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Autore: niebo    03/04/2011    3 recensioni
Ok...
Ormai è passato più di un mese da quando ho scritto questa storia.
E fino ad ora non l'ho pubblicata perchè non trovavo un'introduzione adatta.
Un'introduzione che potesse esprimere con giustizia la storia di due vite indissolubilmente legate allo scorrere del tempo.
La storia dell'incessante alternarsi del giorno e della notte,quasi fosse una leggenda o una favola mitologica.
La storia di un affetto troppo grande per poter rimanere legato a delle catene.
Hikari.
Kurai.
Due vite.
Indissolubilmente legate ad un unico destino.
(...e un'introduzione che ancora non mi soddisfa pienamente XD)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hi to Yoru Hi to Yoru
- Il valzer dei girasoli -


Sto per raccontarvi una storia che, se non l’avessi sentita con le mie orecchie, avrei creduto io stesso fosse una leggenda. Una di quelle storie improbabili, inventate, impossibili,... troppo surreali per essere vere.
Ma invece non è così.
Questa non è una leggenda metropolitana, una leggenda medioevale o una leggenda fantastica.
Questa non è una leggenda.
Perché fu lui a raccontarmela.
E ricordo chiaramente ogni sua singola parola.
Perché questa storia fu la prima cosa che mi disse, ancor prima che io sapessi il suo nome, e lui sapesse il mio.
Perché per dire il suo nome avrebbero parlato le sue labbra.
Ma quando mi raccontò tutto questo...
...non ebbi alcun dubbio sul fatto che fosse il suo cuore a parlare.
Ricordo ancora la prima volta che lo vidi...
Queste furono le sue prime parole...

***



Il bosco ombroso e silenzioso si stava già tingendo di un dolce color pesca, dipinto a tratti dai raggi dell’ultimo sole. Il silenzio che aleggiava nell’aria era il contorno perfetto per quel tramonto così meraviglioso...
Era quasi intimorito dal rumore che facevano a terra i suoi stessi passi... non era ancora abituato a quell’atmosfera così sognante e fuori dal mondo.
Spostava le fronde, ad ogni suo passo, nel tentativo di trovare ciò che stava cercando. Ciò che aveva il dovere di cercare.
D’un tratto ebbe quasi paura di non trovarlo in tempo, e che lo avrebbero punito per questo suo ritardo. Ma fortunatamente qualcuno lo aiutò. Dopo aver scostato una grossa foglia di fico con il dorso della mano, lo vide.
Era seduto a gambe incrociate sotto un enorme e vecchio baobab, che lo sovrastava da ogni lato, e che lo avvolgeva con l’ombra delle sue foglie.
Esitò un attimo alla sua vista.
La prima cosa che notò di lui fu il suo lungo kimono blu a orli neri, la cui seta ancora lucida veniva dolcemente ammorbidita dalla soave luce che lo circondava.
E poi vide i suoi capelli.
Lunghi, tanto lunghi, e splendidamente lisci e neri, neri come la pece. Gli ricadevano sulle spalle, e sembravano scivolare via, come la seta stessa del suo vestito.
Sul viso aveva dipinta un’espressione persa, forse un po’ vuota, mentre il suo sguardo era fisso in un punto che probabilmente esisteva solo nella sua mente...

Ricordo che a quel punto mi avvicinai a lui spazientito perché, nonostante la nobiltà e la compostezza che aleggiavano intorno alla sua persona, io non ero tipo da farmi intimorire. Ma, soprattutto, perché ero stanco di cercare, e i miei piedi scalzi gridavano di dolore che io mi fermassi o che, in alternativa, li amputassi e li lasciassi morire in pace...

“Sei tu Kurai?” chiese il giovane ragazzo, mettendosi di fronte allo sconosciuto, con le gambe divaricate e le mani spazientite sui fianchi.
Silenzio.
L’uomo avvolto dal kimono blu continuò a fissare il nulla, senza dare alcun segno di vita.
“Ti ho chiesto se sei tu Kurai...” ribadì il giovane, guardandolo dall’alto verso il basso.
I suoi lisci capelli biondi, raccolti con un nastrino azzurro in una lunga treccia, aleggiavano sottili nell’aria, mossi dal leggero vento della sera. Pochi ciuffi corti gli ricadevano sul viso, e a volte nascondevano i suoi vispi occhi color miele.
L’aria tiepida era diventata un impedimento anche al suo kimono azzurro e oro, lungo fino alle caviglie, con due spacchi ai lati della gambe, che salivano su fino ai fianchi, e che lasciavano intravedere le sue gambe snelle, seppur forti e agili.
Aspettò ancora qualche secondo, ma non ottenne comunque risposta.
Fu sul punto di rispondergli istintivamente male, innervosito, ma si trattenne. Sospirò, invece, lasciando ricadere entrambe le braccia lungo i fianchi.
“Beh, io vedo solo te qua attorno, quindi devi essere per forza tu Kurai...” disse sedendosi sotto il maestoso baobab, a fianco allo sconosciuto.
“Comunque io sono Hikari, il “portatore del giorno”...” si presentò poi, facendo il segno delle virgolette con le dita.
“Eheh, che nome importante, vero? Invece è fittizio e del tutto inutile... Aaaaah quante cose vane ci sono a questo mondo...” commentò Hikari intrecciando le mani dietro la testa e appoggiandosi al baobab, fingendo di riposarsi.
Silenzio.
L’unico suono rimaneva quello del vento, e l’impercettibile cinguettio di qualche uccellino, proveniente dal fondo del bosco...

Ogni tanto aprivo un occhio per sbirciare cosa stesse facendo Kurai, se si fosse mosso o se avesse cambiato posizione. Ma niente. Kurai era costantemente immobile, fermo a fissare il vuoto o chissà cosa... credo non mi avesse nemmeno degnato di uno sguardo. Beh, almeno... non fino a qualche secondo dopo. Non mi dimenticherò mai la prima parola che mi rivolse...

