Disclaimer:
i personaggi sono copyright di Amano Akira.
Prompt: Indossa il
tuo amore come se fosse odio (Syllables of Time)
Note: fan
fiction che conterà in tutto sette capitoli, ognuno basato su un prompt
della tabella per la community Syllables
of Time. Pur trattandosi di un’AU, vi saranno
anche accenni e scene dall’ambientazione originale: in quei casi, ho
considerato TYL!Mukuro già libero da Vindice e presi per buoni gli
avvenimenti narrati fino alla Future Arc (Shimon Arc esclusa).
Il rating è giallo, e tale
dovrebbe rimanere: in caso di cambiamento, metterò l’avviso nelle
note prima del capitolo in questione.
Alcune relazioni con i personaggi
sono cambiate (senza l’ambientazione base, spiegare perché casa
Sawada sia un asilo sarebbe stato ben difficile XD),
ma molto a livello superficiale e ad interesse dei personaggi secondari, o di
casi particolarmente assurdi (anche spiegare perché Mukuro si trasformi
misticamente in donna sarebbe stato difficile senza l’ambientazione di
mamma Amano LOL).
I
Come se fosse odio
Io di parole vere non ne ho.
Di studenti che lavoravano part-time alla sua età, ce ne erano a
bizzeffe.
Tutti quelli con alle spalle famiglie modeste come
la sua, ad esempio, o quelle particolarmente numerose.
Lui non aveva grossi problemi in famiglia: suo padre lavorava fuori sede,
certo, e sua madre era effettivamente una casalinga, ma non
è che se la passassero così male.
Solo che quando sei il fratello maggiore di tre figli – peraltro
tutti e tre maschi – preferisci sempre non dover pesare su tua madre
anche per i tuoi bisogni personali, e capisci di dover sopperire a quel tuo
fabbisogno da solo.
Quello era stato esattamente il suo caso: Sawada Tsunayoshi, per gli amici
“Tsuna” e per il resto del mondo “ImbranaTsuna”, era
arrivato al suo ultimo anno delle medie con questa consapevolezza. I più
piccoli – attualmente otto anni Fuuta e sette
Lambo – erano ormai entrambi alle elementari, e la signora Sawada aveva
già fin troppe cose di cui occuparsi.
Perciò al suo ingresso al liceo, Tsuna si era dato da fare per
trovare un lavoro che anche uno senza particolari doti come lui potesse fare;
si era guardato intorno per qualche tempo, e solo quando ormai si stava
lentamente avvicinando alla disperazione era stato
praticamente ingaggiato quasi senza che se ne accorgesse.
Un locale – un tale ristorante per famiglie, per di più
italiano – cercava nuovo personale per orari part-time: e quale migliore
occasione di quella? Dopotutto in casa era lui ad apparecchiare e sparecchiare,
e supponeva che se provvisto di un taccuino anche uno con la sua scarsa memoria
avrebbe potuto prendere delle ordinazioni. Di conseguenza, pieno di speranza si
era presentato con il colorato volantino pubblicitario.
Il lavoro lo aveva avuto, per carità: certo, il capo aveva l’aria di uno che poteva farti pagare di tasca
tua persino le bacchette spezzate oltre ai piatti rotti accidentalmente, e
soprattutto sembrava sadicamente pronto a notare ogni tua imperfezione. Ma gli orari erano molto flessibili – c’erano
altri studenti, così gli aveva detto all’inizio – e la paga
era più che sufficiente per l’utilizzo che Tsuna voleva farne.
Dal suo primo giorno di lavoro era passato ormai quasi un anno.
Per il modo in cui erano sistemati i turni, aveva conosciuto più o meno tutti i colleghi studenti che lavoravano
lì entro il primo mese: per una coincidenza assurda che non era riuscito
ancora a spiegarsi, poi, alcuni di loro li conosceva o li aveva almeno
incrociati anche a scuola.
«Benvenuti! …Oh,
Sawada-san, ben arrivato!» sentì cambiare il saluto, notando Uni
che aveva appena servito dei clienti ad un tavolo e
che gli rivolgeva un sorriso in quel momento. Lo ricambiò, alzando una
mano in risposta e dirigendosi verso l’ingresso
all’area staff per potersi cambiare.
Il ristorante per famiglie – tralasciando l’allucinante nome
italiano “Vongola”, che non importava da quanto ci lavoravi,
suonava folle comunque – era un posto di media grandezza, ma molto
accogliente.
Luminoso e spazioso nel modo in cui era stato arredato, era un ambiente
sobrio e (per l’appunto) familiare: dalla porta d’ingresso
bastavano pochi passi sia per raggiungere il bancone, sia per vedere i tavoli
disponibili, sistemati nella parte della sala maggiormente illuminata dalle
grandi finestre su un lato.
