Titolo: L’arroganza di credere di sapere
ciò che gli altri pensano;
Fandom: Sherlock Holmes;
Personaggi: John Watson/Sherlock Holmes, Lestrade
Parte: oneshot
Conteggio Parole: 2439
Riassunto: Watson vorrebbe difendere l’onore del suo amico,
ma finisce col trovarsi nei guai…
Avvertimenti: Ovviamente, è slash. E uhm… che
dire, è la mia seconda storia canonverse, e questa volta non
ho avuto l’aiuto della mia
cara mentore, perciò… spero non faccia
totalmente schifo e di essere riuscita a mantenere l’IC!
Note: Scritta in occasione dell’ iniziativa: remix di
holmes_ita. La storia remixata potete (e dovete) leggerla qui: La
più grande sofferenza possibile, di Miss
Adler, a cui dedico questa piccola schifezzuola di cui non
sono per niente soddisfatta (e non so perché, ma appena lo
saprò ve lo dirò!! ^^)… Mi dispiace!!
°AAAA°
*mumble* il titolo è davvero troppo lungo… Ro,
come fa a piacerti??? xDD
L’ARROGANZA DI CREDERE DI SAPERE CIO’ CHE GLI ALTRI
PENSANO
Da un uomo d’azione come me, chiunque si aspetterebbe un
comportamento rigido, ligio alle regole, fedele; soprattutto, si
aspetterebbe che mantenessi fede alla parola data, in special modo se
la suddetta parola mi è stata estratta da una persona cara.
Tuttavia, ben lungi da me considerare il mio silenzio come una
promessa!
Io non avevo dato la mia parola a Holmes che non sarei andato in cerca
di Adalbert Gruner a stringergli le mani al collo, piuttosto, gli avevo
promesso che mi sarei mantenuto estraneo a qualsiasi
spostamento della polizia nell’arresto di quei cari
gentiluomini che avevano osato mettere le mani addosso a Holmes.
Camminavo spedito per la strada, Baker Street ormai alle mie spalle,
l’odore del suo trinciato e della sua brillantina ancora
sulla mia pelle, e riflettevo sul da farsi.
Io ero un veterano, un soldato, e come tale avrei mantenuto la mia
promessa: non sarei andato a caccia dei farabutti che Gruner aveva
mandato a malmenare il mio amico.
Ma proprio in quanto soldato, non avrei consentito che il mandante
restasse impunito; certo, la polizia – con l’aiuto
di Holmes ovviamente, in quanto è ormai risaputo in tutta
Londra che Scotland Yard non brilli per genialità
– avrebbe arrestato quei delinquenti, e io non mi
sarei messo in mezzo.
Ma diciamo che avevo preso la questione sul personale,
perciò mi sentivo in dovere di punire personalmente il
mandante di quella spedizione tanto deplorevole contro il mio
coinquilino, amico e amante.
Volevo vendetta.
Tuttavia, non ero granché convinto di ciò che
stavo per compiere.
Non ero un uomo tanto impulsivo, anzi, tutti coloro che possono
ammettere di conoscermi almeno un poco – e tra questi, spicca
sicuramente il nome di Holmes – diranno che invece sono assai
pacato.
Ma, odio ripetermi – credo però sia una
caratteristica che ho acquisito stando in stretto contatto col mio
coinquilino – avevo preso la questione sul personale.
Vedere Holmes in quelle condizioni, mi aveva fatto ribollire il sangue
nelle vene dalla rabbia e dallo spavento. Anche mentre facevamo
l’amore, scrutavo ogni lembo di pelle ricoperto da bende o
cerotti, e mi ero sentito in un certo qual senso in colpa per non
essere stato lì con lui, per non averlo protetto.
Se mai gli fosse successo qualcosa, non so dire cosa avrei fatto.
Ero stufo di preoccuparmi costantemente per lui, ma dovevo comunque
essere sincero con me stesso: avrei continuato a preoccuparmi per lui
finché il suo cuore avesse continuato a battere.
Tuttavia, avrei voluto prendermi una rivincita, almeno una volta, su
una persona che incarnava le mie paure più grandi, la stessa
persona che avrebbe potuto portarmi via l’uomo che amavo.
Ero stato più volte indicato dal suddetto uomo come un
sentimentale, anzi, potrei proprio dire che ogni qual volta si parlava
di questo lato del mio carattere, lui storceva il naso.
Poco prima però, lui stesso si era dimostrato romantico,
anche se mi aveva esposto la sua teoria proprio come se fosse
effettivamente un teorema matematico da dimostrare.
