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Autore: Jules_    06/05/2011    3 recensioni
Soltanto l’amore può portare la pioggia che cade come lacrime dall’alto.
Piccola storia. Molto piccola. Forse anche stupida. Ma su una canzone stupenda.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"I need to get back home To cool cool rain..."


Nella stanza era tutto buio. Le persiane non erano state chiuse bene, così il sole, da fuori, proiettava la sua luce sulle mattonelle di quella camera da letto. Il silenzio regnava sovrano. Il vetro di una bottiglia mezza vuota scintillava captando un raggio di luce, fino a che non fu oscurata da una grande mano tremante.
Il quel preciso istante la porta si aprì di colpo, facendo entrare una gran luce che incorniciava una figura alta e snella. Il giovane, se pur avendo illuminato un po' l'ambiente aprendo la porta, non vide niente. Riuscì solo a distinguere il letto sfatto, il cuscino non lontano dalla scrivania e la sagoma dell'altro ragazzo che gli dava le spalle, dall'altra parte della camera. I suoi occhi azzurri e preoccupati continuavano a scrutare il buio cercando una qualche reazione da parte dell'amico ma niente; mentre lui se ne stava in piedi con i riccioli biondi sporchi di segatura e di sangue, l'altro rimaneva immobile, fermo, con il viso rivolto all'angolo e una mano sulla fronte. Non girava una mosca. L'unico suono che si poteva captare era quello del respiro affannato del biondo, che provò a dire qualcosa.
-Ehi, scusami per prima, torna di là, io non...-
-Zitto...-sussurrò a mala pena il ragazzo accasciato a terra.
-...io non volevo, dai.- Il suo tono giungeva come una supplica.
Silenzio. Fece un passo.
-Dai, su, vieni di là che...-
-Cazzo, Daltrey, t'ho detto di stare zitto! Lasciarmi solo! Vattene via, porca puttana!-
Roger sgranò gli occhi e, involontariamente, indietreggiò sobbalzando. L'amico s'era girato verso di lui e, per pochi secondi, lo aveva guardato con rabbia e supplica. La luce del corridoio aveva colpito per pochi secondi il viso dell'altro musicista, nascosto nell'oscurità, ma il cantante era riuscito a notare qualcosa che gli luccicava all'altezza degli occhi, per pochi secondi. Non gli sembrava il solito ragazzo forte, colui che spaccava tutto e che aveva una grinta tale da trascinare il mondo, no; adesso gli appariva una persona fragile, qualcuno da aiutare, ma lui stava respingendo quell'aiuto, mentre si voltava improvvisamente dalla parte opposta.
-Per favore. Lasciami solo-
Il suo tono era autoritario e Daltrey si affrettò a dare l'ultima occhiata all'amico prima di uscire, chiudendo la porta e riportando la stanza nell'oscurità.
La sua testa, piena di pensieri, cadde rumorosamente a terra, mentre aveva gli occhi stanchi e rossi rivolti verso il soffitto. Si portò la bottiglia alle labbra, sfiorando i pochi baffi che contornavano la sua bocca, e sentì l'alcool bruciargli piacevolmente in gola, come se gli stesse andando a fuoco, ma a lui non importava. I suoi occhi cristallini iniziarono a farsi sempre più rossi, così strinse le labbra per emettere un pianto lungo e silenzioso.


-Non me ne frega più un cazzo!- disse a denti stretti mentre premeva ancora di più l'acceleratore. -Non vado bene? Ok, che si fotta, faranno senza di me!-
La rabbia in corpo continuava a crescere ma, in fondo, nemmeno lui credeva alle sue stesse parole. Chi lo sa se se ne sarebbe andato veramente. Voleva farlo, certo, voleva, ma si sentiva allo stesso tempo terribilmente in colpa. Non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato a tanto. Il rumore di quella chitarra che veniva scagliata sulla testa dal suo amico, il sangue che sporcava i suoi capelli biondi e quel manico scheggiato tra le sue mani lo facevano sentire un mostro.
E lui si stava convincendo di esserlo per davvero.
Le sue mani incominciarono a sudare e scivolare sul volante, la testa iniziò a fargli male mentre si portava alla bocca la sua penultima sigaretta per aspirare lentamente.
-Tanto, tra poco, non ne avrò più bisogno...-.
Continuò a percorrere quella strada, senza mai cambiare direzione. Il cielo era coperto, sembrava quasi bianco, ma a lui poco importava del tempo, per lui contava solo quello che avrebbe trovato aldilà di quella collina: il mare.

