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Autore: Lella Duke    05/05/2011    1 recensioni
E' più dura la testa dei ragazzi Dukes o di Maudine la mula? Di sicuro zio Jesse saprebbe rispondere a questa domanda.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bo Duke, Enos Strate, Luke Duke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo sei: In ospedale

 

Luke non aveva mai realizzato quanto fosse distante il Tri Country Hospital, non pensava che il viaggio sarebbe stato così lungo. Ma forse era proprio quel viaggio ad essere interminabile.

Per tutto il tempo se ne restò seduto, stretto tra le sue braccia in un angolo ai piedi della lettiga sulla quale era adagiato Bo. Osservava nervoso tutti quegli aggeggi bizzarri che lo circondavano: monitor, sacche piene di liquidi dal colore indefinibile. E poi aghi, siringhe, fili e tubi strani che sbucavano da ogni parte.

Da quando erano saliti sull’ambulanza, non aveva mai tolto gli occhi di dosso dai due omoni vestiti di bianco che lo avevano relegato senza tante cerimonie nel suo attuale cantuccio. Li aveva visti entrambi auscultare ripetutamente il petto nudo di Bo, li aveva osservati mentre gli passavano sulla fronte garze su garze imbevute di disinfettante o forse di alcol. E infine li aveva sorpresi ad inserire nel braccio del cugino un ago, a suo dire, spropositatamente grande: “dobbiamo idratarlo.” Disse uno dei due rivolto all’altro. Da quell’ago partiva un tubicino che arrivava fin dentro una di quelle sacche che aveva già visto lì intorno da qualche parte e che era stata assicurata ad una sorta di curioso attaccapanni. O almeno è quello che sembrava a Luke. Incredibilmente si scoprì a sorridere al pensiero che almeno Bo era incosciente. Non sarebbero bastati altrimenti due energumeni per tenerlo fermo e infilargli quell’ago nel braccio.

Bo.

Fin da quando erano bambini, Luke aveva promesso ai suoi zii, a se stesso e perfino a Dio, che avrebbe vegliato sui suoi cugini più giovani finché avesse avuto fiato nei polmoni. E invece aveva fallito miseramente. Tra quel convulso incrocio di braccia e schiene, riusciva a malapena a distinguere i tratti del volto di Bo. Sembrava stesse dormendo tanto appariva sereno.

Luke si ritrovò ancora una volta a chiedersi che diavolo poteva essere successo per arrivare fino a quel punto. Come poteva una giornata iniziata come tante altre e destinata a finire nello stesso modo, riservare un imprevisto di tale portata. Come poteva essere accaduta una cosa del genere a Bo? Che ci faceva steso su di una barella malferma e arrugginita, la persona più allegra e solare che avesse mai conosciuto in vita sua? E come avrebbe reagito zio Jesse? E Daisy?

Il solo rievocare i volti degli altri due membri della sua famiglia, gli provocò un attacco di sudarella fredda. Temeva che se a Bo fosse successo qualcosa di irreparabile, Jesse e Daisy lo avrebbero ritenuto responsabile. Lui stesso si riteneva colpevole. Erano trascorsi solo pochi minuti dalla sparatoria, ma il senso di colpa di Luke aveva già cominciato ad ingigantirsi senza freno. Il suo era un tormento destinato ad aumentare.

Luke era talmente assorto nei suoi pensieri, da rendersi conto che l’ambulanza si era fermata solo quando uno dei due portantini lo invitò senza mezze misure a togliersi dai piedi e lasciarli uscire con la barella. Si alzò di scatto e fu costretto ad aggrapparsi allo sportello posteriore per non ricadere indietro. Aiutò quindi ad aprire le porte e si spostò di lato.

I due omoni, inaspettatamente agili e rapidi, fecero uscire la lettiga dall’ambulanza e si diressero verso l’entrata dell’ospedale. Luke li seguì all’interno finché si ritrovò la mano di uno dei due premuta sul petto: “lei qui non può entrare. Si metta seduto in sala d’aspetto, al più presto i medici le daranno notizie.”

Luke vide la porta che i due avevano appena varcato, richiudersi proprio davanti al suo naso. Rimase a fissarli da una piccola finestrella di fronte a sé, li vide svoltare un angolo e sentì il tonfo di un’altra porta che si richiudeva. Dopo qualche istante, si girò e si mise a sedere sulla sedia a lui più vicina.

Ora non doveva fare altro che attendere l’arrivo di Jesse e di Daisy.

Ora non doveva fare altro che congiungere le mani e pregare.

 

Non fece neanche in tempo a raccogliere mentalmente le parole più adatte per iniziare la sua supplica a Dio, che udì le voci di Enos e Cooter in avvicinamento. Sollevò lo sguardo proprio mentre i due amici lo avevano raggiunto: “abbiamo fatto più in fretta che abbiamo potuto.” Esordì Cooter sedendosi accanto a Luke.

“E’ dentro da molto? Ha mai ripreso conoscenza durante il viaggiò?” Domandò poi Enos andando ad occupare un’altra sedia.

Luke passò più volte in rassegna le facce dei suoi due amici. Aveva capito che gli stavano rivolgendo delle domande alle quali era certo di poter rispondere, ma la voce non ne voleva sapere di uscire. Se in banca aveva avuto la sgradevole sensazione di avere le orecchie piene di ovatta, ora si aggiungeva anche il sospetto di avere la lingua annodata. Se avesse parlato, anche solo per affermare o negare, avrebbe rivelato un tremore che lo avrebbe fatto passare agli occhi dei suoi amici come una persona sopraffatta dal panico. E lui non poteva permettere che una cosa del genere accadesse.

Luke Duke non perdeva mai il controllo.

Non si lasciava mai trascinare dagli eventi. Lui gli eventi li controllava.

Niente era mai troppo bello o troppo brutto per permettere che Luke si sbottonasse la corazza che aveva sempre indosso.

Nossignore.

Non avrebbe parlato.

Sarebbe rimasto in silenzio malgrado le pressanti domande di Enos e Cooter e avrebbe atteso composto notizie di Bo.

Serrò le palpebre per permettere a tutto il suo corpo di assorbire la decisione appena presa. Quando le riaprì vide spalancarsi violentemente la porta d’ingresso dalla quale lui stesso era da poco entrato in ospedale.

Vide Daisy e Jesse procedere a passo svelto nella sua direzione. Avevano entrambi il viso segnato dall’angoscia e dall’incertezza.

Quando gli furono arrivati a pochi metri, si fermarono e rimasero in attesa di spiegazioni che invece non arrivarono.

Luke si alzò in piedi e si posizionò di fronte allo zio: “mi dispiace zio Jesse.” Fu tutto ciò che riuscì a dire prima di collassargli tra le braccia.

E come un bambino pianse tutte le lacrime che fino ad allora si era illuso di potersi ricacciare indietro.

   
 
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