Nonostante tutto, credo che se avesse saputo dove ero diretto, sarebbe
scoppiato a ridere, i suoi occhi grigi avrebbero mandato lampi
divertiti, e mi avrebbe fermato, blaterando di ideali cavallereschi e
romantici che non per forza dovevo rispettare.
Ma a prescindere da questo, io volevo punire quell’uomo.
Forse, se mi fossi fermato un attimo a riflettere, avrei capito che
andare a caccia di Gruner avrebbe significato esorcizzare le mie paure
certo, ma soprattutto avrebbe significato far preoccupare una persona.
In realtà lo sapevo bene. Sapevo che molto spesso non voleva
coinvolgermi nei casi che seguiva per paura che mi succedesse qualcosa,
che rimanessi ferito, o addirittura ucciso.
Sapevo che non si sarebbe mai perdonato se fosse successo
qualcosa alla mia persona.
Lui avrebbe fatto di tutto per me, ma anche io avrei fatto di tutto per
lui, e volevo lo sapesse.
Accelerai il passo, sempre più convinto di ciò
che stavo per fare, diretto verso la bettola dove avrei potuto trovare
Gruner.
Holmes mi aveva più o meno informato degli spostamenti e
delle abitudini di quell’uomo, perciò sapevo che
con molta probabilità lo avrei trovato lì.
Camminavo da circa un quarto d’ora quando, sulla mia destra,
vidi il bar dove era solito sostare Gruner. Sperai di essere tanto
fortunato da trovarlo, altrimenti non avrei saputo dove altro cercare.
Attraversai la strada ed entrai; lanciando uno sguardo disgustato
all’ambiente intorno a me – tavoli luridi, uomini
mezzi ubriachi semi sdraiati al bancone, puzza di fumo – mi
avvicinai all’oste, chiedendogli informazioni su Adalbert
Gruner; quest’uomo mi scrutò bene prima di
rispondere che non sapeva di chi stessi parlando.
Tuttavia si tradì, poiché vidi il suo sguardo
correre veloce a un uomo che stava uscendo sul retro.
Non mi servivano anni di convivenza con Holmes per capire che
l’uomo che stava uscendo o era qualcuno che conosceva Gruner,
oppure era Gruner stesso.
Senza attendere oltre, lo seguii fuori, dove lo trovai in mia attesa,
un ghigno malvagio sul volto. Improvvisamente alle mie spalle, la porta
venne chiusa e sentii due grosse mani premere sulle mie spalle.
Capii subito di essere in trappola.
Come avevo potuto essere tanto stupido da non capire che era una
trappola? Certo non avevo il genio di Holmes, ma non ero pure uno
sprovveduto.
In quel breve lasso di tempo che precedette ciò che sto per
raccontare, ricordo che imputai tutto alla rabbia e al desiderio di
vendetta che mi invadeva in quel momento, rendendomi cieco e assai
stupido.
“Sapevo che sarebbe arrivato il cagnolino di Holmes a gridare
giustizia.”
Non feci in tempo nemmeno a stringere i pugni che le due grosse mani mi
spinsero contro il muro, ma io riuscii a reagire, brandendo il mio
bastone. Così facendo mi voltai verso i due grossi
energumeni che mi si stavano avvicinando.
Valutai le opzioni: scappare mi era impossibile, di certo non sarei
stato in grado di battere tre uomini da solo – considerando
inoltre la mia gamba. In sintesi: ero spacciato.
“Fermi!”
Voltai il viso verso il vicolo da cui era appena venuta quella voce che
mi sembrava di riconoscere.
Lestrade e i suoi uomini si fiondarono verso di noi, Holmes poco
più dietro che non toglieva gli occhi da me.
Devo ammettere che fu una delle poche volte in cui fui felice di vedere
Lestrade.
Si svolse tutto velocemente, quasi non riuscii a rendermene conto.
Gruner e i suoi due scagnozzi non poterono scappare, così
vennero arrestati e portati via sulla carrozza diretta a Scotland,
mentre vidi Holmes scambiare qualche battuta ironica con Lestrade per
poi prendermi per le spalle e trascinarmi fuori da lì.
Salimmo anche noi su una carrozza, e Holmes diede il nostro indirizzo
al cocchiere.
Io rimasi in silenzio tutto il viaggio, fissando il mio amico che
però non dava nessun segno di notare i miei sguardi
insistenti, né in verità alcun segno di vita. Era
assolutamente immobile, gli occhi fissi fuori dal finestrino a guardare
il vuoto.
