TI RENDI
CONTO DELL’IMPORTANZA DI UNA PERSONA SOLO DOPO AVERLA PERSA
Ti
rendi conto dell’importanza di una persona solo dopo averla persa.
Non
aveva mai creduto in quel detto.
Essere
solo fin da piccolo lo aveva fatto diventare molto selettivo sulle persone che
avrebbero contato veramente. Le persone, quelle importanti, le aveva sempre sapute
riconoscere ed apprezzare fin da subito.
C’era
la signorina Kaori dell’orfanotrofio. Gli voleva molto bene, e ricordava che quando
aveva otto anni si era follemente innamorato di lei.
Il
professor Kuno, il suo insegnante del liceo. Una persona
brillane e generosa; gli era stato vicino durante il suo percorso di studi. Più
che un mentore, per lui era stato quasi il padre che non aveva avuto. Non lo avrebbe
ringraziato mai abbastanza per il suo sostegno.
Motoki,
come non citare il primo, vero, il migliore amico che avesse mai avuto. Con lui
aveva riso, si era sfogato, aveva parlato di ragazze. Lui ci sarebbe sempre stato
ad aiutarlo.
Ed
infine c’era lei. Una ragazzina insolente e dispettosa.
Si
era reso conto di quanto fosse importante per lui solo quando aveva capito che
non l’avrebbe mai più rivista. Quando si era reso conto di amarla era ormai
troppo tardi.
La
loro ultima conversazione fu veramente orribile; non ricordava neanche cosa si
dissero, ma si era comportato come il solito bastardo senza cuore. E quando poi
lei se né andò aveva pensato che fosse una vera liberazione, ma mentiva.
Ogni
volta che andava alla sala giochi aspettava di sentire la sua voce e di vederla
comparire all’improvviso, ma niente, non l’avrebbe più rivista.
Dopo
un paio di settimane decise di non andare più al Crown.
Che
senso aveva ormai andare in quel posto?
Con
chi si sarebbe arrabbiato?
Chi
avrebbe preso in giro?
Si
rese subito conto che era solo per lei che andava in quel locale.
Per
sorbirsi le sue urla e i suoi spintoni.
Per
vederla.
Per
innamorarsi di lei.
Dio
quanto le mancava! E non l’avrebbe più rivista.
Diventò
un barbone nel suo stesso appartamento. Non usciva quasi mai, se non per
frequentare le lezioni universitarie, e diventò un vero fanatico del cibo a
domicilio. Il latte era scaduto da giorni, ma lo lasciava ammuffire nel frigo.
Ti
rendi conto dell’importanza di una persona solo dopo averla persa.
Mai
un detto era stato così azzeccato.
Che
cieco che era stato, troppo preso da se stesso, non si era accorto che lei era
quella più importante. Quella che gli dava la forza di farsi la barba, di
uscire di casa, che lo rendeva inconsciamente felice.
E
non l’avrebbe mai più rivista.
Quando
iniziò a fare uso di antidepressivi cominciò a sentire la voce di lei, quella
voce unica e cristallina. Baka Baka, lo chiamava col solito appellativo. Lo sapeva che
era solo nella sua mente, e molto probabilmente era causa dei farmaci, ma non
cercava di frenarla, e col passare del tempo aspettava sempre più impaziente
l’arrivo di quella voce sublime. Come se non bastasse, dopo un po’ iniziò
addirittura a vederla in giro per casa. Ok, stava proprio impazzendo, ma era
contento così.
Era
bello poterla vedere di nuovo, anche se era solo la sua immaginazione.
Baka! Con quella barba sembri ancora di più ad un Baka! Era proprio
lei, con quei modi sfacciati.
Dopo
un mese si fece per la prima volta la barba, e solo perché lo aveva detto lei,
neppure Motoki era riuscito a convincerlo nonostante le suppliche. Non aveva mai
avuto il coraggio di parlare apertamente a Motoki;
l’amico non aveva mai capito cosa gli stesse succedendo realmente, e tutt’ora
pensa che sia stata una fase triste della sua vita.
Baka! Non ti vergogni di stare tutto il giorno in pigiama? Era bastata
una voce inventata e un riflesso della sua mente a farlo precipitare nella
doccia. Non si mise il pigiama, ma indossò gli abiti che metteva di solito per
uscire di casa.
Adesso sì che ti riconosco Baka! Però scommetto che non sei capace
di prendermi.
Non
se lo fece ripetere due volte e fece uno scatto in avanti e con il braccio teso
cercò di afferrarla, ma toccò solo aria e lei si dissolse nel nulla.
Ha ha non è così facile, Baka! Era riapparsa
dietro di lui, voleva giocare.
Si
scaraventò su di lei ma quella si dissolse nuovamente tra le sue dita. Era così
frustrante.
Non ci siamo Baka, puoi fare di meglio. Sparì oltre
la porta d’ingresso.
Si
precipitò sul pianerottolo e la vide vicino alle scale. Sorrideva. Prendimi
Baka!
Corse
per le scale come un pazzo rischiando di cadere rovinosamente per ben due
volte, non credeva di possedere ancora tanta energia. Giunto al piano terra si
guardò intorno per cercarla e finalmente eccola oltre i vetri del portone
d’ingresso. Ci sei quasi Baka!
Uscì e si avvicinò sempre più. Lei restava ferma,
immobile, ed lui era pronto ad afferrarla al minimo movimento, ma lei non si
mosse.
