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Autore: XShade_Shinra    17/05/2011    7 recensioni
Giuliana Bianchini è di ritorno a casa dopo una serata con la sua amante, quando ad un tratto la macchina si ferma, lasciandola in mezzo ad una sperduta stradina di campagna della sconfinata Pianura Padana. Mentre si vittimizza per quanto le è successo, dal nulla appare una strana figura femminile, che infittisce la nebbia attorno a loro... trasformandola in un labirinto.
[ Classificata 2° al contest "Il Labirinto e... L'Avida" indetto da Eylis sul forum di EFP ]
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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-Maze of Haze-
Giuliana Bianchini è di ritorno a casa dopo una serata con la sua amante, quando ad un tratto la macchina si ferma, lasciandola in mezzo ad una sperduta stradina di campagna della sconfinata Pianura Padana. Mentre si vittimizza per quanto le è successo, dal nulla appare una strana figura femminile, che infittisce la nebbia attorno a loro... trasformandola in un labirinto.
Classificata 2° al contest "Il Labirinto e... L'Avida" indetto da Eylis sul forum di EFP


Nick dell’autore: XShade-Shinra
Titolo: Maze of Haze
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 8096 parole
Genere: Noir, Dark, Sovrannaturale, Introspettivo
Avvertimenti: Non per stomaci delicati, Splatter, Linguaggio colorito, Fem!slash (giallo)
Rating: Arancione
Credits: Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come d’altronde i fatti in essa narrati.
Note dell'autore: In questa storia tutti i protagonisti sono di sesso femminile per necessità di trama e di prompt.
Nella storia è presente un personaggio di origini spagnole. Per motivi sempre legati alla trama questa sua caratteristica è importante, per cui certe volte troverete delle parole in spagnolo nei suoi dialoghi. Ho scelto parole che avessero abbastanza assonanza con l’italiano per rendere la comprensione più semplice sia al lettore, sia agli altri personaggi con i quali si troverà a parlare. Una frase che qualcuno potrebbe trovare difficile è: “Yo soy…”, che significa “Io sono…”, con le altre parole/frasi non dovrebbero esserci problemi.



- Maze of Haze -


Se solo Giuliana Bianchini avesse saputo prima che la macchina si sarebbe fermata nel bel mezzo di quella stupida e sperduta stradina di campagna – dimenticata da Dio e dagli uomini –, allora non sarebbe mai andata a Piacenza per fare visita ad Eleonora Piano, la sua attuale scopamica.
« Porc— », bestemmiò, dando un calcio alla pattana della gomma posteriore destra, già ammaccata da vecchi suoi sfoghi d'ira.
La sua Alfa Mito non le aveva mai dato un solo problema in sei mesi che sua madre gliel'aveva comprata come premio per aver – finalmente – passato l'esame pratico della patente, ma la giovane già pensava di sbarazzarsene una volta tornata a Bologna e farsene regalare una nuova.
« Inutile catorcio! », lo insultò, sprofondando le mani nel tascone della felpa lilla a stelle bianche e nere. « Perché tutte a me?! », si domandò.
Le lacrime minacciavano di scendere copiose dai suoi occhi, rovinandole il trucco che si era rifatta, ancora nuda, nel bagno di Eleonora dopo il loro intimo incontro del Sabato sera. Quella volta non si erano fermate ad utilizzare i loro classici giocattoli erotici nascosti nel secondo cassetto a destra, in mezzo alle calze della piacentina, ma avevano anche deciso di utilizzare la loro più fedele ed irreprensibile amica per del buon sesso: la lametta.
Si erano tagliate, leccate, abrase, amate, baciate, tutto con quelle loro armi improprie. Non c'era posto dove non volessero avvertire l'unica sensazione capace di levare loro ogni sofferenza; quel freddo rasoio – scaldato solo dalla loro linfa cremisi – lacerava l'epidermide dei loro corpi dalla carnagione cianotica - anemica - nei polsi, nel torace, sulle spalle, sui seni, nella parte esterna della loro femminilità. Erano addirittura arrivate a baciarsi tenendo in bocca una lametta, la quale tagliuzzava loro le gengive, la lingua, le guance e le labbra, e permetteva che gustassero quel metallico sapore che tanto amavano e anelavano.
Non c'era cosa che più le eccitasse di quel loro rapporto rosso come la passione – e come il sangue.
Una volta terminato quel gioco erotico dovevano fasciarsi le ferite con le garze, e Giuliana doveva prendere molto zucchero prima di rimettersi in macchina per tornare a Bologna. Il viaggio era lungo e l'oscurità della notte non facilitava l'attraversata della monotona e nebbiosa Pianura Padana, ma se si trattava di guadagnarci una serata del genere - di sesso e sangue - non poteva certo dire di no, nonostante il gran mal di testa che la affliggeva, accentuato dalle lacrime della partner che piangeva, con la stessa portata del Po, ogni volta che si separavano. Forse Giuliana avrebbe dovuto prendere più seriamente il fatto che la piacentina si stesse pian piano affezionando un po' troppo a lei, cosa che non le piaceva per niente.
Non era mai stata una tipa fedele e che si legava alle persone – o, meglio, non aveva tante persona che le gravitavano attorno per molto tempo, a causa del suo pessimo carattere da boriosa e prima della classe, nonostante avesse appena il diploma di terza media –, per questo motivo si stava stancando di quella ragazzina. Sesso a parte, ovviamente. Ma, finché non avesse trovato una o un sostituto valido, non aveva alcun senso rompere un rapporto utile come quello.
« Fottiti! ». Un suo urlo isterico riempì la notte e, torturandosi i piedi nelle All Star nere con i teschi, la giovane frugò nella propria borsetta alla ricerca del cellulare, ma – con orrore – scoprì di averlo presumibilmente dimenticato a casa di Eleonora, se non addirittura perso – se ne sarebbe dovuta comprare un altro, il sesto in dieci mesi. Alla scoperta di ciò diede performance di un buona conoscenza di bestemmie, alcune anche piuttosto articolate, e si sedette sopra un sasso sul ciglio della strada, piangendo e singhiozzando, vittimizzandosi senza nemmeno cercare di trovare una soluzione intelligente per far fronte al problema o mettere il triangolo a cento metri dall'auto, prima della curva, per evitare un incidente a catena, vista soprattutto la coltre di nebbia bianca che avvolgeva la strada. Semplicemente stava lì a deprimersi e scagliare sacramenti a destra e a manca su coloro che pensava le avessero fatto una fattura o le avessero lanciato il malocchio.
