Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Melanto    18/05/2011    8 recensioni
«Noi non ci troveremmo mai, nemmeno se ci cercassimo per cent’anni. Anche quando siamo l’uno di fronte all’altro: ci guardiamo, ma non ci riconosciamo.»
E Yuzo e suo padre hanno smesso di cercarsi.
Si sono persi negli anni, negli obiettivi opposti, nelle spalle girate e nelle porte chiuse. Nelle strade dritte e concrete della famiglia Morisaki, mentre quelle di Yuzo inseguono le linee curve di un pallone; una scelta che suo padre non è disposto ad accettare.
Ma la guerra è fatta di vittime, e mentre si tenta di rimettere insieme i cocci delle certezze in frantumi, ognuno cercherà anche quello che ha perso.
...perché anche le cose perdute si trovano, basta solo saperle cercare.
[lo Shonen-ai è un elemento marginale]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Documento senza titolo

PreNota:
Per la cronaca, i capitoli vanno allungandosi pericolosamente verso gli 11, e io sono al 7.
Mai una volta che riuscissi a rientrare nel conteggio che mi ero prefissa, eccheppalle XD!
A ogni modo, credo che aggiornerò una volta alla settimana, in modo da poter lavorare anche ai capitoli ancora mancanti :D

 

Il lungo sonno della Lucciola
- Part II: Just before the rain -

 

