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Autore: Smac    16/04/2011    0 recensioni
Non c'e molto da raccontare. L'ho scritta di getto e ho deciso di Postarla. Parla di Robert(ovviamente) e di una ragazza, il cui nome è volontariamente omesso così come il suo aspetto fisico. Per adesso un capitolo solo però non so. Se vi interessa potrei continuarla. Quindi accetto complimenti ma anche tantissime critiche. Spero vi piaccia!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Strange Night




Nessuno dei due sapeva come fosse  potuto succedere realmente. Che poi in realtà, non era ancora successo niente.
Avete presente quelle sere in cui niente sembra normale?
Quelle sere che iniziano esattamente come tutte le altre, ma poi, d’un tratto tutto cambia e vi trovate catapultati in una dimensione onirica. Vi chiedete se è la realtà o solo un sogno e non riuscite a darvi una vera e propria risposta, anche perché in realtà non vi interessa. Però sentite una strana atmosfera attorno a voi: quello provavano i due ragazzi.
Ma ricominciamo da capo.
I due ragazzi si conoscevano da anni. Sempre se di conoscenza si può parlare, ma non ne sarei così sicura. Dopotutto erano talmente diversi da non riuscire nemmeno ad attrarsi, figurarsi a stare 10 minuti da soli nello stesso posto a parlare. Eppure erano nati entrambi a Barnes, erano entrambi di maggio e se lei sognava l’America fin da quando era piccola, lui ci era andato a vivere e a lavorare. Oh, dimenticavo…erano “amici di famiglia”.
Ma entrambi erano cambiati dall’ultimo incontro, che risaliva a ben quattro o cinque anni  prima. Entrambi erano cresciuti e maturati. Entrambi avevano la loro vita.
Erano le quattro di mattina quando lei era uscita di corsa dal locale affollato. Stava inseguendo una sua amica che, poveretta, sentiva tutti i bicchieri di rum liscio, cuba libre, vodka-lime e neanche lei si ricordava chissà cos’altro salire per la gola.
Anche lei aveva bevuto, ma la sbornia le era già passata. Lei era inglese.
La aiutò tenendole i capelli mentre l’odore acre si alzava già dal suolo. I loro amici, mezzi ubriachi anche loro, passarono e la salutarono con i soliti schiamazzi e risate per poi salire sui primi taxi disponibili.  Quando finalmente finì di dare di stomaco, le diede una bottiglietta d’acqua per sciacquarsi la bocca e rimettersi un po’.
“Allora? Va meglio? Ti chiamo un taxi dai…” Le disse reggendola.
La sua amica la guardò mezza assonnata e la pregò di non lasciarla da sola e partì in una sonora risata. La ragazza cominciò allora a guardarsi intorno non sapendo come fare.
“Ale, ascolta ce la fai ad arrivare a quel muretto? Aspettiamo Daniel che fra poco arriva a prendermi.”
La sua amica annuì e pian piano si avvicinarono al muretto che era sull’altro lato della strada.
Alessia però non vide il gradino del marciapiede e inciampò cadendo sul cofano di una macchina. Il suono acuto dell’antifurto riempì le orecchie già intontite dalla musica del locale.
“Ale, cazzo stai attenta!” Si infuriò la ragazza mentre l’amica rideva di sé stessa.
Si sedettero sull’irraggiungibile muretto e Alessia appoggiò la testa alla spalla dell’amica. Il silenzio calò e la ragazza già gioiva dell’attimo di tranquillità.
“Vale, qué hacemo ahora?!? Me daba buen rollo!( ero presa bene!)” Niente, Alessia si era già ripresa.
Lo sguardo della ragazza era alquanto confuso. “Perché vuoi parlare in spagnolo da ubriaca?”
“Porqué? Ehm…Por que, esta es una noche caliente. Yo soy caliente tambien. Y già lo he dicho que...es una noche calente y hermosa...y...no me acuerdo lo que volevo? Come si dice...ahh querìa decir...” E Alessia ricominciò a ridere.
Intanto la ragazza controllò l’orologio ma erano solo le quattro e venti e suo fratello, Daniel, sarebbe arrivato a prenderla solo alle cinque!
“Merda!” Esclamò senza accorgersi.
“Qué pasa?” Le chiese la sua amica.
