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Autore: Quintessence    08/04/2011    8 recensioni
Il suicidio. La vita. La sproporzione dell'amore. Questi sono i miei temi, quali sono i tuoi?
~
Cosa è successo ad Alessandra, perché Matteo decise di non amarla, come questo la uccise e come il contorno cambiò all'improvviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Epilogo ~ Cosa è successo ad Alessandra

"Prendi nota: ammazzarlo alla fine dell'intervallo!"
"E su, calmati, in fondo è inutile fare così. Ti fai solo più male" -Federica prese la sua amica per un braccio e la tirò indietro. Alessandra però sembrava più che intenzionata a fare una di quelle cose stupide che solitamente la facevano piangere, alla fine. Si divincolò, e si diresse verso il tavolo da ping-pong posizionato al centro del corridoio della scuola, e puntò uno dei due ragazzi che stava giocando.
"Matteo!" -Gli stava puntando il dito contro, e poi si accorse che in effetti, non era più lì a giocare- "Ma ma... L'avevo visto un minuto fa!"
E un minuto fa, infatti, lui era lì. Ma non gli pareva vero di aver visto Alessandra. Di averla sentita gridare con rabbia contro di lui. Non aveva retto, aveva avuto paura di svenire, e perciò era scappato a gambe levate. Aveva attraversato tutto il cortile di corsa, intercettando una partita di calcetto e una di pallavolo, ma non si era fermato se non una volta arrivato al cancello. Lì si era aggrappato alle sbarre, cercando di non vomitare. Era al sicuro, era al sicuro da lei e dai suoi occhi blu. Non voleva vederli, non voleva doverli incrociare mai più. Respirò ma non gli riuscì molto bene; un singhiozzo strozzato fu tutto quello che esalò la sua bocca. Ingoiò la saliva. Aveva la gola completamente secca. Guardò l'orologio.
"Sono solo le 11!" -Esultò- "C'è intervallo"
Stava parlando da solo, e lo sapeva benissimo. Ma il suono della sua voce, l'idea di averla ancora gli dava sicurezza. Una gran bella sicurezza. Perciò continuò.
"Adesso prendo 8 in storia. Poi vado a mangiare, e lei mi urta, poi mi arrabbio, e poi..." -Poi torna piangendo in aula, e si butta. Non riuscì a pronunciarlo ad alta voce. Si aggrappò ancora alle sbarre azzurre del cancelletto. Prese altra aria, due o tre respiri profondi, e si passò una mano nei capelli sudati. Sentì la campana e si affrettò a rientrare a scuola. Non poteva cambiare le cose, si ripeté. Non poteva fare niente, niente di niente fino alle due e mezza, quando alessandra avrebbe... No, non doveva pensarci. Quel giorno le cose sarebbero andate diversamente da come le aveva conosciute. Da quel giorno avrebbe regalato felicità. Serrò gli occhi e i pugni, e si sedette al suo posto giusto in tempo per l'inizio della lezione. Gli occhi di Alessandra erano puntati su di lui, ma lui non li guardò nemmeno per un secondo.
*
4 in Storia. Ma tanto la stanchezza le impediva comunque di studiare. E i dolori al collo erano terribili. Poteva farlo solo da sdraiata. L'ultima volta, in effetti, la tempesta era arrivata di sorpresa. Alle sue spalle. Una spranga di ferro, si era detta. Invece no, era solo una borsa molto pesante.
Torniamo al 4 in Storia.
"Dai, non prendertela, ti rifarai presto. Poi la prof Giani ti stima, recupererai" -Tipico dei secchioni parlare così. 
"Facile parlare, per te che hai preso 9" -Alessandra si alzò e si allontanò da Giovanni per andare a guardare giù dalla finestra. Quella finestra. Sospirò. Quel bastone. Sospirò ancora. Quel tubo di metallo. Quel sangue rappreso. Per giorni. Non era potuta andare al pronto soccorso. Quanto tempo avrebbero impiegato i vermi a mangiarsi quella ferita sulla schiena...? Magari poteva evitare una morte così lenta. Si sporse dalla finestra. Forse poteva...