Kurata Inoki era ancora più stravagante di come aveva immaginato che fosse in quei pochi momenti che avevano parlato al telefono.
I capelli corti, il completo elegante e quella cravatta arancio-fluo che era uno stratosferico cazzotto in un occhio.
Seduti nel bar del centro, dove nemmeno un paio di giorni prima era andato a festeggiare con Mamoru, il signor Kurata stava parlando, parlando, parlando senza sosta da almeno un’ora. Divagando, per lo più, nella descrizione della città, della squadra, dello stadio. Anche il colore dei tappetini nelle docce degli spogliatoi.
Un paio di volte, Yuzo aveva rischiato di scoppiare a ridere, ma si era trattenuto perché sarebbe stato sgarbato e perché Kurata non era venuto da solo. Con lui c’era un uomo ben più anziano e dagli abiti più informali. Indossava una semplice polo arancione con lo stemmino degli S-Pulse e un pantalone di lino leggero. L’abbigliamento più adatto, col caldo che faceva.
Il signor Tamura non aveva parlato molto, ma si era capito chiaramente che era lui a comandare; spesso, infatti, Kurata gli si era rivolto per avere la sua approvazione o quando non era stato troppo convinto delle risposte da dare.
A Yuzo piacque anche il signor Tamura. Aveva un modo di fare affabile e il viso simpatico. I pochi capelli e quegli occhialetti sul naso gli conferivano l’aspetto rassicurante di un nonnino. E poi, era alto quasi la metà di Kurata, che era uno spilungone addirittura più alto di lui. Insieme formavano un duo davvero stravagante.
«Santo cielo, Inoki. Se continui a torturarlo così, gli farai venire il mal di testa a questo povero ragazzo» esclamò d’un tratto il signor Tamura, passandosi il fazzoletto di stoffa sopra la fronte.
Il talent-scout si scusò in tutti i modi possibili e con l’eccessiva teatralità che era propria del suo modo di fare.
«Oh, lo so! E’ che io parlo troppo, non ci riesco a contenermi, ho sempre qualcosa da dire!»
Yuzo rise, finendo il suo caffè freddo. Il contratto che l’avrebbe legato alla S-Pulse era appoggiato sulla liscia superficie del tavolo, assieme alla penna. Aspettava solo di essere firmato.
«Infatti, ho divagato di nuovo, uff! Dunque, concludendo, ti trasferirai a Shimizu-ku tra un mese, per gli inizi di Settembre. Come saprai, il campionato è ancora in corso e noi vorremmo farti debuttare nella prossima stagione, cioè a Marzo. Non è incredibile?!»
«Beh, sì. Direi di sì.» Il portiere cercò di non farsi travolgere dal suo entusiasmo dilagante e scambiò una rapida occhiata col signor Tamura che sospirò, rassegnato.
«Che poi, non sarai nemmeno da solo! Infatti vorremmo ingaggiare anche il difensore Takeshi Kishida.»
La notizia gli illuminò il viso di genuina felicità.
«Veramente? Ma è fantastico! Takeshi è un ottimo giocatore.»
«Lo sappiamo!» squittì Kurata, quando il signor Tamura si intromise sollevando gli occhialetti sul naso.
«A proposito di Kishida. Non avresti dovuto già metterti in contatto con lui quando hai chiamato Yuzo?»
Inoki gelò, cristallizzando il sorriso come fosse stato ibernato all’istante. Si girò verso l’uomo più anziano con movimenti lentissimi, calibrati al millimetro. Le labbra vennero tirate fino all’inverosimile e quasi le lacrime agli occhi.
«Me lo sono dimenticatooooo!» lagnò, allungando a dismisura l’ultima vocale. Aveva la stessa espressione de ‘L’urlo’ di Munch. «Mi dispiace! Mi dispiace infinitamente! Lo chiamo subito! Adesso! Voloooo!» Con uno scatto di reni balzò in piedi e scappò fuori dal bar, estraendo il cellulare.
Stavolta, Yuzo non riuscì a trattenersi e rise di gusto, coprendosi la bocca con la mano. «Mi scusi! Davvero, mi scusi… è solo che…»
Il signor Tamura scosse il capo, ridacchiando con lui.
«Non preoccuparti. Inoki è un tipo involontariamente divertente, ma è davvero un ottimo talent-scout, anche se un po’ distratto.»
Un po’ tanto, avrebbe detto il portiere, ma si limitò ad annuire, assumendo una postura più composta. Nonostante fosse la prima volta che aveva a che fare con persone importanti di una squadra altrettanto importante, Yuzo si sentiva a suo agio. Forse erano proprio i modi vistosi ed esuberanti di Kurata o forse era l’espressione benevola di Tamura, non avrebbe saputo dirlo, però era felice che fossero stati quelli della Shimizu S-Pulse a contattarlo.
«Se hai qualche domanda, non esitare a esporci i tuoi dubbi, figliolo» esordì l’uomo a un tratto, incrociando le mani sul tavolo. Il portiere lo osservò in silenzio, poi cambiò postura.
«A dire il vero… una curiosità ce l’avrei…»
«Ti ascolto.»
L’aveva nella testa fin dalla prima telefonata ricevuta da Kurata. Non aveva mai avuto chissà quale grande autostima ed era sempre stato convinto che, semmai una qualsiasi squadra professionista l’avesse contattato, non sarebbe stata di certo della serie maggiore, e invece la S-Pulse si trovava in J1 fin dalla sua fondazione e non era mai retrocessa. Quindi l’interrogativo gli era rimasto come marchiato nella mente.
«Perché proprio io?»
Tamura parve realmente sorpreso da quella domanda, tanto che non rispose subito e lui credette d’aver sbagliato a parlare.
«Mi scusi, forse non avrei dovuto-»
«No, invece, credo sia una domanda più che legittima» Tamura sorrise ancora, sistemando gli occhialetti sul naso e sporgendosi di più verso di lui. Negli occhi c’era sempre quell’espressione protettiva del nonno che parlava al nipote e aveva tanto, tanto da raccontare. «Il Presidente ti ha visto giocare e gli sei piaciuto.»
Semplice, lineare.
Yuzo sorrise.
«Dice sul serio?»
«Sì. Lui presta sempre molta attenzione ai giocatori da selezionare. Ha visto tutti gli incontri del World Youth ed è rimasto davvero colpito dalla tua forza di volontà, tanto che è andato a cercare anche qualche partita del campionato studentesco.» Mentre parlava, mise mano al solito fazzoletto di stoffa e cominciò a pulire gli occhiali. «Vedi, la Shimizu S-Pulse è una squadra molto particolare. L’intera città la segue con affetto e raccoglimento fin dai suoi esordi, creandole attorno un clima pacifico e caloroso. Lo stesso Presidente non valuta i giocatori solo esclusivamente in base alle loro abilità, ma anche in base al carattere adatto a giocare in gruppo e a vivere il calcio meno come un business e più come uno sport che unisce le persone. Vuole che i suoi ragazzi, prima di tutto, si divertano nello stare in campo. Ed è convinto che tu abbia entrambi i requisiti: abilità e passione. Crede molto in te.» Mise via il fazzoletto e inforcò le lenti, ora pulitissime. «E adesso posso affermare che ha visto giusto.»
Yuzo arrossì un po’.
«Immagina quindi la Shimizu S-Pulse come una grande famiglia; alla fine, è proprio questo che siamo.»
«Una… famiglia?»
Quelle parole lo colpirono in pieno petto.
«Sì, ci siamo sempre visti così. Una famiglia grande quanto l’intero distretto di Shimizu-ku.»
«Una famiglia…» fece eco di nuovo; gli occhi si spostarono sui fogli del contratto ancora intonsi.
La sensazione di venire accettati, di avvertire che c’era fiducia nelle sue capacità, la sensazione di sostegno e calore tutto racchiuso in quella semplice affermazione. E la cosa più incredibile era che sentiva, fin dentro le ossa, quanto fosse vera. A volte c’erano percezioni che il corpo riusciva a comprendere prima della mente. Era un qualcosa di fisiologico, forse chimico. Yuzo non lo sapeva, ma ora capiva perché si fosse trovato così a suo agio con loro fin da subito, nonostante non li conoscesse affatto.
Una famiglia.
Senza aggiungere altro, il portiere allungò la mano verso la penna e firmò entrambi i fogli del contratto che aveva già letto attentamente fin da quando si erano seduti nel bar. L’inchiostro nero tracciò la scia del suo nome lasciandolo indelebile sul bianco. Aveva appena imboccato la strada giusta verso la meta.
Piano, appoggiò la biro sulla carta, allungando entrambi verso Tamura.
«Sì, sono sicuro che mi troverò bene» sorrise e l’uomo lo ricambiò con calore. In quel momento tornò anche Kurata più su di giri che mai.
«Fiùùù! Per fortuna sono arrivato in tempo! Anche Takeshi-kun era libero da impegni, sìììì!» Poi si accorse della firma che spiccava chiara e leggibile sul contratto, e la sua euforia andò in orbita. «Oh! Ma allora hai accettato?! Sei dei nostri, è meraviglioso! Dobbiamo festeggiare!» Con l’indice puntato al cielo e una mano sul tavolo esclamò, attirandosi praticamente l’attenzione di tutti gli avventori: «Cameriera! Un altro giro di caffè freddo!»