“Niente. Stai tranquilla.” Invece faceva un freddo cane, i tacchi iniziavano a farle male, gli occhi si stavano per chiudere dal sonno, la sua amica parlava spagnolo con qualunque persona le passasse davanti e dovevano aspettare ancora 40 minuti lì ferme. Una merda insomma.
Ah, e non dimentichiamo quello stramaledetto antifurto che continuava a rimbombare senza sosta.
Fu proprio in quel momento che un ragazzo uscì dal Groucho Club con la sua compagnia di amici.
Prese le chiavi dalla tasca del giubbotto di pelle nero e premette stoppando l’antifurto. Delle ragazze lo fermarono e gli chiesero una foto. Un“Click”, un saluto, un sorriso e le ragazze se ne andarono.
Aprì la macchina salutando i suoi amici, ma prima di aprire la portiera si accorse delle due ragazze vicino al muretto. Una aveva appena alzato la testa dal muretto, mentre l’altra le porgeva un fazzoletto.
I loro sguardi si mossero nello stesso momento, incontrandosi o meglio scontrandosi.
“Tu” Sussurrarono entrambi contemporaneamente.
“Oh, grazie al cielo! Robert! Mi faresti un favore? Ci potresti dare un passaggio? Ti prego. Sono in crisi e lei ha bisogno di andare a letto.” Gli pregò non pensando che erano anni che non si vedevano e non si parlavano.
“Ehm…guarda io, veramente…” Balbettò non riuscendo a trovare nemmeno una scusa decente.
“Dai, per favore. Non te lo avrei chiesto se non fosse stata un’emergenza.”
Il ragazzo la fissava senza dire una parola. Aveva sempre odiato quando lui la fissava in quel modo indecifrabile. Eppure lei conosceva tutte le sue espressioni. O meglio dire che le aveva conosciute. Ma questo successe tempo prima, molti anni prima.
Poiché la risposta non arrivava la ragazza gli sventolò la mano davanti al viso e lui, irritato, le fece segno di salire.
“Cerca di non farla vomitare in macchina.” Disse con disprezzo.
“Sì, sì certo. Sto dietro con lei.” Disse la ragazza sorridendo fra sé e sé.
Il viaggio passò in silenzio finchè lei non si decise a parlare. A differenza di Robert, i silenzi per lei pesavano.
“Certo che è strano sentirtelo dire.” Sogghignò.
“Cosa?” Chiese il ragazzo concentrato sulla strada.
“Cerca di non farla vomitare in macchina.” La ragazza imitò il tono da rimprovero che Robert aveva usato.
“Perché scusa? Cosa c’è di strano?”
“Conoscendoti…”  E la ragazza lasciò la frase in sospeso.
“Io non ho mai vomitato in macchina dopo una sbornia.” Si difese l’altro irrigidito.
“Non bestemmiare, ti prego.” E dopo questa affermazione calò nuovamente il silenzio.
“Come va?” Gli chiese lei dopo un po’.
“Tutto bene, tu? Dimmi dove devo girare.” Rispose lui freddo.
“Sì, la prima a destra. E’ il numero 14.”
Mentre il silenzio regnava nell’abitacolo, la ragazza lo osservava di sottecchi. Se lo ricordava come un orso che cercava di fare il mondano ma che finiva sempre per stare chiuso in casa con l’Arsenal, una birra, e i soliti amici o nel pub più buio di tutta Soho. Invece adesso era tutto pettinato, capelli corti, barba curata, profumo che sembrava proprio un Hugo Boss e camicia. Se glielo avessero detto non ci avrebbe mai creduto. Il Robert che usciva sempre con le solite quattro t-shirts o al massimo le camicione a quadri ora indossava una camicia bianca probabilmente firmata. Il successo era riuscito nell’impossibile: lo aveva cambiato.
Ma anche lei era cambiata. Lui se ne era accorto. Era vestita benissimo, come al solito curava ogni singolo dettaglio, e per quanto riguarda l’aspetto fisico era esattamente come sei anni prima, ma lo sguardo era più maturo e ripensandoci all’epoca non avrebbe avuto il coraggio di chiedergli un passaggio e men che meno di iniziare un discorso.