Dopo parecchi minuti passati in quel modo decisamente inutile, se non addirittura controproducente, una voce bassa e roca con un fortissimo accento spagnolo giunse alle sue orecchie da dietro di lei, senza nessun rumore di passi a preannunziare l'arrivo della cadaverica figura:
« Hola. Cosa ci fa una señorita come te, tutta sola in aperta campagna? », domandò quella che Giuliana scoprì essere una donna.  Tirò un piccolo sospirò di sollievo: almeno non si trattava di un violentatore. « Non mi sembra che sia saggio: potresti non vedere cosa si nasconde en la oscuridad... ».
La bolognese schizzò in piedi e fece due passi avanti prima di girarsi e trovarsi così faccia a faccia con quell'individua dalla pelle diafana che indossava con un elegantissimo vestito nero maschile - un frac, dato il papillon bianco – sul quale ricadevano lunghi capelli lisci e biondi che si sposavano alla perfezione con le due gemme di acquamarina incastonate negli occhi.
« Chi cazzo sei?! », strillò appena, mettendosi dubito sulla difensiva, spostandosi la frangia asimmetrica che le celava parte del volto.
« No es educado hablar de esta manera », le fece notare con voce tranquilla. « Mi sono solo avvicinata per dirti che è notte e c’è nebbia, quindi non si vede tanto bene », spiegò.
« Me ne rendo conto benissimo anche da sola: non c’è bisogno che qualcuno me lo faccia notare! », la attaccò verbalmente, allargando le braccia con fare palesemente scocciato.
« E vuoi rimanere qua senza fare nada? », chiese lei, avvicinandosi e facendo così arretrare sempre più la giovane, fino a farla cozzare contro l’auto. Lei, spaventata, scartò velocemente di lato, correndo verso la strada dalla quale era arrivata, lasciando cadere la borsa sull’asfalto per essere più veloce.
« Aiuto! Aiuto! », gridò istericamente, voltandosi indietro per sincerarsi che la strana donna non la stesse seguendo, ma non vide assolutamente nessuno; né vicino, né lontano. « Ma che cazz— », fece per dire, ma quando riguardò davanti a sé si ritrovò la strada parata da quella strana figura femminile, che la guardava severa ed irritata.
« Se non vuoi ascoltarmi con le buone, allora, ti obbligherò a prestarmi la dovuta atención con le cattive », spiegò con voce calma – come il mare prima della tempesta –, unendo poi compostamente i piedi ed alzando le braccia verso l’alto, come un uccello che spiega le proprie ali, reclinando la testa in avanti e facendo così ricadere i suoi lunghissimi crini fino a sfiorare terra.
La nebbia di colpo sembrò infittirsi attorno a loro, e quando la bolognese arretrò d’un passo sentì qualcosa di freddo come una lastra di ghiaccio premerle contro la schiena, le cosce e il tallone, riuscendo perfino a trapassare le scarpe dal gelo che trasmetteva.
Lei si girò e spalancò la bocca, sorpresa.
Quella dove poggiava altro non era che nebbia.
Per qualche assurdo motivo che non riusciva spiegarsi, quella cortina si era addensata talmente tanto da diventare dura ed impenetrabile, come una lastra di metallo.
« Che razza di stregoneria è questa?! », strillò, spingendo le spalle contro quella parete.
« Sei davvero increíble! Ti ho fatto una domanda prima, e non mi hai risposto; perché dovrei risponderti io di rimando? », le chiese la donna bionda, camminando lenta lungo quella stradina creata dalle pareti di nebbia, lontano dalla ragazza.
« Perché tu non sei normale! », urlò Giuliana, mentre le lacrime minacciavano di scorrere sulle sue guance ancora più pallide del normale.
« Nemmeno tu », proferì, continuando ad andarsene.
« Aspetta! », la richiamò. « Cos’è questa cosa? Perché mi hai rinchiusa qua? ».
« Non sarò io a dirtelo. Presto lo entenderás ».
« Dimmi almeno chi sei! » urlò la ragazza, trovando finalmente la forza di staccarsi dal muro di nebbia.
« Yo soy l—avi—d— ». Ma Giuliana non riuscì a capire bene le ultime parole, perché la donna si era allontanata troppo e quelle fredde pareti all’apparenza inconsistenti ne avevano schermato la voce.
La ragazza rimase allora lì da sola, circondata dalla nebbia che aveva creato quella donna in modo da realizzare come dei canali dove era possibile passare.
« Devo seguirla », si imbronciò, facendo per camminare, quando si sentì tirare per il risvolto dei jeans chiari. Pensando che fossero rimasti impigliati in un ramoscello o qualcosa del genere, Giuliana si girò per liberarsi, ma quel che vide la fece urlare di paura: ai suoi piedi c’era una bambina.
La piccola era sporca da capo a piedi di fango, cenere e tracce di sperma. I capelli erano adornati da batuffoli di polvere e sembravano essere stati prodotti in un frantoio, tanto erano unti. Aveva gli occhi dalle iridi cerulee, senza pupilla e il globo rosso. Le unghie non avevano smalto, ma erano nere a causa della sporcizia.
Terrorizzata, la ragazza cadde a terra tremante, scuotendo forte la gamba per liberarsi di quell’abominio, come se avesse schiacciato cacca. La bambina, data la sua poca forza, volò per aria e si schiantò di testa sull’asfalto sotto di loro con un forte crock – il rumore delle ossa rotte.
Giuliana arretrò di diversi metri continuando a fissare quella creatura, poi si alzò di fretta e corse a perdifiato nella direzione presa dalla misteriosa donna, sperando di trovare l’uscita, mentre cercava di pensare all’accaduto, nonostante non fosse lucida.
“Allora, ragiona, Giuliana!”, si disse, continuando a correre come una forsennata. “Quella strega, che si fa chiamare “l’Avida”, è comparsa dal nulla e ha creato questa cosa con la nebbia”, pensò, mentre correva per l’intricato dedalo, sbattendo di tanto in tanto contro i muri. “Sembra un labirinto… E c’è anche il Minotauro!”, si spaventò ancor di più pensando poi alla bambina di poco prima. “Se ha ridotto così una bambina innocente ed indifesa, cosa ne sarà di me?”, si chiese, mentre la sua corsa si arrestava ad un vicolo cieco.
« Merda! », esclamò, inveendo contro la parete con un calcio, con il solo risultato di farsi male all’alluce – evento seguito da numerose altre imprecazioni decisamente più colorite.
Qualche attimo dopo, però, Giuliana si tappò la bocca: tutto quel suo sbraitare avrebbe potuto richiamare l’attenzione di quel nemico che probabilmente si aggirava nei dintorni.
