Giochi di Ruolo > Secret Whispers GDR
Ricorda la storia  |      
Autore: Secret Whispers    14/04/2011    0 recensioni
Questa fanfiction è la prima classificata del contest Il terzo incomodo organizzato dal Secret Whispers GDR Forum.
"Era la prima persona in cui vedeva un così forte interesse per ciò che era e faceva lui.
Davvero aveva uno straordinario talento? Davvero valeva così tanto da renderlo un allievo degno dei quadri meravigliosi che vedeva esposti?
Voleva dirgli che sì, si il suo talento era tutto suo, completamente, ma invece si ritrovò a chiedere - come fai a sapere che.. - "
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La fiction che segue si è classificata prima al contest “Il Terzo Incomodo” indetto dal Secret Whispers nel mese di Marzo 2011.
L'autrice, Lle, ha acconsentito che la sua opera fosse esposta su questa pagina.

 

Goccia di Tempera

 Autore: Lle

Fandom: tratta dalla role “Ian x Kaito”

Raiting e avvertimenti: Giallo, one-shot

Genere: Yaoi

Scritta per: Secret Whisper Gdr Forum, contest “il terzo incomodo”

Nota dell’autrice:

Per chi conosce abbastanza la role: nessuna breve introduzione e nessuna informazione preliminare sui personaggi che appaiono, solo delle note conclusive che vi consiglio di tenervi appunto per la fine: lasciatevi semplicemente trascinare..

Per chi non segue la role: informazioni preliminari necessarie per comprendere la storia sono inserite in fondo alla stessa, vi prego di leggerle prima di iniziare.





 

 

La busta di plastica arancione, riempita a metà con i suoi pochi oggetti, era scompostamente appoggiata al muro azzurrino e lievemente consumato della camera.

L’aveva gettata lì lui stesso, senza metterci nessuna cura in quel gesto, come se le sue cose non avessero valore perché a sua volta si sentiva senza valore.

Vestito con una camicia bianca e un leggero maglioncino verde sopra, sembrava fissare il triste panorama fuori dalla finestra con scarsa attenzione.

In realtà non stava davvero guardando gli edifici intorno, né il giardinetto curato tutt’intorno alla struttura in cui si trovava: ciò che aveva catturato il suo interesse, se così poteva essere letto quel suo sguardo apatico ed assente, erano le gocce d’acqua che veloci andavano a battere sul vetro e scivolavano giù, lasciando una striscia bagnata, per poi morire sul davanzale.

Aveva cominciato a piovere forte quella stessa mattina verso le nove e non aveva più smesso.

Il cielo grigio, coperto di nuvole scure, non permetteva nemmeno ad un singolo raggio di sole di passare.

Lentamente alzò la mano e, come in ipnosi, l’appoggiò sul vetro a palmo aperto, le dita a ventaglio.

Immediata sensazione di freddo, di umido, come se attraverso quella superficie lucida potesse passare l’umidità che c’era fuori, attraversargli la pelle, i muscoli, i nervi; arrivargli alle ossa.

Ossa che ormai sentiva cave, come quelle degli uccelli.

Non c’era più niente in lui che potesse dirsi “pieno”, “completo”, “abbastanza”; solo terribile vuoto, senso di perdita, amarezza e tanta, troppa rabbia per poterla contenere tutta in un solo cuore.

Per anni la sua vita si era rivelata dannatamente lenta, gli avvenimenti si erano susseguiti con estrema calma; e poi ecco, nel giro di pochi mesi la proposta dell’asta d’arte più famosa della zona, i suoi quadri scelti per l’esposizione, il suo nome a caratteri cubitali nel pannello dietro di lui, un altro piccolo ma importantissimo passo per farsi conoscere al grande pubblico.

E proprio lì l’incontro che non sperava più di fare, l’uomo più importante della sua vita che tornava a farsi vivo dopo anni di silenzio: dio, ormai si era convinto fosse morto.

Ian Ghèvont.

Da lì tutto troppo rapido, tutto troppo veloce per non finirne risucchiato dentro.

Kaito Hokugawa che gli arrivava davanti, l’idol più famoso del momento che gli ordinava di non vendere i quadri di Ghèvont perché “erano tutti suoi”, poi la scoperta dell’indirizzo di Ian, la visita per assicurarsi che stesse bene, per proporgli una cena che mai più si sarebbe aspettato di sentir accettata.

E tutto sarebbe andato bene, sarebbe stato fantastico lo sapeva, avrebbe coronato ogni suo sogno, sarebbe tornato nel suo monolocale con lui, avrebbero fatto l’amore per la prima volta dopo tanti anni che l’aveva desiderato e… niente.

Niente di tutto quello perché il destino ancora una volta si era accanito sulla sua esistenza, mettendogli in un quel dannato ristorante proprio l’unica persona capace di far cambiare idea a Ian, capace di scuoterlo come mai era riuscito a fare lui in tutto il tempo trascorso con il suo Maestro: Kaito.

Quel ragazzino, ancora quel dannato mostro davanti agli occhi! Lui che glielo aveva portato di nuovo via, senza preoccuparsi nemmeno di chiedere scusa!!

