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Autore: KuroiNamida_    27/03/2011    3 recensioni
Questa one-shot nasce per LEI che non avrò mai.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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90righe Questa one shot nasce dall'esigenza di scrivere di LEI che non potrò avere mai , poi per dimostrare a me stessa che posso scrivere racconti originali. Il titolo prende questo nome perché sul documento di testo riempie novanta righe giuste.
Spero vi piaccia, leggete e sappiatemi dire.

NOVANTA RIGHE DI ME

Chiusi l'ultima scatola con il nastro adesivo marrone, presi il pennarello indelebile e scrissi in stampatello ciò che conteneva, ovvero dei vestiti e biancheria.
Sbuffai sedendomi sul letto con ancora le lenzuola, ma disfatto e disordinato come sempre.
Avevo deciso, ormai ero sicura e non avrei cambiato idea, solo una cosa mi dispiaceva e aveva reso la mia decisione dolorosa da prendere. In quei mesi trascorsi a Bologna avevo conosciuto persone fantastiche, avevo vissuto momenti indimenticabili e fatto esperienze nuove. Questa città non mi offriva un indirizzo di studi adeguato, ma mi aveva offerto molto dal punto di vista umano e relazionale. Quei nove mese sembravano trascorsi in un paio di settimane e questi ultimi due giorni passati a riempire scatole e svuotare mensole, erano paragonabili a minuti.
Con le mie coinquiline avevamo festeggiato la sera precedente, come se la mia partenza fosse da festeggiare. “Verrai a trovarci dai!” avevano detto, io speravo vivamente di mantenere quella promessa, anche se non le avrei trovate tutte nello stesso appartamento. Yuka sarebbe tornata in Cina a fine luglio, Maria stava già cercando un'altra stanza singola più economica e poi c'era Anna.
Anna era la ragazza con cui avevo legato di più indiscutibilmente, volevamo trovare una stanza doppia da dividere in un altro appartamento. Studiava all'accademia delle belle arti, con lei potevo parlare di qualsiasi cosa, molte cose ci accomunavano, passioni in comune, stessi modi di vedere le cose.
Da lei sarebbe stato davvero difficile separarmi, perché, anche se non lo dicevo ad alta voce per una mia paura infondata, sotto sotto per lei qualcosa provavo. Ma ora me ne sarei andata e non avevo più occasioni, non avrei potuto coltivare quell'affetto che si era trasformato in qualcosa di saffico, dolce, bello che nella mia mente assumeva toni pastello. Quando le avevo dato la notizia della mia partenza non la prese bene. Anna si chiuse in un silenzio meditativo, come se l'avessi offesa, io l'avevo tradita sabotando il nostro piano di convivenza. Un leggero bussare mi distrasse dai miei pensieri.
«Avanti!»
«Ciao» si affacciò alla porta. I suoi occhi truccati con cura sempre nello stesso modo che le allungavano lo sguardo, capelli ricci e sapientemente disordinati, braccialetti tintinnanti ai polsi, la sua minigonna preferita e un maglioncino nero. «Allora tutto pronto?»
«Si, ora disfo il letto e metto tutto in valigia, tra un po' dovrebbe arrivare mio padre» non volevo dare a vedere che stavo male. In fin dei conti, se lei si sentiva tradita, io mi sentivo traditrice.
«Ma devi proprio?» si sedette sulla sedia della scrivania e mi fissò imbronciata, non era capace a recitare la bambina triste ed è anche per questo l'adoravo.
«Anna, ormai ho fatto tutto. Sai che mi dispiace»
«Si, solo che ormai potevi fare anche questi quattro mesi! Che ti costava?» si alzò voltandosi verso la  libreria vuota. Ci rimase male a vedere solo piccoli granelli di polvere sulla superficie, una volta avrebbe scorso i titoli, ormai imparati a memoria, e poi ne avrebbe preso uno a caso per sfogliarlo senza importanza. Anche nei gusti letterari eravamo molto simili.
«Mi costava quattro mesi d'affitto in più» con lei potevo essere diretta e seria, adulta insomma, non serviva che le spiegassi mille volte la stessa cosa, in quel momento sapevo che quella domanda era una protesta.
