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Autore: Selenite    27/03/2011    5 recensioni
La perdita di qualcuno di importante gioca nella vita di ognuno un ruolo particolare. Alcuni riescono a superare il dolore, altri vi affogano, sconfortati dallo squarcio formatosi nel loro cuore.
La protagonista di questo pezzo parla di sè con massima accuratezza, non perdendosi nei particolari dei luoghi, quanto in quelli delle sue emozioni. La perdita di qualcuno di importante, per lei, è stato il più terribile dolore mai sopportato. Che non dimenticherà mai. Perchè per lei quella persona è vita...
Basato su una storia vera
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Ricordi...
Autore: Selenite
Rating: Giallo
Trama: La perdita di qualcuno di importante gioca nella vita di ognuno un ruolo particolare. Alcuni riescono a superare il dolore, altri vi affogano, sconfortati dallo squarcio formatosi nel loro cuore. La protagonista di questo pezzo parla di sè con massima accuratezza, non perdendosi nei particolari dei luoghi, quanto in quelli delle sue emozioni. La perdita di qualcuno di importante, per lei, è stato il più terribile dolore mai sopportato. Che non dimenticherà mai. Perchè per lei quella persona è vita (Basato su una storia vera)
Avvertenze: One-shot, Drammatico
Note dell'autrice: Poichè questo pezzo è tratto da una storia vera, pregherei chiunque di non utilizzarlo, in quanto ho ottenuto permesso speciale dalla protagonista di romanzarlo in questa storia. Abbiate quindi rispetto verso il mio lavoro ed i sentimenti della persona che ha dato il suo permesso alla pubblicazione



***

Dedicato a te...

***



Da quando Evan se n'era andato, niente aveva più senso.

Tutto per me era svanito.
Non era il mio ragazzo...non era niente più che un amico. Anzi, sbaglio a dire così. Evan non era un amico. Era il mio MIGLIORE amico.
Seppure fosse colpa mia...seppure fossi stata io la prima ad allontanarlo, per via di bugie che, sapevo pure sul momento, in poco tempo avrebbero smesso di bruciare al mio orgoglio...preferii dirgli addio e ferirlo, fin quando non ci fosse più nulla su cui accanirsi.

E quando mi resi conto che tutto era realmente finito, mi resi conto che ero stata un'idiota. Una COMPLETA idiota.

Provai a cercarlo, ma non rispondeva alle telefonate.
Rispose solamente ad uno dei miei mille messaggi, con freddezza e quasi con indifferenza. Come se stesse facendomi un favore, come se non fosse tra le sue priorità.
Perchè IO non ero più nelle sue priorità.

Il saperlo assieme ad un'altra mi dava un minimo di conforto, non era solo.
Quella ero io. Ed io non ero mai riuscita a farlo.
Pregai nel mio cuore che tutto andasse per il meglio...che lui trovasse la felicità, che magari trovasse anche l'amore. Che il male che gli avevo fatto svanisse e che riuscisse a non pensare più a me.
Preferivo non essere nei suoi pensieri, piuttosto che sapere che mi odiava e che pensare a me lo disgustasse...

Partito per un viaggio proprio quando dissi la parola “addio”, cercai più volte di trattenermi dal cercarlo. Non erano affari miei...lui sarebbe stato bene. Finalmente FELICE.
Ma l'egoismo è qualcosa con cui non ho mai saputo trattare...
Mi ripromisi che sarebbe stata l'ultima volta che avrei fatto una stupidaggine. L'ultima volta che avrei strisciato a terra. L'ultima volta che lo avrei ferito, se questo fosse capitato.
TUTTO, pur di vederlo per l'ultima volta.
E mi decisi...

Quando ricercai il suo indirizzo per casa, piangevo come una disperata.
Non vedevo nulla, andavo a tentoni...il sentirmi così male mi aveva già abbastanza distrutto.
Erano giorni che non dormivo e non mangiavo. Ero così stanca che non avevo la forza di sollevare neanche un peso. Eppure mi sforzavo, nella speranza che avrei trovato in me la forza di comportarmi da idiota per l'ultima volta.
Trovato l'indirizzo e lette le parole a bassa voce, come un mantra, architettai il piano nei minimi dettagli...più o meno...