Aveva perso la ragione, semplicemente. Lo aveva seguito in un vicolo, lo aveva aggredito; lui si era difeso, insieme erano crollati per la fatica e le ferite riportate.

La vicenda aveva avuto così una conclusione nel ricovero di entrambi, solo che Kaito era già stato dimesso e anche se Ian non glielo aveva detto apertamente, era sicuro ora fossero insieme.

Di scattò allontanò quella mano sul vetro per serrarla a pugno e sbatterla contro la finestra, in un gesto di violenta rabbia.

Socchiuse gli occhi.

Per fortuna era arrivato anche il suo turno di andarsene da quell’ospedale.

Sarebbe uscito da solo, senza nessuno ad aspettarlo, senza nessuno ad accompagnarlo a casa e a prendersi cura di lui.

Lo aspettava la sua piccola residenza in Revenoy Street, vuota e spoglia come il suo cuore.

Non ci sarebbe stato Ian con il suo modo burbero a chiedergli “tutto bene?”, un finto tono disinteressato che in realtà aveva sempre nascosto una profonda sensibilità.

Ian non era più tornato.

Anche se l’ultima volta gli aveva urlato SMETTILA! Smettila di prendermi per il culo!! E non venirci più, qui! Lasciami in pace!” per sentirsi poi rispondere che in realtà lui per Ian era importante, che non lo aveva dimenticato in tutto quel tempo passato senza frequentarsi, che non sarebbe mai successo, .. si era sentito così felice e così speranzoso da convincersi che sarebbe tornato ancora.

Gli si era accasciato contro in lacrime amare, una cantilena di “Ian.. Ian..” accorati e disperati che gli uscivano dallo stomaco e gli gettava contro insieme a tutta la sua frustrazione.

Lui se ne era andato con un mezzo sorriso così che la giornata era passata così serena e tranquilla come da anni non accadeva più; era riuscito anche a dormire per più di cinque ore senza fare né incubi né svegliarsi di soprassalto.

Ma che stupido. Avrebbe dovuto immaginare che quello era stato solo il suo modo di calmarlo, visto che gli era scattata una crisi di nervoso così forte da farlo tremare tutto, rendergli il volto paonazzo e gli occhi lucidi e spiritati.

Ancora una volta si era ritrovato incantato ed ingannato al tempo stesso dalle sue parole.

Ancora una volta si trovava solo.

“Signor Romero”.

La voce dell’infermiera lo fece girare, guardare alla porta.

“E’ pronto?”

Sospirò. “Quasi” rispose.

Lei annuì con un sorriso, poi richiuse la porta dietro di sé lasciandolo di nuovo solo in quella stanza che doveva lasciar libera.

Eppure non voleva uscire davvero: anche se era una stanza d’ospedale tetra e triste, con il letto scomodo e il tipico nauseante odore di disinfettante, era anche l’unico posto in cui Ian avrebbe potuto ritrovarlo dato che non conosceva l’indirizzo di casa sua né il numero di cellul..

Ma chi prendeva in giro, ancora ci credeva? Ian non sarebbe più tornato a cercarlo, mai più.

 

*

 

Tornò a fissare le goccioline sul vetro.

La pioggia gli ricordava sempre quel giorno di diciassette anni prima.

Se si sforzava, se chiudeva gli occhi, poteva sentire ancora le gocce di pioggia martellare sui vetri della casa e percepire ancora il profumo dell’arrosto a cucinare nel forno, la specialità di sua madre che cucinava raramente.

La sua famiglia era sempre stata povera, traevano la loro sopravvivenza dai campi e dall’allevamento di mucche, conigli e galline.

Così una povera pennuta era stata sacrificata e quello significava solo una cosa: un ospite importante era atteso in casa Romero.

Suo padre era stato molto vago a riguardo, così quello non aveva fatto altro che alimentare la sua curiosità.

Da anni non avevano più accolto nessuno in casa e i suoi genitori erano sempre così presi dal lavoro che non vantavano grandi amicizie, se non con gli altri contadini della zona.. allora chi è che stavano aspettando con così tanta trepidazione?

La risposta si rivelò essere un tizio dall’aspetto minaccioso, dall’altezza impressionante e dalla mole notevole: era l’uomo più alto e grosso che avesse mai visto e lo guardò piegare la testa per riuscire a passare dalla porta d’ingresso.

Nonostante il suo sguardo spaventoso, si ritrovò affascinato dalla sua figura.

C’era qualcosa in lui.. qualcosa che un ingenuo ragazzino di sedici anni come lui, nato e cresciuto in un ambiente rurale, in una famiglia contadina che non aveva mai potuto sostenere la sua educazione scolastica, non poteva davvero comprendere; tuttavia lo percepiva con un’intensità sconvolgente.

Si sentiva totalmente ammaliato, catturato, brividi lungo il collo e poi giù rapidi a percorrergli tutta la schiena, mentre l’uomo stringeva la mano di suo padre, poi quella di sua madre e infine gliela porgeva, aspettando che lui l’afferrasse e ricambiasse la stretta.