“Sdraiati.”
Quando Hikari riaprì gli occhi, quasi si prese un infarto a ritrovarsi di fronte Kurai, ritto in piedi, sui suoi sandali in legno di un’altezza spaventevole, e con una stazza degna di ogni rispetto. Poi quei lunghi capelli neri, beh... in un contesto del genere erano a dir poco terrificanti.
“Eh?” rispose Hikari preso alla sprovvista, chissà se più per il gigante che si ritrovava di fronte o per la parola appena pronunciata dal suddetto gigante che si ritrovava di fronte.
“Non mi ripeterò di nuovo.” disse allora Kurai, serio e laconico.
Hikari lo guardò, questa volta dal basso verso l’alto, e sbatté due volte gli occhi increduli.
Rimasero a fissarsi per qualche secondo.
In pratica, un’eternità.
“Ma IO...”
“Mettiti nella posizione che più ti aggrada.” lo interruppe Kurai ancor più severamente.
“Veramente...”
“Subito.” lo interruppe nuovamente.
Ad Hikari stavano per saltare i nervi. Non gli aveva rivolto una parola fino a pochi minuti prima, ed ora era arrivato lì, a comandarlo, credendosi chissà chi.
Noioso, scorbutico e pure despota.
Perché era dovuto capitare proprio lui?!
Doveva avere proprio il destino avverso se...
“Muoviti. E’ giunta l’ora che io ti...”
“Ma io non ho sonno!!!!!!” gli gridò in faccia Hikari alzandosi in fretta in piedi.
Kurai continuò a guardarlo impassibile, tenendo le braccia conserte sul petto.
La sua figura cominciò a diventare sempre più spaventosa, mentre le ombre della sera iniziavano ad avvolgere tutta la foresta.
“E’ la regola. A terra ora.”
Hikari sbuffò e si accovacciò lentamente a terra, come un cagnolino.
Inevitabilmente.
Era la regola.
Non poteva disubbidire.
Si distese e rimase a pancia in su, a guardare il cielo ormai diventato di un blu intenso.
Finché la vista non fu oscurata dal viso di Kurai.
“Chiudi gli occhi.” gli disse solo.
Hikari obbedì, e si irrigidì come un pezzo di legno.
Kurai lo osservò per un istante, e la prima cosa che notò furono le sue mani, strette forte in due pugni.
Abbassò lo sguardo sul giovane, che gli stava sdraiato di fronte, fermo, immobile.
Fu sul punto di avvicinare la mano al suo viso, ma la voce di Hikari la bloccò a mezz’aria.
“Sembra la scena di un film d’amore, non trovi?” gli disse sorridendo, ma tenendo sempre entrambi gli occhi chiusi.
Kurai lo fissò per un secondo, senza dir nulla, prima di appoggiare la propria mano sugli occhi di Hikari, spegnendo, così, il suo sorriso.

La prima volta che Kurai mi addormentò... Beh fu strano... Provai una sensazione indefinita, che non mi sarei mai più tolto. Forse era nata dal fatto che io dovessi dipendere da qualcuno, cosa che non ho mai tollerato.
Per questo ho sempre odiato il momento in cui lui doveva addormentarmi. Ad essere sincero, preferivo di gran lunga il risveglio...
Ma dovevo fare anche questo.
E’ il dogma.
“Quando il giorno vaga per il mondo, la notte riposa. Quando è invece la notte ad esser desta, sarà il giorno ad assopire.”
Ma ormai questo dovresti saperlo bene...


Quando Hikari riaprì gli occhi, scorse di sfuggita la mano di Kurai allontanarsi dal suo viso.
Si portò allora la mano sinistra sul volto, e si stropicciò un po’ prima di svegliarsi completamente. Era ancora sdraiato sotto il baobab, nella stessa posizione in cui si era addormentato la sera prima. O meglio. In cui l’aveva addormentato...
E allo stesso modo ora l’aveva svegliato.
Era così che funzionava.
Notte e giorno si svegliavano e addormentavano a vicenda, all’alba e al tramonto.
Anche se non l’avessero voluto, il corso delle loro vite era inevitabilmente legato l’uno con l’altro.
Sbadigliò, aprendo la bocca più che poté. Tirò indietro le spalle, per raddrizzarsi un po’. E infine si stiracchiò, allargando entrambe le braccia al cielo.
“Buon giorno Kurai...” disse mentre ancora si stava stiracchiando.
Divaricò entrambe le gambe e il kimono gli ricadde in mezzo ad esse.
Si grattò un po’ le cosce, scoperte.
Non si stupì del fatto che Kurai non gli rispondesse...
Ci fu però un’altra cosa, che lo sorprese.
Quando si voltò verso di lui, lo ritrovò nella stessa posizione del giorno prima. Era appoggiato al baobab, seduto a gambe incrociate, con il viso grave, gli occhi chiusi e le braccia intrecciate sul ventre, appoggiate sui polpacci.
Pareva in meditazione.
O forse lo era...
Hikari rimase a fissarlo per un attimo, interrogandosi su di lui.
Faticava decisamente a capirlo...
Senza nemmeno accorgersene, si ritrovò ad avvicinarsi a lui, per vederlo più da vicino. Arrivò addirittura fino al viso, e posizionò la propria testa sotto il suo collo, per osservarlo dal basso verso l’alto, come se fosse un reperto raro.
Ma Kurai non ebbe nemmeno una minima reazione.
Era immobile, come una statua.
Resosi conto di non ottenere nulla nemmeno in questa maniera, Hikari si alzò, e andò ad un albero vicino, per cogliere una mela.
La sua colazione.
“Aaaaah...” disse risedendosi sotto il baobab “Che bella giornata... non è vero Kurai?”
Ma Kurai rimase silenzioso, come suo solito.
“Vuoi una mela?” aggiunse poi porgendo la mela al compagno.
Rimase fermo così per un po’, con la mano sospesa in aria, ma Kurai non si degnò nemmeno di aprire gli occhi o voltare la testa.
“Come dici...? Stai seguendo una dieta povera di grassi? Ma le mele non fanno ingrassare, Kurai!!!” disse improvvisamente Hikari, fingendo che l’altro gli avesse dato una risposta.
“Nono, insisto eccome!!! Hai bisogno di mangiare sano!!! E no!!! Non fare complimenti!!! Cosa? Se ti do la mela non mi rivolgerai più la parola? Oh beh non sarà poi la fine del mondo...”
Afferrò allora la mela con entrambe le mani e, facendole roteare nei due sensi opposti, spaccò la mela a metà. Addentò poi una delle due parti in cui l’aveva divisa, e fece la sua colazione con gusto.
“Mmmm... Kurai... Non sai cosa ti perdi!!! E’ veramente squisita!!!” disse mettendo abbondante enfasi nelle proprie parole. Sembrava stesse facendo una campagna pubblicitaria...
Guardò di nuovo Kurai, con aria interrogativa. Provò a fargli passare il palmo della mano in su e in giù davanti agli occhi, per vedere se avrebbe avuto qualche reazione.
Nulla.
Alzò allora le spalle e appoggiò la restante metà della mela a terra, vicino a Kurai.
Poi si voltò dall’altra parte e continuò a mordere la propria metà, appoggiando il mento sul palmo dell’altra mano, pensieroso.
Kurai, al sentire il rumore di qualcosa appoggiato sul terreno, aprì gli occhi e guardò verso sinistra con la coda dell’occhio, senza però muoversi minimamente. Scorse la mezza mela, posta al suo fianco, e richiuse di nuovo gli occhi.
Hikari non si era accorto di nulla, in quanto ancora intento a mangiarsi la propria metà voltato dalla parte opposta. Era ancora assorto nei suoi pensieri, quando qualcosa lo risvegliò improvvisamente dal suo torpore...
“E’ ora.” disse improvvisamente la voce apatica di Kurai, senza batter ciglio né far movimento.
Hikari si ingozzò, preso alla sprovvista.
“E’ ora di che???” chiese ancora tossendo e mugugnando con la bocca piena.
“Dovresti saperlo.” commentò Kurai sempre tenendo gli occhi serrati.
Hikari si interrogò un secondo guardando in alto, con sguardo pensieroso.
“Ah già!”
Si alzò immediatamente in piedi, e si pulì le mani sul kimono dorato.
Poi si portò di fronte a Kurai, ancora seduto nella stessa posizione di prima.
“Sdraiati.” disse facendogli il verso e imitando la sua voce, seria e grave.
Nessuna reazione.
“Avanti!!! Ho detto di sdraiarti!!! Subito!!!” ribadì di nuovo, imitando ancora la voce del compagno.
“Addormentami.” gli rispose solamente Kurai.
“E’ quello che sto tentando di fare! Cos’è, sto per caso sbagliando le procedure? Mettiti nella posizione che più ti aggrada, io te lo ordino!!!!” esclamò agitando le mani in aria, come se fosse uno stregone...

