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Autore: Morea    14/04/2011    5 recensioni
Scorcio di un giorno ritratto -un giorno senza senso, troppo grigio per esser ricordato.
Vento incazzato, e inconsapevoli spettatori.
Lampi di musica, lampi d'amore.
Passi discordanti, ma con la stessa direzione.
Il mio biglietto, per te.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grigio, quattro.
Parole incomprensibili, per chi non sa.
Immagini legate e sincopate, momenti rapiti e stonati.
E un ti amo, intricato tra quei capelli scompigliati.





C'era il vento insistente di un giorno d'aprile a scompigliarle i capelli in un gorgo inestricabile.
C'erano passi ripetuti - un, due, un, due - a ticchettare sul selciato, spegnendosi nel caos di un traffico lento e rumoroso - un, due -, a smarrirsi in un giorno troppo grigio per esser ricordato - un, due.
C'era un freddo inusuale, anacronistico, fuori tempo e fuori luogo, ad accarezzarla subdolamente: lampi di brivido, pelle increspata, labbra strette, e quell'un due congelato, rapido ma non abbastanza da salvarla, da coprirla, da abbracciarla.
In un soffio di vento - un rivolo d'aria e un pezzo di carta alzato in un angolo, una lattina oscillante - l'un due ebbe un tre e un quattro.
Calcavano il marciapiede con un che di impreciso - un canto esagerato nelle sincopi e nelle partenze in levare, un concerto mal orchestrato, e note sbeccate, stonature impietose -,  si imitavano senza copiarsi, e il vento si ergeva a direttore inflessibile, eppur senza riuscire a modificare nemmeno una pausa.
Un, due  - tre -, un - quattro - due, un - tre - due.
Sorridevano, consapevoli.
Si bloccarono di fronte a un omino rosso - dal tema alle variazioni, un respiro per riprendersi, la concentrazione per ripartire.
«I capelli. »
Il vento, piuttosto incazzato per la sua esclusione da quell'esecuzione, giocò con una di quelle ciocche, arzigogolandola e lasciandola ricadere sulla spalla in un movimento quasi stizzito.
Lei riuscì a vedere solo un occhio divertito, un'ellisse appuntita alle estremità e quella sua iride screziata, e poi a sentire un tre, quattro caracollante, un allegro ma non troppo incomprensibile e bislacco.
Lo seguì inebriata.
Sparirono - un, tre, due, quattro - fagocitati da una via senza nome.
Eppure sapevano esattamente dove si trovassero: a una manciata di battute dal quarto ritornello, nell'eco ripetuta di qualche abbellimento accennato in un attimo. Un, quattro, due, un, tre, passi discordanti ma con la stessa direzione.
Si mossero le fronde di qualche albero, miagolò un gatto infastidito dalla pioggia che cominciava a scendere: quando divennero ombre, una vecchia seduta su uno sgabello li fissava ancora.
Quando lei si voltò di nuovo a guardare le macchine che passavano - scoprì di aver perso il conto, e ripartì da capo, un, due, tre, quattro - loro erano già lontani.
Chiuse gli occhi, cullata dai suoni di una volta, dal ricordo di mani sfiorate, di sorrisi rubati, di sguardi maliziosi: chiuse gli occhi e immaginò, mentre qualche stilla le bagnava il naso, facendole il solletico. Nell'eco di una risata lontana - quella di lei -, nell'abbozzo di una carezza silenziosa - le dita di lui -, se li figurò di nuovo, vividi come sagome colorate su uno sfondo troppo grigio per esser menzionato.
Riaprì gli occhi e non li trovò più.
Solo il vento sapeva ancora come individuarli, e fischiava incazzato per non esser riuscito a disturbarli in quell'un, quattro, tre, due, un, quattro che non riusciva a mettere in ordine.
Quattro, due, uno, tre.
Li sospinse in meandri nascosti, li schiaffeggiò mentre lo ignoravano, senza fare neppure caso al fastidio che causava loro.
Un, due - quattro, tre -, un, tre.
Ma in un incontro di labbra scolpito in quel freddo aprile - niente più numeri a scandire passi che non c'erano -, neppure il vento trovò qualcosa da ridire.
Un, tre.
Ripartirono, insieme.
Quattro, due.
Di quel grigio giorno di aprile, dopotutto, qualcosa poteva essere ricordato.

Un, due, tre, quattro.
  
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