Purtroppo avevo subito un'operazione da poco e potevo muovermi solo in orari prestabiliti. Sperai che la fuga da casa non avrebbe creato problemi.
Senza contare che Evan abitava circa a 1000 chilometri da me. Era stato il mio migliore amico, nonostante questa grande distanza. Era diventato il MIO mondo.
Io pensavo di fare almeno parte del suo.
Buttai indietro i singhiozzi e le lacrime, ricercando i pochi soldi che avevo nel portafoglio. Li contai e vidi che erano giusti giusti per il treno di andata e ritorno.
Tirai un sospiro di sollievo.
Mentre in casa non c'era nessuno, me ne andai alla stazione ferroviaria e comprai i biglietti. Evan sarebbe tornato a casa ed io gli sarei andata incontro. Gli avrei parlato...avrei risolto. Sperai di farlo.
Pregai che succedesse.
Tornata a casa nessuno si era accorto di nulla. Strinsi i biglietti forte nelle mie mani. E pregai, di nuovo, con tutte le mie forze...che le cose non andassero poi così male...

Perchè quando c'era di mezzo qualcosa di importante, finivo per fare qualcosa di stupido. Qualcosa che metteva in repentaglio la mia sanità mentale.
Ma avendo perso più di 5 chili in tre giorni, avendo smesso completamente di dormire, di sorridere e di avere qualsivoglia emozione...pensai che ormai l'avevo già persa.
La MIA sanità mentale...

Era una mattinata orrenda. Pioveva a dirotto.
La macchina era a secco. Piangevo di nuovo. Non avevo dormito. E non riuscivo a mangiare niente...non riuscivo proprio a tenerlo nello stomaco.
Arrivata in stazione, prestissimo non sapendo l'orario in cui sarebbe tornato a casa, salii sul treno e mi accomodai al mio posto. Faceva freddo...lo sentivo sin nelle ossa.
Ed il mio dolore operatorio mi uccideva. Ma potevo sopportarlo.
Potevo sopportare tutto, adesso, se questo mi avesse permesso di riavere Evan accanto a me, in qualsiasi modo lui avesse voluto tornare...

Arrivata alla stazione vicino casa sua scesi. Era presto, più o meno le dieci di mattina.
Mi sedetti alla panchina più vicina l'uscita della stazione.
In qualche modo mi sarei fatta notare. Quello mi sembrava il più consono.
Essendo un giorno infrasettimanale la gente era molta.
Aguzzavo la vista continuamente.
Mi sentivo sola.

Quante volte avevo visto quella stazione e l'avevo salutata con un sorriso?
Quante volte avevo considerato normale quello che avevo?
Quante volte mi ero maledetta per averlo fatto?

Trattenni le lacrime in qualche modo, finchè non rintoccò il mezzogiorno.
Qualcuno mangiava nel tragitto per il lavoro, oppure verso casa; alcune erano coppiette che scherzavano e si baciavano, scatenando in me solamente sorrisi.
Altri erano gruppi di amici che si prendevano in giro, ridendo rumorosamente, spintonandosi e parlando in una lingua che pensai fosse dialetto.
Non la conoscevo.
Un ragazzo si voltò verso di me e mi fissò per un attimo, per poi sparire dentro il suo treno.
Probabilmente era strano vedermi vestita di tutto punto...non lo facevo mai.
Mi vergognavo.
Ma quella mattina mi ero vestita bene, come se volessi fare bella impressione.
Come volessi dirgli che si stava perdendo qualcosa.
Come se volessi sembrare qualcuna che NON ero io.
Scossi la testa e presi in mano il biglietto di ritorno. Sperai che Evan tornasse prima che io dovessi tornare a casa. Altrimenti tutto quello che avevo fatto sarebbe stato inutile.
E poi, come non bastasse, mentre sentii i primi gorgoglii del cielo che si preparava a piogga, squillò il cellulare. Guardai da chi veniva la chiamata e sospirai.
Mamma.

Oltre a dirmi che ero una completa idiota, oltre a urlare e sbraitare per capire dove fossi, cosa che non avrei detto mai sotto tortura, e che infatti tenni per me, mi raggelò il sangue.
Psicologo. Penso di aver sentito solo quella parola per capire cosa significasse.
Socchiusi gli occhi pensando che non aveva poi torto. Sicuramente ciò che stavo facendo era da pazzi, ma avrei potuto fare altrimenti...?
Sapevo già cosa sarebbe successo una volta tornata a casa.
Dissi di sì a mamma, dicendole di non preoccuparsi e che sarei tornata a casa quella stessa sera. Di portarmi dallo psicologo, se voleva, di sbattermi in manicomio, se ciò la rendeva più tranquilla. Ma di darmi la mia ultima possibilità di mettere a posto le cose.
Mamma capì forse dalle mie parole che c'era molto di più di quello che volevo dire. Borbottò qualcosa come “stai attenta” e attaccò il telefono.
Sapevo che comunque sarei dovuta tornare a casa e spiegare tutto quanto...