Ahah, non so come Kurai potesse resistere a tutte le prese in giro che gli stavo facendo... Io probabilmente mi sarei alterato subito e mi sarei strangolato da solo. Lui invece riuscì comunque a rimanere impassibile anche di fronte a ciò, e questo mi stupì molto...La sua compostezza era incrollabile, faceva quasi spavento. Ciò che però mi sorprese maggiormente fu la sua richiesta successiva...

“Addormentami in questa maniera.”
Hikari lo guardò sbigottito.
“Seduto...?” chiese credendo di aver capito male.
Ma Kurai non fece obiezioni.
E questo stava a significare che era proprio quello, ciò che Kurai stesso aveva in mente.
Hikari sbottò.
“Nonono, non se ne parla!!!!! Non posso addormentarti finché sei seduto, mentre non ci sono potresti cadere di lato e sbattere la testa!!!! Poi la responsabilità sarebbe mia!!!!! NO Kurai, non se ne parla!!!!”
“Non mi muoverò da qui.”
Hikari lo guardò allibito.
Se non l’avesse addormentato entro qualche minuto, sarebbe arrivato tardi a svolgere il suo compito, e questo poteva significare solo una cosa...
Non ci volle pensare.
Sbuffò, arrendendosi all’inevitabile volere di Kurai, unica via di uscita.
“Eh va bene, va bene... ma sappi che se cadrai non avrò tempo di rimetterti a posto...”
Hikari si inginocchiò davanti a Kurai, pronto a coprirgli gli occhi con la propria mano.
Esitò un momento, però, prima di farlo, e si soffermò sul viso assente del compagno.
Tanto aveva gli occhi chiusi, non poteva vederl...
“Muoviti.” lo rimproverò Kurai, cogliendolo in flagrante.
Doveva aver qualcosa di molto simile a un sesto senso, visto che era riuscito a beccarlo con una tale facilità...
“Sì!!!” rispose Hikari risvegliandosi dalle proprie riflessioni.
Avvicinò allora la mano destra agli occhi di Kurai ma, a pochi centimetri da essi, scoppiò in una fragorosa risata.
“Ahahah, non ti sembra una situazione ridicola...? Io e te, inginocchiati uno di fronte all’altro, io che ti dovrei addormentare solo toccandoti gli occ...”
Improvvisamente Kurai afferrò spazientito la mano di Hikari e se la pose sugli occhi.
Non appena l’ebbe appoggiata, la sua mano ricadde a terra, come priva di vita.
Hikari rimase a guardarlo, inginocchiato di fronte a lui, sbalordito da quella reazione così istintiva...

... ma sai quale fu la cosa che più mi sorprese? Fu il fatto di vedere Kurai addormentato seduto perfettamente in equilibrio, senza il minimo cenno di cedimento. Non aveva la minima intenzione di accasciarsi, né verso destra, né verso sinistra. Pensai che doveva essersela studiata molto quella posizione per riuscire a mantenerla per tutto quel tempo... Poi me ne andai nella foresta, a risvegliare ogni essere vivente che incontravo sul mio cammino, come da mio compito. E quando ritornai al tramonto, lo trovai così, esattamente come l’avevo lasciato...

Quando Hikari tornò, nel momento in cui gli ultimi raggi di sole avvolgono quella terra lontana, si bloccò sul posto al vedere Kurai ancora immobile, seduto a gambe incrociate, come l’aveva lasciato. Gli corse allora incontro, e si inginocchiò subito di fronte a lui.
Lo guardò un secondo, prima di appoggiargli di nuovo il palmo della mano sugli occhi.
“Come hai fatto???” gli chiese non appena si fu risvegliato.
Kurai lo guardò per un secondo, silenzioso, e richiuse gli occhi.
“Aaaah ma cosa te lo chiedo a fare...? Tanto tu non mi rispondi...”
Vero.
Fu proprio così che andò.
Hikari guardò il sole calare lento, nell’alto del cielo che li sovrastava.
Chiuse gli occhi e sospirò, sorridendo, pervaso da un’infinita calma, mentre si lasciava attraversare dal tiepido calore di quei raggi, che gli tingevano il viso e la veste...

Avevo molte domande per la testa in quel momento, mentre ascoltavo il fioco soffio del vento e il lontano cinguettio degli ultimi uccellini, prima dell’arrivo della notte... Ma caso volle che diedi voce all’unica che, forse, sarebbe stato meglio tenessi per me...

