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Autore: crimsontriforce    26/03/2011    0 recensioni
Atrus, Catherine, Yeesha, l'Arte. Tre Ere, tre modi di riflettersi in mondi lontani.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Atrus, Catherine, Yeesha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '4. Dalle rovine della città profonda'
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Originariamente pensata per il bando “Ricorsivo” di eoni fa (che poi nemmeno mi capitò: il mio fu “Stagionale”, che mi portò a scrivere Stasi Stagionale... eoni fa, appunto); riesumata per il prompt “Tre personaggi” di settimana scorsa @ COW-T e irrobustita da “Neve” sulla cara BDT... infine scritta questa settimana per il prompt “Montagna”. Questo giro di pulizie primaverili si fa complesso XD
Ciò detto... boh, a me questa piace tanto. Spero di non aver trucidato l'idea originaria nel metterla per iscritto.










Ragioni della neve





Temperate

Nell'Era, Atrus cercava gli alberi.
Sul piano di lavoro dello studio, raccolti a semicerchio attorno alla mole imponente del Libro Descrittivo aperto, giacevano strumenti e appunti relativi al progetto, intervallati da tazze vuote e da una ancora fumante, carica di spezie. E Atrus cercava gli alberi. Le righe si susseguivano ordinate sulle pagine, con ogni 'parola grande' – ogni pietra angolare dell'idea che stava costruendo – accompagnata da uno stuolo di frasi che la complementassero, dettagliate quanto possibile nella loro forma semplice. Grammatica e logica erano gli archi del suo sestante; stabilita la rotta, col cuore navigava a vista.
Scriveva ogni grumo del terreno per i semi che immaginava riposare nelle sue profondità. Quando socchiudeva gli occhi, poteva vederli gettare le prime radici. Aveva lasciato uno spazio, nella rilegatura del volume, per la prima foglia che avesse trovato caduta in terra.

Le montagne lo portavano nel palmo. Il punto di collegamento si rivelò essere un altopiano circondato da monti aguzzi e grigi, incastonati fra una terra scura e un cielo carico di nuvole.
Si aspettava l'odore di resina e lo inspirò a pieni polmoni, un frammento di continuità con l'aria di Myst che aveva appena lasciato.
Si aspettava il freddo e si coprì di conseguenza, frugando in cerca di una sciarpa nella sacca che portava a tracolla. Avendo descritto i moti di rotazione e rivoluzione, dall'ora del tramonto sarebbe stato forse in grado di dare un nome alla stagione in cui era capitato, ma sapeva che, se appena le nuvole avessero lasciato uno squarcio, ben prima di terminare quei calcoli sarebbe stato distratto dalle forme infinite delle stelle di un cielo nuovo. Si disse di essere in un “inverno”, pronto a corregersi al sopraggiungere di prove empiriche.
Non aveva pensato che i semi che aveva cullato con la fantasia potessero appartenere a un passato lontano e si snodassero ora in tronchi secolari che non sarebbe riuscito ad abbracciare per intero nemmeno con l'aiuto di Catherine e dei bambini. Una delle loro piccole foglie appuntite avrebbe fatto una magra figura da sola in centro al volume: ne prese quattro, disponendole già fra le pagine del diario in un disegno che gli parve grazioso.
“Un bosco in montagna”, annotò deliziato.
Il fiocco che cadde sull'inchiostro ancora fresco dei suoi appunti lo colse di sorpresa. Il cielo grigio si era fatto scintillante di neve: si rannicchiò sotto un groviglio fitto di rami a guardarla cadere.

Voleva vedere le montagne. Sentirne la roccia sotto le mani, girarsi e vedere quegli alberi (che esitava a chiamare i 'suoi' – anche se, si disse, pure un sentimento di amicizia può portare a un uso innocente di tale aggettivo) stendersi in un'unica macchia verde sull'altopiano.
Atrus si chinò a raccogliere una manciata di neve. Se la rigirò fra le mani fino a che divenne una palla compatta; la lanciò in aria un paio di volte, lieto per quella compagnia insolita alle sue esplorazioni, e si inoltrò nel bosco, confondendosi presto nella foschia.





Non vide la fessura che si apriva sul terreno alle sue spalle.





