Titolo: Fragments de Sang
Autore:
Nemeryal
Fandom: Axis Power Hetalia
Rating: Giallo
Genere: Slice of Life,
Drammatico
Avvertimenti: Missing Moments,
OneShot
Personaggi: Francis Bonnefoy/Francia, Arthur Kirkland/Inghilterra, OC!Lutèce “Le Piaf” Bonnefoy/Parigi,
OC!Gwendoline de Vichy/Repubblica di Vichy, Charles de Gaulle
Pairing: In teoria nessuno, ma non vi impedisco di cogliere trace di FrUk ^^
Trama: Sembra dormire. Adagiato sui gigli d’argento, pare addormentato, senza
un sogno a turbare la sua quiete. O forse, forse un sogno, sì, un sogno si
dispiega dietro le palpebre chiuse. Un sogno che non si può dire, ma che viene
svelato dall’angolo delle labbra, sollevate in un accenno di malizioso sorriso.
Arthur,
solo nella stanza, osserva in silenzio quelle labbra serafiche. (…)E’ il
sorriso tipico di Francis, quello. Quel tendersi impercettibile dei muscoli,
quelle labbra che si sollevano appena, creando un’esile grinza, una fossetta
tra la barba ispida, quel ghigno pieno di malizia che Arthur non ha mai potuto
sopportare.
Nemmeno
a Waterloo era riuscito a cancellargli quell’espressione da idiota!
Musica: Evenstar – The
Lord of the Rings Original Soundtrack
Dedica: a Silentsky
Note: Bene. Fra un’ora ho
l’esame di teoria di patente. Niente di meglio che scrivere un po’ per calmare
la tensione, no? Non ci sono note particolari, se non che è ovviamente,
questa..cosa..deve essere considerata “storica” in senso decisamente lato. E’
piuttosto romanzato.
However..La canzone è la Marsigliese,
Lutèce è l’antico nome di Parigi (Lutezia) e Francia mi ucciderà a breve per
quello che gli ho fatto. Dettagli insignificanti XD.
Il titolo starebbe a significare “Frammenti
di Sangue”. Ah! Per le (poche) frase in francese che ci sono, mi prostro ai
piedi di chi conosce la lingua un po’ più di me, e di segnalarmi nel caso ci
siano degli errori. Purtroppo è da cinque anni che non parlo/scrivo/leggo in
francese, quindi diciamo che mi ricordo poco o nulla XD
Buona lettura!
Wordcounter: 1672 (Titolo escluso)
Fragments
de Sang
{ Allons enfants de la Patrie}
Sembra dormire. Adagiato sui gigli
d’argento, pare addormentato, senza un sogno a turbare la sua quiete. O forse,
forse un sogno, sì, un sogno si dispiega dietro le palpebre chiuse. Un sogno
che non si può dire, ma che viene svelato dall’angolo delle labbra, sollevate
in un accenno di malizioso sorriso.
Arthur, solo nella stanza, osserva in
silenzio quelle labbra serafiche.
{Le jour de gloire est arrivé!}
Lutèce,
Lutèce, ma petit Lutèce, où es-tu?
Bambina
mia, mio piccolo passero, dove sei ora? Non ti trovo, non ti vedo nel grigio di
questa città. T’ho perduta nello scalpitare iracondo dei cavalli tedeschi, ti
ho lasciato la mano per un istante e sei svanita in un refolo di fumo.
Lutèce,
Lutèce, où es-tu?
{Contre nous de la tyrannie,}
E’ il sorriso tipico di Francis, quello.
Quel tendersi impercettibile dei muscoli, quelle labbra che si sollevano
appena, creando un’esile grinza, una fossetta tra la barba ispida, quel ghigno
pieno di malizia che Arthur non ha mai potuto sopportare.
Nemmeno a Waterloo era riuscito a cancellargli
quell’espressione da idiota!
Anche adesso continua a sorridere,
quel maledetto francese, con la testa languidamente poggiata sulla berretta
spiegazzata e stantia della Rivoluzione Francese ed un fiordaliso tra le dita.
{L'étendard sanglant est levé}
Aveva
visto il volto orrendo di Gwendoline, quell’aborto che Pètain sosteneva a gran
voce essere sua figlia. Figlia di Francia, Gwendoline? Ah! No, quell’essere
mostruoso dalla bocca storta, gli occhi sporgenti e i capelli sudaticci
appiccicati alle tempie, non era certo frutto del suo sangue e delle sue
lacrime!
Non
c’era Storia dietro le iridi fosche di Gwendoline, non un passato che fosse
legato a qualcosa di diverso dalle stagnanti acque termali.
No, la
Repubblica di Vichy non era sua figlia. E poi.. Repubblica! Quale menzogna si
nascondeva dietro quella bella facciata!
