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Autore: shevaara    26/04/2011    0 recensioni
Era uno di quelli che chiamavano Albini. Ne erano nati molti dopo l'esplosione nucleare di Ridric. I loro capelli di un bianco candido, i loro occhi chiari, la pelle bianca come il latte... Ma questo nome, ormai è quasi inadeguato. I capelli bianchi sono solo una delle meno importanti caratteristiche che li contraddistinguono da noi umani.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Racconto scritto per un concorso. I hope you like it! ^^

BROKEN MIND


Era uno di quelli che chiamavano Albini. Ne erano nati molti dopo l'esplosione nucleare di Ridric. I loro capelli di un bianco candido, i loro occhi chiari, la pelle bianca come il latte... Ma questo nome, ormai è quasi inadeguato. I capelli bianchi sono solo una delle meno importanti caratteristiche che li contraddistinguono da noi umani. Vengono dalle zone più vicine all'esplosione e, per questo... Sono diversi.
Ho visto un uomo dalla lunga coda nera, ho visto una donna con otto braccia, bava appiccicosa quanto quella di un ragno... Quando ancora erano pochi, e vivevano come spettacoli da baraccone vagando di città in città, offrendosi come spettacolo e obbiettivo di scherno per tutti coloro cui le radiazioni non avevano torto un capello.
Ho visto un uomo dalle mani enormi usarle per proteggersi dagli spari dei soldati anche se, a quanto pare, non aveva fatto nulla di male. Perché al di fuori del circo facevano paura, spaventavano, diventavano “l'uomo nero” di questa nuova generazione, diventavano gli immigrati non voluti di questa nuova era, tutti criminali e malvagi dentro.
E poi, ho visto il culmine delle incomprensioni e delle divergenze tra le due razze.
Ho visto un ragazzo posare le mani sulle tempie di un uomo, farlo tremare in preda alle convulsioni, fargli divenire gli occhi bianchi e la pelle livida e di li a poco, semplicemente con quel tocco, ucciderlo poco prima che due caricatori di mitragliatrice fossero su dentro di lui. Tutto ciò perché gli orfani albini non erano graditi negli orfanotrofi, neppure nei peggiori. Tutto ciò perché era stato costretto a rubare un frutto, una guardia lo aveva preso con l'intenzione di tagliargli una mano per quel piccolo crimine e lui si era protetto.
Nonostante ciò, nonostante sappia più che bene che un animo portato al male può albergare in ogni corpo, dal più normale al più deforme, neppure io gradisco gli Albini. Mi chiedo se il capocarceriere si sia divertito a raccontarmi di questo Albino,.. Forse no, forse era troppo preoccupato, troppo spaventato per continuare la nostra piccola guerra personale. La stessa guerra per cui mi ha spedito qui, nella cella d'isolamento. Ormai ci ho fatto l'abitudine. Sto così spesso qua pur di non piegarmi a lui che ormai la solitudine è la norma, e mai come ora gradirei la solitudine.
Agita una mano, sul suo viso giovane vi è un espressione di scusa, le sopracciglia corrucciate e un sorrisetto innocente.
- Mi dispiace... - la sua voce dimostra timidezza, così insicura. - Sai, io vengo da un ghetto, sono sempre stato in mezzo alla gente, non sopporto di stare solo... -
Guardo lui e poi il mio sguardo cade il pavimento, dove giacciono la macerie dello spesso muro. Era sembrata terra secca sotto il suo pugno, eppure le pareti delle celle d'isolamento sono spesse... Molto spesse...

- Sarà solo per poco, domani mattina se ne andrà - aveva detto il capocarceriere - domani parte per Karect -
Avevo riso.
- Grazie dell'informazione... - avevo replicato, sarcastico.
La prigione di massima sicurezza di Karect. Cos'ha mai potuto fare un moccioso che puzza ancora di latte per finire lì?
Avevo pensato ad un brutto tiro del carceriere per mettermi a disagio, un'invenzione per farmi temere quel ragazzo e poi schermirmi in seguito davanti agli altri carcerati. Eppure nell'espressione dell'uomo c'era un ché di diverso, un disagio reale che raramente avevo visto sul suo volto.
- Di sicuro tenterà di parlarti. Ha tentato di attaccar bottone con tutti. Se puoi taglia corto, ma non rifiutare... -


- Non importa - gli rispondo - non mi dispiace fare una chiacchieratina -
Il ragazzo sorride, ringraziandomi.
- Mi manca sentire quel solito brusio. Sia in per le vie che in casa c'è sempre rumore, soprattutto se mamma sgrida me o i miei fratelli -
Da radiosa, la sua espressione si fa malinconica, buia.
- Mi mancano le sgridate di mamma... gli stupidi giochi dei miei fratelli... -

- Probabilmente ti parlerà della sua famiglia, sua madre, i suoi fratelli, amici e compagnia bella. Ascoltalo, o comunque fai finta -
L'espressione del capocarceriere era terribilmente seria, turbata, quasi terrorizzata.

- Quando sono venuti a prendermi erano tutti atterriti. Hanno cercato di fermare le guardie, ma è stato inutile. Nel ghetto siamo tanti, ma anche le guardie sono tante e sono meglio armate di noi - Alza di nuovo lo sguardo su di me, un sorriso speranzoso in volto - Ma non starò in prigione a lungo. Non ho fatto niente di male dopotutto, sono certo che mi rimanderanno presto nel ghetto. Mi manca così tanto! Non vedo l'ora di rientrare a casa e sentire l'odore di pane caldo e mele cotte. Mia madre le cucina spesso, ci vuole poco e sono buone
Avvicina il volto al buco da lui creato, furtivo, nascondendosi la bocca con una mano.
- Quando riesco a rubare un pollo alle guardie cucina anche l'arrosto!
Ride e io abbozzo un sorriso a mia volta, tentando di non deluderlo.
- È da anni che io non mangio l'arrosto - Biascico, passandomi una mano dietro al collo - Quello di tua madre dev'essere davvero buono.