Si lasciò cadere affianco a me sul letto, facendoci ondeggiare entrambe. Stette in silenzio fissandosi le mani, segno che voleva dire una cosa, ma non sapeva se reputarla importante o meno, e mi accorsi solo in quel momento che stringeva fra le mani un foglietto. Accortasi che pure io le fissavo le mani sospirò, spiegando il foglio.
«E' una lista, la nostra lista» delle righe scarabocchiate abitavano la carta ormai logora «Ho pensato tanto se dartela o meno, e visto che voglio farti sentire in colpa perché mi abbandoni così, eccola!» me la porse sorridendo. Sapevo che non voleva farmi sentire veramente come aveva detto, ma sotto sotto ci sperava, era il suo lato cinico che mi piaceva nonostante tutto.
«Andare insieme dalla parrucchiera...» iniziai abbozzando un sorriso «Ma l'abbiamo fatto!»
«Non mi accontento di una volta sola!»
«Ok, ok. Fare gioielli a mano e venderli in montagnola con gli abusivi» risi di gusto a questo nostro piano per fare soldi campato in aria un giorno, mentre osservavamo frustrate i prezzi di Accesorize. «Vero, hai ragione.» Sorrisi fissandola negli occhi. Dio era dannatamente bella.
«Continua» mi invitò.
«Trovare una gonna nera plissettata, terminare le carte del Mc Donald's, visitare il museo delle fiabe, fare un picnic ai giardini Margherita...» più leggevo e più capivo quanto aveva incassato il colpo in silenzio. Mai avrei pensato che la nostra amicizia le importasse così tanto, si perché per lei la nostra sarebbe stata solo un'amicizia «Anna sei riuscita a farmi sentire in colpa!» protestai camuffando tutto con un sorriso.
«No vabbè, è anche per costringerti a tornare! Poi chi mi farà i book per gli esami?!»
«Allora è solo per questo!» ridemmo di gusto.
«Non partire» tornò seria.
«Anna non posso» cantilenai saltellando sul letto. Non volevo che gli ultimi momenti con lei fossero tristi, volevo che mi vedesse come la ragazza spensierata che ero, anche se sotto stavo male quanto lei.
«E se ci fosse un motivo valido per rimanere?» mi posò la mano sulla gamba avvicinandosi col viso al mio.
«Anna...» mi spostai immediatamente. Se solo avesse saputo ciò che lei contava realmente per me, forse l'avrei fatta star male ancora di più. Non sarebbe andata via solo un'amica, ma una ragazza che per lei provava realmente qualcosa.
«Credevo...»
«Credevi male, davvero» mentii spudoratamente. La desideravo, la volevo come amica, come ragazza, come complice e come amante, ma non sapevo quanto buona potesse essere quell'idea. Era l'unica dell'appartamento a cui avevo detto della mia bisessualità. Parlando con le altre ragazze avevo percepito una certa omofobia mascherata con un spiccato amore verso i gay. Amore finto e convenzionale, quello che serve per non farti passare per bigotta, ma per persona mentalmente aperta terrorizzata all'idea di ricevere avance da una lesbica.
Suonarono il campanello e andai ad aprire lasciando Anna sola in camera. In giro di mezz'ora caricammo tutte le scatole in macchina insieme al materasso.
«Papà torno su a salutare, ci metto cinque minuti»
«Ok aspetto in macchina»
Presi nuovamente l'ascensore per raggiungere l'ultima volta l'appartamento come inquilina. Ad aspettarmi c'era Anna appoggiata alla porta di quella che fu camera mia. Senza dire nulla mi avvicinai a lei avvolgendole il volto con le mani. Chiuse gli occhi beandosi di quel contatto caldo.
«Mi mancherai» le soffiai sulle labbra appena prima di imprimere un lieve bacio.
Senza aspettare risposta uscii da quell'appartamento consapevole che, anche se fossi rimasta altri quattro mesi in quella casa, non avrei potuto vivere Anna come volevo, senza i pregiudizi delle mie coinquiline. Contraddissi tutta me stesa con quel bacio, perché se lo spirito era pronto, la carne continuava ad essere debole, e almeno per una volta volevo assaporare quel gusto vellutato e dolce delle sue labbra rosee che mai avrei dimenticato.
   
 
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