoltà a riprendere i
contatti con la realtà.
Una
volta alzato, si rinfrescò e cambiò velocemente tunica.
Immediatamente dopo, mandò a chiamare Celere, un suo fedelissimo,
che non si fece attendere troppo.
-Come
posso aiutarti, Romolo?- gli chiese, stupito dall'atteggiamento del
suo superiore, che negli ultimi tempi si era dimostrato molto
sfuggente.
Romolo
gli si accostò e gli sorrise-E' venuto il momento di accantonare i
dubbi e le paure, mio buon amico. Ho promesso alla nostra gente una
nuova patria. E oggi, il solco che la proteggerà, sarà tracciato.-
Note:
Un mio modesto omaggio a Romolo, il leggendario fondatore di Roma.
Per scelta non sarà una storia lunga, infatti il prossimo capitolo
sarà l'ultimo anche se non so bene quando aggiornerò.
Spero
che piaccia e di meritarmi qualche vostra recensione :)
Marti