Lo fece e il cuore gli battè più forte nel sentire quanto era forte e calda.

“Mi chiamo Ian. Ian Ghèvont” si presentò e lui non riuscì a fare a meno di balbettare, il suo nome che si trasformava in un buffo “N..Ni..cola..” .

Ian aveva sorriso divertito, ma il secondo dopo si era già ritratto, la mano che scivolava via dalla propria, lui che tornava a parlare con suo padre e basta.

Per tutta la sera Ian non lo guardò mai, mentre lui invece, tremendamente imbarazzato ma non meno curioso ed emozionato, non fece nient’altro che quello soffermandosi prima a scrutargli gli occhi neri così profondi, così scuri, poi le mascelle virili e definite, la corta barba che gli circondava tutta la bocca e infine le sue labbra, sottili e piccole, nettamente in contrasto con il resto di lui che era enorme e possente.

Anche i suoi capelli erano particolari: sembrava che non avessero mai avuto il privilegio di incontrare una spazzola, così mossi da finire per arruffarsi e fargli assomigliare la testa ad un nido di cicogna.

Tutto sommato però avrebbe potuto giurare che fossero più morbidi di quanto apparivano e avrebbe voluto allungare la mano per assicurarsene; si trattenne dal farlo e non perché Ian era uno sconosciuto, quanto perché la rigida impostazione di sua madre imponeva una sberla rovescia ad ogni più piccola mancanza d’educazione.

Nella sua famiglia era sempre stata la mamma a tenere i pantaloni; papà invece era l’unica persona che sembrava veramente capirlo e che spesso rinunciava ai suoi bisogni pur di comprargli nuovi tubetti di tempere quando finiva i colori.

Gli era grato, lo amava: era sempre stata la persona più importante di tutta la sua vita.

Perciò fu veramente uno shock quando proprio Carlos a fine cena, dopo aver parlato con Ian del più e del meno senza mai soffermarsi su niente di troppo importante, esclamò durante il caffè “Nicola.. Da domani Ian Ghèvont sarà il tuo Maestro, andrai a vivere con lui ed apprenderai tutto ciò che lui vorrà insegnarti”.

Per poco non aveva sputato tutto il boccone della misera fettina di torta alle mele che sua madre aveva preparato e questo ovviamente gli guadagnò un leggero quanto doloroso schiaffo di lei sulla nuca.

“Mangia con la bocca chiusa!” aveva esclamato scocciata, come se la decisione di suo marito non fosse per niente sconvolgente né anomala.

Così scopriva che i suoi genitori erano d’accordo e che quella cena era stata tutta una messa in atto per fargli conoscere il suo “nuovo Maestro”.

Perchè quella decisione? Da quanto tempo tutto era stato organizzato alle sue spalle?! Perché non glielo avevano detto prima? Non avrebbe avuto diritto a saperlo fin dall’inizio?

Ma lui non era altro che il figlio ignorante di una coppia di contadini altrettanto ignorante che l’unico vizio che gli permetteva erano i dolciumi della signora Adelaide, proprietaria di un negozio di alimentari lì vicino; come poteva pretendere di essere veramente preso in considerazione?

Ian aveva ridacchiato a vedere la sua espressione sinceramente sgomenta.

“Vostro figlio non sembra molto d’accordo” aveva fatto notare con calma “forse è tutto troppo improvviso per lui”.

Carlos aveva annuito, ma poi aveva mormorato tranquillo “è un ragazzo in gamba, sono sicuro si abituerà in fretta alla novità”, completamente certo che quella fosse la grande occasione del figlio e che stesse facendo la cosa più giusta per lui.

Quando il signor Ian lo aveva incrociato appositamente per strada con l’intento di parlare con lui ed offrire delle lezioni gratis di pittura a suo figlio, quasi non ci aveva creduto.

Sul subito gli aveva domandato come sapeva dell’hobby di Nicola, ma soprattutto perché volesse insegnargli senza ricompensa.

Allora Ghèvont lo aveva invitato a vedere i suoi quadri, perché si convincesse che non fosse un truffatore, un tizio qualsiasi interessato al giovane ragazzo per insani scopi.

Nonostante non fosse completamente immune al fascino dei ragazzini, Ian a quell’epoca non aveva sul serio intenzione di far del male ad un poco più che bambino: aveva avuto altri allievi in precedenza e con nessuno c’era mai andato a letto.

Era certo quindi di poter resistere a qualsiasi giovane tentazione (solo anni più tardi avrebbe incontrato Norman capace di farlo cedere in tal nobile proposito..).

Il padre di Nicola era rimasto così affascinato da prendere seriamente in considerazione l’ipotesi, dandogli poi il benestare quando gli aveva spiegato che non erano i soldi ciò che gli interessava, ma la fama che avrebbe potuto ottenere insegnando ad un ragazzo dotato artisticamente come Nicola.

Insomma, il pagamento sarebbe stato vedere il ragazzo diventare poi un artista di fama internazionale sotto la sua educazione.

Carlos ne aveva parlato con la moglie Maria e lei, che in fondo non aveva mai avuto molto istinto materno né un grande interesse per le vicende del figlio, aveva accettato senza indugio: quello significava solo avere una bocca in meno da sfamare.

