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Autore: Breath_Less    17/05/2011    2 recensioni
Non saprei bene come definirla, è solo una piccola fanfic su uno dei canti a mio parere più cupi della divina commedia, il tredicesimo: il canto dei suicidi, che nel giorno del giudizio universale riprenderanno i loro copri che giacernno appesi ai rami di alberi entro cui è racchiusa la loro anima. Non è niente di chè, ma ho fatto del mio meglio, e spero sia sufficiente.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'Appeso

Come quando sotto il tuo ultimo sguardo, prima di abbandonare per sempre il respiro, l’altalena smette di dondolare, ed è giunto il momento di ricordarsi da soli la strada di casa, perché non esiste più nulla per cui restare ancora bambini. Perché non è rimasto nessuno che possa indicarti il sentiero.
Così nell’intervallo di due battiti ho visto i loro corpi immobili riprendere ad oscillare per un istante, solo per illudermi che quell’intervallo di cui attendo la fine non abbia durata; e poi all'improvviso fermarsi, per sempre, nella selva dove anche il tempo, inesistente, ha smesso di fare avanzare lancette di orologi impolverati, e ai rami secchi del suo arbusto ha appeso la sconfitta.
Il vento ripeteva in sussurri imprecazioni gridate sotto un cielo stellato, gonfiandosi di sospiri inespressi che soffiava sui corpi privi di vita, perché tornassero nuovamente ad oscillare, perché respirassero una volta ancora, come marionette tra le mani omicide di circensi dalle barbe incolte e il fumo di mille fuochi in bocca.
Ma non riusciva che a sfiorarli, come sogni infranti sporchi di sangue, che nei piccoli frammenti candidi, rilucono alla luce di stelle, cui non mostreranno mai il cammino, come fiamme di candele spente intrappolate dietro a mille soffi e uno ancora.
Nel petto immobile non stringevano più nemmeno il ricordo di un sospiro, sottratto nella notte dal sibilante silenzio celato dietro neri mantelli e rivestito di burattini con il volto dipinto di sorrisi e menzogne, che ne hanno nascosto i frammenti tra rami spezzati e foglie che non riflettono che ombre del loro sorriso, che solo nell’oblio ridacchiano delle menzogne raccontate.
Appesi alle braccia di anime cadute in pezzi e mai ricomposte, per sempre intrappolate dietro ad un velo d’allegria, si scorgevano cadaveri senza memoria, invisibili dietro a quei gridi ingrigiti e polverosi alle cui spalle si era nascosto il loro addio.
I loro occhi vitrei raccontavano storie già dimenticate di dolori affievolitisi al contatto sulle labbra di un sapore dolciastro, il sapore della morte che vorticosa li ha presi in braccio conducendoli laddove ora riposano. Lamenti soffocati in un urlo, mentre sulla forca il corpo ancora oscilla, accompagnato nella sua triste melodia, dalla corda cigolante, legata alle travi del soffitto.
Lacrime cancellate da gocce di un sangue denso e sporco di peccati, che scivolano lungo la carne.
È stato un istante, e poi i corpi di cui si erano rivestiti sono stati gettati violentemente a terra, il rumore ovattato e nascosto da tappeti costosi o paglia secca. Nessuno li ha sentiti crollare sotto il peso di un cuore per sempre immobile, sotto il fardello di mani tremanti sporche di un sangue indelebile.
Sul suo cappello preferito, avrebbe detto la moglie del contadino, quello usato la domenica per andare in chiesa a cantare, si notavano ancora piccole macchie scure, che non sarebbe mai riuscita a cancellare. Sui muri di casa, sussurrava già la pettegola del paese, era rimasta impressa l’ombra sinistra di un uomo, che ancora oscillava, appesa, alla sua forca, come se perseguitasse la dimora in cui ha lasciato il ricordo dei suoi passi, della sua strada; mentre per il pastorello con i ricci biondi, che viveva lassù, indica il prete con il dito, da solo su quelle montane, solo le pecore belano più forte aspettando il suo arrivo, come per ricordargli che esiste qualcuno che ha bisogno di lui.
Per ognuno di loro una storia, un lacrima, e poi il silenzio, prima che una risata ignara torni a ricoprire il pianto. Prima che la pioggia infranga ancora pozzanghere di specchi.
Giacciono tutti qui, mentre il mondo li ha già dimenticati, e tra le vie sporche e disabitate di paesi di collina, li cerca ancora, chiamando il loro nome, come aspettandosi di vederli ricomparire da un momento all’altro.
Solo più vecchi, solo più stanchi: i riccioli biondi incrostati di sporco e gli occhi senza pupille, mentre le mani stringono ancora del vino; sul collo ancora visibili le fauci della morte laddove l'anima venne strappata dal corpo; in testa un nuovo cappello senza macchia e senza vergogna, sottratto in segreto all'innocenza.
Solo più stanchi. Solo più vecchi. Soli.

Ma io, come sono finito quaggiù all'inferno
nella selva dei suicidi
dove nel freddo dell' inverno
gli appesi si vestono di respiri?
  
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