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Autore: Elos    01/04/2011    28 recensioni
Il primo no era stato quello dei Dursley.
Non avevano fatto altro che ripeterglielo, tutti i giorni, per un minimo di tre volte al giorno, per i primi undici anni della sua vita. E no, no, no. Ancora no, qualunque cosa, ma il no più grande, quello che contava come tutti gli altri sommati assieme, era stato il no che che aveva risposto alla domanda che tutti i bambini si trovano a formulare prima o poi, quelli fortunati più prima che poi: sei tu che ti prendi cura di me? [...]
Partecipante al concorso "Tropes & Clichés Contest" indetto da Sisya.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Qualcuno sì




Il primo no era stato quello dei Dursley.
Non avevano fatto altro che ripeterglielo, tutti i giorni, per un minimo di tre volte al giorno, per i primi undici anni della sua vita. E no, no, no. Ancora no, qualunque cosa, ma il no più grande, quello che contava come tutti gli altri sommati assieme, era stato il no che che aveva risposto alla domanda che tutti i bambini si trovano a formulare prima o poi, quelli fortunati più prima che poi: sei tu che ti prendi cura di me?
In genere la risposta arriva sotto forma di un biberon pieno di latte, odore di mamma, di papà, baffi che strusciano contro la pelle delicata di neonato, coperte, culle, e la culla può essere di vimini o di legno o di foglie di banano cucite assieme, questo non importa, è una cosa universale.
Sei tu che ti prendi cura di me?
Certe volte sognava ancora la bella signora dagli occhi molto verdi e i capelli molto rossi, ma sempre più spesso il molto verde dei suoi occhi diventava enorme, enorme, enorme, sino a trasformarsi in una luce che inghiottiva tutto il mondo, intero, e non lo risputava più.
E i Dursley, be', i Dursley, avevano fatto di tutto, detto di tutto, urlato di tutto, per dimostrargli che no, loro non si sarebbero presi cura di lui.

Il secondo no non era stato, in effetti, mai pronunciato. Era un no che era sempre rimasto da qualche parte, sospeso sopra a tutti i discorsi interrotti, le cose non dette, le cose mai fatte, che dimostravano irrimediabilmente che non c'era nulla per lui nemmeno lì.
I Weasley gli volevano bene, sicuro. I Weasley erano venuti a salvarlo nell'estate dei suoi dodici anni, e poi in quella dei quattordici, e la signora Weasley cucinava i suoi piatti preferiti quando lui era alla Tana, e il signor Weasley se lo prendeva da parte e parlavano insieme dei più improbabili congegni Babbani. I gemelli lo adoravano, i fratelli maggiori erano protettivi nei suoi confronti – quando non lo ritenevano un folle bugiardo, certo. Ginny era pazza di lui e Ron... be', Ron era il suo migliore amico.
I signori Weasley sapevano dei Dursley. Sapevano dello sgabuzzino. Sapevano delle sbarre alla finestra e della gattaiola alla porta, e di un sacco di altre cose che non si dovrebbero sapere, mai, di qualcuno che è poco più che un bambino. Sapevano tutto questo, ma malgrado ciò non avevano detto mai niente.
Sicuro, c'erano le protezioni di sangue. Sicuro, era importante che lui rimanesse a Privet Drive, che fosse salvo, che sopravvivesse ad un'estate dopo l'altra. Sicuro. Di tutto questo Harry era a conoscenza.
Era solo che... be', Harry sapeva che non avrebbe potuto comunque lasciare la casa dei Dursley, no, anche se i Weasley glielo avessero chiesto... ma, se l'avessero chiesto, sarebbe stato diverso. Sarebbe stato meglio.
Harry sapeva di dover rimanere a Privet Drive. Ma ogni tanto pensava a tutte le cose che sapeva di dover fare, e, miseria, anche lui si rendeva conto che quello era un modo sbagliatissimo di trascorrere un'infanzia.