 

“May your smile (may your smile) /
Possa il tuo sorriso
shine on (shine on) /
brillare.
Don’t be scared /
Non essere spaventato
your destiny may keep you warm /
il tuo destino ti riscalderà

 

Tornò a casa prima dell’ora di pranzo, camminando lentamente per le strade di Nankatsu e godendo di quella calura asfissiante che gli si attaccava alla pelle. Attorno a lui c’era chi passava, sbuffando, sventolandosi con le mani o con qualsiasi altra cosa adatta a fare un po’ di vento. Si muovevano velocemente per raggiungere luoghi più freschi, ma non si rendevano conto che, così facendo, sudavano ancora di più. Lui non aveva fretta, non voleva averne per memorizzare meglio ogni attimo di quella realtà che stava per abbandonare.
Quella era Nankatsu e Yuzo voleva imprimersela bene nella mente fino all’ultimo istante, in ogni suo più piccolo pregio e difetto, per non dimenticarla troppo quando si sarebbe trovato a Shimizu-ku.
La copia del contratto era nello zaino a tracolla. Biglietto d’addio alla sua città natale dove non era sicuro che sarebbe ritornato; forse non avrebbe potuto: suo padre non gliel’avrebbe permesso dopo che gli avrebbe detto della partenza, ovvero il giorno prima se non il giorno stesso.
Probabilmente, suo padre gli avrebbe detto di non tornare mai più.
Anche per questo voleva assorbire, come una spugna, tutti i colori di Nankatsu, i suoi odori, il suo clima, il cielo e le nubi, la terra e l’asfalto. Gli occhi fotografavano attimi ogni volta che le palpebre si chiudevano.
Ma sulle labbra c’era un sorriso. Era grato di tutto quello che la città gli aveva dato, dei suoi amici, della sua passione e dei suoi successi; del campo da calcio vicino al fiume, del fiume stesso. Era grato dei ricordi che avrebbe potuto portare con sé come un vecchio album da sfogliare per scoprire quanto sarebbe cambiato negli anni a venire.
Yuzo fece il giro più lungo possibile, quasi a voler comprimere tutti gli scatti in quei pochi momenti. Aveva fretta di cambiare e correre lungo quella strada nitida e arancione. Aveva fretta di sentirsi slegato da qualsiasi vincolo paterno. Aveva fretta e un po’ aveva paura. Forse più di un po’.
Cambiare in maniera radicale le abitudini e sapere d’averlo scelto con le proprie mani era un qualcosa troppo grande per non esserne spaventati. Però era il guardarsi indietro e non trovare nessuna certezza a intimorirlo di più, per questo Yuzo non si era voltato mai mentre camminava. Se si fosse girato, Nankatsu avrebbe finito col cessare d’esistere, abbandonata nel passato che non poteva essere cambiato e che oramai doveva giacere in un angolo della sua memoria. Di concreto aveva solo il presente, la strada dritta, che lo stava portando verso il futuro.
Quando arrivò davanti al cancello della villetta, il sole aveva raggiunto e superato lo zenit, cominciando a far allungare nuovamente le ombre sulla terra.
Yuzo guardò la costruzione dall’esterno lungamente e con intensità. Anche quella voleva imprimersi bene, fotogramma per fotogramma, perché, nonostante tutto, era stata la sua casa.
Era sempre stata una bella sensazione quella di sapere di avere un posto in cui tornare, dove si nascondevano le radici della propria identità. Yuzo aveva sempre saputo che le sue erano ben piantate in quella villetta, nel panorama visibile dalla finestra dove poteva rubare cielo e tramonto; sovrastante i tetti delle case vicine, si scorgeva la maestosità del Fuji. E a ogni ritorno, quando gli impegni calcistici l’avevano portato fuori Nankatsu, aveva sempre avvertito quel magnetismo indissolubile verso qualcosa che gli apparteneva o cui sapeva di appartenere; era soddisfazione, erano luoghi conosciuti, erano odori inconfondibili, erano letto-tetto-cancello. Era casa.
Ora capiva che avrebbe dovuto piantare altrove quelle stesse radici, sradicarle dal legno del parquet e dal cemento dei muri, sperando di farle attecchire lo stesso, per non marcire. Oppure, avrebbe potuto lasciare un piccolo ramettino, foglia, germoglio di sé, perché non ci si dimenticasse di lui.
Adagio estrasse le chiavi di casa e varcò il cancello, richiudendolo alle sue spalle. Appena aprì la porta, dall’interno provenne il profumo piacevole e familiare della cucina di sua madre. Quanto gli sarebbe mancata, lei, una volta lontano da lì?
«Tesoro, sei tu?»
Sentì chiedere, mentre si toglieva le scarpe, ma non rispose. Raggiunse la cucina con passo lento, appoggiandosi con la spalla allo stipite della porta. Sua madre era allegra, dimentica delle discussioni di un paio di giorni prima, o forse fingendo di dimenticare, come spesso faceva anche lui.
