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Autore: Cleo    29/04/2011    3 recensioni
Non le ho mai chiesto perché lo facesse, ma credo di averlo sempre saputo. Era implicito nel modo in cui mi guardava. Era implicito nel modo in cui non chiedeva.
Genere: Erotico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George Weasley, Luna Lovegood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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I nostri discorsi erano pieni di silenzio.
Luna non voleva sapere niente. Si sedeva con me, e semplicemente stava lì. Mi abbracciava, qualche volta, oppure si sdraiava con me sul letto, e mi accarezzava la schiena, le sue dita come piume. Ha versato il suo cuore, in quei versi che ha scritto sulla mia pelle, abbiamo sprecato ore interminabili a provare il conforto di un tocco diverso sui nostri corpi spossati.
A volte la mancanza di Fred sembrava tagliare l’aria, comprimere lo spazio, avevo l’impressione che un peso mi si depositasse sui polmoni, e che presto anch’io sarei andato via. Ma lei mi carezzava dolcemente e mi sussurrava ninnananne incomprensibili, così chiudevo gli occhi e mi lasciavo piangere e ricordare; mi accartocciavo contro di lei come un bambino, appoggiavo la testa fra i suoi seni e per un momento, un momento solo, ad un suo battito di cuore corrispondeva un secondo di serenità.
Non le ho mai chiesto perché lo facesse, ma credo di averlo sempre saputo. Era implicito nel modo in cui mi guardava. Era implicito nel modo in cui non chiedeva.
Sorrideva spesso, Luna, ma non a me. Sorrideva alle stelle fuori dalla finestra, agli sbuffi di vento che le scompigliavano i capelli, all’ombra che la seguiva dappertutto; sorrideva serena, con gli occhi mezzi chiusi, e sembrava che cercasse di cullarsi fino al sonno.
A volte mi pettinava i capelli, io seduto di fianco al letto con la mia testa tra le sue ginocchia, e mi raccontava la sua giornata, dei suoi animali magici, di suo padre. Non si lamentava mai, non c’era mai una nota di tristezza nella sua voce; ridacchiava, quando mi raccontava di come era scivolata dalle scale o di come si era infilata il vestito al contrario. Si addormentava, ogni tanto, sfinita dalla giornata di lavoro, ed io restavo lì a guardarla, immobile; la ascoltavo respirare, inalavo il suo profumo e spesso il suo sonno conciliava il mio. Ripensandoci ora, non riuscivo a dormire se Luna non era al mio fianco.

Quante volte l’ho immaginata ad occhi chiusi, senza riuscire a cogliere del tutto il suo profumo nelle narici, e lei compariva all’improvviso, frusciando, come se si muovesse per non disturbare l’aria. Sorridevo, guardando la sua figura evanescente che sbocciava dal buio della porta, e ancora parlavamo, il silenzio che cadeva su di noi come una melodia per un pubblico sordo. Lei mi stringeva le mani, mi accarezzava il viso, sfiorava i miei contorni e ne disegnava di nuovi, seguiva la linea delle mie vene, rideva del mio naso aguzzo e del mento sfuggente. Ridevo con lei e mi sentivo bellissimo, plasmato nelle sue mani.
Io non la toccavo mai: era troppo bianca, troppo pura, e ogni mio tocco avrebbe sporcato anche lei di quel disincanto che mi impediva di sperare. Lasciavo che lei dipingesse su di me la sua innocenza, ma io non cercavo mai di raggiungerla.
Quando mi ha preso la mano e l’ha appoggiata sul suo seno, il respiro mi è scomparso dalla bocca.
“Voglio solo sentire”, ha detto, e ha chiuso gli occhi, abbandonandosi a me senza riserva. Allora l’ho toccata con delicatezza, uno sfiorare delicato ed impalpabile, per timore di ferirla e graffiarla; lei respirava piano, a piccoli scatti, come se avesse paura che, se si fosse mossa, io avrei ritratto la mano.
Quando ho raggiunto il suo sesso, ha stretto più forte gli occhi e mi ha spostato le dita sul suo fianco magro.
  
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