Nicola infatti sarebbe stato accolto in casa di Ian che avrebbe provveduto al suo mantenimento vendendo i quadri che egli stesso avrebbe dipinto sotto le sue indicazioni.

Ma il ragazzino in tutto quello non poteva vedere altro che un “tradimento” del padre e la rinnovata conferma che sua madre amava di più le mucche che suo figlio.

Pieno di rammarico era stato così costretto ad accettare, ma tutto sommato ne era felice: se suo padre era arrivato a “venderlo” allora allontanarsi da quella dannata casa non poteva essere altro che una manna per lui.

 

Due giorni dopo si era già trasferito in quello che probabilmente tempo addietro era stato un capiente garage e che Ian aveva invece diviso in due ed arredato con pochi mobili: la prima mini stanzetta era la sua residenza in tutto e per tutto, più piccola persino della camera di Nicola nella sua ormai ex casetta di campagna e dove, apprese, avrebbe dormito anche lui; immaginò per terra visto che non c’era spazio sufficiente per un altro letto, ma lui gli indicò che sarebbe stato proprio “quell’unico letto” il suo, visto che lui passava le notti sul divano.

Ghèvont quindi non era certo il distinto insegnante che si era immaginato a cena, ma solo il poveraccio che era apparso essere.

Che cosa poteva insegnargli dunque? Non italiano, non matematica, non storia né geografia. Maestro di cosa?

La risposta gli arrivò folgorante quando lui lo condusse nella stanza adiacente, separata dalla principale solo con una larga porta scorrevole in policarbonato.

Quello era lo studio di Ian: lo studio di un.. pittore?.. di un vero pittore!

Quadri dovunque, per terra, sui cavalletti, appesi sui muri; alcuni completi, altri solo abbozzati, altri invece raschiati e cancellati, in attesa di nuove mani.

Odore di tempera ad olio, di solvente, di lucido, di altre sostanze chimiche che non aveva mai potuto comprare e di cui aveva sempre e solo potuto immaginarne la “fragranza”.

Fragranza, sì, perché per lui quel mondo dall’odore sgradevole era quanto di più profumato sulla terra!

“Sei un pittore!” aveva esclamato con gli occhi lucidi per l’emozione.

“Già.. era stata la sua risposta secca, come se fosse sempre stato sempre ovvio; del resto il suo aspetto trascurato e i suoi vestiti scialbi non potevano certo dare l’immagine di un professore universitario. E dunque che altro tipo di maestro se non un insegnante d’arte?

Nicola parve pensieroso, poi triste, poi di nuovo felice. Troppe emozioni in un unico colpo.

“Così papà mi ha mandato qui per..

“Per darti un futuro diverso dal suo, si. Rotondetto come sei probabilmente non ti ci vede proprio a fare il contadino!” e ridacchiò, facendolo imbarazzare e vergognare per quei dieci chili in più sulla pancetta che aveva messo a furia di mangiare caramelle e cioccolatini, il suo unico vizio e sfogo per la solitudine e la frustrazione di non essere veramente importante per nessuno.

“Che c’è, ti sei offeso?” gli aveva chiesto poi lui, avvicinandosi e piegandosi sulle gambe; già solo da mezzo rannicchiato Ian arrivava tranquillamente alla sua altezza.

Alzò gli occhi nei suoi neri che non aveva mai avuto così vicini prima di quel momento; iride e pupilla parevano un tutt’uno e così, di natura, il suo sguardo era sempre un tantino inquietante anche quando invece lui sorrideva.

“No..sussurrò.

Non era offeso, ma sperimentava per la prima volta la terribile sensazione di inadeguatezza davanti ad una persona a cui avrebbe voluto invece mostrare il meglio di sé.

Nonostante tutte le critiche di sua madre, le prese in giro degli altri bambini e i bisbigli dei vecchi, tutti a fargli notare quanto fosse grasso, come non facesse bene alla sua salute e quanto sarebbe stato difficile per lui trovare una fidanzatina se non si decideva a diventare più snello, nessuno era mai riuscito ad arrivargli così a fondo come la semplice quanto tranquilla battuta del suo nuovo Maestro.

Fin da subito lo aveva trovato affascinante ed ora che lo sapeva pittore, la stima e l’ammirazione erano cresciute di colpo, così tanto da rendere oro colato le sue parole.

“E’ un no poco convinto questo” continuò Ian, per poi alzarsi e fargli una leggera carezza sulla testa, scompigliandogli i capelli “non prendertela, dai, non era mia intenzione criticarti”.

Forse era anche vero, ma certo l’aspetto del suo Maestro non gli permetteva più di restare tranquillo e fare finta di niente sulla propria forma fisica.

In confronto a lui così alto, così virile, dalle spalle larghe, petto ampio, braccia robuste e gambe toniche non sembrava altro che una piccola damigiana di vino.

Nonostante l’aspetto da barbone infine, Ian Ghèvont doveva essere piuttosto giovane: sembrava più maturo della sua età ma la sua straordinaria forma fisica non rivelava che venticinque anni circa.