“Devo calmarmi”, pensò, sospirando pesantemente dal naso per quietarsi. “Se questo è davvero un labirinto come penso, devo trovare l’uscita, ma in un dedalo, se da una parte si esce, dall’altra si entra, quindi ho due possibilità di trovare una via di fuga”. Il suo disordinato ragionamento era oltremodo corretto e si complimentò con se stessa più e più volte, riprendendo a camminare in maniera più guardinga. Sotto di lei c’era ancora l’asfalto grigio della strada senza alcune segnaletica orizzontale che la potesse far orientare meglio, quindi decise di continuare a girare imboccando sempre le vie alla sua sinistra, passando il palmo mancino sulla superficie delle pareti in modo da non sbagliarsi.
Dopo doversi minuti di cammino, e altrettanti vicoli ciechi e imprecazioni, Giuliana sentì un leggero canticchiare provenire da poco più avanti. Era una voce delicata e melodiosa, che la fece sentire rilassata.
“Non può essere nulla di male”, si disse, continuando a camminare verso quella direzione anche se non si trovava alla sua sinistra, perdendo così traccia del certosino lavoro che aveva portato avanti.
Guidata dalla voce doppiò due angoli, fino a trovarsi davanti ad un lungo corridoio, dove nel mezzo era seduta di spalle una donna dai capelli rossi, che canticchiava mentre si pettinava i ciuffi ribelli davanti ad uno specchio, su un pouf.
« Salve », Giuliana la salutò, pensando che una donna con una voce come quella non potesse essere malvagia.
Lei si girò, esibendo un viso perfettamente truccato, tanto da renderglielo come quello delle bambole di porcellana.
« Ciao », la salutò di rimando con voce angelica, tornando a voltarsi.
« Che posto è questo? » domandò la ragazza, avvicinandosi alla giovane donna.
« Non lo so », disse l’altra, tornando a specchiarsi e ad aggiustarsi il trucco. « Io vivo qui », spiegò, mettendosi addosso un buonissimo profumo che sapeva di agrumi, uno dei preferiti di Giuliana.
Le piaceva molto quella donna: era garbata e gentile, le persone con i capelli rossi, inoltre, la facevano impazzire. Aveva la carnagione chiara truccata alla perfezione ed un petto non troppo abbondante ma sodo, a giudicare dalla generosa scollatura. Avrebbe davvero desiderato essere come lei.
« Come fai a non saperlo, se, appunto, ci vivi? », le chiese, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Guardava il suo riflesso con insistenza, quasi maleducazione.
La donna sorrise e reclinò appena la testa di lato:
« Non mi interessa, semplicemente », spiegò. « Qui ho trucchi a volontà senza dover lavorare e ho uno specchio grande tre volte il mio. Il mio desiderio più grande si è realizzato e sono felice, che altro importa? », le chiese, quasi fosse una domanda retorica.
« Sì, però io vorrei uscire… », fece per dire, ma la donna si rigirò completamente verso di lei e la spiazzò con un sorriso.
« Ah, ti capisco, a volte mi annoio anche io », disse lei, con un grosso sbadiglio a coronare il suo tedio. « Non c’è mai nessuno… Ti va una partita a carte? », le chiese, alzando appena la corta minigonna, che le scopriva le gambe lunghe e snelle, fino alla giarrettiera dove era bloccato un mazzo di carte da poker.
« Dovrei cercare l’uscita… », rispose la ragazza in tono insicuro.
« Hai tutto il tempo, no? », domandò la donna, iniziano a mischiare le carte.
« Dopotutto… nessuno mi ha detto che avevo un limite d’orario… » bisbigliò tra sé e sé, prendendo posto a sedere su un morbidissimo pouf verde chiaro, come gli occhi della donna.
« Cosa puntiamo? » chiese la più grande, mentre distribuiva le carte tra loro due.
« Uhn, non ho niente con me… » Giuliana si rese conto solo in quel momento che aveva lasciato la borsetta a terra, assieme al cellulare.
« Qualcosa la hai. Mi piace molto quell’orecchino… Tempo fa ne avevo uno praticamente uguale ma ne ho perso il perno… » raccontò, mordendosi il labbro inferiore in pena.
« Va bene », fu d’accordo la ragazza. « Ma se vinco io… voglio un campione di ogni cosmetico in tuo possesso », propose, tentando di fare la furba, desiderosa di possedere quelle creme, ombretti e mousse miracolosi.  
« Solo? Ok », sorrise. « Tanto ne ho almeno dieci pochette piene. »
La partita iniziò e finì ben presto con la perdita dell’orecchino di Giuliana.
« Ah, è solo sfortuna, credimi », disse le donna, mentre si agghindava con l’accessorio in argento della ragazza.
« Facciamo un’altra mano? » chiese l’altra.
« Hm… la posta? ».
« Desideri altro? ».
« Sì, in realtà… Hai una collana simile a quella che avevo io un tempo e che ho buttato perché si era rovinata. La voglio ».
Giuliana fu d’accordo e diede lei le carte quella volta, con lo stesso identico risultato di poco prima: perdere la propria puntata.
« Sembra proprio che la fortuna non sia dalla tua, oggi », disse la donna dai capelli rossi, chiudendo il moschettone al collo.
Giuliana però non volle arrendersi: rivoleva il suo orecchino e quella sua collana il cui ciondolo riposava tra i seni della donna, oltre che i trucchi.  
« Ascolta: io possiedo molti soldi, ma non li ho qui. Quanto vuoi puntare per i miei gioielli e il tuo make-up? », chiese, sicura di riuscire a riprendersi tutto.
« Soldi? E a che mi servono? ».
« Poiché puoi già avere tutti i trucchi che vuoi, potresti comparti delle scarpe, delle borse o dei vestiti nuovi », suggerì, vedendo un luccichio negli occhi della donna.
« Ma allora è perfetto! Voglio almeno mille euro! », trillò eccitata.
« È… È una cifra enorme! », disse subito Giuliana, spalancando gli occhi verde scuro.
La donna fece spallucce, tornando a specchiarsi e ad aggiustarsi il trucco, ignorandola.
« Non si può fare a meno? » Giuliana tentò di trattare, ma lei continuò ad non degnarla mentre si sistemava il mascara waterproof nero, nonostante fosse perfetta.
« Oh, e va bene! Mille euro li ho! » disse la giovane, provocando la risata della donna.
« Ne ero certa: i soldi si trovano sempre », rise, raccogliendo le carte e mischiandole per un’altra mano.
Prima che potesse dare carte, però, dalla sua specchiera scivolò un foglio in carta pergamena, che cadde lieve a terra tra loro.
« Potresti firmarlo? Attesta che qualunque cosa punterai da ora in poi me la darai in seguito », chiese la più grande, sorridendo affabile.
Giuliana lesse il contratto scrupolosamente, ma ci capì poco e niente a causa dei termini tecnici di cui era costituito. Sospirando come se poco gliene importasse fece per apporre la propria firma in calce, ma si accorse di non avere penna.
« Come firmo? », domandò.