Quando iniziò a piovere più forte, così forte che quasi non riuscivo a seguire il filo dei miei pensieri, l'orologio battè le tre del pomeriggio.
E mi sovvenne un episodio di tanto tempo prima...quando ancora c'era Evan accanto a me...

-Ma tu come fai a dirlo?- gli chiesi stupita -Dicevi di non sapere neanche cosa fosse-
-Beh lo so- rispose Evan, con un buffo sorriso -L'ho capito stando con te-
-Ma io sto con lui, ricordi...?- gli rammentai, tenendo lo sguardo basso.
Evan rise -E allora? A me basta averti al mio fianco come amica, non va bene?-
Guardandolo negli occhi annii -Sei sicuro che ti basta così...? Che non mi abbandonerai anche se posso essere solamente tua amica?-
Evan annuì -Io ti amo- rispose con un sussurro, guardando verso il basso.
-Ti amo anche io...- risposi con un fil di voce, stupita delle mie stesse parole.
Un unico bacio sulle labbra, timido e sincero. Di più non avrei mai potuto dargli.
Ma il fremito che mi causò era più grande di qualsiasi altra cosa al mondo...

Insieme a quell'episodio, la consapevolezza che avevo perso anche la persona che amavo.
Il mio ragazzo non riusciva a sopportare il peso di quel dolore che mi attanagliava. Stava crollando insieme a me in un vortice da cui difficilmente saremmo usciti entrambi indenni.
Così, parlandone civilmente e con maturità, arrivai alla conclusione che era meglio lasciarci. Che avrei dovuto uscirne da sola, senza dover portare con me nessun'altro.
Non volevo avere sulla coscienza il peso di un'altra persona, incapace com'ero di risolvere i MIEI problemi...

Quando l'orologio scoccò le quattro, mi resi conto che mancavano solo 2 ore prima che avessi dovuto tornare indietro.
Mi alzai un attimo, mi guardai attorno: conoscevo poco o nulla quel posto. Ma c'era un luogo lì vicino che io adoravo, e che mi portava sempre a ridere.
Quando Evan mi ci portava rideva sempre di me...ed io ridevo insieme a lui.
In pochi minuti sarei andata e tornata. Non mi sarei persa. Andare lì sarebbe stato facile, perchè quella strada la ricordavo ancora a memoria...

Il lago era enorme.
Costeggiava due città, o forse di più, il treno ci passava proprio accanto.
Da costa a costa il treno impiegava più o meno una ventina di minuti. Era bellissimo guardare fuori dal finestrino e sentire attraverso il vetro quell'aria liquida sulla pelle.
Quando vi ero davanti, invece, l'aria liquida si posava sulla pelle e la rendeva lucida. Ma in quel caso furono più le lacrime, che non volevano smettere di cadere.
Era deserto. Non c'era Evan accanto a me. Ero sola.
Completamente sola...
Rimasi lì davanti per qualche minuto, forse una decina. Poi mi asciugai il volto e tornai indietro. Sperai che Evan non fosse arrivato in quei dieci minuti di fuga dalla realtà.
E tornai indietro, pronta di nuovo ad aspettare.

Completamente zuppa.
Perchè pioveva. Ed io avevo camminato sotto la pioggia, senza nulla. Avevo i capelli appiccicati al volto, gli occhi rossi e gonfi per il pianto.
Avevo freddo, forse inziavo anche ad avere fame. Ma non mi sarei più mossa, avrei continuato ad aspettare. Volevo vederlo.
Volevo parlargli.
E rimasi in piedi ancora...finchè l'orologio non battè le cinque...

Non avevo più speranza.
Aspettai finchè non mancarono solo quindici minuti al mio treno. Guardai gli orari e mi avviai mogia al binario, sentendomi una completa imbecille.
Sentii il cellulare vibrare nella tasca, ma non lo degnai di attenzione. Non mi interessava di nulla, in quel momento.
Volevo crogiolarmi nella mia apatia ancora un po'.
Quando arrivò il mio treno, sentii improvvisamente ogni forza abbandonarmi. Ogni cosa che avevo sperato, dentro di me, svanì come neve al sole.
Prosciugata di lacrime e sentimenti, aspettai che la gente uscisse dal vagone, prima di entrare a mia volta.
Mi guardai per l'ultima volta attorno, cercando di non scordare mai ciò che avevo provato quel giorno. Perchè mi servisse da monito per il futuro...perchè non commettessi più lo stesso sbaglio.
E lo vidi.