La donna si volse, guardandolo con un largo sorriso e asciugandosi le mani sul grembiule. Avevano lo stesso taglio d’occhi. Lei aveva una fisicità minuta che, no, decisamente non aveva ereditato. Di corporatura, Yuzo aveva preso da suo padre: stessa altezza, ossa spesse e spalle ampie. Di viso, aveva i tratti dei Morisaki, e fin da quando era piccolo gli avevano detto che sorrideva come Baiko. Yuzo non l’aveva mai potuto verificare per il semplice fatto che non ricordava d’averlo mai visto ridere, suo padre, o, se era stato, era avvenuto troppo tempo prima, in cui era stato solo un bambino convinto che tutto quello che avrebbe caratterizzato il suo quotidiano, sarebbe rimasto per sempre immutabile attraverso gli anni; ignorava il senso di mancanza per un ricordo perduto.
«Ehi, ma allora eri tu. Perché non mi hai risposto?»
Haruko lo guardò in attesa di parole che non arrivarono, e il suo sorriso assunse una sfumatura perplessa.
«Tesoro… va tutto bene?»
Yuzo avanzò per la stanza. Spostò leggermente una sedia, trascinandola sul pavimento, e si sedette facendole cenno di prender posto accanto a lui.
«Ti dovrei parlare, mamma.»
«Che succede? Sei così serio, mi fai preoccupare» si allarmò Haruko, obbedendo subito alla richiesta.
Yuzo estrasse il contratto della S-Pulse rigirandolo tra le mani. Non sapeva bene da dove cominciare, ma non voleva prenderla troppo alla larga. Guardò la carta bianca piena di scritte nere, stampate, e poi levò lo sguardo su di lei, inspirando a fondo.
«Io… ho fatto una scelta. Ho scelto il mio futuro e, no, non sarà alla guida della ‘Golden Gun’.» Negli occhi di sua madre, il portiere lesse un guizzo preoccupato. «Due giorni fa, quando hanno telefonato a casa, ti ho mentito: non era Ryo, era un talent-scout della S-Pulse, la squadra di calcio di Shimizu-ku. Volevano ingaggiarmi, per farmi giocare nella J1, la lega maggiore.» Yuzo appoggiò i fogli sul tavolo, facendoli scorrere verso di lei. «Io ho accettato e oggi ho firmato il contratto; tra un mese mi trasferirò a Shimizu-ku per prepararmi a debuttare nel mondo del professionismo. Avrei voluto dirtelo prima, ma… volevo essere sicuro della mia scelta.»
Haruko prese le carte con le mani tremanti, l’espressione si deformò in sconcerto e leggero timore; non lesse cosa c’era scritto, la sua testa era troppo presa da un unico interrogativo, quello che non le aveva permesso di sorridere felice a quella notizia. Era lo stesso che teneva in scacco anche Yuzo.
«E… e tuo padre… cosa dirai?»
«Non glielo dirò fino al giorno della partenza, per questo ti chiedo di mantenere il segreto. Lo so che è una richiesta enorme, so che papà… papà forse mi odierà per tutta la vita, ma io ho davvero provato a cercare di andare d’accordo e comprendere il suo punto di vista. In questo anno ci ho provato con tutto me stesso, ma lo hai visto anche tu, lui guarda da una parte, io dall’altra e non posso più… cercare di rincorrere i suoi occhi. Se glielo dicessi ora, lui farebbe di tutto per non farmi partire, sai quanto è testardo, e di sicuro ci riuscirebbe e dopo cosa ne sarebbe di me?» Sospirò, abbassando lo sguardo sul tavolo. «Io non pretendo che lui capisca la mia scelta e mi perdoni come se niente fosse. Però… vorrei solo… che non mi considerasse un ingrato, perché io non smetterò mai di ringraziarvi per tutto quello che avete sempre fatto per me, per quello che mi avete dato. Vi sarò eternamente debitore.» Accennando un sorriso sbilenco, si strinse nelle spalle. «Ti lascerò la patata bollente. Scusa, mamma.»
Al termine del discorso, Yuzo sentì di averla ferita e delusa, tanto da non avere il coraggio di guardarla negli occhi. Poi, il calore della mano che cercava la sua lo convinse e sul volto di Haruko c’era un sorriso pieno di affetto, puro e indistruttibile, e negli occhi una luce commossa.
«Io sono e sarò sempre orgogliosa di te» disse «Hai lavorato così tanto per raggiungere il tuo sogno, non ti sei mai arreso. E ce l’hai fatta. Tu non puoi nemmeno immaginare quanto io… sia fiera, fiera dell’uomo che sei diventato.»
Yuzo seguì con lo sguardo le dita della donna che risalivano lungo il viso per carezzargli la guancia come sempre aveva fatto fin da che aveva memoria; quel tocco era un qualcosa che non avrebbe mai potuto dimenticare. Ricambiò il sorriso, si lasciò carezzare la nuca e i capelli.
Haruko si sporse, dandogli un bacio sulla fronte, e Yuzo cercò rifugio nel suo collo, per prendersi un abbraccio e nascondere le lacrime.
Ora poteva andarsene con mezza serenità nel cuore, mentre l’altra metà sarebbe rimasta vuota, forse per sempre.
«Ti voglio bene, mamma.»