“ Cosa stai aspettando, Kurai?” chiese Hikari, mordendosi la lingua un nanosecondo dopo.
Ma cosa gli era saltato in mente???
Era stato troppo avventato, non era proprio il caso di domandargli ora una cosa del genere!!!! Anche perché... Chi gli diceva che stesse davvero aspettando qualcosa? Magari era veramente uno a cui piaceva meditare...
Ma, ancor prima che potesse finire di rimproverarsi, successe qualcosa di inaspettato...

Kurai si voltò verso di me. Non mi disse nulla, ma era la prima volta che si voltava a guardarmi. Forse era anche la prima volta che mi guardava... Ricordo che il suo sguardo mi colpì, come una freccia. Non era uno sguardo severo, e nemmeno di rimprovero. Era il solito sguardo assente, che solitamente rivolgeva al nulla. Però mi stupì molto che si fosse voltato proprio in quel momento. Perché ciò stava a significare solo una cosa: che avevo colto nel segno...

Improvvisamente Kurai si alzò e si mosse piano, verso di lui.
Hikari pensò che probabilmente l’avrebbe pestato, per ciò che gli aveva appena chiesto.
Un schiaffo qua, uno schiaffo là, un calcio di qui, un calcio lì...
Beh, ma lui l’avrebbe affrontato a testa alta!!!
Hikari era una persona tenace, e nulla poteva abbatterlo...!!!!
“Stenditi.” gli disse invece Kurai.
Hikari lo fissò per un attimo, prima di realizzare ciò che Kurai volesse dire.
Decise però di sdraiarsi, senza aggiungere altro.
Per quella volta, pensò che sarebbe stato meglio non fare obiezioni.
Così Kurai si abbassò sopra di lui e lo addormentò, sfiorandogli con la mano gli occhi già chiusi.
Poi si rialzò in piedi, e si diresse verso la selva scura, mentre la sua ampia veste veniva accarezzata dal vento, via via sempre più insidioso. I suoi lunghi capelli neri erano scomposti, e a tratti gli coprivano il viso. Si allontanò dal grande baobab e, spostando i cespugli, si aprì la strada verso la foresta.
Ma, prima di andare a compiere il suo dovere, si voltò verso l’unico tra gli esseri viventi che già stava riposando, adagiato sotto il maestoso albero che si trovava alle sue spalle.

Le giornate passavano monotone, ogni giorno pareva uguale al precedente, e al successivo... Io, credendo che sarei impazzito da un momento all’altro, avevo iniziato a cercarmi qualcosa da fare, dato che Kurai non mi era di grande compagnia. Mi limitavo a svegliarlo e ad addormentarlo, e lui faceva lo stesso con me, senza bisogno che ci scambiassimo molte parole. Ci fu un giorno però in cui successe qualcosa, qualcosa che ruppe questa monotonia. Tuttora non so spiegarmi perché questo fatto accadde, e perché successe proprio quel giorno... Però ricordo bene che era l’alba e io, come tutte le mattine, stavo per mangiare la mia solita mela...

Hikari prese la sua mela rossa tra le mani, e la divise a metà come ogni giorno.
E una delle due la pose a fianco a Kurai, come faceva tutte le mattine dal primo giorno in cui si erano visti. Che lui ricordasse, però, non ne aveva mai toccata nemmeno una, quindi erano solo mezze mele sprecate e gettate poi a concimare il terreno. Oh beh, si dice sempre che sia il pensiero a contare...
Quella volta, però, non appena ebbe appoggiato la mela a fianco a lui, gli sentì dire:
“A volte gli errori costano tanto.”

Mi fermai a guardarlo stupito, non capendo a cosa si stesse riferendo. Solo col senno di poi, molto tempo dopo, compresi che probabilmente si stava riferendo alla mia domanda, quella sul cosa lui stesse aspettando. Tuttora non ne sono sicuro, ma è l’ipotesi che mi pare più probabile...

“Siamo noi a decidere quanto costi un errore...” gli rispose Hikari senza pensarci troppo e sorridendo tra sé, a testa bassa.
“L’unico ruolo che abbiamo in tutto questo è l’essere sommi padroni delle nostre scelte, e accettori delle loro conseguenze.” ribadì Kurai rimanendo sempre composto e impassibile, seduto a gambe incrociate e braccia conserte, come suo solito.
“Hai ragione. Ma ci sono diversi modi per fare tutto questo...”
“Di fronte a certe situazioni, è inutile reagire. Bisogna semplicemente assumersi le proprie responsabilità, non vivere di false illusioni.” lo interruppe Kurai con tono severo.
“Se anche solo una piccolissima speranza ti porta ad essere felice, non importa se sia vana o meno. L’importante è che tu sia felice...non credi?”

Non mi rispose mai a quella domanda... Rimase silenzioso, come suo solito, avvolto dai suoi dubbi e dai suoi pensieri.
Ma io non avevo bisogno di conferme. Credo fermamente in ciò che penso, lo credevo allora, e lo crederò sempre. Quella sera mi addormentai, pensando a quanto fosse bello il cielo durante il tramonto...


Il mattino seguente Kurai, dopo aver svegliato Hikari, mentre restava posato a gambe incrociate sotto il grande baobab, pareva più assorto del solito, tanto da far credere ad Hikari che si fosse riaddormentato.
Improvvisamente, però, qualcosa attirò la sua attenzione.
Aprì piano le palpebre, al sentire una musica dolce e soave, giungere alle proprie orecchie.
Si voltò un poco e vide Hikari suonare la foglia di un fiore. Lo guardò per un attimo, senza comprendere bene cosa stesse facendo.
Si stupì al vedere come Hikari sorridesse spensierato, mentre suonava ad occhi chiusi, tenendo la foglia tra le mani.
Lo guardò a lungo, cercando di comprenderlo.
Ma non ci riuscì.
Rimase solo affascinato dal suo sorriso.
Si risistemò, appoggiando le mani a terra, per sedersi meglio.
Al sentire quel movimento, Hikari aprì gli occhi, e si bloccò di colpo.
“Ah! Kurai! Sei sveglio!” gli disse sorridendogli felice.
Si fermò un secondo, ripensando velocemente a ciò che aveva appena detto.
“Oh caspita, scusami!!!!! E’ colpa mia, sono stato io a svegliarti!!!!! Mi sono messo a suonare e mi sono scordato...”
“Continua.” disse Kurai fermandolo prima che potesse finire di pronunciare la propria frase.
Hikari lo guardò, con aria interrogativa.
“Va bene.” rispose poi, sorridendogli dolcemente.

