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Autore: ma_bho    23/03/2011    2 recensioni
Il fatto che non si creda più negli Dei antichi non vuol dire che essi non esistano più. Nè che abbiano perso l'abitudine di usare i propri poteri per interferire nella storia. Quindi nulla vieta l'incontro fra un soldato francese ed una divinità subito dopo la fine della battaglia di Verdun, nel 1916.
Genere: Slice of life, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Das wahre Tier, Das wilde Tier, Das schöne Tier
// Note dell'autrice: questo è niente più che uno spaccato che mi è venuto in mente, così, mentre studiavo la prima e la seconda guerra mondiale. Il fatto di  delocalizzare in Francia una dea appartenente al pantheon greco non dev'essere preso come segno di ignoranza, ma c'è da dire che, essendo questo un racconto, ho romanzato a dovere, e questo mi potrebbe aver portato fuori da quel che è realmente il personaggio di Ate, sul quale però non esistono molti approfondimenti (almeno, al mio livello di conoscenza, io non ne conosco l'esistenza). Per il resto, spero che il lavoro vi sia gradito. Buona lettura









Martin ha vent'anni.
Martin ha vent'anni ed è già un veterano ed uno storpio di guerra.
Martin era lì, nelle retrovie, per tutti i mesi della battaglia di Verdun, nel fango pesticciato della trincea, a vedere i suoi commilitoni morire maciullati dalle mitragliatrici e arrostiti dai lanciafiamme.
E ora non può fare che il becchino, trasportare i cadaveri con la sua gamba zoppa in cui un giorno un proiettile tedesco s'è infilato e non ne è voluto uscire più.
Dal giorno dell'ultimo combattimento, però, c'è un pensiero che lo turba, e qualche tempo prima aveva deciso di condividere con uno dei pochi commilitoni che gli sono rimasti, uno che era veterano più di lui.
Gli aveva detto:
«Sai, l'altro giorno, ho visto una ragazzina con un vestito bianco dall'orlo rosso danzare sul campo di battaglia, tra il fumo e le grida. Mi chiedo come ci sarà mai arrivata, lì.»
L'uomo aveva alzato verso di lui gli occhi, guardandolo come si guarda un uomo già morto, ed aveva aperto inizialmente la bocca, come per dire qualcosa. Poi, però, l'aveva richiusa e, scuotendo il capo affranto, sveva chinato la testa e spostato lo sguardo altrove, sconsolato.
Sta rimuginando ancora su quella reazione, Martin, mentre si aggira per il terreno zuppo di brina e sangue, guardando quali siano i cadaveri che dovrà portarsi via.
Ad un certo punto alza lo sguardo ed è allora che la vede: seduta sulla schiena di un soldato accartocciato su del filo spinato, le gambe incrociate ed i piedi scalzi che dondolano nel vuoto, sta la ragazza.
Che si guarda attorno soddisfatta, mugolando a labbra chiuse una melodia felice, e Martin è conscio che lei sa di essere osservata; Anzi, ha la certezza che abbia voluto farsi trovare apposta.
Martin si avvicina e gli occhi neri che puntano come lui sembrano trapassarlo come arpioni: ma, nonostante tutto, lei continua a canticchiare e lui a stare in silenzio finchè non arriva a meno di mezzo metro di distanza.
«  Che ci fai qui? Questo non è posto adatto ad una ragazzina: è pericoloso. Perchè non vai a casa?» Le domanda, sentendo la propria voce titubare nell'aria tranquilla dopo giorni di raffiche di mitraglie.
La ragazza interrompe il motivetto e le labbra si allargano in un sorriso di sufficienza prima che si decida a parlare:
« Io non vado da nessuna parte, perchè da nessun'altra parte io sono al sicuro come qui. E' questa casa mia, e non sto facendo altro che riaffermare la mia esistenza.»
Ha una voce infantile, fragile, che sembra sia costantemente sull'orlo di uno scoppio di emozioni; non è una voce piacevole, ricorda quasi lo stridere delle baionette le une contro le altre.
« Potresti inciampare su una mina e saltare in aria.»
«So dove sono le mine. Non sono comunque un problema»
E' divertita, la ragazza; Ha lo stesso sguardo di piacevole sollazzo di una nobildonna annoiata che si trovi davanti una scimmietta ammaestrata, bardata in una finta uniforme con alamari dorati, fare un numero di danza al tempo di una marcetta di organetto.
Martin lo conosce, quello sguardo di superiorità, ma non prova alcuna rabbia al pensiero di essere considerato poco più che un animale ammaestrato: la forza di arrabbiarsi l'ha persa nei chilometri di trincee e la realtà gli suggerisce che è effettivamente poco più di una marionetta in mano allo Stato.
«Che ci facevi l'altro giorno in mezzo alla battaglia?» Chiede allora, il sorriso buono- glielo dicevano sempre, in caserma, che aveva un sorriso troppo buono- a rendere più gentile il viso.
Lei intreccia le dita delle mani sul ginocchio sinistro, sporgendosi un po' verso di lui.
« Faccio quello che mi riesce meglio, piccolo soldatino dai buoni sentimenti. Faccio quello che son stata creata per fare..peccato che non fosse questa la domanda giusta per soddisfare la tua sete di conoscenza.»