 

“Get up (get up) /
Alzati.
Come on (come on) /
Andiamo.
Why’re you scared? (I’m not scared) /
Perché sei spaventato? (Non sono spaventato)
You’ll never change what’s been and gone /
Non cambierai mai ciò che è stato e sepolto.

Cos all of the stars /
Perché tutte le stelle
are fading away /
si stanno spegnendo.
Just try not to worry /
Prova a non preoccuparti
you’ll see them some day /
le vedrai, un giorno.
Take what you need /
Prendi ciò di cui hai bisogno
and be on your way /
e segui la tua strada
and stop crying your heart out /
e smetti di far soffrire il tuo cuore.

OasisStop crying your heart out

 

§*§

Sei l'affanno, il brivido, la perdita
del ritmo regolare del respiro.
Mi nascondo
dietro parole inutili.
Linee parallele che non si incontrano,
destini pronti a perdersi
nell'infinito.
E non fermarmi adesso.”


«Come vanno le cose?»
Yuzo si distese completamente sul letto, allungando le gambe. Mamoru era rientrato da Yokohama City la sera prima; essendo una nuova leva non effettuava ancora l’allenamento ordinario dei suoi compagni più anziani, ma restava solo tre giorni alla settimana.
«Normale, per ora.»
«Tuo padre sospetta nulla?»
Yuzo accennò un sorriso sarcastico sistemando meglio il cordless contro l’orecchio. Era trascorsa già una settimana da quando aveva stipulato il contratto.
«Figurati, lui non vede niente oltre al suo lavoro. Ha i paraocchi.»
Sentì Mamoru sospirare dopo qualche momento.
«Sei sicuro che sia la scelta giusta? Diventerà una bestia…»
«Tanto s’arrabbierà uguale. Almeno così gli impedirò di intervenire.»
Ma il terzino non era davvero convinto della riuscita del suo piano. E, a dirla tutta, era preoccupato.
«Senti, non vuoi che ci sia anche io quando glielo dirai?»
«Ma scherzi?! E farti assistere al Litigio Epocale?! No, ti prego, te lo risparmio…»
«Almeno potrei fermarvi se doveste arrivare alle mani.»
Yuzo sbottò a ridere sonoramente e di gusto.
«Ma va! Che dici?! Papà non è il tipo, ha strategie migliori: prima ti distrugge a parole, poi ti cancella dalla sua esistenza. Lui fa così» era il mago dell’Indifferenza; il modo in cui sapeva ignorare la gente era ineguagliabile. O, almeno, Yuzo non avrebbe mai saputo fare altrettanto.
«E tu?»
Quella domanda lasciò il portiere perplesso.
«Io cosa?»
«Yuzo, le acque chete distruggono i ponti e io non voglio vederti spaccare gli argini.»
«Mamoru, è mio padre, non arriverei mai a tanto, dovresti saperlo.»
«Sì, sì. Lo so.»
Non si sarebbe mai sognato di alzargli le mani addosso. Nonostante tutte le incomprensioni, rispettava il suo ruolo di genitore e la sua autorità. E, in fondo, Yuzo sperava che non dovessero mai trovarsi a un simile livello di esasperazione. «Dai, ne riparliamo al campo tra un’oretta.»
Mamoru sembrò convincersi, anche se aveva un tono più titubante del solito. «Ok. E, oh!, non ti dimenticare che puoi sempre contare su di me, eh?»
«No che non lo dimentico. A dopo.»
Il portiere rimase a fissare il telefono senza smettere di sorridere anche dopo che ebbero entrambi riagganciato. Mamoru era fatto così, era molto protettivo verso le persone cui teneva, anche se ostentava un atteggiamento alla ‘macho’. Era una delle sue qualità che amava di più e sapere di fare parte della sua cerchia di persone importanti, lo rassicurava. Bastava solo quello per sentirsi un pochino più forte.
Yuzo si tirò a sedere e infilò le ciabatte per scendere al piano inferiore e posare il cordless. Sua madre era uscita pochi minuti prima per il solito giro di spese del Giovedì. Le aveva detto di avere una partitella di allenamento con gli ex-compagni di liceo e che sarebbe tornato per cena. Da quando avevano parlato, lei non aveva più fatto domande, dandogli il suo completo appoggio e mantenendo il segreto. E i giorni stavano passando, anche se lentamente.
Yuzo ci pensava di continuo, pensava alle parole da dire e al tono da usare, ma si sforzava di non immaginare la reazione che avrebbero sortito. Non voleva aspettarsi nulla, limitandosi a prenderla così come sarebbe arrivata senza nemmeno replicare. Glielo doveva, a suo padre, per aver agito di nascosto.
Nel suo rimuginare, il giovane aveva appena appoggiato il telefono sul supporto, quando il rumore della chiave nella toppa gli annunciò che qualcuno stava entrando e, per certo, sapeva non essere sua madre. Rimase stupito nel vedere l’uomo varcare la soglia così presto e sentì l’ansia allargarsi nello stomaco. Da quando avevano cominciato a discutere più animatamente, era una cosa che gli accadeva spesso.
«Sono a casa.» Baiko si tolse le scarpe senza nemmeno appoggiare la ventiquattro ore. Levò lo sguardo e trovò suo figlio.
«Sei tornato prima.»
Nel tono e nello sguardo un po’ sorpreso, all’uomo parve di cogliere una nota delusa, come se Yuzo avesse preferito che rientrasse il più tardi possibile. La cosa lo irritò.
Baiko inarcò severamente un sopracciglio, rispondendo con tono duro: «E’ un problema?»
Yuzo si sentì attaccato. Cambiò espressione, mettendosi sulla difensiva e distogliendo lo sguardo per non peggiorare le cose e stroncare sul nascere la discussione.
«Era solo un’osservazione» disse ed era la verità, ma la frase gli uscì più piccata di come avrebbe voluto. «Comunque, bentornato.»
«Tua madre non è in casa?» Baiko lo bloccò che aveva messo il piede sul primo scalino, ma si trattò di un attimo poiché riprese a salire subito dopo.
«Il Giovedì va sempre in giro a fare compere.»
«Yuzo» il tono divenne imperioso e lo fermò del tutto «Ti sto parlando. L’educazione vorrebbe che tu non mi dessi le spalle, ma ti fermassi ad ascoltare.»
Il portiere ingoiò a vuoto, costringendosi a obbedire. Non doveva fare passi falsi, ma chiuderla lì.
Lentamente si girò, scendendo adagio tutti gli scalini. Entrambi sullo stesso piano, Yuzo si appoggiò al muro, mani nelle tasche dei jeans e spalle strette.
Era nervoso, Baiko se ne accorse: lo agitava stargli così vicino e parlare più di due minuti. Molto bene, non gli avrebbe permesso di andarsene tanto facilmente.