Proseguendo dritti lungo il bancone con la cassa, invece, si finiva per
passare davanti alle cucine e in fondo – zona riservata allo staff
– c’erano le due salette per cambiarsi.
Il bagno per i clienti, era invece dalla parte opposta a quell’area,
per fa sì che gli odori della cucina non lo raggiungessero.
Passando davanti al bancone salutò uno dei colleghi più
grandi: «Scusa il ritardo Dino-san, mi cambio
subito!» esclamò, notando il – seppur breve – ritardo
dall’orologio a muro alle spalle del biondo. Questi gli
sorrise con fare allegro, blandendolo con un gesto della mano: «Stai
tranquillo, Tsuna, fai con calma. Non c’è il pieno, e soprattutto
non c’è il capo.» rivelò con
una complice strizzatina d’occhio.
Dino era uno studente universitario, di origini italiane e conoscenza del
capo: leggende del ristorante narravano che il suo ruolo fosse diventato quello
di addetto alla cassa per due semplici motivi.
Il primo era che a tenerlo in cucina si rischiava di far saltare qualcosa
per aria a causa della sua sbadataggine, e che da cameriere riuscisse a
rovesciare più cose di quanto tutti gli altri messi insieme avessero mai
fatto.
Secondo, l’altro ragazzo con la stessa mansione – anche lui
liceale da quanto aveva capito Tsuna – aveva un carattere pessimo ed un ancor più pessimo rapporto con uno dei
camerieri; per la salvaguardia del ristorante stesso era stato assolutamente
necessario dividere i loro turni. E l’unico modo per far sì che
quei due non si incontrassero mai, era servito un
altro addetto alla cassa per quando il capo non c’era.
Dino era stato la soluzione ideale – visto che
fermo in un angolo com’era, persino lui riusciva a non far danni.
Tsuna era estremamente felice che quel giorno non
ci fosse l’altro ragazzo: non perché lo credesse una cattiva
persona, ma era indubbio che se ad averlo beccato in ritardo fosse stato Hibari
Kyouya, Tsuna non l’avrebbe raccontato senza rischiare la vita.
«Ah, Tsunayoshi-kun, eccoti qui.» si sentì salutare
pacatamente, notando in un secondo momento uno dei cuochi affacciarsi dalla
cucina; il castano si fermò, facendo un leggero inchino istintivamente,
suscitando nell’altro una risata leggera e sommessa. Fong – amico
del capo, e Tsuna non si capacitava di come fosse possibile – era una
persona estremamente calma e pacata, che era riuscita
a farlo sentire a suo agio anche quando commetteva i classici errori da
principiante.
Ed era anche uno dei motivi principali della clientela fissa che visitava
sempre il loro ristorante: era un cuoco eccellente, ed era probabilmente
l’unico che riuscisse a far sì che Sasagawa Ryohei cucinasse senza
distruggere la cucina per il suo eccessivo entusiasmo nello
“spadellare” a destra e a manca neanche con le pentole dovesse farci un incontro di boxe.
Tsuna si mosse velocemente verso la stanza in cui cambiarsi, sgusciandovi
dentro per sbrigarsi: posò la cartella a terra, aprendo
l’armadietto con la targhetta “Sawada” e tirando fuori alla meno peggio la divisa da lavoro.
Tolse la giacca posandola sulla panchina alle proprie spalle,
allentò velocemente la cravatta senza scioglierla del tutto e
sbottonò la camicia – impicciandosi con i bottoni tanto per fare
una cosa diversa dal solito, eh.
Posò anche quella alle proprie spalle, recuperando la camicia della
divisa ed infilandola, chiudendola attento a non
saltare qualche bottone; svolta l’operazione, tolse le scarpe e i
pantaloni, indossando quelli da lavoro neri. Infine appese la propria divisa
nell’armadietto, incastrandovi in qualche modo anche la cartella.
Lo richiuse, sedendosi quindi sulla
panchina allungandosi ad aprire un armadietto più piccolo che ricordava
più che altro quello della sua scuola e di qualsiasi comune liceo:
tirò fuori le scarpe nere da lavoro e vi infilò quelle da
ginnastica che aveva tolto.
Certo di aver sistemato tutto, prese ad allacciarsi il grembiule –
anch’esso scuro e che copriva dalla vita in giù – camminando
contemporaneamente verso l’uscita dello spogliatoio.
«Non che sia di mio particolare interesse al di fuori dell’ambito lavorativo, ma vorresti andare in sala
smutandato come se ti fossi appena svegliato, Tsunayoshi-kun?»
sentì pronunciare con tono piuttosto ironico alle proprie spalle.