« Con il sangue », rispose l’altra. « Tagliati con la carta e impressiona il polpastrello lì sopra », spiegò, indicando il fondo del foglio.
La ragazza fu ben felice di poter utilizzare la propria linfa vitale per quel contratto, che firmò come le era stato detto.
« Qual è il tuo nome? », le chiese Giuliana, notando che nel documento non vi era alcun nominativo.
« Boh », fu la risposta della donna che dava le carte ancora una volta, dopo aver spostato la pergamena.
La ragazza rimase palesemente turbata da quella risposta, e scosse la testa.
« Come, scusa? ».
« Non so quale sia il mio nome. Non mi importa di averne uno e, se prima lo avevo, l’ho dimenticato. Forse era Genny o qualcosa del genere… » rispose, rimanendo perfettamente seria mentre guardava le carte che le erano capitate.
Giuliana prese le proprie da terra e le controllò, scoprendo di non avere niente. Nemmeno un cambio di tutte e cinque e carte la aiutò, e la misteriosa donna senza nome vinse anche quella mano.
« Non ci credo… » Giuliana quasi pianse, vedendo sfumati mille euro dal proprio portafogli.
« Nemmeno io », rispose la donna, sorridendo. « Vuoi continuare? », le chiese, e Giuliana si alzò in piedi.
« Certo! », esclamò. « E ora punto altri mille euro! »
« Non bastano », disse subito l’altra, sollevando due dita davanti alla sua faccia. « Duemila ».
« Affare fatto! ».
Dopo altre quattro mani, nelle quali le puntate erano salite vertiginosamente e Giuliana non aveva ancora vinto nulla, accadde il miracolo: alla bolognese fu servito un poker di dieci e lo giocò subito, recuperando così i gioielli e ricevendo una pochette contenente i maquillage della donna, ma perdendo in totale sessantatremila euro. Naturalmente avrebbe dovuto dire addio ai suoi risparmi degli ultimi dodici anni depositati nel conto in banca, e probabilmente non le sarebbero nemmeno bastati.
« Bene. Ora che ho quello che desideravo, posso andare », disse Giuliana, decisa, facendo quindi per andarsene.
« Aspetta, te ne vai proprio ora che stai finalmente vincendo? ». La donna la fermò per un braccio. Era freddissima.
« Ho riavuto i miei gioielli e ho i tuoi trucchi miracolosi, basta giocare », rispose seria, non troppo conscia di aver sciupato una cifra spropositata, in realtà, ma solo seccata per aver perso tante mani a poker.
« Ma hai appena iniziato a vincere, sicura che non vuoi continuare? », le domandò ancora la donna, lasciandola andare e sorridendo composta. « Non ho mai compagnia qui e mi divertivo solo a parlare con il mio riflesso… ».
Giuliana guardò la donna in tralice, rispondendo secca:
« Non mi importa se soffri la solitudine. Ho perso tantissimo, se l’avessi saputo da subito non avrei mai giocato! »
« Ma io ho ancora tanto da puntare ».
« Non mi interessano più i tuoi trucchi: li ho ».
« Non ho solo quello da offrire », disse lei, portando le braccia dietro la schiena per sciogliere il fiocco che reggeva il suo vestito rosso carminio, facendolo così scivolare lungo il proprio corpo e cadere a terra con un delicato tonfo.
Giuliana rimase di stucco.
Quella donna era bellissima.
Non un solo pelo in tutto il corpo grazie ad un trattamento depilatorio degno dei migliori centri estetici; seni che rimanevano alti nonostante l’assenza di un reggiseno a sostenerli; ventre piatto; vita e bacino stretti, invitanti.
Era talmente bella e perfetta da sembrare finta, come i suoi occhi vitrei.
« Allora? », chiese civettuola, risedendosi sul proprio pouf rosso ed allargando appena le cosce snelle in modo da mostrare alla sua interlocutrice la femminilità rosea che sarebbe dovuta essere coperta da un paio di mutande che non portava.
« …Ti voglio », disse la ragazza, sentendo il proprio corpo reagire a quella visione divina.
« Dammi altra cinquantamila euro e sarò tua », le rispose, assumendo una posa più volgare, come se non avesse alcuna vergogna di venir guardata – come se non conoscesse il pudore. « Altri diecimila e ti darò anche il mio vestito », aggiunse, nonostante si vedesse benissimo che non era della taglia della ragazza.
« Tutto quello che vuoi: sessantamila euro vanno bene! », disse Giuliana, decisa a voler prendere anche quello splendido vestito che non avrebbe mai potuto indossare a causa del proprio abbondante seno, nonostante fosse ben conscia di non avere tutti quei soldi.
Si avvicinò alla donna e fece per sfilarsi la felpa, ma lei la fermò:
« Prima dobbiamo giocare… Non sono una prostituta: vincimi a poker ».
La più giovane rimase per un attimo a pensarci, ma durò ben poco.
« Accetto », disse decisa, sedendosi in terra e prendendo il mazzo di carte per una partita.
Mentre il gioco proseguiva, la mente di Giuliana pensò a diverse cose – soprattutto a quanto sarebbe stato bello palpare e lambire il seno di quella donna, e scendere sempre più giù con la bocca –, ma per un attimo pensò anche ad Eleonora, che sicuramente stava ancora piangendo nel suo letto, attenta a non farsi scoprire dai genitori tornati da poco.
“Tsk… Lei non è bella come questa donna, e poi non c’è nessuno qui che possa vederci… Non lo saprà mai. Eleonora mi è solo utile per non stare da sola, non annoiarmi a computer quando nella chat non c’è nessuno e sfogarmi un po’ sessualmente dato che sono poche quelle che accettano di svenarsi”, pensò, guardando poi le proprie carte. “Dopotutto Eleonora ha troppo seno per i miei gusti e non sa fare fisting come vorrei… E poi è solo una scopamica, non la mia ragazza, per cui che male c’è se mi prendo qualche libertà? Mi ha chiesto di esserle fedele, ma… sarebbe da stupidi lasciarsi sfuggire una donna così bel—”.
« Cos’hai? ». I suoi ragionamenti vennero troncati dalla diretta interessata, che le mostrava la propria mano.
Giuliana impallidì: non aveva il necessario per batterla.
Lanciò le carte per aria con stizza e sbatté i piedi a terra, iniziando ad urlare:
« Non è giusto! Non è giusto! Ho detto che ti voglio e ti avrò! ».
La donna sorrise e le fece cenno di calmarsi:
« Vuoi fare un’altra mano? », le domandò.
« Certo! ».
« Centomila. Li hai? ».
« No, ma li ruberò da mia madre! » urlò Giuliana.
« Valgo così tanto? » chiese lei, compiaciuta, accavallando elegantemente le gambe.