Martin si piega- con qualche difficoltà dovuta alla gamba rigida- verso quella ragazza: ha le spalle così fini, la linea del corpo affusolata e mani e piedi così piccoli e leggeri.. E' pallida, con un viso dai lineamenti minuti e gli occhi immensi. I capelli lisci di un rosso così scuro da sembrare nero sembrano perdersi a terra tutt'intorno.
Porta i suoi azzurri occhi francesi nei  gorghi dell'altra, ed alla fine domanda: 
«Chi sei tu?»
Le labbra fine si aprono in un sorriso di approvazione, snudando per la prima volta piccoli denti bianchissimi che baluginano di una luce sinistra, e le guance arrossiscono di una leggera eccitazione mentre pregusta la reazione alla propria risposta.
« Io ci sono sempre stata, in ogni campo di battaglia. Sono colei che fa perdere la ragione ed il cuore danzando sopra le teste dei combattenti, ed il clamore delle armi è la mia marcia di trionfo. Io ero lì, sotto le mura di Troia, a togliere in una piroetta il senno ai guerrieri achei e troiani, a renderli ciechi di fronte all'orrore calando sui loro occhi un velo rosso di furia, e ci sono anche adesso che le spade son cadute in disuso.»
Porta le mani a puntellarsi dietro la schiena, inarcando leggermente il busto, ed un sorriso lascivo le disstorce la bocca mentre, approfittando del momento in cui il soldato è paralizzato dallo sgomento, intento a farfugliare " è orribile, è orribile" nella propria lingua madre, allunga una gamba affusolata e va a sfiorargli appena con la punta del piede la fronte.
Martin non prova nulla, non sa nulla.
Riesce a discernere cosa è successo solo a posteriori, quando si ritrova a cavalcioni di un cadavere, intento a sfigurarne il volto a suon di pugni che oramai affondano solo in una poltiglia di schegge d'ossa, sangue ed umor vitreo.
Caccia un urlo disumano mentre si allontana di scatto dal corpo, rotolando in ginocchio. Si prende la testa fra le mani tremanti che odorano di sangue marcio e, rannicchiato su se stesso, a malapena si accorge che la sua bocca è ancora spalancata in un lamento disperato, ingolfato com'è dal rivivere quella sensazione che è stata puro istinto: con tutta la riprovazione ed il disgusto possibili si rende conto che non è mai stato così libero ed assoluto come in quel momento di furore folle, e per questo non riesce a perdonarsi.
Rialza gli occhi solo quando vede dinnanzi a sè i piedi candidi della ragazza che, nel frattempo, gli si è avvicinata. Abbassa le mani nel fango, rivolgendo con occhi disperati una supplica a quella dea primordiale.
«  Perchè?» Geme, piangendo terrorizzato  dalla consapevolezza appena acquisita di ciò che è in grado di fare la propria volontà senza il peso della ragione.
La ragazza gli alza la testa prendendola fra le mani con fare amorevole e avvicina il viso al suo, come per guardarlo meglio, ma non c'è nulla di amorevole nel modo in cui le dita gli si serrano sulle tempie, nell'immediatezza in cui lo costringe vicino a sè e nella piega cruda ed estatica della bocca.
Ed allora lo sente, sente che quei capelli serici che adesso gli inzuppano l'uniforme e le spalle non sono che sangue versato, e che di sangue è anche l'orlo del vestito, che la pelle bianca e delicata è fredda come quella di un cadavere e sotto nasconde un pulsare violento che si propaga a lui attraverso il corpo che lei gli preme contro mentre gli parla per la prima volta senza trattenersi , con la voce che scoppia di gioia irrefrenabile:
« Non è bellissima? Non è una sensazione stupenda, questo desiderio che divora così tanto da svuotarti dentro e far esprimere tutto quello che sei fuori attraverso la sola fisicità? Non è inebriante, questa libertà senza senno nè morale? Non sono stupendi questi miseri uomini mortali  quando, dimentichi di sè, fanno esattamente ciò che vogliono? Con un sentimento così, non ti verrebbe la voglia di farci l'amore fino a morirne?»
Gli riversa addosso le parole come un fium in piena, crudele senza possedere un minimo di malvagità, e tutto ciò che lui riesce a vedere sono i suoi occhi, grandi e neri, così ciechi e vuoti da contenere tutto l'universo.
Lo stringe un po' di più, per un attimo, sussurrandogli sulle labbra il proprio nome, e poi lo lascia andare rialzandosi ed allontanandosi di un passo.
«  Ci rivedremo ancora.» Gli sussurra, prima di svanire in una piroetta di capelli rossi e vestito bianco, lasciandolo solo in mezzo ai morti.


L'ultima Cosa che Martin vedrà, tanti anni dopo, sarà il baluginio di un sorriso infantile intravisto tra i capelli rossi di una figura danzante fra gli alberi di un bosco: per questo non sentirà il proiettile nazista centrargli l'osso del collo e, quando cadrà a terra, non si accorgerà neppure di esser morto; I suoi occhi rimarranno spalancati su quel fotogramma e nella bocca resterà impigliato il nome che vi era stato rivelato a sigillo del proprio destino.
Ate.
  
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