Avrebbe davvero voluto fingere di non aver sentito, o di non aver riconosciuto
la voce e conseguentemente la persona a cui
apparteneva, ma sarebbe stato impossibile.
Una sola persona lo chiamava “Tsunayoshi-kun” con il tono di
chi è ormai rassegnato alla tua irrecuperabile stupidità
interiore: ed era la stessa persona per la quale Dino aveva dovuto prendere il posto di Hibari-san per alcuni turni lavorativi in
determinati giorni.
Tsuna si voltò, l’aria di chi non ha capito quale sia il problema ma al tempo stesso sa che c’è, e sa
che è inutile negarlo a prescindere: inquadrare la figura del ragazzo
ora di fronte a lui non fu certo un’impresa.
Braccia incrociate al petto, divisa da lavoro perfettamente in ordine,
Rokudo Mukuro aveva un’espressione fra il rassegnato e il seccato,
accentuata da un sopracciglio leggermente inarcato e dalle labbra sottili
stirate in una smorfia non proprio simpatica.
«…Eh?» fece eco Tsuna alla domanda – retorica
– posta dall’altro.
Mukuro sospirò, lasciando che le braccia tenute al petto
scivolassero lungo i fianchi, e mosse qualche passo fino a raggiungere
l’altro; Tsuna alzò appena lo sguardo, sopperendo alla leggera
differenza di altezza fra loro.
A quel punto, Mukuro incurvò le labbra in un sorriso che sì,
forse faceva sciogliere i cuori di molte ragazze e magari sì,
abbindolava le clienti e ancora chissà, probabilmente avrebbe fatto
pensare a chiunque che il peggio era passato.
Ma non a Tsuna; no, lui lo
capì dall’inquietudine che quel sorriso gli trasmetteva ormai
automaticamente.
Mukuro portò una mano su un fianco e l’altra al viso del
castano.
No, niente scena romantica.
Pizzicò la guancia del più giovane con due dita e la tirò,
mentre l’espressione rimaneva sorridente, ma al tempo stesso emanava
un’aura poco rassicurante: «E’ mai possibile che dopo quasi
un anno qui dentro tu non riesca ad infilarti una
camicia dentro i pantaloni, Tsunayoshi-kun? Possibile che io debba farti le
poste dentro uno spogliatoio per paura che prima o poi
tu esca persino senza quegli stessi
pantaloni?» domandò, senza alzare i toni e mantenendo ancora le
labbra incurvate a quel modo, con nessun altro risultato che essere
profondamente inquietante.
Tsuna – la guancia dolorante – assunse un’aria lamentosa:
«M-Mi dishiace shenpai…»
bofonchiò, le parole rese meno comprensibili da quella guancia
maltrattata, che fu a quel punto lasciata da Mukuro con un ennesimo sospiro.
«Metti quella camicia a posto
e poi sbrigati. Non voglio che ci si lamenti con me dei tuoi ritardi.»
aggiunse, passandogli accanto ed uscendo per primo.
Imbronciandosi e portando una mano alla guancia tirata dal più
grande, Tsuna sospirò.
Capiva l’ansia di Mukuro, che era il più grande dei camerieri
che lavoravano part-time e quindi era in un certo senso il responsabile di
tutti loro; ma da quando lavorava lì, l’altro sembrava averlo
puntato decidendo si prendersela con lui a prescindere.
Era l’unico che, dopo tutto quel tempo, non era ancora riuscito a
capire. L’unico con cui non riuscisse ad
interagire, ad instaurare un dialogo che non fosse un rimprovero seguito da
delle scuse.
Non che avesse un buon carattere con gli altri, ma almeno non li riprendeva
su ogni minima cosa che veniva sbagliata.
Non faticava ad immaginare come mai avesse
litigato o discusso al punto da non poter incrociare Hibari-san: Mukuro era
– per quel che si era mostrato, chiaramente – la classica persona
che amava profondamente sottolineare gli errori e le debolezze altrui.
Hibari-san, neanche a dirlo, era una persona che odiava che gli si facessero
notare proprio errori o debolezza e non sopportava di ricevere ordini da
persone che reputava meno forti di lui o non degne del suo rispetto.
E il suo concetto di “degne” era personale e assai ristretto.
Era quasi facile immaginare perché non andassero minimamente
d’accordo, né era difficile capire perché al contrario solo
persone come Uni riuscissero a non giudicarlo insopportabile.
Tsuna si sistemò la camicia come indicato, uscendo infine per
portarsi finalmente sul posto di lavoro: anche quella sarebbe stata una
giornata da incubo, se lo sentiva.