 

Da sempre l'oceano è stato uno dei suoi posti preferiti. Poteva starsene ore ed ore, seduto sulla scogliera, a contemplare l'infinito. Alcune volte si immaginava quello che poteva esserci aldilà di quella linea sottile che separava le due masse turchesi l'una dall'altra, ma ogni volta non riusciva a darsi risposta. Gli piaceva lasciarsi cullare dal suono puro e lieve delle onde. Si poteva sentire a casa.
La macchina accostò e si fermò davanti a una piccola spiaggia con scogli imponenti e protratti verso l'ignoto. Per un secondo i suoi occhi rimasero fissi sull'acqua che si infrangeva sulla roccia. Quegli occhi, però, non brillavano più come un tempo, erano spenti, persi, sembravano voler trasmettere solo un sentimento: la stanchezza di un uomo. Un uomo come gli altri.
I suoi piedi nudi toccarono delicatamente la sabbia morbida; i granelli si impigliavano tra le dita e per qualche secondi si sentì come sollevato, libero da un peso. Sentiva il vento che gli gonfiava la camicia bianca, ormai sporcata con macchie di alcool e di sudore. D'istinto abbassò lo sguardo e notò che, tra le chiazze formatesi sul tessuto ce una piccola macchiolina rossa, di sangue. Al solo ricordo strinse gli occhi, senza fermarsi, per cercare di scacciare il più lontano possibile quel pensiero e a tutte le domande che gli procurava. Ma invano.
Quando percepì la roccia fredda e pungente sotto i suoi piedi sentì come una fitta allo stomaco. Ripensò a quello che gli aveva detto Daltrey, quel giorno stesso.
“Sai, dovresti impegnarti di più durante i concerti. Ultimamente mi sembri un po' fiacco, sai? Non vorrei che il sound non fosse all'altezza del sottoscritto!”
Aveva iniziato a vantarsi, come il suo solito. Si attribuiva tutto il merito, quel farabutto.
E' vero, avevano bevuto tutti e quattro, ma lui? Lui cosa aveva fatto? Stanco delle sue arie e delle sue allusioni fece quello che gli veniva meglio: prese la chitarra affianco a lui e gliela scaraventò in testa con una forza e una rabbia mai provata prima. Due secondi dopo era lucido e quasi non voleva credere di averlo fatto. Fortunatamente era una chitarra classica, ma all'amico, con lo sguardo sbalordito davanti a lui, aveva fatto male. Molto male.
Fatto sta che, mentre risaliva pian piano quegli scogli, il nome 'Roger Daltrey' continuava a martellargli in testa, alternandosi all'immagine del compagno impassibile, con gli occhi puntati su di lui e il sangue sulla mano e tra i capelli.
Sì, gli sembrava più che giusto quello che stava facendo. Per di più ripensava a tutto. A tutto quello che gli stava capitando ultimamente, le litigate con Karen, il fatto che beveva troppo, le droghe, i problemi che aveva lui e che non poteva condividere con nessun altro. Tutto questo lo tormentava.
Non ce la faceva più.
Quando fece l'ultimo passo ed arrivò all'orlo della scogliera si mise in piedi e fece un gran respiro. Sentì gli struzzi dell'acqua e il profumo dell'oceano entrare nelle sue vene, percorrere ogni suo minimo muscolo per poi riuscire e tornare al cielo. Con l'aria sconsolata guardò il mare e le sue acque sotto i propri piedi. Lo stavano chiamando. Quelle piccole creste e quella schiuma candida stava attirando i suoi occhi ormai cristallini e che riflettevano tutto quello che aveva attorno. Il suono dolce lo cullava mentre chiudeva le palpebre ed allargava le braccia al cielo, rivolgendo ad esso il suo viso ormai stanco ed affaticato.

Un passo.
Bastava un piccolo sbilanciamento di peso.
L'oceano era lì, qualche metri più giù.

Una goccia.
Bastò una singola goccia che gli sfiorò la mano.

I suoi occhi si riaprirono di scatto per tornare a guardare in alto, da dove stava cadendo una dolce pioggia.
Guardò ancora il mare. Questa volta nei suoi occhi c'era paura, spavento. Terrore.
Fece un passo in dietro, senza mai staccare gli occhi dall'acqua, per scendere quella scogliera.
Cosa stava facendo? Una pazzia. Cosa credeva di risolvere? Niente.
Diede il viso al cielo. La pioggia aveva iniziato a cadere incostantemente su di lui. Un abbraccio, una carezza. Si sentiva amato.
Le gocce penetrarono nella camicia, i capelli caddero bagnati sul suo volto, i suo occhi azzurri sembravano non curarsi del fastidio che l'acqua poteva procurargli. Semplicemente non era il suo pensiero primario.
Alzò le braccia e si lasciò cadere sulla sabbia morbida e liscia. Sentì i granelli aderire ai suoi vestiti zuppi, a pelle diventare un tutt'uno con la spiaggia e la pioggia che batteva sul suo petto. E suol suo viso.
E mentre veniva abbracciato da questa immensità, una piccola lacrima riuscì a confondersi con una goccia di passaggio sul suo volto.

Una goccia d'Amore.

Una pioggia di Amore.


 

"Only love can bring the rain That falls like tears
From all high"



Notes from Penny Lane

Ok, sinceramente non so nemmeno io perchè abbia scritto questa cosa, so solo che mentre l'ho pensata stavo ascoltando Love Reign O'er Me (Ma va?).
Allora, non so se si sia capito, ma il protagonista è Pete Townshend. E non è mai stato nominato apposta, non perchè io abbia dimenticato come si scrive, eccetera. u.u
E' tutto inventato, ovvio, non c'è nulla di vero. Sì, mi sono ispirata a Quadrophenia. Adoro quell'album e quel film e penso che questa sia una delle canzoni più rappresentative di Pete. 
Così mi è venuta questa stramba idea di fargli venire istinti suicidi.
Che depressione. D:
Comunque...non so, spero che a qualcuno piaccia.
Grazie a tutti.
Jules

  
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