Suonai per tutta l’alba, mentre Kurai mi sedeva accanto, senza dir nulla. Ma fu bello comunque. La sua presenza non era più così lontana, e sentii come se in quel momento fosse davvero seduto al mio fianco... Poi lo addormentai e andai nella foresta, come di dovere. Ricordo che quel giorno raccolsi molti fiori... Ne avevo trovati di molti colori e belli, più del solito...

Quando Hikari ritornò, lo trovò ancora seduto, dormiente, come la prima volta in cui l’aveva visto. Solo che, ormai, la cosa non lo stupiva più.
Si avvicinò a lui e lo svegliò, con la sua mano.
Quando Kurai riaprì gli occhi, se lo ritrovò di fronte, inginocchiato, che lo squadrava, incuriosito.
“Ciao Kurai. Dormito bene?” gli chiese sorridendo.
Kurai non rispose e si limitò a guardarlo di rimando.
“Non ti offenderai, vero, se ti ho svegliato un poco prima? C’è un tramonto magnifico... Ti va di guardarlo insieme?”

A quella domanda mi aspettavo un no, ovviamente... Oppure uno dei suoi soliti silenzi... Invece mi stupì. Mi stupì molto ciò che mi disse...

“E’ inutile che ci provi, Hikari. Non riuscirai a trovare qualcosa che mi faccia apprezzare questa vita.”
C’era molta serietà nella sua voce, e molta apatia nel suo sguardo.
Hikari lo guardò, sorpreso.
Si aspettava tutto, tranne quella risposta.
E presto la sua espressione stupita si trasformò in uno sguardo triste, malinconico.
Lo contemplò a lungo, seduto accanto a sé, osservare il vuoto, mentre calava la notte.
Come faceva ogni giorno.

In quel momento non ci pensai due volte... feci la prima cosa che mi passò per la testa, e fu uno dei gesti più istintivi che credo di aver fatto fino ad oggi...

Kurai spalancò gli occhi, al sentire due braccia, avvinghiarsi attorno alla sua vita.
Abbassò lo sguardo e vide che Hikari lo stava abbracciando, stringendolo forte a sé.
“Qualunque sia la tua paura Kurai, qualunque sia la tua preoccupazione, io sarò sempre qui con te. Non ti abbandonerò mai. E’ una promessa.”
Kurai lo osservò, ancora stupito delle sue parole.
Il suo sguardo si addolcì, mentre ormai calava lieta la sera.
Lo circondò paternamente col suo braccio, mentre ancora si avvinghiava a lui serrando con forza gli occhi, e stringendo nei pugni i lembi del suo kimono color della notte. Avvicinò poi la propria mano al suo viso, e lo addormentò, mentre ancora si stringeva al suo petto, racchiuso tra le sue braccia...

Quando la mattina dopo Kurai mi svegliò, mi ritrovai adagiato tra le sue gambe, ancora incrociate nella sua posizione ordinaria. Aprii gli occhi, e vidi il suo sguardo vuoto fissare come al solito il punto da cui si entrava nella foresta, ma sempre come se stesse cercando qualcosa oltre quelle steppe. Allora mi alzai, ma non dissi nulla riguardo la sera prima. Quel ricordo sarebbe rimasto per sempre impresso nella mia mente, puro, così come l’avevo lasciato. Non c’era bisogno di rovinarlo con delle parole...

Una volta sveglio Hikari si stiracchiò, e balzò in piedi, come un leone.
“Si mangia!!!!” esclamò correndo a strappare la propria mela dall’albero come ogni mattina.
Poi tornò a sedersi, vicino a Kurai.
Divise la mela in due parti, e ne appoggiò una metà a fianco del compagno.
Poi si alzò in piedi e incominciò a gironzolare, addentando la sua mela.
“Ci ho riflettuto su, Kurai.” - disse improvvisamente - “E ho capito qual è il tuo problema. Tu sei troppo pessimista. O forse sono io ad esser  troppo ottimista... Ma sai Kurai, la verità è che a me basta la vista di questo cielo, delle piante, del sole che sorge e tramonta... i profumi dei fiori, il cinguettio degli uccelli e lo scroscio dell’acqua per essere felice. E’ tutto così meraviglioso...” disse guardandosi attorno e sorridendo, a ogni singola cosa che potevano scorgere i suoi occhi.
Tornò poi a sedersi vicino a Kurai, e gli si avvicinò, più di quanto aveva fatto finora.
“Sai, spesso mi domando dove sono nato... Tu non te lo sei mai chiesto, Kurai? Io spero di essere nato su una spiaggia, vicino all’oceano, in un caldo tramonto d’estate... Lo sogno tutte le notti. E’ bellissimo... Il rumore delle onde accompagna il mio cammino, e la sabbia tiepida mi scalda la punta insabbiata delle dita. Guardo il cielo e chiudo gli occhi, lasciando che il mio viso venga illuminato dai dolci raggi del sole... Non so se vedrò mai questo posto, Kurai. Ma lo spero tanto... E se non sono nato lì beh, spero almeno di poter morire lì un giorno... Nell’immensità di qualcosa che mi avvolga nella sua stretta, e mi sovrasti con la sua infinità... Questi pensieri, Kurai, non ti danno serenità? Il sole che ora sta sorgendo di fronte ai tuoi occhi non ti trasmette nulla?”
Kurai lo contemplò cercando di dare un significato alle sue parole.
“Questi pensieri non mi toccano.”  gli rispose poi laconico.
Hikari lo guardò un secondo, prima di scoppiare a ridere.
“Ho capito, ho capito!!! Sei duro come la roccia!!! Io e te non andremo mai d’accordo... vediamo le stesse cose da due punti di vista così lontani... Ehi, guarda!!!!” esclamò improvvisamente avvicinandosi a Kurai e indicandogli qualcosa con il dito.
Kurai cercò di seguire la direzione con lo sguardo, ma senza successo.
“Io non vedo nulla.”
“Aspettami qui allora!”
Hikari si allontanò un secondo e si avviò verso uno dei rami del grosso baobab.
Quando tornò da Kurai, aveva un pugno chiuso.
“Guarda!” gli disse allora aprendo il proprio pugno.
Nel palmo della mano aveva un bruco e una farfalla.
“Cosa stai tentando di dire?” chiese Kurai vedendo l’espressione sorridente di Hikari.
“La vedi questa farfalla?”
Kurai annuì.
“E lo vedi questo bruco?”
Annuì di nuovo.
“Cosa li accomuna?”
“Non saprei Hikari, non sono bravo in queste cose. Dimmelo tu.” rispose Kurai non comprendendo ancora dove volesse andare a parare.
“Ciò che il bruco chiama morte, la farfalla lo chiama vita.”