«Ottimo lavoro, per oggi abbiamo finito.» annunciò Fong,
rivolgendo un sorriso cordiale a tutti una volta fuori dalla cucina. Quando il
capo non c’era, lui si occupava della chiusura e dei conti finali, in
alcuni casi aiutato da Dino quando era di turno.
Tsuna sospirò sollevato, scambiandosi un’espressione
soddisfatta con Uni che stava pulendo i tavoli con lui fino a quel momento; andarono
insieme a mettere a posto i panni usati per le pulizie, dopodiché si
diressero agli spogliatoi.
«Allora se finisco di cambiarmi prima ti
aspetto.» assicurò Tsuna, per poi entrare nel proprio.
Quando Uni faceva il suo stesso turno, si assicurava sempre di
accompagnarla: non abitava troppo distante dal suo quartiere ed era di strada,
ma in ogni caso l’avrebbe fatto comunque. Uni era
di un anno più piccola di lui e non era il caso che una ragazza girasse
da sola. Nonostante i ristoranti come quello in cui lavoravano non chiudessero
mai troppo tardi – essendo frequentati per lo più da famiglie, era
ben difficile che qualcuno si presentasse a mangiare ad
orari assurdi – avrebbe trovato irresponsabile non accompagnarla.
Si cambiò più celermente possibile, occhieggiando gli orari
vicini alla porta prima di chiudere: il giorno dopo era libero.
Attese qualche minuto fuori dallo spogliatoio femminile, dal quale in breve
tempo uscì Uni; si diressero insieme verso l’uscita secondaria per
lo staff, passando davanti al bancone.
«Buonanotte.» salutarono all’unisono i presenti, uscendo
dal ristorante.
«Grazie ancora, Sawada-san.
Mi accompagni sempre.» pronunciò la ragazza una volta che furono in strada. Tsuna sorrise, scuotendo appena la testa: «Non
c’è problema, e poi la strada è la stessa che farei anche
da solo.» assicurò per l’ennesima volta.
«Non ho voglia di andare a scuola, fra il bagno e i compiti
finirò di nuovo a dormire tardi e domani non mi alzerò.»
soppesò ad alta voce il castano, il tono lamentoso, suscitando una
risata divertita in Uni.
«Forza Sawada-san, domani è
già venerdì.» lo tirò su di morale: «E oggi
hai lavorato bene.» aggiunse fiduciosa.
Tsuna sospirò, cercando di pensare più all’imminente
week-end che non alla giornata appena conclusasi: «Non
tutti la pensano come te, ma grazie Uni-chan.» replicò cortese.
La ragazza lo osservò per un attimo perplessa,
senza capire: «Ah» sembrò realizzare poi «parli di
Rokudo-san?» azzardò.
Il sospiro rassegnato di Tsuna fu una risposta eloquente.
«Grazie dell’aiuto,
Mukuro-kun, ma non serviva che rimanessi fino ad ora. Domani hai
scuola, no?» fece notare Fong, lo sguardo sul ragazzo appena uscito dallo
spogliatoio.
Questi si limitò ad un’alzata di
spalle, alla quale il più grande ridacchiò sommessamente: «Allora
posso rubarti qualche altro minuto?» domandò criptico, portando
Mukuro ad assumere un’espressione perplessa mentre annuiva.
Fong si accomodò sullo sgabello dietro la cassa, vuoto dal momento che Dino era già andato via: «So
che sei il più anziano dei liceali che lavorano qui part-time, giusto?»
chiese, anche se Mukuro suppose che fosse una domanda volta solo a rompere il
ghiaccio. Figurarsi se Fong, a cui quel pazzo del capo
lasciava il negozio quando era assente, non sapeva certe cose.
Annuì comunque.
«Mh, allora è per questo che ti
occupi dei più giovani?» aggiunse, come se fosse una logica
conseguenza. Mukuro non inquadrò perfettamente a quale altra domanda
avrebbe portato quella, ma seppe con certezza che stavano andando a parare da
qualche parte.
«Non lo fanno tutti i senpai?» rilanciò retoricamente,
mantenendo il contatto visivo senza sfumature particolari nello sguardo. Fong
annuì, l’espressione (apparentemente) ammirata.
«Sì, assolutamente.» continuò
infatti, tranquillo: «Mi chiedevo solo come mai sembrassi avere
tante difficoltà di dialogo con Tsunayoshi-kun.» buttò
lì come se fosse casuale e non l’esatto argomento a cui voleva
arrivare fin dall’inizio.
Mukuro incurvò le labbra in un sorrisetto sardonico: ah, pensò,
ecco il punto.
