*"Justice has been done."
Per quanti anni aveva desiderato sentire quelle parole?
Ed ora, finalmente, dopo una giornata apparentemente normale e tranquilla, era giunta dal Pakistan la notizia che l'operazione aveva avuto successo. Il suo cuore aveva fatto un balzo, mentre il suo sguardo si era riempito di lacrime.
Gioia, gioia irrefrenabile. Una gioia incredibile, che l'aveva fatto quasi correre al telefono. Chiamò New York, la sua "piccola" Big Apple, e le comunicò la notizia con voce singhiozzante. Dall'altra parte, la ragazza non rispose, se non con un breve silenzio, inframmentizzato da mugugnii senza senso. Poi anche lei scoppiò a piangere di gioia. Rassicurandola con voce dolce, Alfred le disse che sarebbe andato da lei il prima possibile, quando i festeggiamenti degli americani gli avrebbero permesso di raggiungere l'aereoporto o la stazione per andare a New York.
Poche ore dopo, infatti, era di fronte alla ragazza, che singhiozzava ancora, e le sorrideva.
Dieci anni... l'aveva vista soffrire per dieci, strazianti, lunghissimi, interminabili anni.
In fondo, glielo aveva promesso, che tutto sarebbe finito e che i responsabili della vicenda sarebbero stati puniti. Lo aveva giurato dieci anni prima sul corpo in fin di vita della ragazza, quando ancora credeva che non sarebbe sopravvissuta. E invece... invede ora la vedeva di fronte a lui, che piangeva dalla gioia e gli sorrideva riconoscente. Lo abbracciò e Alfred la strinse contro il suo petto, contro quella cicatrice che portavano entrambi, il ricordo di quella mattinata che li aveva quasi uccisi. Le accarezzò i capelli e sorrise ancora una volta, accarezzandole i lunghi capelli castani.*
Justice has been done...