Guardai il bruco e la farfalla che tenevo in mano sbattere le ali e solleticarmi la pelle. Poi alzai lo sguardo verso Kurai e vidi una cosa che mai mi sarei aspettato di vedere. Kurai mi guardò...
E sorrise.


“Mi stai dando del bruco, Hikari?”  disse allora Kurai, sorridendogli, ma sempre con il suo solito tono di voce serio e composto.
“Beh in un certo senso sì... anche se non era questo il senso del mio discorso!” rispose Hikari sorridendogli a sua volta, divertito.
“E comunque non hai tutti i torti!!!!” - aggiunse poi alzandosi in piedi - “Sono sicuro che se tu potessi scegliere tra il vivere mille giorni da bruco e tre da farfalla, tu sceglieresti il bruco. Passeresti tutto il giorno a poltrire, mangiare foglie, a brucherellare qua e là e a grattarti la pancia!!! Grat grat grat!!!!” e si grattò la pancia ridendo ancora, divertito.
Anche Kurai sorrise tanto al vedere Hikari imitare un bruco, che si grattava la pancia.
“Io invece...” - aggiunse poi Hikari facendosi improvvisamente nostalgico in viso - “Sarei come questa farfalla. Preferirei vivere poco, ma poter volare e visitare tutti i posti che ho sempre sognato. Vedere l’oceano, il mare, le praterie... scappare e non tornare mai più. Sentirmi finalmente libero. Vivrei pochi giorni... ma morirei felice.”
Guardò il cielo, mentre un’ espressione malinconica iniziò a dipingersi sul suo volto.
Kurai si rattristò, al vederlo così.
 “Vorrei aiutarti, Hikari, ma non posso fare niente per te. Non bisogna interferire con la vita di un’altra persona.”
“Hai ragione ma... Io non sono affatto triste!!!!” esclamò Hikari voltandosi verso di lui e mostrandogli un sorriso raggiante.
“E poi guarda!!! Questa farfalla è dorata con i riflessi azzurri, proprio come il mio vestito!!! E’ la conferma che tu sei il bruco e io la farfalla!!!”
“Ma se io fossi quel bruco, dovrebbe essere del colore del mio kimono, cioè nero con i riflessi blu.” disse Kurai sorridendogli dolcemente.
Risero insieme quella mattina, e si divertirono come mai avevano fatto prima.
Anche il viso di Kurai si dipinse di un sorriso che ormai, sul suo volto, non si vedeva più da molto tempo...

Si stava già facendo tardi, ed era ora che io andassi a portare a termine il mio compito. Mi avvicinai a Kurai e lo addormentai, come sempre, da seduto. Quel giorno ero particolarmente spensierato, me lo ricordo bene... Girai la selva saltellando e ballando, e lo feci anche quando tornai da lui, al tramonto...

“Cosa stai facendo, Hikari?” chiese Kurai non appena ebbe riaperto gli occhi.
“Sto ballando, non vedi?” rispose Hikari mentre girava su sé stesso a piedi scalzi.
“Ma io non sento nessuna musica...” affermò Kurai, non sentendo alcun suono giungere alle sue orecchie.
“Come non senti nessuna musica...?” - disse Hikari fermando per un attimo i suoi giri - “Non senti il rumore dell’acqua, il soffio del vento, il cinguettio degli uccelli, le fronde degli alberi che si muovono...? Sono talmente tanti i suoni che ci circondano, da formare un’immensa orchestra!!!”
E gli sorrise.
Kurai lo guardò in maniera interrogativa, non capendo bene il significato di ciò che aveva appena detto. Gli pareva un po’ troppo surreale quel discorso...
Allora Hikari inarcò il sopracciglio e si avvicinò a lui, guardandolo dall’alto verso il basso e con le mani sui fianchi.
Poi si inginocchiò di fronte a lui, e gli levò i sandali.
Quindi gli prese entrambe le mani e lo fece alzare in piedi.
Kurai gli rivolse un altro sguardo interrogativo, ma sorridendogli al tempo stesso. Hikari allora gli sorrise di rimando, e gli fece un inchino.
Poi, prese le sue mani e iniziò a trascinarlo con sé, un passo dopo l’altro, mentre la luce del tramonto accarezzava i loro sguardi.
“Io non sono capace, Hikari...”  disse Kurai un po’ goffo e imbarazzato.
“Lasciati guidare da me e da ciò che senti.” gli rispose Hikari, sorridendo dolcemente del suo imbarazzo.

Ballammo insieme fino all’arrivo della sera... prima ci eravamo divertiti a correre e a girare tenendoci per mano, più che danzare, poi invece ballammo anche abbracciati l’uno all’altro... Kurai, non mi sembrava più quello spaventoso gigante che avevo visto la prima volta. Anche perché in fisico assomigliava a me più di quanto non mi aspettassi... Appoggiai la testa sulla sua spalla, chiudendo entrambi gli occhi e lasciandomi cullare dal suo abbraccio... Provai stessa sensazione che provavo quando vedevo l’oceano in sogno... quella sensazione di infinito che mi avvolgeva, e da cui non avrei più voluto fuggire... e capii che era inutile cercare la felicità in mondi lontani...
Quella sera...
Io avevo trovato il mio oceano...


Kurai sollevò Hikari con entrambe le braccia, e lo adagiò sotto il baobab.
Si era addormentato tra le sue braccia, stanco, probabilmente per tutta l’energia che, quel giorno, aveva particolarmente consumato.
Fu sul punto di addormentarlo appoggiando il palmo della propria mano sui suoi occhi, quando si accorse che Hikari stava stringendo forte i pugni. Non era la prima volta che Kurai lo notava...
Lo faceva sempre, ogni volta che doveva addormentarsi. E Kurai lo sapeva bene, già dal primo giorno in cui l’aveva visto...
“Non stai dormendo, vero?” disse a Hikari, già adagiato a terra.
“No...” rispose Hikari riaprendo gli occhi.
“Posso farti una domanda?” gli chiese allora Kurai.
“Certo...” ribatté Hikari rimettendosi a sedere.
“Perché quando ti addormento stringi sempre con forza i pugni?”
Hikari esitò un secondo al sentire quella domanda, inaspettata.
“Perché anch’io ho paura...” rispose semplicemente Hikari.
“Ho paura di rimanere solo. Ogni volta che mi addormento ho paura di ciò che troverò quando mi sveglierò, oppure ho paura di non risvegliarmi più e di perdere ciò che avevo... Tutti abbiamo le nostre paure, Kurai. Nemmeno io ne sono immune.” disse, e gli sorrise, con la sua solita dolcezza.
“Non devi aver paura.” – gli rispose allora Kurai -“Perché finche sarò io ad addormentarti, quando ti sveglierai, io sarò sempre al tuo fianco.”