Matteo la tenne d'occhio scrupolosamente. Ecco, ecco, guarda sta cretina, ha già in mente il piano. Ma come si fa ad essere così drastici, che cavolo. Dannazione, perché non poteva solo parlarne e basta? Aveva perdonato Ilaria solo perché aveva già deciso da tempo?! O quello era solo il disperato tentativo di aggrapparsi alla vita? Oppure il desiderio che aveva espresso la tirava verso la finestra in modo irresistibile? Potevamo parlarne, almeno, pensò. Si sentì uno schifo. Non aveva mai accennato a una minima preoccupazione per lei, in quel periodo. Non si era mai alzato a difenderla. E ora? Faceva tutto l'innamorato? Bah. Forse Loretta aveva ragione, si disse, non la merito.
"Ale, andiamo a mangiare?" -Lei si scosse improvvisamente voltandosi verso Federica che agitava la mano. 
"Arrivo" -Ultimo sguardo. Quinto piano. Dovrebbe essere sufficiente. Uscì dalla classe soffocante.
Matteo si prese la testa fra le mani, non sapeva come fare! Non sapeva nulla! Tranne che non voleva rinunciare a lei, non voleva, no! A nessun costo.
*
La incontrò sulle scale, e si arrabbiò perché credeva che lei l'avesse urtato apposta anche se era casuale. La bocca aveva parlato da sola, aveva detto automaticamente quelle cattiverie anche se lui avrebbe voluto gridare ti amo. Ma fino alle due e trenta, niente modifiche. La vide scappare in lacrime, vide Federica alzare il medio nella sua direzione e poi inseguirla. Si toccò il cuore, giusto per assicurarsi che fosse ancora al suo posto; era tutto ok, batteva ancora per fortuna. Non sapeva per quanto avrebbe continuato. Guardò l'orologio: le 14 e 25. Ci siamo quasi. 
La sentì parlare sulle scale sotto di lui, incapace di muoversi oltre. Si sentiva un bamboccio di latta telecomandato, ed era così in quel momento. Se nessuno gli avesse dato un input, non sarebbe mai partito da solo. Non poteva cambiare niente, e non solo perché non voleva... Perché era impossibilitato. Doveva ripetere ogni gesto fino alle 14 e 30. Sospirò, gli girava la testa. Sentì qualche parola inframezzata da singhiozzi.
"Lo odio... Lo odio... Perché non posso essere come mi vorrebbe... Perché ho fatto quel... Quella... cosa... Perché non può accettarlo? Perché non posso dirglielo?" -Federica le accarezzò la testa dolcemente, cullandola. Matteo capì invece: dirgli del suo desiderio! Dirgli che doveva ammazzarsi per regalargli la vita perfetta. Capiva un bel po' di cose in più, in quel contesto. Restò fermo ancora, ogni muscolo teso all'ascolto di Alessandra. Arrivò la voce di Federica invece.
"Sii paziente. Si accorgerà prima o poi. L'amore che provi e quello che hai fatto non può non essere ripagato" -Le disse guardandole le lacrime. Era vero, pensò Matteo, non poteva non essere ripagato. Ma lei deve ancora pagare il suo desiderio. 
"Federica, sono ancora io ad essere in debito"
Matteo gelò.
*
La verità lo svegliò tre minuti dopo come una secchiata di acqua fredda. Erano le 14 e 28, e questo voleva dire che lei era in classe. E stava per. Tornò in classe salendo le scale quattro a quattro. 