«Tsunayoshi-kun è un tipo di persona che assolutamente non
apprezzo.» parlò altrettanto pacatamente almeno nei toni, usando
parole crude e piuttosto taglienti: «Non metto in dubbio se si impegni o meno, ma è distratto nella maggior parte
delle cose che fa. E sono felice che sia un cameriere, perché ho paura a
pensare che cosa sarebbe stato in grado di fare in cucina. Fa dopo un anno
errori che fanno le persone che si approcciano al suo lavoro i primi tempi, e
alla lunga non sono più ammissibili.» parlò sempre con
maggiore chiarezza, mentre Fong taceva senza interromperlo, quasi fosse
particolarmente interessato a chissà quale storia che gli veniva raccontata.
«Tra l’altro, proprio perché sono il più grande vengo interpellato per gli errori altrui. E se
c’è una cosa che odio è passare per un incapace
incompetente per le mancanze degli altri. Non sono io a decidere chi lavora qui
e chi non, ma trovo particolarmente snervante che Tsunayoshi-kun lavori senza
porsi domande su chi viene messo di mezzo per i suoi
errori.» concluse, fissando il proprio interlocutore.
E di nuovo quel sorriso assolutamente innaturale e falso – quello che
sfoggiava con i clienti più irritanti ripetendosi mentalmente che no,
non avrebbe giovato al suo lavoro e alla sua paga se avesse zittito quel
dannato moccioso piagnucolante infilandogli il tubetto del ketchup in bocca.
«E in ogni caso io odio proprio la categoria di persona a cui appartiene Tsunayoshi-kun, al di fuori
dell’ambiente di lavoro.» aggiunse candidamente come se avesse
fatto notare accidentalmente “oibò,
fuori ha iniziato a piovere, il mio bucato si bagnerà!”
Fong proruppe a quel punto in un altro accenno di risata, stavolta subito
soffocato: «Capisco. È bello che tu sia
così schietto su quello che pensi, Mukuro-kun.»
osservò.
Mukuro si chiese perché lavorava con della gente che vedeva il mondo
bello, buono, rosa e fatto di unicorni volanti.
«Tuttavia» riprese Fong attirando la sua attenzione «non credo che Tsunayoshi-kun sia come lo dipingi.
Penso sia un bravo ragazzo che si impegna nonostante i
limiti che ha. Se provassi ad osservarlo senza
decidere che lo odi già, sono sicuro che piacerebbe anche a te.»
assicurò.
«Ne dubito fortemente, senza offesa.» liquidò la
questione, occhieggiando l’ora sull’orologio a muro alle spalle del
moro, il quale lo anticipò: «Hai ragione,
si è fatto tardi. Buon rientro a casa, Mukuro-kun.»
lo salutò cordiale, aggiungendo un cenno della mano.
Mukuro si limitò ad un sospiro, rispondendo
al saluto e uscendo.
«Bentornato, niisan.» sentì pronunciare quando si
richiuse la porta di casa alle spalle. L’attimo dopo Chrome si affacciava
dal salotto, un sorriso sulle labbra nel vederlo rientrare, il pigiama
già addosso.
Mukuro sospirò rassegnato, ricambiando il sorriso ed entrando
definitivamente in casa lasciando le scarpe all’ingresso: «Sono
tornato.» pronunciò come prima cosa, raggiungendola.
Le posò una mano sulla testa, scompigliandole affettuosamente i
capelli: «Non ti avevo detto di non aspettarmi in piedi?» chiese,
ma ormai aveva capito che quella era una delle cose che sua sorella minore non
avrebbe mai fatto, nemmeno se gliel’avesse chiesta
cento volte.
«Dovevo finire delle cose per scuola.» si giustificò
– anche se Mukuro non sapeva se crederle o meno.
Lasciava correre sempre, visto che sarebbe stata comunque una piccola bugia a
fin di bene, senza cattive intenzioni.
«C’è qualcosa che non hai capito?» si informò. Tanto aveva cenato nella pausa al lavoro,
perciò l’avrebbe aiutata in quel caso, ma
Chrome scosse la testa: «Non erano compiti, stavo copiando degli appunti
per un compagno vicino di banco che è stato assente qualche giorno.»
spiegò brevemente la più piccola.
Mukuro si spostò con lei in salotto, affondando letteralmente nel
divano.
«E’ fortunato ad avere
una compagna di classe che si prende la briga di copiare per lui degli appunti
allora. Com’è che si chiama?»
indagò, ma più per istinto che per reale interesse. Chrome andava
in una scuola diversa da quella che frequentava lui – non senza un certo
disappunto da parte sua tra l’altro – quindi non aveva nemmeno idea
di che tipo di compagni avesse.