« L’ho già fatto altre volte per piccole somme. Quind— » fece per dire Giuliana, quando una vocina fine e gracchiante giunse alle sue orecchie:
« Ma non è giusto… ».
La ragazza si girò e si ritrovò faccia a faccia con la bambina di poco prima. Al suo orrendo aspetto si era aggiunto anche un taglio alla testa – dal quale fuoriusciva sangue e liquore – e il bulbo oculare destro era più sporgente dell’alto, probabilmente a causa del colpo infertole dal Giuliana.
Impaurita, la ragazza indietreggiò.
« Non dovresti prendere i soldi a tua madre, Giuliana… È sbagliato… » disse la bimba, avvicinandosi a lei.
A sentirsi chiamare con il proprio nome di battesimo, la ragazza strillò e corse via, oltre la donna, lasciando cadere perfino la pochette con i trucchi, per la fretta, senza né guardarsi indietro, né salutare la sua sfidante.
Quando il rumore dello scalpiccio della ragazza fu ovattato dalla distanza, la donna si rivolse alla bimba:
« Anche se non ti ascolta, non hai mai perso il vizio di rompere, eh? », le chiese sorridente, abbassando poi lo sguardo.
« Jennifer… », la chiamò lei con dolcezza, prendendola per la vita e alzandola dal pouf dove era poggiata. « Era giusto che intervenissi, e lo sai ».
« Sì è anche dimenticata di me… », pianse appena, e la lacrima si seccò sulla sua guancia di porcellana, diventando uno strass.
La bimba sorrise triste e prese il suo vestito da terra, rimettendoglielo addosso mentre la reggeva con una mano.
« Lo so… Allora come ora, all’inizio ti ha desiderata tanto… poi ti ha abbandonata, come tutti i suoi vecchi giocattoli », disse piano, coccolandole i capelli sintetici e muovendo le sue braccia per metterla composta una volta finito di vestirla. « Andiamo, Jennifer… Non vorrei che continuasse a perdersi a causa della sua insensata bramosia… », sussurrò, camminando con quella bambola dai capelli rossi tenuta in braccio a mo’ di sposina, mentre tutti i suoi trucchi sparivano, tornando nebbia.

Intanto, Giuliana aveva continuato a correre a rotta di collo, con gli occhi umidi per il pianto. Quella bambina le faceva venire il voltastomaco, sporca e ferita com’era.
« Che schifo, mi viene da vomitare… », borbottò, prima di avvertire uno strano odore nell’aria.
Si fermò ad annusare e dopo pochi secondi riconobbe subito quell’odore dolciastro che tanto adorava: cioccolato.
“Mi sembra strano che ci sia del cioccolato qui…”, pensò, seguendo lo stesso la stucchevole scia che c’era nell’aria, fino a giungere ad un altro corridoio, dove c’era uno strano individuo, talmente grasso da occupare metà del posto, che si rimpinzava dei dolci di cioccolato che c’erano accatastati là. Passare senza farsi notare sarebbe stato impossibile, ma forse quella creatura umanoide sarebbe stata abbastanza presa dal cibo per non vederla…
 Giuliana non aveva certo voglia di rischiare e fece per andarsene, ma la creatura si girò e la vide prima che fosse sparita dietro la parete.
I loro occhi si incrociarono e la ragazza notò che quell’individuo altri non era che un normale essere umano di sesso femminile, terribilmente obeso, dagli occhi e i capelli castani, e dalla carnagione bruna.
« Ciao », la grassona la salutò gentile, facendole cenno di avvicinarsi.
« Cia’ », la salutò Giuliana, camminando verso di lei. « Sto cercando l’uscita, sapresti indicarmela? », le chiese in tono leggermente scocciato, guardandosi indietro per la prima volta per paura che quella bambina la raggiungesse di nuovo.
« Perché cerchi l’uscita? », domandò, ma prima che potesse rispondere aggiunse: « Qui si sta bene: c’è cibo a volontà. Perché non rimani? », la invitò, porgendole un babà ripieno.
A quella visiona celestiale Giuliana ingoiò la saliva in eccesso e prese il dolce senza ringraziare, iniziando a mangiare.
« È ottimo », sorrise, leccandosi la labbra.
« Ne vuoi un altro? », la invitò la grassona. « Qui puoi mangiare tutto ciò che vuoi, che non finisce mai », spiegò, ciucciandosi le dita sporche di cioccolata.
« …Perché no? », chiese Giuliana più a se stessa che alla donna, avvicinandosi a lei per iniziare a mangiare. Sembrava simpatica, e non chiedeva nulla per poter mangiare dal suo banchetto.
L’unica preoccupazione di Giuliana era la bambina e il fatto di non riuscire a trovare l’uscita, ma avrebbe ingurgitato cibo a sufficienza per campare un giorno di fila senza mangiare, così avrebbe potuto continuare la propria ricerca.
« Quindi non sai proprio dove si trovi l’uscita? », le chiese ancora, mentre beveva della cioccolata calda da una tazza di gianduia.
« No, » disse lei, scuotendo il capo, « ma sono certa che la dama nera lo sa ».
« La dama nera? », chiese la ragazza, arraffandosi una scatola di After Eight.
« È una strana ragazza che vive qui intorno », spiegò, scartando dalla carta stagnola delle barrette al cioccolato con pezzi di nocciola interi.
« Ah », fece l’altra di rimando. « Ma che succede se non riesco ad uscire? », domandò.
« Potrai rimanere qui con me, se vorrai », la invitò, facendo un fragoroso rutto.
« Non sarebbe male », annuì Giuliana, aprendo una scatola di Ferrero Rochet e mangiandoseli tutti, l’uno dopo l’altro. Certo, la sua bilancia ne avrebbe risentito, ma non riusciva davvero a smettere: erano toppo buoni e lei amava il cioccolato.  
Dopo alcuni minuti, Giuliana vide la propria compagna di scorpacciate girarsi verso un angolo e vomitare tutto quello che aveva mangiato in un rigetto caramellato.
La ragazza storse il naso a quella visuale, ma ancora di più quando la grassona, senza fare una piega, riprese a mangiare a quattro palmenti. Sentendosi osservata, si girò verso Giuliana e spiegò:
« Così posso mangiare sempre. Mangio e vomito, mangio e vomito… » sorrise, aprendo delle merendine al pan di Spagna spruzzate di cacao.  
Un verso disgustato lasciò la bocca di Giuliana, che fece per andarsene da quella donna, ma, poi, vedendo tutto quel cioccolato ancora accatastato, ci rinunciò e continuò a mangiare.
Probabilmente un diabetico sarebbe morto solo a causa dell’aroma che c’era là dentro, poiché anche il vomito del donnone aveva buon odore di cioccolato, e anche a Giuliana quell’odore dolciastro dava quasi la nausea, ma non riusciva a smettere di ingozzarsi.