Alessandra tornò in classe con le occhiaie del pianto e gli occhi arrossati. Rivide quella finestra. Questa volta, salì sul davanzale. Pensò che non poteva davvero tornare a casa con  un altro 4, né senza un conforto. Non poteva tornare da sua madre, l'avrebbe uccisa lei prima della finestra. Con una sbarra di ferro. Con una borsa. Con la scopa. Con il tubo dell'aspirapolvere. L'avrebbe inseguita. L'avrebbe presa. Si guardò i lividi. Pensò al sangue rappreso. Pensò a Matteo, poi li coprì con le maniche del maglione. Si mise in piedi sul davanzale, guardando la classe. Una lacrima silenziosa le solcò il viso. La ingoiò, era salata. Si era sempre convinta che le lacrime nascessero dolci, e diventassero salate solo sul viso.
"Basta..." -disse, e sospirò.
"Ale, no!"
"Non fare idiozie"
"Noi ti vogliamo bene" -Lei sorrise un pochino.
"Non basta più".
E in quel preciso istante, Matteo aprì la porta, con i suoi bellissimi occhi cerulei e l'aria un po' strafottente che tutti avevano sempre ammirato. Con una mano in tasca, usò l'altra per sistemarsi i capelli. Aveva il fiatone, e Alessandra non capì il perché; ma immaginò che avesse corso, e forse aveva corso per lei. Sorrise. Matteo la fissò.
"Ti butti?" -Chiese con una strana luce negli occhi.
"Sì..." -Rispose lei con coscienza. Con calma, e risolutezza. Con precisione. Con la precisione che l'aveva caratterizzata in ogni momento della sua vita.
Lui la guardò, in piedi sul davanzale. 
Il sole giocava con i suoi capelli, lasciando che l'oro li avvolgesse, e le accarezzasse il volto. Era bella come non aveva visto mai niente di così bello, e luminosa come non aveva mai visto niente di così luminoso. Dietro di lei il cielo era di un azzurro splendente, senza nemmeno una nuvola, e vista così sembrava un quadro. Uno di quelli tristi, perché occhi negli occhi si stavano fissando e lui vedeva il pianto di tutto quel tempo dentro i suoi. Uno di quelli tristi che però non ti stancheresti di guardare nemmeno in mille anni, perché ancora ti emoziona dopo una vita. Che fa parte di te. Era bella, e Matteo si rese conto in quei pochi secondi che lo separavano dalle due e ventinove che non aveva nessun potere reale su di Lei.
Che se lei avesse voluto volare giù, lo avrebbe fatto e lui non l'avrebbe salvata. Non ci sarebbe riuscito. Che in quella manciata di secondi che sembravano biglie lei stava rinunciando a lui, proprio perché lui aveva accettato le condizioni di Loretta. Ma lui non aveva rinunciato a lei. Sentiva i secondi battere il tempo, ancora poco. Ancora quaranta secondi o poco più per salvarle la vita, e poi rinunciare al suo amore per sempre. Aveva ancora gli occhi piantati nei suoi, iniettati di rosso, e un sorriso lieve gli incurvava le labbra. Perché bearsi della sua vista era più di quanto avesse potuto chiedere, vederla ancora una volta, almeno una, almeno toccarla l'ultima volta, almeno dirle che tutto sarebbe andato bene, da quel momento in poi, perché Lui l'avrebbe protetta, non importava da cosa. Si sarebbe alzato in classe a difenderla dalle angherie, l'avrebbe accompagnata alle feste, l'avrebbe invitata a casa sua e l'avrebbe fatta salire, avrebbe messo il suo corpo fra lei e sua madre. Non si sarebbe vergognato di gridare brava, e avrebbe portato folle di gente urlante ai suoi concerti. L'avrebbe baciata mille volte, se fosse potuto tornare indietro alla sera del concerto, le avrebbe schiuso le labbra e accarezzato i capelli, e l'avrebbe portata a casa con gentilezza, tenendole la mano. Era più di quanto avesse mai potuto desiderare, vederla ancora e immaginare di poterla vedere ancora. Vederla felice, vederla vivere in pace, vederla innamorarsi, e baciare un altro...
Ma con che coraggio? Con che coraggio lo stava facendo? Con che coraggio stava uccidendo quello per cui lei aveva vissuto così tanto da morire? Con che coraggio stava ammazzando l'amore che lei provava per lui? Lei viveva per amare Matteo, e lui viveva per amare Alessandra. Con che coraggio stava arrogandosi il diritto di ammazzare due vite, pur salvandole entrambe? Chi gliela dava, quell'autorizzazione?