«Sawada-kun.» replicò lei senza sospettare nulla.
«…Sawada? Tsunayoshi?» domandò incredulo Mukuro. D’altra parte
Sawada era mancato per un paio di giorni anche dal lavoro – affari di
famiglia da quanto aveva capito – quindi le coincidenze sarebbero state
davvero troppe se non si fosse trattato di lui.
Ma lo sguardo stupito della sorella
e il suo: «Come fai a saperlo? Lo conosci,
niisan?» allontanarono ogni dubbio.
Per un attimo ebbe il serio istinto di schiaffarsi una mano in faccia: «Lavora
con me.» spiegò brevemente, occhieggiando Chrome «Ma non
perdere troppo tempo dietro a lui. Se è a
scuola come è al lavoro, è uno che pesa
sugli altri con gli errori che fa e il rendimento che ha.» giudicò
impietoso e stizzito.
Chrome sembrò perplessa dal giudizio duro del fratello, ma si
sciolse presto in un sorriso dolce prima e divertito
poi che confuse il maggiore.
«Che c’è di divertente?» domandò senza
capire.
«Tu sei sempre stato
così anche quando eravamo piccoli, niisan. Tutto quello che criticavi ti piaceva, in realtà.» chiarì
la ragazza, portando una mano a coprire la bocca mentre si lasciava sfuggire
una risatina.
Mukuro la fissò incredulo: «Non è
affatto così.» rimbeccò.
«Invece sì. Dicevi di
odiare la frittata, ma mangiavi sempre due porzioni. Dicevi di odiare Ken e
Chikusa della tua classe, ma giocavi sempre e solo con loro. Poi dicevi di non
sopportare gli animali piccoli e carini, ma ti prendevi sempre cura dei conigli
della scuola media. E dicevi di volermi rompere le bambole perché mi
odiavi, ma se qualcuno mi dava fastidio lo minacciavi
sempre. Quindi se dici che Sawada-kun non ti piace,
probabilmente è il contrario… anche se non sei un po’ grande
per dire l’opposto di quello che pensi, niisan?» azzardò
timidamente, osservandolo.
Chrome non diceva né faceva mai nulla che potesse indispettire il
fratello maggiore, ma a volte diceva delle cose in maniera così
disarmante che anche se potevano sembrare delle provocazioni, arrabbiarsi non
era fattibile. Come in quel caso.
Mukuro si schiaffò una mano in faccia sul serio stavolta, tacendo
per una manciata di secondi.
«Beh» esordì infine come se avesse analizzato la cosa: «Tsunayoshi-kun è il primo caso differente
dalla frittata, dagli animali piccoli e carini, da Ken e Chikusa e dalle tue
bambole. Mi irrita, quindi non mi piace e basta.»
decretò, direzionando quindi la sua attenzione alla tv che Chrome aveva
probabilmente acceso per farle compagnia mentre copiava gli appunti.
Sono sicuro
che piacerebbe anche a te.
Sicuro un corno.
Ah, Mukuro-kun. Sempre che Tsunayoshi-kun non ti piaccia
già.
Cambiò canale: ma perché tutti dovevano decidere che a lui
uno banale e insulso come Sawada Tsunayoshi doveva per forza piacere, poi?!
«Ohi.»
Ecco gli
scocciatori, pensò istantaneamente sentendo quella voce,
arrendendosi a rinunciare alla tranquillità di cui aveva goduto fino a
quel momento.
Non si degnò comunque di alzare lo sguardo verso chi aveva parlato.
«Oya, oya… sei sempre portatore di scocciature, tu.»
pronunciò, con la solita ironia sottile che di certo non le rendeva
particolarmente simpatico.
Uno schiocco di labbra stizzito tolse ogni dubbio su chi fosse andato a
cercarlo.
E soprattutto per conto di chi: perché Gokudera Hayato non sprecava
tempo a rintracciarlo se non perché il Decimo glielo aveva chiesto.
«Mi risparmierei di vederti,
ti assicuro. Ma il Juudaime sta per partire e sei tu a
dover andare in missione con lui, visto che servono le arti illusorie..»
chiarì seccato l’altro, una sigaretta fra le labbra e lo sguardo
di chi volendo ti prenderebbe più che volentieri a calci in culo
anziché invitarti da qualsiasi parte, sia anche per lavoro.
Mukuro finalmente si alzò, dandosi un paio di pacche sui pantaloni
per liberarsi dei fili d’erba e voltandosi infine verso il Guardiano della
Tempesta: «In queste cose ufficiali non è Chrome a presenziare per il ruolo di Guardiano della Nebbia?»
gli fece notare, quasi a ridicolizzare una sua stupida dimenticanza.