«Così va meglio» continuò, autoritario, «Per quanto riguarda tua madre, perdonami se non conosco tutte le abitudini di questa casa ma, sai, lavoro tutto il giorno.»
«Non l’ho mai messo in dubbio» rispose Yuzo svelto. Lo sguardo sempre distolto.
«A ogni modo…»
Baiko si mosse in direzione dello studio e Yuzo fu costretto, suo malgrado, a tenergli dietro. L’ansia si aggrovigliava sempre di più allo stomaco mentre sentiva che sarebbero potuti arrivare al punto di non ritorno, e senza nemmeno Haruko a contenerli, sarebbero volate parole grosse, quelle che lui non voleva né dire né sentire.
«…a breve cominceranno i test di ammissione. Stai studiando?»
«Sì» era vero, anche se non Economia. Non aveva mai detto di non voler andare all’università, gli era sempre piaciuto studiare, il problema era la materia.
Baiko appoggiò la valigetta sulla scrivania e si volse, scrutando suo figlio che, invece, restava fermo sulla porta. Inarcò un sopracciglio con sospetto.
«Non ti credo, non ti ho mai visto studiare-»
«Se non sei mai a casa, mi sembra ovvio.»
«Non essere indisponente!»
Yuzo sussultò, non era riuscito a frenare la lingua e, anche se in fin dei conti aveva detto la verità, aveva usato il tono sbagliato.
«E’ questo che ti hanno insegnato a scuola? A rispondere a tuo padre? Mi avevano parlato così bene della Nankatsu e invece. Sarebbe stato meglio se fossi rimasto alla Mizukoshi e avessi completato lì il tuo ciclo di studi.» Baiko aveva preso il ‘la’ e non si sarebbe fermato fino a che non avesse demolito ogni cosa, poco importava se la persona in questione era suo figlio. «E invece ho dato retta a tua madre. ‘No, caro, fallo continuare a giocare. È un bambino, lo sport gli farà bene’. Stronzate.»
Yuzo sentì l’apprensione salirgli al viso e colorarlo di rosso; il panico, per il modo in cui sapeva sarebbero degenerati, arrivò alla gola. Ecco che ricominciava ad attaccare il calcio e quelli che erano il suo mondo e le sue scelte.
«Senti, smettila, va bene? Lascia in pace la mamma, non era di questo che stavamo parlando! Mi hai chiesto se stessi studiando e ti ho detto di sì, d’accordo? Finiamola!»
«Ah, sì? Stai studiando? Davvero? E allora dimmi cosa hai studiato fino adesso. Forza.»
Il portiere si sentì in trappola perché in ogni caso avrebbe finito col dare la risposta sbagliata. Tacque, mordendosi il labbro e perdendo in parte il piglio aggressivo.
«Avanti, voglio sentirtelo dire, Yuzo! Cosa hai studiato?»
«Non Economia» masticò.
Baiko fece schioccare la lingua tra i denti, dipingendosi un mezzo sorriso ironico.
«Sei anche bugiardo, ma bravo.»
Yuzo si sentì ferire da quell’accusa e sollevò il capo di scatto; finalmente lo guardava negli occhi.
«Non ti ho mentito! Mi avevi chiesto se stessi studiando, non cosa!»
«Non usare questi giochetti con me!»
Il portiere non replicò, ma girò il viso, facendo cadere il silenzio su entrambi.
Baiko si appoggiò con una mano sul tavolo e l’altra al fianco; scrutò attentamente suo figlio in un misto di delusione e fastidio.
«A questo punto mi sembra il caso di doverti trovare un insegnante privato.»
«Non ho bisogno di nessun insegnante. Non farò Economia, non è la materia adatta a me.»
«Ma che significa ‘non è la materia adatta’?! E’ una materia come le altre: si studia e si impara! E’ di un’azienda che ti dovrai occupare, di managment, di investimenti e azioni. In che facoltà dovrei mandarti se non quella?! Ormai ho deciso, ti troverò qualcuno che ti segua, così sarai costretto a dedicarti come si deve allo studio, invece che perdere tempo. Ne hai già sprecato fin troppo, dietro a quel dannato campionato!»
Yuzo sentì il cuore battere ogni secondo più velocemente. La testa continuava a dirgli di incassare, tanto mancava poco, ma il suo orgoglio aveva una voce più forte e ululava.
«No.» Non si sarebbe piegato.
«No?» Baiko era divertito. «Non vorrai costringermi a metterti in punizione. Alla tua età sarebbe ridicolo.»
«Non trattarmi come fossi un bambino!»
«Tu sei un bambino se continui a comportarti in questo modo e se continui a disobbedirmi!»
Yuzo udì le parole di Mamoru nella testa, avvertì il montare dell’acqua e in suo padre vide il ponte da abbattere. Urlò con quanto più fiato avesse in gola, sovrastando con forza la voce di Baiko, tanto da lasciarlo interdetto.
«Volevi qualcuno che seguisse i tuoi ordini e comandi?! Allora ti dovevi prendere un cane, non fare un figlio! Io non sono un robot! Ho una mia testa, ho i miei desideri e non ci rinuncerò! Tra due settimane toglierò il disturbo-»
L’uomo si riscosse e tentò di arginare la sua foga e la sua rabbia opponendogli le proprie.
«Cos’è che farai tu?!»
«Toglierò il disturbo, papà! Me ne vado!»
«Per andare dove?! A tentare di rincorrere un sogno inutile?! Chi ti dice che ci riuscirai?!»
«Credi che io valga così poco?!» Yuzo sentì le lacrime attorcigliarsi nella gola. «Beh, guarda, faccio talmente pena da aver firmato un contratto con la S-Pulse per giocare in J1!»
Baiko si imbestialì, girando attorno al tavolo come una furia. In preda al nervosismo sbatté tutte e due le mani sul legno. Yuzo lo vide arrossire per la collera e spalancare gli occhi, ma non si fece intimorire anche se dentro, dei suoi organi non erano rimaste che frattaglie.
«E questo quando pensavi di dirmelo?!»
«Avrebbe cambiato qualcosa?!»
«Non ti permetterò di fare quello che ti pare e mandare all’aria il tuo futuro e quello della ‘Golden Gun’!»
«E io non voglio la tua maledetta azienda!» Le lacrime gli graffiarono gli occhi, ma riuscì a trattenerle ancora. Abbassò il tono. «Per fortuna ho trovato chi crede in me. E non sei tu!»
Quelle furono le sue ultime parole. Lasciò in fretta la stanza e si diresse all’ingresso.
«Yuzo! Yuzo torna indietro non abbiamo ancora finito! Yuzo!»
Ma lui era sordo. Infilò le Nike senza nemmeno allacciarle e corse fuori, spalancando la porta; non la chiuse. Spalancò il cancello; non lo chiuse.
Corse lungo la strada senza mai guardarsi indietro.