Ce l’hai fatta Baka. Adesso sei pronto per dimenticarmi.
Ma non poteva dimenticarla, non avrebbe mai potuto
farlo.
Senza toccarla la vide svanire lentamente.
In quel momento capì che non era lei, ma se stesso.
Lui doveva riprendere in mano la sua vita, e la sua mente sapeva che solo lei
poteva dargli la forza di rimettersi in sesto ed uscire di casa.
Era una bella giornata di sole; decise di andare al
Crown.
Quando Motoki lo vide,
sembrava si trovasse di fronte ad un fantasma. Gli fece veramente bene parlare
con lui, era da tanto che non aveva una conversazione con qualcuno.
Pian piano stava andando avanti.
Ritornando a casa passò sotto quella che era la
casa di lei. Chissà cosa stava facendo nella nuova città.
Conoscendola era sicuro che si era fatta già tanti
nuovi amici e forse qualcun altro si stava innamorando di lei.
Era la persona più positiva e ottimista che
conoscesse, doveva prendere esempio da lei.
Era giunto il momento di smetterla di deprimersi e
di andare avanti.
Ognuno ha i suoi tempi, e a lui ci vollero
esattamente due mesi per giungere a quella riflessione e capire che era il
momento di voltare pagina.
Smise di prendere farmaci e le allucinazioni
divennero solo un dolce ricordo.
Credeva che col passare del tempo sarebbe stato più
facile sopportare la sua mancanza e dimenticarla, ma si sbagliava. Ma in fondo
non voleva farlo, anzi, spesso si ritrovava a passare per casa sua, oppure a
fare una partita al suo video game preferito, o a mangiare una mega coppa di
gelato, solo perché aveva voglia di pensare a lei. Custodiva tanti bei ricordi
e non li avrebbe cancellati per niente al mondo.
E
poi, un giorno come se niente fosse, se la ritrovò davanti. Era un sabato
pomeriggio ed una fermata al Crown era d’obbligo. Varcata la soglia due
lunghissimi codini biondi catturarono la sua attenzione. Era lei.
Dopo
poco più di un anno l’aveva finalmente rivista, e questa volta non era un’allucinazione!
La
tentazione di correre da lei e stringerla a sé era forte, ma si limitò ad
alzare la mano: Ciao! Gli mancava il
respiro.
Lei
gli sorrise, un sorriso dolce e allo stesso tempo triste.
Gli
andò in contro e lo abbracciò. Speravo di
incontrarti. Mi sei mancato tanto.
Era
ritornata. Suo padre aveva ottenuto un nuovo trasferimento a Tokyo. Era ritornata
e non se ne sarebbe più andata.
Era
felice.
Aveva
deciso che non poteva tenersi tutto dentro e così le parlò. Erano seduti ad una
panchina del parco mentre il sole si preparava a tramontare.
Le
raccontò dei due mesi dopo la sua partenza. Di come era stato male e di quanto
le mancasse.
Di
come in fondo le aveva sempre voluto bene anche se sembrava il contrario. Di come
era riuscito ad andare avanti e delle allucinazioni. Le disse tutto.
Le
disse che non c’era stato giorno in cui non avesse pensato a lei.
Le
disse che l’amava.
Le
aprì il suo cuore e poco importava se lei lo avesse deriso. Doveva dirglielo.
Fu
in quel momento che seppe cosa era successo.
Dopo
il trasferimento lei non era mai riuscita ad integrarsi nella nuova città, non
si era fatta neanche un amica. Usciva di casa solo per andare a scuola, e poi
non fece neanche più quello. Si era ammalata, mangiava poco ed era dimagrita
visibilmente. I suoi assunsero un insegnate privato affinché non restasse
indietro con gli studi. Quella che dapprima sembrava una semplice apatia,
divenne ben presto una forma depressiva. Era stata addirittura ricoverata in
ospedale per un po’ di tempo. Il suo male aveva un nome: nostalgia.
Le
mancava la sua città, la sua scuola, le sue amiche, e poi le mancava lui. Sì,
lui le era mancato più di ogni altra cosa.
La
guardò negli occhi e si rese conto che mentre lui aveva impiegato due mesi per
riprendersi, lei non si era ancora ripresa. Ognuno ha i suoi tempi. D’ora in poi starai meglio. Te lo prometto.
Lei
si strinse forte nel suo abbraccio e pianse. Era un pianto liberatorio,
finalmente poteva andare avanti con la sua vita e lasciarsi dietro quei mesi
bui.
Mentre
il tramonto segnava la chiusura di quel triste capitolo, lei alzò lo sguardo e ammirò
i suoi occhi. Ti rendi conto
dell’importanza di una persona solo dopo averla persa.
Lui
annuì. Mai un detto era stato così vero.
Fine
Ciao
a tutti …
Mentre
stavo lavorando all’ultimo capitolo di “quando la terra inizia a tremare” mi è
venuta in mente questa one-shot.
In
realtà l’avevo già in mente da un po’ di giorni (dopo aver visto una puntata di
Heidi, quella in cui sta male perché ha nostalgia delle sue montagne) … non ho
proprio potuto fare a meno di scriverla.
Chiedo
scusa a tutti per la mia assenza, sia come lettrice che come autore …….. presto
tornerò a seguire le fic e a scrivere con più
regolarità.
Un
bacio grande
Maria
^_^