Gokudera fece mentalmente appello a tutta la sua (scarsa) pazienza: «Sì,
signor ovvietà, quindi se sono qui a
costringermi a vederti per più di dieci secondi ci sarà un
motivo. Chrome è in missione.»
dichiarò seccato dall’inutile protrarsi di quella conversazione.
A ben pensarci, Chrome era anche passata a salutarlo prima di andare.
Si accigliò appena, infastidito dal brusco e obbligato cambio di
programma; portò entrambe le mani in tasca e si mosse quindi verso
Gokudera, oltrepassandolo e puntando all’interno della magione.
«Quanto dovrebbe durare la cosa?» si informò.
«Dipende da quanto faranno cilecca le tue illusioni.» lo
provocò l’altro, senza riuscire a resistere. Mukuro voltò
lo sguardo il giusto per osservarlo, un sorrisetto
arrogante sulle labbra.
«Magari potrei anche far
cilecca. Sarebbe più facile lasciar uccidere Sawada Tsunayoshi da terze
persone e appropriarmi poi del suo corpo.» fece
presente, nel tono tutta la calma del mondo.
Differentemente da lui, Gokudera – sigaretta buttata a terra e spenta
l’attimo prima – digrignò i denti rabbioso: «Non azzardarti nemmeno, bastardo. Non so
perché il Juudaime si ostini a trattare uno
come te come un componente della Famiglia, non ho voce in capitolo. Però
stai pur certo» continuò, avvicinatosi a lui e l’aria di chi
non è mai stato così serio in vita sua «che se gli succede qualcosa mentre è con te, ti ammazzo
con le mie mani.» minacciò poco velatamente.
Mukuro si limitò ad un «Mpf»
derisorio, segno che non lo aveva nemmeno preso sul serio.
«Non sarà questo il caso.» assicurò però: «Anche
se prima o poi potrebbe succedere. E più che con
me, dovreste prendervela proprio con lui, no? Non è colpa mia, se il suo
testardo buonismo lo porterebbe a fidarsi anche dei sassi o di un uomo che gli
punta la pistola alla tempia minacciando di ucciderlo.»
fece notare sprezzante, allontanando lo sguardo da lui e riprendendo ad
allontanarsi.
Avvertì chiaramente un’imprecazione e un insulto da parte
dell’altro, e solo in un secondo momento i suoi passi muoversi dietro di
lui nella stessa direzione.
Capiva che quella missione richiedesse tecniche illusorie, ma che
addirittura avessero mandato solo lui con Sawada gli sembrava una cattiveria
verso se stesso, ovviamente.
Al contrario, il Decimo dei Vongola non ne sembrava infastidito: non era
esattamente a suo agio, quello no, e supponeva che non fosse possibile proprio
a causa della sua presenza. Tuttavia non sembrava nemmeno particolarmente
insofferente.
Mentre la macchina si muoveva veloce lungo la strada, seduti
entrambi sui sedili posteriori guardavano ognuno fuori dal proprio finestrino e
così era stato per l’ora di tragitto precedente; terribilmente
noioso.
«Uhm» lo sentì mormorare, avvicinandosi appena al sedile
del conducente: «potremmo fermarci un attimo?» domandò.
Una delle tante cose che Mukuro trovava snervanti di lui, era quel continuo chiedere per favore, come se non fosse il Boss
e una sua parola non fosse sufficiente. O non fosse legge.
Il conducente fermò immediatamente la macchina nel primo punto in
cui fu possibile accostare, senza fare la minima domanda naturalmente. Tsuna
aprì lo sportello e scese: Mukuro ne approfittò per spostare lo
sguardo indisturbato sul castano, o almeno la porzione di corpo che ne vedeva.
Poggiato con il gomito allo sportello, in una posa rilassata, sembrava
stare sgranchendo le gambe o prendendo aria, semplicemente.
Sbuffò seccato. Perché non fare un pic-nic prolungando la
loro coesistenza in quella macchina, no?
«Dovremmo sbrigarci, Decimo.» lo canzonò dopo essere
sceso a sua volta, poggiandosi comodamente al tetto dalla macchina con lo
sguardo verso il castano: «Il paesaggio possiamo ammirarlo dopo.»
insinuò.
Tsuna si voltò, accigliandosi in qualcosa che era l’ombra di
un broncio più che altro.
«Lamentati con te stesso.
Siamo in macchina da un’ora e mi sembra di viaggiare con uno che sta
meditando di suicidarsi dal finestrino piuttosto che passare altri cinque
minuti a meno di dieci metri di distanza da me.»
parlò schiettamente, fissandolo offeso.