Non si sarebbe stupito nello scorgere un bellissimo volto dietro la sua barba e degli addominali scolpiti sotto il maglione bucato che portava.

“ A me non importa quanto sei magro o quanto sei grasso, a me interessa il tuo straordinario talento.. lo voglio:  deve essere mio”.

Lo guardò commosso, gli occhi che minacciavano di inumidirsi, la vergogna di farsi vedere in quello stato.

Era la prima persona in cui vedeva un così forte interesse per ciò che era e faceva lui.

Davvero aveva uno straordinario talento? Davvero valeva così tanto da renderlo un allievo degno dei quadri meravigliosi che vedeva esposti?

Voleva dirgli che sì, si il suo talento era tutto suo, completamente, ma invece si ritrovò a chiedere “ma come fai a sapere che..”.

Lui nel frattempo aveva recuperato una sigaretta dal pacchetto sul tavolino, l’aveva accesa e se l’era portata alla bocca, inspirando e mettendo su una faccia disgustata; sembrava che quel tabacco non gli piacesse molto ma che, a corto di soldi, non potesse permettersi una marca migliore.

“Mi è capitato di vederti dipingere mentre eri al pascolo con le tue mucche” sbuffò fuori insieme ad una nuvoletta grigia di fumo che si dissolse subito a contatto con l’aria “tuo padre mi ha poi confidato che hai sempre avuto l’abitudine di dipingere tutto ciò che vedi intorno a te..ridacchiò, assorto nei propri ricordi “anch’io ho iniziato così..”.

E così l’aveva scorto tra i campi, intento a fare l’unica cosa per cui era nato: dipingere.

Spesso infatti suo padre gli dava il compito di badare alle mucche al pascolo e lui lo faceva con entusiasmo perché così poteva trovare il tempo anche per dipingere la natura, gli alberi, le mucche stesse o anche solo un fiore così bello da meritare la sua attenzione.

Era vero che non era tagliato per fare il contadino: il suo corpo era troppo poco resistente per sopportare la fatica della zappa, della vanga, della semina e del raccolto.

Con le mucche invece aveva un buon rapporto: loro mangiavano tranquille, indisturbate mentre lui poteva essere libero di guardarsi intorno e riportare tutto su tela.

Ogni tanto la teneva sulle ginocchia, più spesso le issava su un rudimentale cavalletto che si era costruito con cinque pezzi di legno assemblati alla bene meglio con chiodi e martello.

Dipingeva, dipingeva per ore ed ore, perdendosi così tanto nei colori e nelle pennellate da dimenticare qualsiasi cosa; era ovvio quindi che non avesse potuto accorgersi di quell’uomo smarrito e senza benzina nell’auto che si era ritrovato a camminare in mezzo a stradine di campagna in cerca di una casa in cui avere acqua, informazioni e un telefono, visto che il cellulare non prendeva neppure una tacca.

Quello stesso uomo che era rimasto sorpreso nel vedere un ragazzino passare il suo tempo esattamente come aveva fatto lui da piccolo, per poi avvicinarsi il tanto basta da scorgere il suo dipinto che andava definendosi.

Prospettive inesatte e colori troppo smorzati, forse colpa della scarsa qualità delle tempere a sua disposizione; ma dio, le mucche sembravano vere, vive da tanto erano perfette. Così anche i fiorellini nell’erba, resi con una maestria che non avrebbe pensato di trovare in un ragazzino così giovane.

Ecco allora che, trovata poi la casa più vicina, aveva chiesto informazioni anche su quel “bambino un po’ cicciottello che dipinge le sue mucche”.

Lo conoscevano un po’ tutti Nicola Romero; non era stato difficile risalire al padre e poi incontrarlo mentre si recava ai campi, come ogni mattina.

La voce di Ian risvegliò entrambi da quei pensieri comuni in cui si erano persi, senza nemmeno saperlo.

“Mettiti comodo ora e sistema le tue cose dove trovi posto; l’armadietto vicino all’ingresso è vuoto, puoi usarlo per i vestiti. Già da domani inizierò a darti lezioni. Imparerai le prospettive, una cosa che non sai padroneggiare ancora: ci sono degli studi dietro che dovrai apprendere assolutamente. E poi le ombre, anche con quelle non hai abbastanza dimestichezza”.

Si interrupe solo per andare davanti ad una cassettiera, alla quale aveva appoggiato una fila di tele bianche ancora incellofanate, per aprire l’ultimo dei cassetti.

Tirò fuori tutti i libri che c’erano dentro e glieli portò davanti; d’istinto Nicola allungò le braccia così che lui potesse appoggiarglieli lungo gli avambracci.

Dagli già un’occhiata: questi sono i libri su cui studieremo insieme.

Alcuni sono di pura tecnica, altri invece sono libri d’arte; non esiste che un pittore non abbia idea di chi sia stato Botticelli, Van Gogh o Caravaggio!

Si, Botticelli lo aveva già sentito nominare, ma degli altri due non sapeva niente.

Non aveva mai potuto studiare nonostante l’avesse desiderato così tanto e pregato perché qualcuno potesse fargli da tutore: lassù qualcuno lo aveva udito!