Restehl

Nell'Era, Catherine cercava se stessa.
Seduta a gambe raccolte sul divano, con lo sguardo perso nella fiamma di una candela, sentiva le parole formarsi dentro di sé in una sequenza univoca, come un gioco a incastri, ed era svelta a fissarle sul quaderno che reggeva in grembo. Filava e tesseva le sue parole: c'era un'immagine lontana, sepolta in lei, la cui realtà si scomponeva in fibre sottili che Catherine coglieva, torceva e ricomponeva in frasi fino a ordirle in punta di penna.
Il sole era alto su Tomahna quando aveva iniziato, sentendo la spinta di frammenti appuntiti che fluttuavano verso una superficie, e la attendevano altri lunghi pomeriggi di silenzio prima di venire a capo dell'intreccio in cui i suoi fili di lettere si stavano disponendo. In seguito, sedere a una scrivania e ricopiare il quaderno sulla giusta carta, con il giusto inchiostro, avrebbe costituito il punto di partenza dell'osservazione: avrebbe corretto la grafia, riscritto i punti dubbi, confrontato il suo testo con le regole basilari che le aveva tramandato Anna – per poi ignorarle del tutto, ma per scelta cosciente.
La vera conoscenza, però, sarebbe giunta solo appoggiando per la prima volta la mano sul pannello di collegamento.

I suoi stivali sprofondarono fino alle ginocchia in un terreno friabile. L'aria era pesante, non per effetto della gravità, ma per la composizione propria dell'atmosfera. Vi riconobbe l'oppressione che la inseguiva nel sonno e nella veglia, che aveva iniziato a chiamare compagna. Qui, avrebbe potuto recitarne la chimica; lo prese come augurio di riuscire a fare lo stesso con quella che si portava dentro, un giorno.
Aprì gli occhi contro un sole fioco e calante. Il Libro l'aveva portata sul crinale di una montagna, i cui versanti si disperdevano in uno strato di nuvole ambrate. Un picco s'innalzava in lontananza di fronte a lei, coronato da una manciata di vette minori, mentre il punto di collegamento si poneva sulla dorsale esatta della catena montuosa, che proseguiva dritta in piano separando due valli ignote. Si sentiva in cima al mondo, e pronta a cadere.

Il paesaggio era uniformemente candido sotto il cielo giallo, che da una tonalità paglierina stava cedendo il passo ai colori bruni della sera. Catherine si chinò per saggiare il terreno e lo scoprì composto di cristalli di ghiaccio. Non era neve come la conosceva: friabile al tatto, sembrava una distesa infinita e leggera di sale, ogni grano ben distinto dai suoi vicini. Si sedette, tenendo una manciata di cristalli sul palmo aperto per studiarli meglio. Non notò che quelli che le erano caduti di mano nel raccoglierli erano rimasti a fluttuare dolcemente a mezz'aria, appena smossi da un filo di brezza. Quando in mano non le restò che qualche goccia d'acqua, e tornò ad alzare lo sguardo strizzando gli occhi per abituarsi alla luce morente, aveva preso a nevicare fitto, ma il cielo era limpido e punteggiato di stelle. I cristalli si sollevavano dal terreno attorno a lei, sembravano sciami attorno alle cime più lontane, bucavano le nuvole in un lento moto verso gli strati più alti dell'atmosfera. Catherine si alzò, protendendo una mano a coppa col palmo rivolto verso il basso per sentire come il ghiaccio galleggiasse nell'aria pesante. Camminò a lungo sul crinale, avvolta dall'incanto di quella neve al contrario.

“Sempre spaccata. La superficie è fragile. Ciò che perdo cadrà come pioggia”, scrisse quella sera.





Non poteva vedere la fessura che si era aperta nell'aria, sotto lo strato di nubi.