Non era affamata – anzi, quasi si stava sforzando per continuare a mangiare –, ma smettere era impossibile: una volta fuori da là non avrebbe mai più trovato cibi così buoni!
Arrivata al limite della capienza, il suo stomaco le dette varie volte l’avviso che non avrebbe sopportato altro, ma lei ricacciò indietro il rigurgito più e più volte, finché non divenne insostenibile e rigettò tutto, inchinandosi a terra, esattamente come aveva fatto la grassona.
« Così mi piaci! », cinguettò lei, felice, porgendole una torta “foresta nera” e un coltello perché la tagliasse.
Giuliana si pulì il mento con il dorso della mano e si rimise faticosamente in piedi, guardando il delizioso dolce che le veniva offerto.
“Ma sì, dopotutto ho di nuovo lo stomaco libero, no?” pensò, prendendo quanto le veniva offerto e mangiandolo con gusto.
Il loro banchetto continuò così – rigettando e mangiando – per diversi minuti di assoluta tranquillità, poi successe qualcosa che rovinò tutto.
Nel bel mezzo di quell’abbuffata pantagruelica, Giuliana fece per prendere un muffin, ma sfortunatamente per lei, anche la grassona aveva avuto la stessa idea e si ritrovarono a posare la mano entrambe sullo stesso dolcetto.
« Ehi, lascialo: l’ho visto prima io », abbaiò la ragazza, guardando in tralice l’obesa.
« Ce ne sono tanti… », la portò a ragionare l’altra, riuscendo a prendere il dolce per sé grazie alla sua forza.
« Ho detto che è mio! », strillò l’altra.
« Ma non è l’unico », continuò a dire la donna, addentando il soffice muffin.
Quel gesto non fu affatto gradito a Giuliana, bramosa di avere quel dolce tutto per sé, ché pensava le appartenesse per diritto, e prese il coltello che aveva posato poco distante da sé.
Fu un attimo, e la lama acuminata di quell’arma bianca venne infilzata nello stomaco della grassona, dal quale cominciò a fuoriuscire sangue color cioccolato.
Solo dopo, quando l’obesa cadde a terra di schiena agitandosi per il dolore, Giuliana si rese conto di ciò che aveva fatto e lasciò cadere a terra il coltello, addossandosi alla parete più lontana da lei.
« Te… Te l’avevo detto che era mio… », balbettò, iniziando a correre via, continuando la strada in quell’andito e tappandosi le orecchie, non volendo sentire quelle urla di dolore delle quali lei stessa era l’artefice e che provenivano da un uovo di cioccolato ormai rotto, ancora incartato, che giaceva a terra, sciogliendosi velocemente, fino a diventare un tutt’uno con la caligine circostante.  

Sconvolta dall’accaduto, Giuliana corse veloce sull’asfalto, in mezzo a quel labirinto di nebbia. Non sapeva dove stesse andando, ma di una cosa era certa: voleva andarsene quanto più lontano possibile da quelle urla che ancora le riecheggiavano in testa.
“Questo posto è un incubo!”, pensò, correndo per quell’immenso ed intricato labirinto dalle impenetrabili pareti bianche.
D’un tratto, però, tutto quel candore immacolato venne sporcato da una figura completamente nera, che Giuliana vide attraversarle la strada parecchi metri più in fondo, come se anche lei stesse cercando la via d’uscita.
« Ehi! », la chiamò ad alta voce, sollevando un braccio, mentre le parole della grassona di poco prima le tornarono in mente: “Ma sono certa che la dama nera lo sa”.  « Ehi! », la chiamò di nuovo a gran voce, e la figura scura tornò indietro sui suoi passi, affacciandosi nell’andito dai muri di foschia.
Non disse una parola, attese solo che Giuliana la raggiungesse a fiato corto.
« Sei… Sei tu la… la dama nera? », annaspò la ragazza, poggiando le mani sulle ginocchia a causa della fatica.
« Sì. Sono io », rispose l’altra in tono calmo, ma con la voce ovattata.
Giuliana alzò il viso e notò che la dama era vestita tutta di nero, ed indossava una maschera del medesimo colore che le lasciava scoperti solo gli occhi, verdi come i suoi.
« Mi hanno detto che tu sai dove si trova l’uscita! », esclamò la ragazza, congiungendo le mani. « Ti prego, aiutami ad uscire da quest’incubo! Succedono cose strane qui dentro! ».
La dama nera la guardò fissa, con gli occhi che sembravano scandagliarle l’anima, poi annuì impercettibilmente, iniziando a camminare.
Giuliana dapprima la seguì con lo sguardo, poi camminò dietro di lei, sperando che fosse finalmente la volta buona.
« Posso chiederti delle cose? », domandò la ragazza. Ovviamente avrebbe posto domande a tutto spiano anche in caso di risposta negativa, ma ricevette un cenno affermativo dalla dama. « Che posto è questo? », chiese.
« Questo non è un semplice labirinto », disse lei. « Tutto questo è solo dentro la tua testa », aggiunse, facendola impallidire.
« In che senso? », domandò Giuliana.
« Che tutto ciò che hai incontrato non esiste realmente: è frutto dei tuoi ricordi o delle diverse cose che risiedono in te », spiegò, girando di lato e facendo così ondeggiare il suo lungo vestito corvino.
« Parla! », pretese Giuliana. « Voglio saperne di più! Voglio sapere tutto! ».
La dama rise appena e continuò:
« Ti importa veramente di sapere queste cose? Tanto tra poco uscirai da qui ».
« Certo che m’importa! », berciò la ragazza, sbattendo un piede a terra. « Una donna psicopatica che si fa chiamare “l’Avida” mi ha catapultato qui dove c’è una bimba strana che mi insegue, e qualche mostro deve averla ferita, poi c’è una pazza narcisista e una grassona obesa! Non è un luogo normale. E tu mi dici pure che tutto questo non esiste?! », disse in maniera sconclusionata.
« Esatto », annuì ancora l’altra, proseguendo a camminare tra le fittizie vie. « Anche se non conosco nessuna donna che si fa chiamare come dici… ».
« Mi si è presentata così », sostenne lei, ringhiando appena.
« Mah, sarà… ».
« Non mi hai risposto a tutte le cose che ti ho detto ».
« Quanta noia! », esclamò la dama. « Cos’è tutta questa fame di sapere? Stai un po’ zitta o ti lascio qui ».
A quel ricatto, Giuliana si tappò la bocca e rimase in silenzio fino a quando, molti minuti dopo, giunsero in un ambente più largo, come uno spiazzo, nel quale c’erano due porte perfettamente identiche, una accanto all’altra.