Il terzo no era stato il più doloroso di tutti. Gli faceva male anche adesso, a ripensarci, perché in quell'occasione qualcuno si era fatto avanti, sissignore, e si era offerto di prenderlo con sé e tirarlo su e crescerlo e trattarlo come un figlio, fargli da padre. C'era stato qualcuno che alla domanda ti prenderai cura di me? aveva risposto sì, mille volte sì.
Sirius era scappato da Azkaban per tenerlo al sicuro. Sirius avrebbe voluto portarlo con sé a Grimmauld Place, dove avrebbero vissuto insieme e sarebbero stati tanto bene, tanto felici, che le stanze fetide della casa sarebbero apparse come nuove, prive di ricordi, e si sarebbero riempite di luce.
Quello di Sirius un che era durato per circa mezz'ora: trenta gloriosissimi minuti nei quali tutti i sogni di Harry erano sembrati scintillare e farsi più vicini, meravigliosi, idilliaci Boccini d'Oro a portata di mano: era per questo che il no, dopo, aveva fatto scappare via i Boccini come foglie in autunno, ed aveva bruciato orribilmente.
Due anni di fuga, dopo. Parlarsi solo per lettera, dopo, o attraverso le fiamme di un camino. Avere modo di essere vicini per un'unica estate, dov'erano stati a Grimmauld Place, certo, e insieme... ma nessuno dei due era stato felice.
A chiudere tutto, il Velo.

Il quarto, di no, non era stato una sorpresa.
Era sempre stato nell'aria: Harry non si era mai veramente aspettato che ad un certo punto diventasse un , no di certo. Harry non era sciocco. Non era un illuso. Solo, ogni tanto, aveva permesso ad una sezione di sé, una scheggia appena, di crederlo, di immaginarlo. Era un bel pensiero. I bei pensieri lo aiutavano a tirare avanti un giorno dopo l'altro.
Ma Remus non aveva potuto mai - o voluto mai - essere quello che si prendeva cura di lui.

L'infanzia di Harry era già sgocciolata via da un pezzo a grosse manciate, frammenti e bocconi che viaggiavano attraverso le mani dei Mangiamorte, di Voldemort, degli insegnanti armati di penne d'oca che scavavano nella pelle e lasciavano cicatrici - altre cicatrici - e di Veggenti che aprivano bocca per sputar fuori Profezie al sapore di sangue, ed Harry si era scoperto sorpreso nel sentirsi nuovamente ferito dal suo quinto no.
Mentre lo ascoltava, pensava che sarebbe stato l'ultimo che avrebbe ascoltato. Mai più, mai più. Non si sarebbe mai più permesso di desiderarlo: perché anche i desideri, come le Profezie, sapevano di sangue. Avevano un lato affilato, che affondava e che tagliava.
Il quinto no aveva gusto d'amaro più che di dolore. Arrivava dalla bocca di qualcuno che aveva detto di amarlo, di averlo caro, di essere orgoglioso e fiero di lui, ed Harry per dieci anni non si era sentito dire altro se non che era qualcosa di sporco, inutile e innaturale, insignificante. Le cose che sentiamo dire nei primi anni della nostra vita sono importanti: come il sapore del latte, l'odore di mamma e papà, baffi e culle, ci restano appiccicate addosso.
Albus Silente lo aveva guardato tristemente al di sopra della doppia mezzaluna dei suoi occhiali, e, mesto e quieto e addolorato, aveva detto:
- Mio caro ragazzo. - E poi, ancora: - Caro, caro ragazzo. -
Ad Harry era bastato sentirgli usare quel tono per capire che la risposta alla sua domanda era, una volta di più, no. No, non gli sarebbe stato permesso di lasciare i Dursley e no, no, no. Non c'era modo di riavere indietro un ultimo anno di infanzia, almeno.