Ora avrebbe appreso ogni cosa e non vedeva l’ora di iniziare! Non poteva ancora crederci..

“Certo Maestro!”

Ian parve soddisfatto e da quel momento in poi si ritirò in un silenzio quasi religioso.

Non ebbe coraggio di fare ulteriori domande o di interromperlo mentre si dedicava a pulire così affettuosamente i suoi pennelli quasi fossero amanti.

Semplicemente sistemò quei pochi oggetti che si era portato dietro con sé e poi passò il resto del giorno a sfogliare i libri di Ian che ai suoi occhi sapevano di magia.

 

*

 

Il trillo del campanello-chiamata di un paziente nella camera adiacente lo fece risvegliare da quel rapido flashback che gli era apparso nella mente.

Doveva andarsene dall’ospedale.

Quei fatti appartenevano a diciassette anni prima e non aveva senso star lì a rimuginarci ancora sopra.

A ripensare a come le lezioni erano iniziate, a come Ian fin da subito si era dimostrato un Maestro travolgente ma dannatamente puntiglioso (capace di fargli ripetere per undici volte come Giotto, Pisano e Talenti fossero riusciti, passo dopo passo, a creare il campanile adiacente alla cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze), a come lo emozionasse ed eccitasse sempre quando gli prendeva la mano che reggeva il pennello e gliela conduceva sopra alla tela, tracciando insieme a lui giochi di colore e ombre..

Finiva solo per soffrire ancora di più: un dannato masochistico gioco che prevedeva il continuo, lacerante strappo al suo cuore martoriato, ormai agonizzante.

L’unica volta che si era girato verso Ian che alle sue spalle gli teneva la mano salda così da spiegargli come trasformare un tratto sbagliato in uno corretto senza l’utilizzo del solvente, nel tentare di baciarlo sulle labbra lui si era ritratto di scatto, sgomento, lasciandogli la mano e facendo cadere il pennello per terra.

Dopodiché non aveva detto niente, ma con la scusa delle sigarette era semplicemente uscito via da quella che era diventata ormai la loro casa, dove vivevano ventiquattr’ore su ventiquattro a stretto contatto.

Quel tentativo rifiutato di un bacio, preludio a qualcosa di più che desiderava con tutto il cuore ormai da due anni, aveva segnato la triste fine del suo apprendistato.

Un mese dopo Ian, freddo come il ghiaccio, lo aveva avvertito che gli aveva insegnato quanto basta e che era tempo per lui di andare in giro per il mondo a cercare nuovi Maestri o a sperimentare direttamente le sue capacità.

Si era opposto con fervore, come indemoniato, non l’avrebbe mai lasciato! Non sarebbe mai andato via da quella casa!! E se lo sbatteva fuori, sarebbe rimasto lì sulla soglia a morire di fame e di sete, ma lì!

Ian aveva sorriso, aveva scosso la testa e sbuffato, sconsolato.

A sua volta dunque aveva sorriso, sicuro di averlo convinto, certo che dopo quella dimostrazione d’affetto illimitato le cose si sarebbero sistemate.

Ma era solo un dannato stupido ragazzo di diciotto anni, dal viso paffuto e dalle speranze vane.

Uscito fuori per andare ad acquistare nuove tempere ad olio, era tornato e con orrore aveva scoperto che in quella casa, di Ian non c’era più niente.

Non i pochi vestiti, non i suoi quadri, non i suoi pennelli.

Solo i suoi libri, quelli su cui gli aveva concesso di studiare e un foglietto sopra con scritto:

 

“- sono tuoi -

Ian”

 

Nient’altro. Non un’altra fottutissima parola.

Non una spiegazione, non un numero di telefono, non un indirizzo, un recapito, niente.

Era semplicemente sparito così come arrivato in una fredda sera di pioggia.

Ian ormai solo una goccia di tempera sul suo cuore.

 

Ora, all’età di trentatre anni poteva capire perché l’aveva fatto.

Lo aveva minacciato sarebbe rimasto sulla soglia, non si sarebbe mai liberato di lui e ad Ian non era rimasta altra soluzione che andarsene lui stesso.

Quando aveva chiamato il proprietario di quel garage/stanza a cui Ian mensilmente pagava l’affitto, si era sentito dire che nemmeno lui aveva informazioni, che se Ghèvont non aveva più intenzione di pagare allora il contratto di locazione poteva dirsi concluso e che avrebbe trattenuto la caparra iniziale visto che non gli aveva dato alcun preavviso, a meno che non decidesse di tenere l’affitto al posto suo.

Accettò per un anno.

E quando fu sicuro che lui non sarebbe più tornato a cercarlo, decise di fermare a sua volta il contratto, di fare le valigie e di lasciarsi dietro quella casa che gli ricordava dolorosamente i quadri e il profumo del suo ex proprietario.

Fu allora che andò a vivere in affitto nella casa di Revenoy Street, per poi riuscire ad aprire il mutuo della stessa con i proventi ottenuti dalla vendita dei propri quadri.

Non incontrò mai più nessuno come Ian. Tante storielle, due uomini importanti ma mai, mai, mai più nessuno come Ian.