« E quelle? », chiese la ragazza, assottigliando lo sguardo. “In un labirinto c’è un’entrata e un’uscita, ma, sicuramente, mai e poi mai si potrebbero trovare l’una così vicino all’altra. Dunque cosa sono?”, pensò.  
« Sono le due uscite », rispose la dama.
« Perché sono due? Non è normale… ».
« Oh, Invece lo è… Devi solo trovare l’uscita giusta ».
Giuliana la guardò irata, e la prese per le spalle, scuotendola senza garbo.
« Dimmi qual è l’uscita giusta! », urlò. « Non voglio rimanere in questo posto di psicopatici un solo secondo di più! E poi chi è il mostro che ha deturpato quella bambina?! ».
Giuliana scrollò talmente forte quella figura in nero che la maschera di creta le cadde, finendo a terra e spaccandosi in mille pezzi, svelando così il volto della dama: la perfetta copia del viso di Giuliana.
« Che… che cos’è questo scherzo?! », pose la ragazza con voce stridula, lasciando andare le spalle della dama ed allontanandosi di qualche passo.
La figura in nero sorrise in maniera raccapricciante e iniziò a diventare evanescente e grigiastra, come se fosse composta da nebbia.
« Hai saziato la tua smania di sapere? », le chiese in un sospiro che sembrò brezza leggera. « Comunque sono certa che tu sappia chi ha ridotto così quella bambina… Dopotutto, io sono te… », aggiunse piano, sparendo totalmente dai suoi occhi .
Giuliana non mosse un muscolo – non sbatté nemmeno le palpebre – e fissò il punto vuoto dove prima c’era una copia di se stessa.
« Ma che posto è questo? », si chiese, tornando indietro d’un passo e andando a sbattere contro qualcosa di morbido e caldo, contrasto che la fece girare di scatto con occhi sbarrati dal terrore, pensando che fosse il mostro che aveva menomato quella bimba, trovandosi invece faccia a faccia con un personaggio a lei già noto.
« E così sei riuscita a giungere fino a qui, señorita ». Avrebbe riconosciuto dappertutto quell’inconfondibile voce dall’accento spagnolo, quei lunghi capelli biondi e quelle iridi color acquamarina.
« Tu… », soffiò Giuliana, riducendo gli occhi a due fessure. « Avida, il gioco è bello quando dura poco! Fammi uscire! » strillò, ma la sua interlocutrice non perse la calma.
« Avida? Yo? Ahah… », rise, buttando indietro la testa e facendo così dondolare i suoi crini dorati. « Sei quasi arrivata all’uscita. Devi solo scegliere una di quelle dos puertos », le ricordò, indicando le uscite perfettamente identiche.
« Sono uguali! Cosa dovrei fare? Tirare una moneta e fare “testa o croce”? », le domandò la ragazza, stringendo i pugni e digrignando i denti.
« No, no son iguales ». Appena la donna finì di dire quelle parole, nella porta di sinistra rispetto a loro comparve una luce, mentre in quella di destra continuò a regnare il buio. « Ora dimmi, cos’è successo da quando sei arrivata qua? ».
« Che te ne frega? », chiese Giuliana, sbuffando e facendo già per scegliere una porta da varcare, ma venne fermata per un braccio dalla donna.
« Non ti lascerò andare via da qui finché non mi risponderai », la avvertì.
Così Giuliana, a denti stretti, dovette rispondere a quella domanda, camuffando ovviamente parte della verità o sarebbe stata accusata di vari crimini.
« All’iniziò ho incontrato una Narcisa con il vizio del gioco che ha barato, facendomi perdere un sacco di soldi, e che ha tentato di corrompermi sessualmente; poi una donna in soprappeso mi ha fatto mangiare cioccolato fino a vomitare e sono scappata via sconvolta; infine ho incontrato una copia di me stessa che mi ha condotto fino a qui », disse concitata. « E poi c’è una bambina orribile che mi dà il tormento! ».
A sentire quelle ultime parole, la donna rise:
« ¿Te refieres a esa niña? », chiese, indicando il portale che dava verso l’oscurità.
Lì c’era la bambina in questione – materializzata quasi per magia –, talmente sporca che non le si vedeva la pelle, coperta di terra, fango, orme di scarpe, sangue rappreso, liquido seminale, pus e inchiostro nero. La ferita sulla testa ancora sanguinava e se n’era creata una seconda all’altezza del suo stomaco; l’occhio non era tornato in sede e teneva in mano una bambola dai capelli rossi, vestita con un abito del medesimo colore.
Un urlo di Giuliana squarciò il silenzio che si era andato a creare.
« Via! Vai via! Mi fai ribrezzo! », disse spaventata.
La bambina ci rimase male ed abbassò la testina, mentre due lacrime le rigavano il volto scavato.
« Si può sapere chi l’ha ridotta così?! », chiese Giuliana, portandosi una mano alla bocca.
« Estàs seguo de non saperlo e di voler, quindi, colmare questa tua lacuna? », le chiese la bionda.
« Anche tu con questa storia?! Certo che non lo so! Potrebbe essere ancora qui quell’essere immondo! ».
« Sì, è ancora aquì », rispose la donna, guardando Giuliana in faccia. « Sei tu ».
La ragazza rimase senza parole, guardando la sua interlocutrice come se fosse pazza, quindi ella continuò:
« Tu sei una persona che desidera muchas cosas, ma lo fai nel modo più sbagliato che ci sia: cibo, soldi, vestiti, trucchi, macchine, cellulari, amanti, conoscenza. Il tuo desiderio è obsesiòn, una obsesiòn tan fuerte che distorce la realtà intorno a te e fa evaporare il tuo raziocinio ». Prese fiato, mancava poco all’atto finale. « Tu esigi automobili e aggeggi tecnologici in quantità, compri vestiti che non ti staranno solo perché sono belli, arrivi a rubare del dinero per avere una cosa che non ha quel valore, uccidi por un tozo de torta, mangi fino a sentirti male, maltratti le persone per avere informazioni, vuoi il sesso – o l’amore che sia – con più persone perché non ti accontenti e non vuoi stare sola. E sei terribilmente gelosa degli altri, perché loro hanno quello che vorresti avere anche tu ».
Giuliana fece un ringhio basso, strisciando un piede a terra.
« Non è vero... », sibilò.
« Invece sì, e lei, la tua coscienza, ne è la prova », disse, indicando la bambina. « Conciencia, hai qualcosa da dire? », le chiese.
La bimba scosse la testa, continuando a piangere piano.
“Quella è la mia coscienza... sporca?!”, pensò Giuliana, sconvolta, prima di attaccare verbalmente quella donna. « Mi sono stufata delle tue cazzate! »
« Pensala come vuoi, comunque ora devi scegliere la tua strada... », le disse, indicando le porte con un gesto plateale del braccio.