Sei tu che ti prendi cura di me?
A rispondere alla sua domanda era stato qualcuno in una notte umida di un maggio molto buio, dove tutte le cose erano apparse nere e perverse e prossime alla fine. L'Apocalisse sembrava vicina, ed il era arrivato, del tutto inaspettatamente, sotto le sembianze di un'ampolla di vetro piena di filamentosi ricordi d'argento.
Sei tu che ti prendi cura di me?
Qualcuno l'aveva fatto, oh, sì. C'era stato qualcuno che l'aveva seguito, che l'aveva protetto, e adesso i pezzi si sistemavano al posto giusto, in questa nuova prospettiva. Raptor gli raccontava che qualcuno gli aveva impedito di sbalzarlo giù dalla scopa; erano nella Stamberga Stregata e qualcuno era venuto credendo di salvarli, erano nell'ufficio della Umbridge e qualcuno fingeva di non capire - ma aveva capito, sì, ed avrebbe cercato... cercato... Qualcuno diceva ai Mangiamorte di lasciarlo lì dov'era, che ci avrebbe pensato il Signore Oscuro, a lui, e quel qualcuno gli aveva impedito di diventare un assassino nel bagno di Mirtilla Malcontenta. Qualcuno gli aveva consegnato una spada, qualcuno aveva impedito che lo uccidessero mentre lasciava la casa dei Dursley. Qualcuno, , qualcuno si era preso cura di lui.
Qualcuno era morto. Harry non avrebbe mai avuto modo di parlare con quel qualcuno, di ringraziarlo, e quel qualcuno non l'aveva fatto per lui, ma per lei... ma non gli importava. L'aveva fatto. In un mondo dove gli adulti non si erano mai fatti avanti per proteggerlo, quel qualcuno l'aveva fatto. Era stato suo padre, più di Silente che l'aveva armato e spinto in battaglia, più di Remus, assente, sempre assente, Sirius al quale nessuno aveva permesso di esserci, i Weasley che non avevano visto e non avevano capito, i Dursley mostruosi. Era stato suo padre quanto suo padre, perché tutti e due avevano levato la voce per proteggerlo, si erano messi tra lui e la morte, quando avevano potuto, per quanto avevano potuto.
Stringe oggi la mano del suo secondogenito - la sua minuscola, minuscola mano di neonato - e Ginny gli sorride radiosa al di sopra delle lenzuola asettiche del San Mungo.
- E allora, signor Potter? - gli domanda lei, senza fiato. E' stato un parto molto lungo, molto faticoso, ma quel che ne è uscito fuori è stato questo cosino sporco e appiccicoso, con un ciuffo di capelli nerissimi incollati alla sommità della testa tonda e gli occhi grandi, enormi, ancora senza colore. - Come lo chiamiamo, questo? -
E' stupendo. Il cosino è stupendo.
- Severus. - risponde Harry dopo un attimo. Il neonato gli serra il dito nel suo minuscolo, minuscolo pugno, ed Harry vorrebbe chinarsi e promettergli che andrà tutto bene, che la sua vita sarà meravigliosa. Che avrà una vita come la vita dovrebbe essere - anni da bambino - e che ci penserà, lui, Harry. Che si prenderà cura di lui. - Chiamiamolo Severus. -
Non importa se sarà Albus Severus, poi. Non importa. Avrà gli occhi verdi.
, pensa mentre lo tiene in braccio, un miliardo di volte sì.






Note: Questa storia ha partecipato al concorso Tropes &Clichés Contest indetto da Sisya-chan con i prompt 5+1, childhood (infanzia) e parenthood (essere genitori), classificandosi quarta.

Non sono molto soddisfatta di quel che è venuto fuori, ma devo dire che sono stata felice di scriverla. Preparatevi ad un'ondata di depressissime storie sull'infanzia di Harry, che siano what if...? o meno, perché tra una traduzione e l'altra ho preso l'entusiasmo e ne sto sfornando che sembrano panini. Questa era la prima.

Si ringrazia la giudiciA per la rapidità nei giudizi e l'interessantissimo concorso. I miei complimenti a tutte le partecipanti e in particolar modo alle tre podiste: nell'ordine Yu_Kanda (Frammenti di Visione), Fe85 (Le Due Colonie) e emychan (L'ultima battaglia). I giudizi potete trovarli qui!

Come sempre, le opinioni (soprattutto se graficamente espresse) sono accolte con stuoli di petali di fiori: e, se la storia v'è piaciuta, potrebbero dare alla mia grafomania quel tantino di spintarella in più per sfornare altro.
  
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