Lo avevo già visto molte volte così, ma sempre
quando cercava di venire a capo di un caso assai intricato. In questa
situazione tuttavia capii che non stava pensando al caso –
era stato chiuso, i malvagi erano stati arrestati – e scartai
l’opzione che non stesse pensando affatto – in
quanto una simile ipotesi, se riferita al mio amico, era totalmente
utopica.
Quando arrivammo in Baker Street, scese dalla carrozza e fu dentro casa
in un lampo, lasciandomi basito. Pagai il cocchiere ed entrai dentro
casa, notando – e ringraziando il cielo – che Mrs
Hudson non fosse in casa.
Salii le scale ed entrai nello studio, dove trovai il mio amico seduto
in poltrona, la pipa già accesa tra le sue labbra che
mandava volute di fumo verso l’alto.
Sembrò non far caso alla mia comparsa nella stanza,
così mi sedetti nella mia poltrona, davanti a lui, incrociai
le braccia e attesi.
Nel frattempo iniziai a guardarlo. La fasciatura alla testa doveva
essere cambiata, la chiazza di sangue ormai si estendeva per quasi
tutta la sua larghezza.
Avrei voluto rimproverarlo, non si sarebbe dovuto alzare dal letto,
soprattutto per venire a salvare me.
Per altro, provavo un immenso fastidio al pensiero che mi ero diretto
da Gruner per avere una rivincita ed ero tornato sconfitto. Non mi era
bastato vederlo andare in prigione, avrei voluto davvero ucciderlo.
Strinsi i pugni, conficcandomi le unghie nel palmo, cercando di
calmarmi. Avevo già avuto prova che la rabbia non era
un’ottima aiutante in certi casi, ma anzi, poteva essere la
tua peggior nemica.
Il giorno era ormai giunto al suo termine, e sembravano essere passati
giorni rispetto a quel pomeriggio, mentre in realtà erano
passate solo poche ore.
Il buio premeva ormai sulla finestra, la strada si faceva sempre
più silenziosa, e Holmes ancora non parlava.
Sapevo che non l’avrebbe fatto per primo, e in cuor mio non
sapevo cosa fare; avevo paura della sua reazione, ma soprattutto, non
volevo spiegare il mio comportamento di quel pomeriggio.
Tuttavia, quando l’orologio aveva già scoccato da
un pezzo le undici, mi costrinsi a parlare, soprattutto
perché non tolleravo più quella situazione.
“Holmes, vuoi parlarmi?”
“Non c’è nulla da dire, non vedo
perché dovrei.”
Sbuffai sonoramente e mi alzai dalla mia poltrona, raggiungendo la sua;
mi chinai davanti a lui, cercando di fissare i miei occhi nei suoi
grigi, ma non riuscendoci dal momento che cominciò a
guardare il soffitto.
“Holmes, ti prego, di’ qualcosa!”
“Perché sprecare fiato quando non
c’è nulla da dire?”
Mi tirai dritto, improvvisamente arrabbiato. Non sopportavo il fatto
che non mi rivolgesse la parola e non capivo davvero per quale motivo
avrebbe dovuto comportarsi così nei miei riguardi. Non era
successo nulla, Gruner e i suoi uomini erano stati arrestati, eravamo
entrambi salvi, e avremmo potuto occupare il tempo in maniera
certamente migliore.
“Non capisco perché ti ostini a non
parlarmi.”
Se io camminavo su e giù per la stanza, in preda a una forte
agitazione, lui era l’esatto contrario di me. Continuava a
star comodamente seduto sulla sua poltrona, fissando il soffitto, la
pipa in bocca ormai spenta.
“Non mi stupisce affatto il fatto che lei non
capisca.”
Mi bloccai in mezzo alla stanza, ferito non so se più dalla
sua insinuazione secondo le mie facoltà intellettive o se
per l’uso della terza persona singolare. Erano anni ormai che
in privato non usava il lei per rivolgersi a me, e sono costretto ad
ammettere che mi procurò un dolore molto grande.
“Smettila di sminuire il mio intelletto e soprattutto,
smettila immediatamente di darmi del lei!”
Mi avvicinai a lui, prendendogli le mani, cercando di nuovo un contatto
coi suoi occhi, contatto che però lui non mi concedeva.
“So di aver sbagliato. Non sarei dovuto andare a cercare
quell’uomo, ma volevo vendicarti.”