Che di colpo, come un fulmine a ciel sereno gli era spuntato alla fiera di Shy Vegas, invecchiato, sciupato, ingrassato, con la barba lunga e le occhiaie scavate.

Del giovane ed arrapante Maestro nient’altro che lo stesso sguardo profondo.

Di sicuro anche lui l’aveva trovato piuttosto cambiato: nessun chilo in più, solo un corpo stupendo, un viso non più tondo ma ben definito e l’aria di un uomo perfettamente padrone di sé, così come non era mai stato da adolescente.

Si era costretto a salutarlo, a far finta di niente, a trattare Ian come un vecchio amico e nient’altro, qualcuno che non lo aveva segnato così tanto come invece aveva fatto: era disposto a dimenticare tutto, a metterci una pietra sopra.

Potevano iniziare un nuovo capitolo insieme! Potevano vivere di nuovo accanto e questa volta non sarebbe più riuscito né a rifiutarlo né a scappare.

Ma non aveva fatto i conti con un avversario che mai più si sarebbe immaginato.

Il cantante più famoso fra i teenager della nuova generazione aveva messo gli occhi sul suo vecchio Maestro.

Un nome che solo a ripensarci lo riempiva di rabbia.

Kaito Hokugawa.

 

 

 

Uscì dalla stanza lasciandosi dietro quella rosa che Ian gli aveva portato, ormai appassita come le sue speranze in amore.

Lentamente percorse il corridoio d’ospedale con la sua busta arancione, raggiunse l’ascensore e con quello scese al piano terra.

Proseguì da solo, non voltandosi mai indietro, non guardando nessuno fra le tante persone che andavano e venivano.

Li percepiva come insignificanti burattini, pezzi di carta sospinti dal vento.

Anche lui si sentiva tale, però.

Camminò con passo calmo ma deciso ed oltrepassò l’ingresso, pochi soldi in tasca, giusto il necessario per pagarsi un autobus ed arrivare a casa.

Gli sembrò di vederlo con la coda dell’occhio ma non poteva essere lui.

Così non si girò e andò avanti anche quando sentì parlare quell’uomo, chiamarlo una, due, tre volte.. fino a fermarsi bruscamente perché non poteva che essere la sua voce! Davvero la sua voce!

Si voltò di scatto, la bocca socchiusa e gli occhi fissi sulla figura di Ian.

“Ah, finalmente, dopo la terza volta che ti chiamo..

Rimase bloccato, come se di colpo fosse diventato di pietra, incapace di sbottargli contro un furioso “ti avevo detto di non tornare più!” e allo stesso tempo un felice “sei qui.. sei qui..” .

Lui parve leggergli nel pensiero ma non disse nulla a riguardo; semplicemente si limitò ad avvicinarsi, a posargli una mano sulla spalla e a spingerlo, perché riprendesse a camminare e non verso la fermata dell’autobus, ma verso quella sgangherata auto verde che vedeva dall’altro lato della strada.

“Forza, ti porto a casa”.

Solo in quel momento riuscì a commentargli acido “così avrai la coscienza a posto, eh?”

Ian si fermò per guardarlo fisso e dentro a suoi occhi ci lesse solo sconforto, oh, così tanto sconforto.

A sua volta lo fissò, gli occhi che da furiosi gli tornavano comprensivi, pieni di affetto e di stima, di.. amore. Ormai glielo aveva dichiarato più volte, tanto valeva nasconderlo.

Ian sembrava sul punto di dire qualcosa.. che cosa? Perché non lo diceva..

Perché non gli diceva che era lì non per senso di dovere ma perché ci aveva ripensato, perché si era accorto che non era Kaito la persona che voleva ma lui, perché l’aveva sempre voluto ma mai osato prenderlo, farlo suo!

E se Nicola non lo sapeva, in parte era proprio così: era vero che anni prima l’aveva desiderato così fortemente da decidere di allontanarlo pur di non fare qualcosa di insensato con l’unico allievo importante come un figlio, il ragazzo che con la sua voglia di vivere e la sua contagiosa allegria l’aveva aiutato ad uscire dalla depressione in cui era caduto per colpa di Alan.

Ma ad ogni modo ora non c’era alcuna possibilità che fosse disposto a lasciare Kaito per lui.

Perché dopo Nicola c’era stato Norman e dio, per lui aveva perso la testa davvero.

Ma per Kaito.. per Kaito aveva perso il cuore.

 

Così Ian rimase in silenzio, ma non gli lasciò mai andare la spalla su cui aveva appoggiato la mano, circondandogli le spalle con il braccio.

Nicola si arrese, semplicemente.

Si lasciò condurre come un bambino, entrò nella sua auto e gli mormorò il suo indirizzo, così che potesse portarlo a casa.

Una volta davanti a casa non ci fu nessun saluto; solo uno sguardo e un sorriso di Ian, triste ma sereno al tempo stesso.

Nicola non rispose se non con un’espressione glaciale ed impassibile, di nuovo gli occhi pieni di risentimento.

Entrò dentro la sua residenza e si chiuse la porta dietro, senza più guardare nell’abitacolo dell’auto.