All'inizio posai lo sguardo su di lui meccanicamente, passando da un viaggiatore all'altro, ma quando mi resi conto chi fosse mi bloccai.
Non sorrisi, non cambiai espressione. Ero in attesa nell'immobilità di un ricordo, non avevo niente da perdere e nessuna forza per fare qualcosa. E poi era troppo tardi.
Ma poi anche lui guardandosi attorno mi vide. E rimase immobile.
Forse non si aspettava di vedermi lì. Forse non credeva che lo avrei mai fatto.
I suoi occhi scintillarono per un attimo, nel ricordo di qualcosa non era più. Svanì immediatamente, i suoi occhi cambiarono espressione.
Erano freddi. Cattivi. Dolorosi...
Si avviò verso le scale per uscire dalla stazione. Si perse nella gente.
Non lo vedevo più.
Non sentendo neanche più le lacrime uscire, appoggiai la mano al corrimano del vagone e salii. E mi preparai, per davvero, a dire addio a quel luogo così importante per me...

Mentre il treno correva sulle rotaie, tutta la rigidità di quel breve incontro mi si sciolse addosso come un caloroso abbraccio.
Sentii addosso a me tutta la dolcezza e la comprensione di un tempo. Quella del mio ex ragazzo e quella del mio ex migliore amico. Tutta insieme.
Mi cullai in quel tepore confortevole e piegai la testa di lato, cominciando a piangere silenziosamente. Essendo accanto al finestrino, salutai per l'ultima volta il profilo di quel lago che tanto avevo amato.
La signora che era davanti a me posò per caso lo sguardo sul mio volto piangente -Signorina...per caso non si sente bene? Qualcosa non va?-
Ferma nella mia posizione, nella speranza che il calore di quel ricordo che si era abbattuto su di me finisse il più tardi possibile, accennai un sorriso.
-Non si preoccupi. È solo un ricordo che segue la sua strada...-

Tornata a casa, mamma si accanì su di me con una furia tale che non ebbi neanche il coraggio di far nulla.
Sbraitò per una buona mezz'ora, poi si accorse dello stato in cui versavo, del mio volto, della mia espressione.
-Che cosa hai fatto...?- mi chiese con la voce dolce, propria solo di una mamma.
Scoppiai in lacrime, disperata, abbandonandomi tra le sue braccia gentili. Di nuovo mi percorse il ricordo di quell'abbraccio caloroso, e le lacrime si fecero più intense, fino a ferirmi nel più profondo del mio cuore.
Mamma non ebbe più cuore di dirmi nulla. Aspettò che le mie lacrime furono sparite. Mentre io stringevo in mano il cellulare, dal quale avevo appena letto il messaggio arrivato prima di tornare a casa...

Insieme a te è stato bellissimo, non posso negarlo.
Ma non voglio più rimanere al tuo fianco e rischiare ancora di soffrire in questo modo.
Ho trovato qualcuno che si prenderà cura di me. E di cui mi prenderò cura.
Per favore...in nome della nostra amicizia...esci dalla mia vita...

...

Erano passati due mesi. Ero tornata a lavoro.
E, faticosamente, avevo ripreso a sorridere.
Saputa della mia disavventura, il mio ex ragazzo si era presentato a casa mia. Avevamo parlato a lungo, anche insieme allo psicologo da cui mia mamma, alla fine, mi aveva mandato, e insieme avevamo deciso di rimanere amici.
La nostra relazione, altrimenti, non sarebbe stata più d'amore. Ma solo di necessità.
Ed io avevo bisogno di dimenticare quel senso di necessità che mi aveva portato ad andare da Evan...e soffrire.
Ogni tanto penso ancora a lui. Prego per la sua felicità. Mi auguro che sia felice.
Sono uscita dalla sua vita perchè lui continuasse a vivere. Lui è rimasto nel mio cuore, perchè io potessi farlo.






***

Per tutti coloro che hanno perso qualcuno di importante.
Per chi è riuscito a superare il dolore e per chi, invece, è rimasto intrappolato in quella gabbia piena di lacrime e sofferenza.
Per chi è riuscito a lottare ed ha vinto. Per chi si è arreso e ancora deve vincere la sua battaglia.

Non dimenticate mai che non siete mai soli. Che c'è sempre qualcuno accanto a voi che vi aiuta nell'ombra...e vi ama a dispetto di tutto.
Grazie mille per aver letto questa storia...
  
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