- Dannazione, io ti toglierei di qui, ma il direttore vuole ci sia qualcuno con lui.. o quanto meno nelle sue vicinanze cosicché possa chiacchierare come lui desidera
Si passò una mano sul viso, nervoso.
Avrei voluto prenderlo in giro per questo suo comportamento da codardo, prendermi una piccola vittoria, ma questa non era una battaglia. Ill capocarceriere non è mai stato un codardo. Se aveva paura significa che c'era da averne...
- Ma non poteva rimanersene nel ghetto?
- Il suo ghetto?
Mi guardò abbozzando una sarcastica risata.


- Immagino che da certi punti di vista la prigione sia un po come il ghetto, non puoi mangiare ciò che vuoi, non sei del tutto libero e... Effettivamente non so molto altro sulle prigioni, è la prima in cui sto.
- Sono tutte uguali. Luoghi tristi piene di sbarre... - Dico con un sospiro. Ne ho girate un paio nei miei ultimi anni di reclusione.
- Nel ghetto ci sono sbarre solo alle finestre e alle porte che portano al di fuori. Sono sempre controllate, come se qualcuno di noi volesse andarsene. Stiamo bene nel ghetto, meglio di quanto potremmo stare fuori.
Un attimo di silenzio e poi un risolino mi giunge dall'altra pare del muro.
- E scommetto che il mio ghetto è uno dei più belli.

- Il suo ghetto non esiste più...
Lo guardai inarcando un sopracciglio.
- Lo hanno chiuso? Perchè? Le radiazioni in quella zona stanno aumentando?

- Il ghetto... Mi manca, mi manca terribilmente. Vorrei tornare a giocare nel cortile con gli atri ragazzi e poi... Vorrei anche rivedere Yue.
Abbassa lo sguardo, arrossendo imbarazzato.
- Yue è la mia ragazza... È molto carina, non sopporterei che un altro ragazzo le ronzasse attorno! Sopratutto ora che suo fratello maggiore è morto...

Scosse la testa, passandosi nuovamente la mano sul volto stanco e nervoso.
- No, non l'hanno chiuso...
Mi si avvicinò di un passo e abbassando la voce continuò.
- Pare che una guardia lo abbia stuzzicato un po troppo, abbia fatto qualcosa che lui non ho gradito affatto...


- Tutti dicono che è morto per una malattia, ma Yue dice che è morto perché delle guardie lo hanno picchiato a sangue. Non lo sappiamo con certezza, lo hanno quasi subito portato in infermeria e non lo abbiamo più rivisto, neanche da morto. Era come un fratello maggiore per me...
Si passa una mano sugli occhi, come a scacciare lacrime che vogliono scendere. Usa la mano sinistra, guantata di nero, a differenza della destra.

- Non so cos'abbia sotto quel guanto nè ho voglia di scoprirlo... Ma probabilmente è stata proprio quella mano ad aver ridotto in cenere tutto.
Tutto e tutti.
Dove una volta c'era il ghetto di Zetra ora ci sono appena macerie e ossa carbonizzate. Un chilometro quadrato! Più di cinquemila persone!
- Li ha uccisi tutti! - sussurra tra i denti come temesse quelle sue stesse parole - Tutti

Si zittisce, forse pensieroso.
Rimane così a lungo, con mio sonno piacere.
- Ti ho annoiato? - chiede poi, quando credevo non avrei più sentito la sua voce.
- Figurati - mi affretto a rispondere - Sei tu quello che viene da fuori, i tuoi racconto sono molto più interessanti dei miei.
- Davvero? Vuoi che ti racconti altro?
Come rifiutare?

- Lo hanno trovato in piedi tra la desolazione che rideva a squarciagola, lo sguardo al cielo e le lacrime agli occhi, in piedi tra cenere e ossa... Capisci?

- Il ghetto mi manca... - dice, di nuovo.
Non fa che ripeterlo. In ogni suo discorso, parlato come avesse meno anni di quanti dimostra, compare sempre quella piccola frase. A volte è marginale, a volte è il fulcro, ma c'è sempre. Sempre.
- La psicologa dice che ha qualche problema qui dentro - continuò toccandosi la tempia con un dito - non si è reso conto di ciò che ha fatto, lo ha cancellato completamente dai suoi ricordi. Per lui i suoi genitori, la sua fidanzatina, gli amici, il ghetto... È tutto lì che lo aspetta!
Sospirò, ticchettando nervosamente per terra con un piede.
- Se tentassimo di ucciderlo come reagirebbe? Quando scoprirà che non tornerà più nel suo ghetto come reagirà?
Mi morsi un labbro annuendo.
- Bella domanda, capo.


- Mi manca il ghetto... Ma so che ci tonerò. “Se non fai niente di male i soldati non ti faranno del male”, questa è una delle regole del ghetto. Io non ho fatto niente di male, quindi ci tonerò.
Si spengono le luci, la mia salvezza.
- È stato un piacere conoscerti - dice ancora il ragazzo - Buonanotte
- Buonanotte...

   
 
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