Potevano adornare quella testa deforme con fiocchetti e nastrini, ma
l’orrore di fondo sarebbe rimasto. Quella sua bruttezza era addirittura
grottesca, perché nata da una ammirazione malata e quegli occhi, sì, quegli
occhi azzurri, ma d’un azzurro spento che nulla aveva a che fare col cobalto
incandescente di Lutèce, quegli occhi lo dimostravano con tutto l’orrore di cui
erano capaci.
{L'étendard sanglant est levé}
C’era il ronzio della radio, prima.
Mozziconi di parole che crepitavano con voce stentorea fuori dall’apparecchio.
C’era, prima che Arthur la spegnesse con un gesto che sarebbe potuto sembrare
distaccato non fosse stato per la tensione delle dita e il viso contratto.
Quello che doveva essere un gesto semplice e rilassato si era trasformato in un
moto di stizza. Di stizza verso quell’idiota di Francis, che ancora dorme sui
gigli d’argento, col fiordaliso stretto al petto e i raggi del sole che tagliano
l’ombra della finestra intrecciandosi ai suoi capelli biondi.
{Entendez-vous dans les campagnes}
Continuavano
a galoppare, lontano, i soldati tedeschi.
Egli
seguitava ad arrancare, nel grigiore nebbioso delle strade; metteva un piede
davanti all’altro, inciampava su qualche calcinaccio e cadeva a terra senza un
gemito, senza un sospiro. Rimaneva qualche secondo bocconi, stringendo
qualcosa, forse solo aria, tra le dita tremanti, poi si faceva forza e
continuava a trascinarsi per la via.
Lontano
i soldati tedeschi seguitavano a galoppare.
{Mugir ces feroces soldats?}
Il sole si intreccia ai suoi capelli,
scivola lungo la fronte, così distesa
nonostante la situazione, scintilla appena sopra le ciglia, scivola lungo
le guance prima di baciargli le labbra, scendere lungo il collo e svanire con
uno sbuffo di pulviscolo dorato tra le pieghe dell’abito scuro.
{Ils viennent jusque dans vos bras}
Alzò
gli occhi e la vide, la piccola Lutèce, gemente in mezzo alla strada.
Le
corse incontro, con tutta la forza che ancora gli rimaneva nelle gambe,
ignorando i singulti strozzati dei muscoli e il bruciore che li percorreva.
Pensava solo a Lutèce, il suo piccolo passero dagli occhi di cobalto, alla sua
bambina, alla sua tenera rosa che ora si ripiegava su stessa, simile al fiore
che tenta di proteggersi dalla violenza della gelata coprendosi il volto coi
propri petali.
Le
prese le braccia, le baciò le mani, le disse Ma petit, ma lei continuava a piangere, scuotendo il capo, non voleva mostrarsi.
{Égorger vos fils, vos compagnes!}
Arthur non può smettere di fissare
quell’abito scuro. Il contrasto con l’argento dei gigli ed il candore del
fiordaliso lo fa quasi star male: gli provoca una sgradevole contrazione allo
stomaco, un fremere delle braccia e delle dita. Decide allora di affondare le
unghie nei palmi delle mani. Il tremore non cessa, ma almeno ha riacquistato un
po’ di autocontrollo..o almeno, così sembrerà a chiunque avrà l’ardire di
varcare quella soglia.
E Francis continua a dormire. Ora,
nota Arthur, non è più solo il bianco del fiordaliso o l’argento dei gigli a
dargli la nausea: il francese, sempre così ordinato, pulito fino alla
morbosità, ha del terriccio sotto le unghie.
Una poltiglia scura, tra il grigio ed
il marrone, che si incunea sotto la pelle, vi si abbarbica, vi cresce, la
infesta come un parassita. Ma non è solo quel terriccio a dargli la nausea. E’
anche il sangue.
{Aux
armes, citoyens}
Le
prese le braccia, le baciò le mani, le disse, Ma petit, ma lei continuava a piangere, scuotendo il
capo, non voleva mostrarsi.
Di
lontano rombavano gli zoccoli dei tedeschi, le loro urla scuotevano le vie,
laceravano il cielo.
-Ils m'ont pris- mormorò
Lutèce e tra le sue dita scivolavano le lacrime –Il’s m’ont pris-
Le
tenne le mani e con gentilezza le sollevò. Lei non opponeva più resistenza.
Fu
allora che la vide, scarlatta, ancora sanguinante, impressa a fuoco sulla fronte
della sua piccola Lutèce.
{Formez
vos bataillons}
C’è del sangue sotto le unghie. Non è
più rosso, non ha più quella tonalità accecante che tanto ricorda i colori
della bandiera francese: è un marrone violaceo, secco e molle. Non sembra
nemmeno sangue. Nemmeno Arthur sa dire cosa sia.