Eer

Nell'Era, Yeesha cercava una prova, un trofeo, una direzione.
Studiava sdraiata in terra, sul terriccio soffice di un'Era senza nome – se ne possedeva uno, nella lingua delle creature, non le era stato comunicato o non l'aveva appreso, e la parlata intima dei mondi le era ancora preclusa.
Vedeva tracciati sulla pagina bianca gli schemi di pietra impartiti da Calam; vedeva le parole che avrebbero dovuto riempirli; le seguiva con il dito come se tutto fosse già tracciato, come se la logica D'ni non lasciasse scampo già dopo la prima parola scritta, dettando i legami di tutte quelle che l'avrebbero seguita; sentiva sulla pelle ogni costrizione al pari di una gabbia di cavi metallici. In un frullo d'ali tutto si disfaceva sotto le sue mani, lasciando strutture in rovina a fare da gradini verso l'ignoto.
Scriveva rabbiosa, rapida, trascinando i periodi nella sua corsa senza fiato e nel prenderli con sé li caricava di nuove dimensioni, altre valenze, e riprendeva e andava oltre, più a fondo, inseguiva se stessa, seguiva le creature che la portavano oltre il foglio, oltre le parole. Pianse la prima volta in cui infranse uno dei principi di coerenza di suo padre. Ricordava le parole sue e quelle di sua madre. Ricordava tutte le loro parole – le prendeva a manciate e le plasmava, le ripeteva in cascate circolari. Vedeva gli schemi di luce tracciati oltre il foglio: sapeva dove tessere e dove strappare. Il Tutto si dispiegava di fronte a lei.

I suoi piedi nudi toccarono ghiaccio. Quel mondo era spoglio e buio, ma sentiva le montagne crescere ai suoi fianchi. Le loro vette si perdevano nella notte, ma sopra la sua testa, a spaccare in due la volta celeste, si apriva maestosa la Fessura Stellata con il suo blu infinito e il baluginio di tutte le Ere. Dal centro del cielo nevicava, e sembrava che nevicassero stelle, e l'aria che soffiava era diversa, carica di profumi ignoti a quell'Era brulla: sapeva di resina e foglie marcite. Cadevano fiocchi grandi, che Yeesha sentì scorrere sul volto come il tocco di chi non avrebbe più accarezzato la sua bambina con le sue mani gentili, e altri più eterei, cauti nello scendere a terra, frammenti di ghiaccio che ignoravano l'ordine imposto dalla gravità. C'era riuscita. Scoppiò in un pianto disperato.

Si sciolse i capelli, lasciando cadere le lunghe ciocche rossastre libere sulla schiena; disfece i lacci del mantello imbottito, che scivolò a terra. Tremava.
“Padre”, urlò al cielo quando i brividi l'ebbero costretta china sulla superficie ghiacciata. “Madre.” Allungò una mano verso un fiocco fermo in aria di fronte a lei, sciogliendolo nello stringerlo a sé. “Sono sempre lontana...”

























Accompagnamento musicale by Loreena McKennitt – Tori Amos – Björk, in rigoroso ordine di WTF. Le trovo molto adatte ai rispettivi tre. Note:

@ Temperate: 'aggettivo semplice' o 'sostantivo semplice' sono le scelte più frequenti di Atrus per le sue Ere, cfr. Mechanical, Selenitic, Oasis, Gravitation, Rime ecc. La immagino Scritta nei primi anni su Myst, quelli più sereni prima delle varie tragggedie.
@ Restehl: Catherine, invece, mi dà l'impressione di prendere una parola in una lingua che conosce e modificarla un po', a gusto suo o secondo prefissi e suffissi di un'altra lingua – cfr. Myst e Serenia, e chissà poi che vuol dire Tay. La immagino Scritta a Tomahna, dopo Revelation e forse perfino dopo la partenza di Yeesha. La sua neve galleggia perché ghiacciando del tutto diventa più leggera dell'aria... che credo sia una cosa possibile. Specie se uno è Catherine.
@ Eer: nome a scazzo in D'ni per un'Era-sfogo di Yeesha, di cui altrimenti conosciamo solo 'Relto' che pure dovrebbe essere una parola D'ni. 'Eer' è la benda e le serviva a mettere una pezza a una botta di nostalgia per i genitori. Le persone normali guardano vecchie foto, qualcuno arriva magari a scrivere o a tirar su il telefono, lei è lei e arriva a misure un po' più drastiche (FARSI VIVA? GIAMMAI)... la immagino Scritta post-Calam, in una specie di periodo di apprendistato dai Chozo Bahro.

   
 
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