Davanti all’uscita buia c’era la bambina – la sua coscienza –, mentre davanti a quella luminosa non c’era nulla ad ostacolare il suo cammino.
« Giuliana? », la chiamò la bimba, alzando la testina e guardandola con i suoi terrificanti occhi. « Se vieni da me, insieme potremo migliorarci... Devi solo ascoltare la mia voce... Ti condurrò io nel buio e ti porterò a casa… », bisbigliò flebile, ma la ragazza scosse la testa, facendo ondeggiare i suoi capelli neri.
« Mi dispiace per te, Avida, ma non ci casco! », urlò alla donna, correndo poi verso la porta di sinistra, quella dove poteva vedere la luce.
« Io sarei “Avida”, eh? », chiese la donna tra se e sé, sorridendo. « Io non sono l’avida, Yo soy la vida... E tu mi hai girato il volto. Sei una persona avida di tutto, Giuliana Bianchini, ma non lo sei stata di vida. Volevo darti un’altra oportunidad, ma tu mi hai girato il volto, senza escuchar nemmeno la tua coscienza, ridotta peggio di uno zerbino... Avida come sei, hai scelto anche la strada più facile da percorrere… Adiós… », sussurrò, mentre la coscienza piangeva e la sua figura diventava sempre più fioca, fino a scomparire, e la ragazza si buttava a capofitto verso quella luce, sorridendo come mai aveva fatto in vita sua, felice di essere finalmente fuori da quell’incubo.
L’ultima cosa che vide fu una luce abbagliante.
Abbacinante.
E poi…
…il buio.





Lo Strillone del Quartiere, 10 ottobre 2011


UN SUICIDIO AVVOLTO NEL MISTERO
Il camionista che l’ha travolta: «Non dimenticheremo mai il sorriso che aveva sul volto.»

Quella che si credeva essere l’ennesima vittima del Sabato sera, in realtà nasconde macabri particolari che fanno aprire la pista del suicidio. Giuliana Bianchini, studentessa bolognese di ventitré anni, alle ventitré e trenta di eri notte stava rientrando a casa dopo una tranquillissima serata fuori con gli amici, ma non è mai riuscita a giungere alla sua dimora.
Il gasolio che aveva nel serbatoio non le era bastata per raggiungere il benzinaio poco distante e la macchina le si è fermata in mezzo alla strada, proprio dietro una curva.
«La nebbia ieri notte era particolarmente fitta e avevamo serie difficoltà a guidare, tanto che, nonostante i fendinebbia, ci sentivamo molto insicuri e procedevamo con cautela», ha spiegato il camionista che l’ha investita. «Malgrado ciò, non siamo riusciti ad evitarla.»
A confermare la versione dei fatti di Nino Gambula, camionista da ventisette anni presso la ditta “Carlo Traslochi”, è il collega che sedeva accanto a lui, il Dottor Mattia Rossi.
«Nei viaggi particolarmente lunghi siamo almeno in due a guidare; la nostra azienda è molto attenta e lavora sempre in sicurezza», spiega il signor Rossi. «Non eravamo stanchi e Nino mi aveva appena dato il cambio alla guida. Quella povera ragazza, semplicemente, doveva essere in forte stato confusionale, perché era distante parecchi metri dalla propria auto e non aveva posizionato nemmeno il triangolo di segnalazione.»
Gli inquirenti, infatti, hanno trovato il triangolo ancora nel bagagliaio dell’auto e non riescono a spiegarsi cosa ci facesse Giuliana lontana dalla propria macchina con la cortina di nebbia che impediva la visuale.
Ma c’è un particolare raccapricciante ritrovato sul corpo della vittima che apre la strada verso la pista del suicidio e non dell’incidente.
«Lei era in mezzo alla strada, e quando ho girato l’angolo era distante solo pochi metri. Speravo – pensavo – che si spostasse, perché se avessi sterzato avrei fatto ribaltare il camion, ma lei è rimasta ferma. Ero sicuro che mi avesse visto perché si è girata verso di me e ha sorriso. Poi, improvvisamente ha iniziato a correre verso il camion e io non sono riuscito ad evitarla», racconta il conducente dei veicolo alla polizia che lui stesso ha chiamato, insieme al 118, dopo aver investito la ragazza. «È stato terribile», aggiunge il collega del guidatore. «Correva verso di noi, felice come se avesse visto un amico che non incrociava da molto, o un’immensa quantità di denaro. E poi… Povera ragazza», il suo racconto si interrompe qui.
Chissà quali atroci problemi affliggevano l’anima di questa ragazza che ha preferito suicidarsi piuttosto che continuare a vivere.
Non sapremo mai se in quella notte aveva assunto psicofarmaci, aveva bevuto troppo o aveva fatto uso di droghe, in quanto i genitori non hanno voluto sottoporre il corpo all’autopsia per accertamenti.
«È morta, e l’autopsia non la porterà di certo indietro», ha detto la madre, ancora in stato di choc.
 I medici che hanno soccorso per primi la ragazza, però, hanno dichiarato di aver trovato numerose ferite sul corpo di Giuliana, alcune di esse già cicatrizzate, altre risalenti a poche ore prima dalla morte. «Non erano tagli mortali, ma sicuramente erano un segnale esterno della sua sofferenza interiore», ci spiega il volontario della croce rossa che l’ha soccorsa per primo.
«Quel tipo di lesioni sono molto comuni tra gli “emo”», racconta Don Giorgio, fratello maggiore di Giuliana. «Se solo fosse venuta da me a confidare le proprie pene e a chiedere aiuto, probabilmente tutto questo non sarebbe mai avvenuto.»




Eleonora Piano, quella fredda mattinata di domenica 10 ottobre, stava versando calde lacrime sul giornale che era andata a comprare per il padre al tabacchino vicino a casa, intanto che leggeva la notizia della morte della sua amata Giuliana.  
« Perché? Perché, Giù… », piangeva, stringendo i fogli di carta di pessima qualità e sporcandosi di inchiostro al piombo i palmi delle mani spaccate dal gelo.
Le lacrime le appannavano la vista, coperta inoltre dal quotidiano, mentre si avvicinava alle strisce pedonali per attraversare la strada, e non si accorse di una donna dai lunghissimi capelli biondi che le si era affiancata, vestita con un elegante frac.
« Hola. È strano vedere qualcuno che legge en el medio de la strada… », le disse in uno strano accento spagnolo, facendola girare verso di sé in modo che i suoi occhi mogano si specchiassero in quelli acquamarina della donna. « Non mi sembra che sia saggio: rischi di andare a sbattere contro qualcuno... o qualcosa potrebbe andare a sbattere contro di te… ¿no es así, señorita? ».   


§Fine…?§
XShade-Shinra

  
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