Venti secondi.
Gli sembrò di sentire la voce di Loretta, nella sua testa, "Rinuncia a lei, rinuncia a quello che non potrai più avere" -nauseante- "Rinuncia al suo corpo, allo spirito, rinuncia al suo amore. Rinuncia, rinuncia all'amore. Rinuncia" -nauseante- "Se bruci di passione allora vivi, invece devi dare una vita per salvare una vita. Devi essere morto dentro. Se urli adesso il tuo dolore, il tuo urlo finirà nel vuoto. Per salvare una vita devi rinunciare ad una vita, e allora devi essere muto. Piegati, rinuncia. Scompari, sparisci! Devi essere un sussurro di vento, un'onda di mare, un vuoto contenitore. Ecco come si salva una vita"
La sentì, quella voce. L'ascoltò. Ecco come si salva una vita. Regalandone un'altra. Sorrise, aveva ancora gli occhi fissi in quelli di Alessandra, e non l'aveva mai amata tanto. Anche lei abbozzò un sorriso, e in quel momento esatto lui seppe come sarebbe andata a finire.
"Io voglio bruciare di passione. Non posso chiudere la bocca, non posso essere muto. Io voglio amare"
"Non puoi amare e salvare. Ama, oppure rinuncia, accetta il silenzio"
"Ma io voglio gridare che l'amo, voglio che il mondo lo sappia!"
"Fallo sapere al mondo, allora, che lei non t'amerà mai più"
"Ma io voglio essere felice!"
"Soffri. Forse soffrendo troverai la salvezza..."
Ma Matteo stava già soffrendo. Come faceva a non vederlo? Dov'era questo ingiusto Dio? Non era bastato, tutto quello? Ma va bene, anche se non sentiva la sua sorda preghiera, avrebbe sofferto. Se questo era quello che desiderava, l'avrebbe accontentato. Avrebbe sofferto. Avrebbe continuato a guardarla in eterno. Osservarla cadere, afferrarla. Sarebbe rimasto lì, nell'ombra, alle sue spalle. L'avrebbe guardata per tutta la vita, e non avrebbe desiderato mai niente d'altro. I desideri sono un inganno e niente di più. Per realizzarli, paghi prezzi che non avresti immaginato. Ogni rimpianto viveva nella sua mente marchiato come il fuoco. Ricordare lo aveva fatto soffrire, e rinunciare in quel momento lo stava uccidendo. Era vero che non sarebbe morto nel corpo, ma in quei dieci secondi stava morendo nel cuore. Ah, ma no! Sarebbe rimasto a guardarla per sempre e il suo cuore sarebbe guarito. Non guarirà mai. Non lo farà mai. Strinse i pugni e sollevò la testa. Sarebbe stato innamorato per sempre, ma non solo. Sarebbe rimasto a guardarla per sempre. Non avrebbe rinunciato. Mai.
Saltò sul davanzale e l'afferrò nel momento in cui scattavano le due e mezza precise. La tirò verso di sé con forza. Lei lo guardò con gli occhi arrossati. Tirò su con il naso. Aveva ancora il dolore di tutti quegli episodi nell'anima, e Matteo lo vedeva. Le accarezzò il viso con dolcezza, e precipitò nel mare. Non gli interessava, questa volta, se non riusciva a respirare. Sarebbe morto volentieri così. Le spostò una ciocca di capelli biondi che le erano finiti in bocca dietro l'orecchio, nel gesto che voleva fare da una vita. Sfilò dalla tasca un fazzoletto e le pulì il viso bagnato. Non stavano così vicini da un po'. Dal concerto. Il cuore gli esplodeva in petto, Dio solo sapeva quanto desiderava stringerla. Ma doveva fare piano. Era fragile, e poteva rompersi. Poteva volare giù da un momento all'altro, erano in bilico in due su quel davanzale.