Il Guardiano della Nebbia non poté non stupirsi almeno un minimo:
per tutto quel tempo in cui l’altro era sembrato preoccupato per la
missione, in realtà stava pensando…?
«Kufufu, non puoi biasimarmi,
Tsunayoshi-kun.» gli fece presente, sibillino: «Dal
momento che passare il mio tempo con te non era esattamente quel che
avevo pianificato, né è la cosa che preferisco fare nel tempo
libero.» replicò bastardo.
Tsuna sospirò rassegnato, rientrando in macchina e chiudendo
seccamente lo sportello; Mukuro lo imitò, più calmo nei gesti.
Fu solo dopo dieci minuti che avevano ripreso ad avanzare con la macchina
lungo la strada che il castano parlò di nuovo: «Mi
dispiace per questa costrizione, non ti avrei obbligato se non fosse stato
necessario. Me la sbrigherò più velocemente possibile.» disse solamente, lo sguardo davanti a sé che
andò a rifugiarsi nuovamente nel panorama che sfrecciava fuori dal
finestrino.
Non visto, Mukuro assunse un’espressione piuttosto irritata.
Eccolo lì, di nuovo a scusarsi quando si sarebbe dovuto arrabbiare,
a subire quando avrebbe dovuto approfittare del potere
e della posizione che aveva; invece lo perdonava senza nemmeno bisogno che lui
– Mukuro – facesse o dicesse nulla per meritarlo, o lo chiedesse.
Non che lo desiderasse, o che si sarebbe scusato
se Sawada Tsunayoshi gliene avesse lasciato il tempo.
…Ma non lo sopportava. Odiava quel suo modo
di fare così irritante.
«Mukuro?» si sentì chiamare, anche se l’altro non
aveva portato lo sguardo su di lui.
Nonostante l’assenza di una risposta, Tsuna sembrò prendere il
silenzio come un suo incalzarlo a parlare: «Gli
altri erano già in missione, ma se avessi portato con me Gokudera-kun o
Yamamoto… loro avrebbero senz’altro accettato. Soprattutto
Gokudera-kun non avrebbe esitato un attimo. Ma io ho
già chiesto troppe volte ai miei Guardiani di uccidere al posto mio. E
Lambo ai miei occhi sarà sempre un bambino, e non vorrei renderlo un
assassino… finché posso evitarlo. Per questo ho chiesto a te.»
pronunciò, il tono basso ma udibile nel
silenzio della macchina.
Mukuro sospirò: di nuovo parlava come se invece lui fosse uno capace
di uccidere a sangue freddo senza sentirsi un assassino e avere sensi di colpa
per i due anni seguenti come minimo.
Proteggere quando quello che aveva più bisogno di essere protetto
era lui.
Era disgustoso, essere alle
dipendenze di una persona del genere ed essergli persino debitore di averlo
tirato fuori da Vindice.
Per un patto di alleanza e lealtà che lui non aveva nemmeno mai
pronunciato.
Lo odiava, come non odiava nessun altro al mondo,
ne era certo.
«Sei detestabile.» pronunciò crudelmente, mentre una
mano si posava su un’altra che tremava appena – perché per
quanto si sporcasse di sangue, non si sarebbe mai abituata alla vita di un uomo
che scivolava fra le sue dita – abbandonata sul sedile con falsa
casualità solo per essere afferrata piano, ed essere guidata.
Odiava quelle parole pronunciate, che lo avevano incatenato e trascinato
più in profondità delle catene di Vindice o di qualsiasi altra
prigione, obbligandolo ad una fedeltà che
stonava addosso ad uno come lui.
Io mi fido
di Mukuro, e tanto basta.
Lo odiava, come non odiava nessun altro al mondo,
anche se ora intrecciava le dita alle sue, sostenendo quella sua
fragilità che non lo avrebbe mai reso il Boss perfetto che molti
pensavano fosse.
Di questo ne era certo.
Note e
lamentele dell’autrice
Kotodama: “lo spirito insito nelle parole”. In Giappone si crede
che le parole abbiano una forza spirituale che possa addirittura influenzare il
futuro e il destino di una persona, nel momento in cui vengono
pronunciate.
Niisan: fratellone,
fratello maggiore.
Senpai: compagno
più anziano a scuola o sul lavoro. L’anzianità può
essere data da un fattore di età, così come dalla presenza da
più tempo sul posto di lavoro.
La citazione in corsivo ad inizio capitolo
è del manga Wild Adapter.
Odio quando il mio OTP include un personaggio che non so come gestire DD:
*lamentela inutile*
Grazie a chi ha seguito fin qui <3