Lo sentii dire qualcosa come “Che sciocchezza” ma
non ci diedi peso e continuai con la mia spiegazione.
“Direi che non ci sono riuscito, e non sai la rabbia che
ancora mi invade il corpo; non sopporto vederti così, ho
avuto paura di perderti e lo sai. Così ho deciso di andare a
cercarlo. Mi vergogno ad ammettere che non so cosa avrei potuto
fargli.”
Finalmente, sentii la sua mano stringere un poco la mia, anche se
ancora non mi guardava.
Sorrisi, anche per cercare di scaricare la tensione che si era venuta a
creare dopo la mia ammissione.
Senza sapere perché, gli dissi ciò che mi passava
per la testa – e a posteriori posso certamente affermare che
quella fu la definitiva dimostrazione del fatto che il mio amico avesse
sempre avuto ragione a dubitare della mia intelligenza.
“Non è successo nulla comunque; non
c’è da preoccuparsi o agitarsi. E se anche ti
avessi detto dove avevo intenzione di andare, mi saresti scoppiato a
ridere in faccia.”
La sua mano lasciò immediatamente la mia, poi il mio amico
si alzò in piedi e mi guardò, freddo come il
ghiaccio. La sua espressione mi spaventò, anche
perché più che altro non riuscivo a capire come
mai si stesse comportando così.
“Tu sai che non voglio coinvolgerti nei miei casi.”
Il suo tono di voce era freddo quanto il suo sguardo, ma capii che se
fosse stato un altro, e non il logico e razionale Sherlock Holmes,
avrebbe urlato.
“Sì lo so.”
“E sai anche perché, o devo spiegartelo?”
Non riuscii a lamentarmi dell’ennesima battuta dello stesso
genere.
“Credo di saperlo.”
“Ottimo, allora segui il mio ragionamento. Sapendo che non
voglio che ti capiti niente, secondo te, se tu mi avessi detto quali
intenzioni folli avevi, io ne avrei riso?”
“Sì, è quello che ho detto.”
“Quello che hai detto è un contro senso.”
“Io…”
Non riuscii nemmeno a concludere la frase, perché fui
zittito dai suoi occhi grigi troppo vicini ai miei, intimandomi il
silenzio, perentori, le sue mani che mi scorrevano delicate sulle dita,
come sole poche ore prima.
“Ti avrei fermato a qualsiasi costo, anche se avessi dovuto
legarti alla poltrona.”
Lo fissai, ragionando. Era la seconda volta quel giorno che mi faceva
intendere quali sentimenti provasse nei miei confronti; non che non lo
sapessi, anzi, erano il mio romantico pensiero fisso.
Tuttavia ora capivo realmente quale fosse la mia colpa.
Non solo lo avevo fatto preoccupare con il mio comportamento
– e sapevo che se avessi agito in tal modo, lui non ne
sarebbe certo stato felice – ma avevo avuto
l’arroganza di credere di sapere ciò che avrebbe
pensato riguardo le mie intenzioni.
“Mi dispiace.”
Mi avvicinai alle sue labbra, ma lui si tirò indietro.
“Sei un arrogante. Io cerco di tornare vivo alla fine della
giornata per te, vedi di concedermi la stessa grazia.”
Ci fissammo seri per un lungo istante, poi azzerai tutte le distanze e
lo baciai lievemente sulle labbra. Lui rispose subito, stringendosi a
me senza alcuna fretta.
Passai una mano sulla sua schiena, mentre approfondivo il bacio;
risalii poi fino ai muscoli dei suoi dorsali, accarezzai le spalle, il
collo e infine affondai le dita tra i suoi capelli, scontrandomi
così con la sua benda.
Mi staccai da lui, con il respiro un po’ affannato. Holmes mi
fissò basito per un attimo, senza lasciarmi andare.
“Dobbiamo cambiare queste bende.”
Sgusciai dal suo abbraccio, dirigendomi verso il bagno dove sapevo
avrei potuto trovare il bendaggio necessario.
“Sei tu il medico.”
Mi voltai verso di lui, che sorrise, incantandomi nuovamente con quel
suo regalo riservato a me, e a me soltanto.
Razionalizzai che avevo rischiato per ben due volte di perderlo quel
giorno, e che la seconda volta era stata a causa mia.
Mentre lo medicavo, pensavo che non potevo promettergli il mio non
coinvolgimento nei suoi casi; sarei stato sempre in pena per lui e
avrei sempre preferito averlo vicino.
Da quel giorno, non ebbi mai più una tale arroganza.