Lo guardai, e, nonostante fossi molto stanco e le mie palpebre a fatica rimanessero aperte, gli sorrisi, al sentire quella frase pronunciata proprio dalla sua bocca. Lo abbracciai forte, prima che mi addormentasse, come ogni sera. La sua forte stretta e la sua stessa presenza mi facevano sentire così sicuro...
Quella fu la prima volta in cui mi addormentai senza provare timore... E fu una sensazione bellissima. L’idea di avere qualcuno che ti ama ad aspettarti quando ti svegli... Era il dono più grande che io avessi mai potuto ricevere...
Quando mi svegliai, la mattina seguente, Kurai era seduto a fianco a me nella sua abituale posizione, a fissare l’entrata per la foresta, come sempre... Gli posai a fianco la sua metà di mela, salutandolo con un “Buon giorno, Kurai!”, ma lui pareva molto più serio e riflessivo del solito. E di lì a pochi minuti, avrei anche capito il perché...


“Una volta c’era un’altra persona seduta lì, dove ora ci sei tu...”  iniziò a raccontare Kurai mentre fissava il solito punto, con lo sguardo perso nel vuoto.
“Ti assomigliava molto. Aveva dei lunghi capelli biondi e gli occhi celesti. E anche nel carattere eravate molto simili. Entrambi i vostri cuori erano come il sole di primavera. Noi ci amammo. E proprio qui, sotto questo albero, consumammo il nostro amore. Ma commettemmo un grave errore nel sottovalutare ciò che stavamo facendo. Amandoci all’alba e per una parte del giorno, andammo contro il dogma fondamentale che regola lo scorrere del tempo. Quando lo scoprirono, vennero qui. E lo portarono via. Mi offrii perché portassero via me al suo posto, ma non fu possibile, in quanto la colpa della negligenza ricadde su di lui, perché era stato lui a non aver portato a termine il suo dovere, nella prima parte del giorno. Lo presero con sé, e da quel giorno non lo rividi mai più.”

Ascoltai la sua storia, ammutolito. Quella storia che tanto avevo voluto sapere all’inizio, in quel momento avrei preferito non averla sentita. Perché era una storia di dolore e sofferenza , che mi fece capire perché Kurai fosse così negativo nei confronti di tutto ciò che lo circondava. Perché aveva perso il suo amore più grande... Ma nonostante tutta la sua negatività, non aveva mai perso la speranza. Non l’avrebbe mai ammesso, ma era ciò che dimostrava con il suo comportamento. Era questo il motivo per cui egli, infatti, passava tutti i giorni seduto sotto quel baobab, ad aspettare che lui facesse ritorno...

“Ma poi sei arrivato tu. Come un raggio di sole in un momento di tempesta. Mi hai ricordato chi ero, in cosa credevo, ma soprattutto mi hai ricordato cos’è l’amore. E di questo ti devo ringraziare. Però Hikari... io non posso amarti. Non voglio che anche a te succeda qualcosa. Non me lo perdonerei mai.”

Al sentire quelle parole, mi parve che il mondo improvvisamente diventasse completamente buio, vuoto e senza senso... Non poteva andare a finire così...

“Kurai non dire queste cose!!!!! Noi staremo attenti e non ci succederà nulla!!!!!” gli gridò Hikari in risposta.
“E’ troppo rischioso, Hikari. Non possiamo commettere nemmeno il minimo errore.”
“E allora non sarà necessario consumare il nostro amore e ostentarlo al mondo!!!!!”
“Che senso ha un amore fatto solo di parole, tra due persone che si vedono solo mezzora ogni giorno?! Non potremo mai essere felici così!!!!”
“Perché, tu ora sei felice? Rispondi Kurai, sei felice ora???”

Kurai non mi rispose... Ma, accortosi che ero sul punto di scoppiare in lacrime , mi avvicinò al suo petto e mi abbracciò forte. Poi sospirò e mi disse...

“Va bene, Hikari. Ci proveremo. Ci proveremo insieme.”

Decidemmo che un giorno avremmo unito i nostri corpi, al calar del sole, prima che arrivasse la notte, oppure all’alba all’inoltrare del giorno.
Non avevamo molto tempo, e per questo dovevamo stare molto attenti, ma era l’unico momento in cui questo poteva avvenire. Lasciammo che le cose corressero da sole, non volevamo forzare la mano, semplicemente non potevamo permetterci di concederci in ogni momento della giornata.
Quella sera Kurai tornò tardi e mi stupì la cosa, perché questo avrebbe avuto come conseguenza il passare meno tempo insieme... Ma non mi interrogai molto su ciò, poteva aver avuto un qualsiasi imprevisto...