 

Le conseguenze
che mi aspettano,
nascoste dietro la luce soffusa
della stanza, mi assalgono;
comprimono il cervello,
stringono la presa e mi confondono.
Non respiro più.
Lo sguardo cade su un particolare ormai dimenticato,
la testa gira, ferma tutto voglio scendere
da questa paranoia.


Libero…
TU SEI
…di essere.
LIBERO DI ESSERE
Niente più…

NIENTE PIU`
…di un numero.

SEI
quello che è stato
SEI
il mio passato che non tornerà
TUTTO QUELLO CHE

desideravo avere tempo fa.”

 

Baiko aveva cercato di rincorrerlo, invano: Yuzo era molto più veloce di lui.
Rimase fermo sulla soglia del cancello aperto, ma suo figlio era già lontano.
E così, Yuzo aveva agito alle sue spalle. Aveva firmato un contratto. Aveva progettato di andarsene senza dirgli nulla se non all’ultimo momento.
Inaccettabile.
La sua espressione si fece minacciosa e dura come la pietra.
Voleva forse la guerra? Non si rendeva conto d’averla già persa in partenza?
Yuzo era destinato a prendere in mano la ‘Golden Gun’, doveva solo rassegnarsi, e lui avrebbe piegato la sua indisponenza con la forza. Sapeva già come agire.
Adagio, richiuse il cancello ed entrò in casa: aveva una telefonata da fare.


“Ti vedo ancora sempre troppo distante
mi sento ancora sempre troppo distante
Ti sento ancora sempre troppo distante
mi vedo ancora sempre troppo distante”


Linea 77 feat Subsonica66

 

- Via! Via! -
La sua testa continuava a ripeterlo come fosse stato l’unico pensiero che era in grado di formulare.
Andare via, lasciarsi tutto alle spalle, ricominciare da capo. Non c’era altro modo tra loro, non esistevano soluzioni. Non riusciva a far valere le sue ragioni, non riusciva a farsi capire quasi parlassero due lingue diverse. Mancava così poco per poter fuggire davvero; Shimizu-ku era il sogno alla fine del tunnel.
Aveva sbagliato a dirglielo, Yuzo lo sapeva, ma gli era sfuggito e ora era consapevole di come quelle due ultime settimane sarebbero state un Inferno.
Eppure non voleva pensarci mentre correva come non ci fosse stato un domani ad attenderlo, fendendo l’aria calda del pomeriggio.
Le gambe si muovevano da sole e con agilità, abituate da ore e ore di allenamenti. Lo condussero attraverso Nankatsu come fossero dotate di vita propria e non rispondessero più ai comandi del cervello. Anche quest’ultimo era stato ridotto in frattaglie, un meccanismo rotto, inceppato su di un unico pensiero: via da qui.
Le gambe lo portarono presso il fiume. Si lanciò lungo il declivio senza rallentare e, complici i lacci sciolti, il viscido dell’erba e la stanchezza, scivolò. Ruzzolò sul manto morbido, che attutì la caduta, e si fermò alla fine della pendenza.
Il viso premuto nell’erba respirava affannosamente l’odore della terra e del fiume. Gli occhi vedevano attraverso i fili sottili e folti la sagoma sfuggevole dell’acqua. Le orecchie udivano il mormorio della corrente e il canto delle cicale. Lì attorno si muoveva tutto a rallentatore.
Suo padre non l’avrebbe mai capito. Mai.
A suo padre non importava niente della persona che era, della sua individualità, e non l’avrebbe mai accettato.
Suo padre non aveva fiducia nelle sue capacità.
Le lacrime tornarono alla carica, aprendosi un varco, e stavolta non le trattenne.
«Non ce la faccio… non ce la faccio più…»

 

“How can I try to explain? /
Come posso provare a spiegare?
When I do he turns away again /
Quando lo faccio, si gira di nuovo
and it's always been the same /
ed è sempre stata la stessa,
same old story /
stessa vecchia storia.
From the moment I could talk /
Dal momento in cui avrei potuto parlare,
I was ordered to listen /
mi fu ordinato di ascoltare.
Now there's a way and I know /
Ora c’è un modo e so
that I have to go away /
che devo andare via.
I know I have to go /
Lo so, devo andare.