Sa solo che è un colore livido che
come un parassita si abbarbica alle lunghe dita di Francis. È un reticolo
violaceo che si cristallizza sulle nocche, sul dorso, fino ai polsi e da lì
scompare, inghiottito dall’abito scuro, per poi riapparire sulla piega rigida
del collo. Sembra quasi che il sangue non appartenga a quel maledetto francese,
mai ai gigli d’argento su cui è adagiato.
{Marchons,
marchons! (Marchez, marchez!)}
Scarlatta,
ancora sanguinante, impressa a fuoco sulla fronte della sua piccola Lutèce, la
svastica tedesca gli trafisse gli occhi.
Si alzò
di scatto e la sua bambina si ripiegò su stessa con un gemito; sentì il respiro
mozzarsi in gola, il cuore perdere un battito. La vista gli si appannò, gli
occhi si rivoltarono nelle orbite, mentre lo scalpitare demoniaco dei tedeschi
gli frantumava la mente e l’animo, le loro dita gelide gli squarciavano il
petto e gli strappavano il cuore dal costato, lo gettavano a terra, lo
schiacciavano tra le macerie di una Parigi ridotta in ginocchio.
Cadeva
Parigi e la Francia con lei.
{Qu'un
sang impur}
C’è il biondo dei capelli, il livore
del viso, l’argento dei gigli, il viola delle labbra, il pallore delle dita, il
blu dell’abito, il candore del fiordaliso. Non c’è sorriso, nessun accenno,
solo una bocca storta in un ultimo gemito, una macchia ancora fresca di sangue
all’altezza del cuore.
Arthur deve serrare la mascella e
chiudere gli occhi, combattere la nausea che lo sta travolgendo. Si porta una
mano al viso, a coprirsi la bocca, ma già le ginocchia gli cedono, il mondo, ai
lati delle palpebre, si scompone in miriadi di roteanti punti neri.
Sta per perdere la presa, il contatto
con ciò che lo circonda, quando sente dei passi fermarsi sulla soglia della
stanza; si volta e fissa con astio l’uomo dinanzi alla porta.
Ha i capelli tirati all’indietro, un
accenno di baffi, le labbra carnose e gli occhi dal taglio allungato: sta
rigido sulla soglia, impettito nel suo completo scuro, attende di essere
ricevuto. È un francese, ma di Francis non ha nulla, non le labbra ghignanti, non
lo sguardo malizioso, non le dita lunghe e flessuose che giocherellano con l’aria,
arricciandola con gesti delicati ed armonici, quasi non fosse aria ciò che
stanno toccando, ma l’increspatura fruttata di un vino pregiato. Non ha nulla
di Francis, se non il portamento.
Arthur si scosta dal corpo e fa cenno
a de Gaulle di entrare; questi annuisce e si fa avanti, pochi passi, poi si
ferma di nuovo, accanto al letto di gigli di Francia.
Gli occhi di de Gaulle sono foschi,
osserva Arthur, di chi ha visto il suo mondo, il suo cuore crollare, e tale è
stato il dolore da non avere nemmeno la forza di piangere. Non cova rabbia il
suo sguardo, solo..sembra aspettarsi di vedere la sua Nazione sollevarsi dall’argento
dei gigli, sciogliersi i muscoli delle braccia e sorridere con la solita
malizia, prima di calarsi la berretta rivoluzionaria sul capo e tornare a
Parigi per liberarla dal giogo tedesco.
Arthur vorrebbe ridere della sua
follia, delle sue sciocche speranze, ma sente di non riuscirci. Non aveva
pensato ad altro nelle ore precedenti, passate a vegliare quel corpo rigido,
adagiato sul letto argentato dei gigli, con un fiordaliso candido tra le dita. Un
corpo che sembra addormentato. Ma non lo è.
-La Francia- mormora de Gaulle e
nonostante il buon inglese Arthur non può fare a meno di notare la cadenza
molle delle sillabe, la erre
crepitante –Tornerà libera-
{Abreuve
nos sillons! }
Cadeva Parigi e la
Francia con lei.
Cadde Francis sul
terreno riarso, imputridito dal sangue francese. Tutto era grigio intorno a
lui, le strade, le case, la piccola Lutèce, il suo piccolo passero dagli occhi
di cobalto, l’intera Francia. Tutto era grigio.
Solo una tona
diversa, un filo di colore intenso e brillante: lo scarlatto bollente del
sangue.
Era a terra Francia e
Vichy teneva il capo deforme mollemente poggiato sulla spalla di Pètain e
sorrideva sghemba a Ludwig.
Non c’era colore a
Parigi, solo il nero delle uniformi.
Solo un rigagnolo
scarlatto che dal petto di Francis si perdeva nel grigiore nebbioso delle
strade.
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