“Ciao Kurai!” esclamò Hikari e, al vederlo arrivare, posò a terra la foglia che stava suonando, e gli corse incontro.
“Buonasera Hikari.” gli rispose Kurai sorridendo e stringendolo nel suo forte abbraccio.
“Sei in ritardo, lo sai?” domandò Hikari tirandogli un pugnetto sulla spalla.
“Lo so. Mi sono slogato una caviglia inciampando in una radice e, per tornare, ci ho impiegato molto più tempo del previsto.”
Hikari prese Kurai per mano e si sedettero sotto il maestoso baobab.
Si guardarono negli occhi, sorridendosi a vicenda. Poi d’improvviso Kurai afferrò il viso di Hikari e lo baciò, socchiudendo gli occhi. Hikari inizialmente rimase sorpreso, ma poi si lasciò subito andare alla sua stretta, e ricambiò quel bacio inaspettato. Mentre le loro lingue si accarezzavano dolcemente, lui accarezzò il viso di Kurai con la sua mano leggera, scostando dal suo viso i suoi lunghi capelli neri, che gli ricadevano sul petto nudo come alte cascate. E ogni tanto entrambi riaprivano gli occhi, per vedere se tutto quello stesse succedendo veramente, e si sorridevano, mentre i loro occhi si incontravano. Quelli dorati di Hikari si inabissavano nei profondi occhi neri di Kurai, che invece rimaneva sempre affascinato dalla dolcezza degli occhi di Hikari. Le dita delle loro mani si intrecciavano e si scioglievano, come sottili rami d’ albero. I loro leggeri kimoni si sciolsero nel loro abbraccio e ben presto si ritrovarono nudi entrambi. Kurai abbracciò Hikari e avvicinò la sua schiena al proprio petto. E, mentre gli baciava il collo, salendo su fino ad arrivare alla bocca, con le dita scendeva piano lungo la schiena di Hikari, quasi stesse contando lentamente ogni singola vertebra della sua schiena. E poi, quando entrambi si sentirono pronti perché ciò avvenisse, unirono i loro corpi, diventando così un unico corpo, nato dall’amore di due persone che, senza ostentazione né violenza, si dimostravano a vicenda il proprio affetto.
Continuarono a baciarsi e a toccarsi in una crescendo di passione, ma anche le fiamme più forti poi si spengono lentamente. Hikari si accovacciò contro il forte petto di Kurai, e assopì tra le sue braccia, mentre Kurai faceva dolcemente passare le proprie dita tra i suoi lunghi capelli dorati.
Ma la notte era già arrivata da tempo.
Kurai accasciò dolcemente Hikari a terra e, dopo averlo fatto addormentare completamente, lo coprì, avvolgendolo con il suo kimono azzurro-dorato.
Si rivestì a sua volta, con il suo ampio kimono blu, color della notte. Quindi si inginocchiò su Hikari, e gli baciò la fronte, accarezzandogli dolcemente il viso con la mano.
“Abbi cura di te, Hikari.” gli disse prima di alzarsi nuovamente in piedi.
Di fronte a sé, ai lati dell’entrata della selva, vide due uomini vestiti con due lunghi kimoni verdi, molto scuri. Entrambi avevano i lunghi capelli legati dietro alla nuca e recavano in mano un arco.
“Eccomi.” disse Kurai al vedere che lo stavano aspettando.
I suoi scuri capelli volavano leggeri nell’aria, sollevati da una dolce brezza notturna.
Si avvicinò a loro, che lo presero ciascuno per un braccio e lo condussero nella foresta.
Nel silenzio immobile della notte, si udì solo il suono di alcune frecce fendere l’aria, e il tonfo sordo di qualcosa, che stramazzava a terra.

Non mi perdonai mai il fatto che stessi dormendo quella notte, ignaro del fatto che non avrei mai più rivisto Kurai in vita mia... E il giorno dopo... Il giorno dopo mi ritrovai completamente solo...

Il mattino seguente Hikari si svegliò di buon ora, come sempre, e si stiracchiò, come un gatto assonnato.
“Kurai...” disse rivestendosi e voltandosi verso il posto in cui il suo compagno stava sempre seduto ad aspettare.
Ma non vide nessuno.
“Kurai...?” chiamò un po’ più esitante.
Si alzò in piedi, iniziando a guardarsi attorno, pensando che Kurai si fosse nascosto dietro qualche albero.
Chiamò forte il suo nome, più e più volte. Girò attorno al tronco del grande baobab, ma non trovò nessuno.
Allora tornò nel posto dove solitamente stavano seduti, sperando che Kurai gli stesse facendo davvero uno scherzo, e che sarebbe comparso di fronte a lui da un momento all’altro.
Gli avrebbe sorriso.
E lo avrebbe stretto forte a sé, come faceva sempre...
Non fu così.
Ma, mentre Hikari cercava disperatamente Kurai nei pressi del posto dove solitamente sedevano entrambi, inciampò in qualcosa.
Abbassò lo sguardo, e il suo viso cominciò a rigarsi di copiose lacrime.
A terra, nei pressi del luogo in cui poco prima aveva dormito, una mezza mela si trovava vicino ai suoi piedi.
“Non devi aver paura. Perché finche sarò io ad addormentarti, quando ti sveglierai, io sarò sempre al tuo fianco.”
Hikari cadde in ginocchio e picchiò forte i pugni sul terreno, continuando a piangere ininterrottamente.
“PERCHE’ KURAI???? PERCHE’ MI HAI MENTITO???? DOVEVAMO MORIRE INSIEME, DOVEVAMO MORIRE INSIEME!!!!!!!”
E nel silenzio di quell’alba, tutta la selva era ammutolita.
Solo i singhiozzi e le grida del suo pianto risuonavano nell’aria, e come spine stracciavano il cielo.


***



La prima volta in cui lo vidi era seduto sotto un grosso baobab, a gambe incrociate, a guardare nella direzione del sentiero che conduceva alla foresta.
Aveva lo sguardo sciupato, gli occhi stanchi di chi non ha dormito tutta la notte o di chi si è consumato per il troppo pianto.
Ma, a dispetto di tutto, quando mi vide mi accolse subito con un sorriso.
E così iniziò a narrarmi la sua storia, mentre i nostri compiti si alternavano, alla prima luce e al tramonto, quasi fosse una favola della buona notte.
All’alba del terzo giorno da quando ci eravamo incontrati, finì di raccontarmela.
Quando l’ebbe conclusa, però, volli fargli una domanda:
“Maestro Hikari, ora lei sta seduto qui accovacciato come Kurai a guardare la selva perché sta aspettando il suo ritorno?”
Ricordo che mi sorrise dolcemente per la curiosità infantile che avevo dimostrato porgendogli quella domanda.

No, piccolo. Kurai era colui che aspettava, io sono quello che agisce. Non sono qui ad aspettare il suo ritorno, ma ogni giorno nella selva lo cerco incessantemente...

Questa fu l’ultima cosa che mi disse.
Quando al tramonto del terzo giorno mi risvegliai, non lo vidi più arrivare.
E non arrivò nemmeno nei giorni a venire.
Non so che fine abbia fatto, ma sono quasi certo che sia morto, stremato dall’incessante ricerca di Kurai. La sua morte aveva indebolito molto il suo fisico, anche se nell’animo era rimasto forte come allora. Ciò però non toglie che la sua forza di volontà potesse venire abbattuta dalla mancanza di forze...
Non lo rividi più.
E fui molto triste per questo.
Ricordo però che, dopo la notte trascorsa a compiere il mio compito, anche senza Hikari, ritornai al maestoso baobab, all’alba.
Lui non c’era...
Ma quello che vidi non lo dimenticherò mai.
Sotto a quel grosso albero, così maestoso e così possente, nel punto dove si erano sempre seduti Hikari e Kurai, c’erano due piccole farfalle accovacciate l’una vicino all’altra.
Una era dorata con i riflessi azzurri.
L’altra era nera... con i riflessi blu.
  
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