Ian invece scosse la testa, sospirò sconsolato, mise nuovamente in moto l’auto e tornò al monolocale, là dove c’era l’unico uomo di cui era innamorato ad aspettarlo.

L’unico da cui volesse davvero tornare e restare, per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

**

Note: breve riassunto della role Ian x Kaito, informazioni sui personaggi et varie.

**

 

La storia si apre con l’incontro fra Kaito Hokugawa, giovane quanto famossisimo idol e Ian Ghèvont, un pittore squattrinato di quarantadue anni che non ha niente per la testa se non i suoi quadri.

Dopo varie incomprensioni iniziali, i due in qualche modo riescono a relazionarsi, seppur con notevoli difficoltà.

Se Kaito infatti dimostra di sentire fin da subito un forte sentimento per Ian, il secondo sembra invece restio a portare avanti la loro strana relazione.

Dopo un’accesa discussione che li porta a separarsi per tre mesi, Ian e Kaito si ritrovano alla fiera di Shy Vegas, una città importante che ogni Capodanno organizza un concerto + aste d’arte per pittori famosi ed emergenti.

Prima di accorgersi che la star dell’anno chiamata a cantare è proprio Kaito, Ian rincontra lì dopo tanti anni un suo ex allievo, Nicola Romero.

Dai ventidue ai vent’otto anni circa infatti, Ian era solito accogliere in casa sua giovani talenti a cui insegnava storia dell’arte e tecniche pittoriche.

Nicola Romero sembra molto contento di rivederlo, se non che dopo poco Kaito fa l’apparizione sul palco.

E’ un susseguirsi rapidissimo di eventi: Kaito intravede Ian tra la folla, lascia il concerto e decide di seguirlo.

Dopo una rocambolesca fuga, i due tornano a frequentarsi per poi litigare un’ennesima volta.

In questo contesto si inserisce la visita di Nicola al monolocale di Ian per assicurarsi del suo stato di salute ed invitarlo ad uscire fuori a cena.

Ian accetta per rabbia nei confronti di Kaito e i due si dirigono in un ristorante dove, destino vuole, c’è anche Kaito in compagnia di una donna.

Kaito scappa fuori lasciando la sua accompagnatrice al tavolo, Ian lo insegue già dimentico di Nicola.

Ne segue un’altra sfuriata di Ian e Kaito prima, di Ian e Nicola dopo che gli dichiara il suo amore e la sua frustrazione nel sapere che non può averlo per colpa di Kaito.

Ian se ne va e Nicola insegue Kaito: i due finiscono con l’aggredirsi a vicenda, procurandosi ferite più o meno gravi.

Da lì segue il ricovero in ospedale per entrambi.

 

La role ovviamente prosegue, ma questo è il preludio necessario per comprendere questa ff.

 

 

Personaggi:

 

NICOLA: non mi sembra in role di aver mai riferito la sua età esatta, ma in un articolo di giornale preparato da Adaralbion ai fini della storia c’è scritto 25.

In realtà Nicola ne ha 33, rispetto ad Ian sono nove anni di differenza. Ne consegue che:

- loro primo incontro: Nicola 16, Ian 25.

- loro secondo incontro a Shy Vegas: Nicola 33, Ian 42.

Ho cambiato anche l’immagine di Nicola, perché la foto che appare nell’articolo era provvisoria; allora non sapevo ancora con precisione che volto avesse!

Questa è l’immagine definitiva: http://i51.tinypic.com/xaufpl.png

 

NORMAN: http://i56.tinypic.com/2hnsyna.png

Prima vera storia importante di Ian.

L’incontro di Ian con Norman è postumo all’apprendistato di Nicola.

Tra Nicola e Norman ci sono cinque anni di differenza (Nicola è più grande); tra Ian e Norman ci sono quattordici anni di differenza.

Ne consegue che:

- loro primo incontro: Norman 15, Ian 29 (Nicola 20).

- fine del rapporto: Norman 18-19 circa, Ian 32.

Ho scritto anche una ff su Ian x Norman, per maggiori informazioni su di loro vi invito dunque a leggerla: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=433454

 

ALAN: nipote del Maestro di Ian, impara insieme a lui a dipingere e i due giovanissimi ragazzi diventano presto amici.

Per invidia finisce con il tradirlo, commettendo un gravissimo torto nei suoi confronti.

Questo episodio sarà la causa della lunga quanto forte depressione di Ian, sconfitta solo dalla presenza di Nicola prima, dalla passione di Norman dopo.

 

KAITO: Ian e Kaito hanno ventun’anni di differenza.

Loro primo incontro: Ian 42, Kaito 21.

 

 

Mi sono dilungata sulle varie età perché altrimenti è un po’ difficile capire i vari intrecci temporali fra questi quattro pg, specialmente per chi la role la segue e quindi si ritrova sbalzato tra flash back, personaggi del passato che riappaiono, situazioni attuali che si incasinano e via dicendo.

 

 

 

 

 

 

 

- Lle -

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Secret Whispers GDR / Vai alla pagina dell'autore: Secret Whispers