"Io ti amo" -Le disse sottovoce, vicino all'orecchio. Lei percepì solo un soffio, ma in qualche modo capì. Fece uno sbuffo a metà fra pianto e risata- "Forse".
Alessandra si portò le mani alla bocca, le lacrime ricominciarono a scendere, ma Matteo le asciugò una per una, senza fretta, senza perdersene nessuna. La abbracciò e la cullò finché lei, che sussultava ogni secondo, si calmò e il suo respiro tornò regolare.
"A-anche io ti amo" -Gli disse allora- "Sei venuto a salvarmi, non è vero?" -Matteo annuì.
"Me l'aveva detto, che saresti venuto. Per un attimo ho creduto... Ho creduto..." -Fu presa da un altro accesso di pianto; Matteo sapeva che appena fossero scesi da quel davanzale, quel momento si sarebbe spento. Che il suo amore si sarebbe spento nel secondo esatto in cui avessero toccato il pavimento della stanza. E allora, avvicinò un poco il viso e la baciò lentamente. Lei stava ancora piangendo, ma schiuse leggermente le labbra e lui sentì che era la cosa più giusta che potesse capitare in quel momento. Che non c'era mai stato nient'altro, che i loro corpi aderivano perfettamente. Almeno quello, almeno l'ultimo bacio non gliel'avrebbero rubato. Almeno a quello non avrebbe rinunciato. 
Chissà come, anche lei capì che era l'ultimo. Capì che l'sms non era stato uno scherzo, anche se forse l'aveva sempre saputo, e capì che la verità era davvero che lui l'amava, ma non avrebbe più potuto stare con lei. Allora gli portò le mani sul volto, e l'approfondì. E, Dio, se questa è la felicità forse lo sapeva, perché tutti la rincorrono. Se è questo l'amore, allora capiva perché aveva popolato tutti i suoi sogni più segreti. Capiva perché ne voleva ancora, e ancora. Capiva perché avrebbe dovuto farlo molto prima. Le due e mezza erano passate da almeno cinque minuti, e anche se la classe di sotto il davanzale gridava ogni parola, ogni sospiro, e "che romantico", per loro non c'era niente. Solo la luce. Alla fine, si staccarono e lui le disse addio con gli occhi. L'abbracciò stretta, e anche lei lo strinse. Sì, si capirono in quell'istante esatto. Sorridevano tutti e due. Lui la prese per mano e fece un movimento, voltandosi verso la classe.
"Aspetta!" -Lui si girò e la guardò, interrogativo- "Io... Non ti ho detto una cosa" -Lui si fermò un secondo, tenendole la mano- "Beh, non ti ho detto di me... Sai così poco di me. Io avrei tanto voluto che fossi tu. Avrei tanto voluto aprirti il mio cuore..."
Allora lui l'abbracciò ancora, e la baciò di nuovo- "Non avere paura. Ci sarà tempo" -Ce ne sarebbe stato un sacco. Infinito, per amarla. Per ascoltarla. Per farsi aprire il cuore. Non voleva sapere altro. Sapeva che lei la pensava precisamente come lui, che aveva capito che quel bacio sarebbe stato l'ultimo e che non lo voleva. Non voleva scendere. Aveva la stessa paura di Matteo; allora la guidò lui. Tenendole la mano, si affiancò a lei. Guardarono verso la classe, tutti li guardavano. Mille facce anonime, duemila occhi vuoti. L'unica faccia che fosse mai valsa la pena di guardare, in quel posto, era alla sua destra. Federica le fece un segno di ok con il pollice, e le fece l'occhiolino. Alessandra la salutò con la mano, come si saluta un pubblico, sorridendo. Addio, sillabò.
E poi, Matteo e Alessandra si lasciarono andare all'indietro, e volarono dalla finestra del quinto piano della scuola, con le braccia aperte e le dita intrecciate. Nello schianto, qualcosa li unì in un abbraccio.


   
 
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