Robert ricordava benissimo quando bastava che la guardasse per farla diventare rossa come un pomodoro, oppure quando si arrabbiava con lui ma bastava una parola dolce per farla rimanere senza parole. Si ricordava anche di tutte le volte che lei c’era quando, in estate tornava a casa sbronzo, o quando faceva un incidente(cosa molto frequente) e lei si presentava ogni giorno in ospedale. Eppure quando lei aveva fatto la maturità, o quando era lei a cadere in motorino lui aspettava le notizie da sua madre, ma non la chiamava neanche. Quante litigate hanno fatto, quanti pianti si sono nascosti, quante volte si sono perdonati senza perdonarsi veramente e quante promesse sono state infrante.
Dopotutto, finchè  le loro famiglie li obbligavano a passare week-ends e vacanze insieme era un conto, ma al compimento dei 18 anni nessuno poteva più forzarli a passare del tempo tra loro.
Ogni tanto capitava ancora di beccarsi nei soliti posti di Londra, ma poi lui era partito per l’America e lei per l’Italia e non si erano più visti. Almeno fino a quella strana sera.
Ma Robert avrà mai pensato a che fine avesse fatto lei in quei sei anni? E lei avrà seguito le sue avventure sui giornali? Purtroppo la risposta la conoscono solo loro.
“Arrivati.” Disse Robert fermando la macchina.
“Ok, grazie…buonanotte a tutti.” Alessia barcollò fino all’ingresso.
“Aspetta Ale, ti accompagno.” Gridò la ragazza  ma l’amica la fermò, facendole capire che ce l’avrebbe fatta da sola. Infatti entrò dal portone senza alcun problema.
La ragazza allora passò sul sedile anteriore e il ragazzo partì.
Il silenzio era ancora presente e non accennava a terminare.
Neanche la radio era accesa.
“Non mi hai detto dove ti devo portare.” Sussurrò il ragazzo guardandola di sottecchi. In quell’attimo lo sguardo di Robert si posò sulla generosa scollatura di lei e continuò studiando centimetro per centimetro il tubino rosso di lei, nascosto da un cappottino nero.
“Ah, sì scusa. Abito a Notthing Hill.” Rispose lei guardando fuori dal finestrino.
In 10 minuti furono sotto casa sua e il ragazzo spense il motore.
Lui la fissò, aspettando che scendesse.
Lei era imbarazzatissima e non sapeva che fare. Lui si accorse del rossore che aveva ricoperto le guance di lei, e quella sua sensualità mescolata all’ innocenza la rendevano davvero stupenda.
“Ok, io…ehm io vado. Grazie del passaggio. Ci vediamo!” Ma entrambi erano consapevoli del fatto che non si sarebbero più visti. Lei si mosse velocemente, slacciò la cintura di sicurezza e prese in mano la borsetta.
Si girò verso il ragazzo per guardarlo un’ultima volta, ma lui trattenne il viso di lei con delicatezza.
Si avvicinò alla guancia della ragazza e indugiò per qualche secondo.
Annusò la sua pelle e il profumo che emanava lo inebriò.
Lei, per conto suo, non se lo sarebbe mai aspettata e rimase qualche secondo intontita non sapendo cosa fare.
Senza staccarsi dalla guancia ormai color porpora, il ragazzo portò le labbra all’angolo di quelle della ragazza, cominciando a darle una serie di baci indugiati.
Appena toccò la morbidezza di quelle labbra, non riuscì più a resistere. Le accarezzò, le baciò, le assaporò con una sorprendente dolcezza. Il bacio fu lento e lieve, non lo approfondirono. Non ce ne era bisogno perchè era l’esperienza più intima che entrambi avessero mai vissuto.
Quando il bacio terminò si guardarono senza dire una parola.
Di cose da dire ce n’erano molte ma nessun suono usciva dalle loro bocche.
Una volta probabilmente sarebbero stati felici, ma non era più il tempo.
“Grazie ancora del passaggio, addio Rob.” La ragazza scese dalla macchina con talmente tanta fretta che quasi inciampava nei suoi stessi piedi.
Sentiva lo sguardo di lui addosso, ma non si voltò. Percorse il vialetto, i tre scalini bianchi e aprì il grande portone.
In un millesimo di secondo scivolò dentro l’edificio e si richiuse il portone alle spalle. Solo quando sentì la macchina ripartire sgommando sul suo volto si disegnò un sorriso alla Julia Roberts e potè controllare se era veramente il suo cuore a rimbombarle velocemente nel petto.
Subito il suo cellulare cominciò a suonare e il suo cuore si riempì ancora di più.
“Pronto, Claudio?” Rispose.
“Hey amore…tutto bene a Londra? Mi manchi tanto.”
   
 
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