Cat Stevens Father and Son

*

Non era venuto.
Sulle prime, Mamoru aveva pensato si trattasse di un semplice ritardo. Un po’ strano da parte sua, visto che era sempre puntualissimo, ma non impossibile. Poi i minuti erano fuggiti via, trasformandosi in ore e del portiere nessuna traccia.
Non era normale che Yuzo si dimenticasse un appuntamento, soprattutto se si trattava di allenarsi, e poi non aveva nemmeno avvisato.
No, non era normale.
Mamoru continuava a pensarci mentre opponeva una blanda marcatura ad Hajime, il quale riuscì a smarcarsi con notevole facilità per puntare alla porta. Tiro. Goal.
Lui sospirò, passandosi una mano tra i capelli legati per sistemare l’elastico.
«Ehi, si può sapere che hai? Non ci sei con la testa.» Teppei gli si era avvicinato poggiandogli una mano sulla spalla; i ricci erano tirati indietro da una fascetta bianca.
Mamoru scosse il capo, minimizzando. «No, niente. Ero solo un po’ sovrappensiero. Tutto qua.» Ma non poteva di certo sperare di farla a una persona che lo conosceva da quando aveva imparato a leggere e scrivere.
«E’ per Yuzo, vero?» anche Teppei sembrava un po’ preoccupato. Fece vagare lo sguardo agli altri che avevano ripreso a correre per il campo. «E’ strano che abbia saltato l’allenamento. Non ti ha detto niente?»
«No, anzi, adesso provo a chiamarlo. Magari ha avuto un impegno all’ultimo momento, di sicuro.» Il terzino sforzò un sorriso che non riuscì a ingannare a dovere Kisugi, ma quest’ultimo si limitò ad annuire, dandogli una pacca leggera sulla spalla, per poi tornare a giocare assieme agli altri.
Mamoru fece un cenno a Shingo, lasciandogli intendere di coprire anche la sua posizione. Rapidamente raggiunse il borsone e, da una tasca laterale, cavò il telefono. Per un attimo, aveva sperato di trovarci un qualche messaggio o chiamata persa da parte del portiere, ma il display gli apparve vuoto. Sospirò.
Non era normale.
Svelto compose il numero di Yuzo, sedendosi sulla panchina a bordo campo. All’altro capo squillava e questo riuscì a rassicurarlo appena un po’.
Mamoru abbassò il viso, fissando l’erba ai propri piedi; con un gesto fluido sciolse i capelli che gli caddero davanti agli occhi, creando una cortina invalicabile.
Finalmente qualcuno rispose.
«Pronto…»
Lui assunse subito una posizione più composta e dritta, lo sguardo di nuovo fisso in avanti. «Ehi! Ma si può sapere dove sei finito? Avevi detto che ci saremmo visti al campo per la partita.»
Il silenzio più lungo del solito l’allarmò, ma fu il tono a fargli decretare con certezza che fosse successo qualcosa. Qualcosa di grave.
«Ah… l’allenamento… sì…» Yuzo aveva una voce strana, incerta, un po’ nasale. «…scusa, io… ho avuto un impegno imprevisto e…»
«Va tutto bene?»
Un’altra pausa.
«Ma certo… certo… tutto bene-»
«Balle.»
All’altro capo, il terzino avvertì il respiro spezzarsi e poi di nuovo silenzio, stavolta ancora più lungo.
«Ma no, niente di che… una piccola discussione… è tutto ok…»
Mamoru si irrigidì, tornando ad abbassare il viso per nascondere le sue espressioni a chiunque avesse potuto vederlo. «Hai litigato con tuo padre?» disse con decisione e quando l’altro non negò ebbe l’impulso irrefrenabile di mollare tutto per raggiungerlo ovunque si fosse trovato.
«Non preoccuparti, lo sai che… che non sappiamo proprio come prenderci… davvero, è tutto… tutto a posto… si risolverà…» gli sentì fare uno sforzo sovrumano per proferire quelle ultime parole «…si risolverà…»
E Mamoru capì che no, non era come le altre volte. Yuzo era divenuto un vaso pieno fino all’orlo e stava cominciando a tracimare. Improvvisamente comprese anche la differenza nel tono di voce.
«Stai piangendo…»
La risata del portiere gli risuonò così finta da farlo rabbrividire.
«Ma no! No, che dici?»
«Senti, dimmi dove sei. Vengo lì.»
«No. Non ce n’è bisogno, davvero… resta con gli altri… me la caverò…»
«Io non voglio che tu te la cavi! Io voglio che tu stia bene!» Si era lasciato prendere un po’ troppo la mano dal nervosismo e se ne rese conto solo dopo averlo aggredito. Fugacemente sollevò lo sguardo per scrutare tra la cortina di capelli, sperando che nessuno l’avesse sentito. Per fortuna, i suoi compagni erano troppo presi dalla partita. Tornò a puntare gli occhi al suolo massaggiandosi la fronte con la mano. «Scusa, non volevo. Dài, dimmi dove-»
«Mamoru…» la voce suonò spezzata e stavolta il portiere non fece nulla per nasconderglielo. «Mamoru, per favore… ho bisogno di restare da solo per un po’. Solo per un po’… ti prego…»
Lui inspirò a fondo, la mano scivolò lungo il viso.
«C’è qualcosa ch’io possa fare?»
«L’hai chiesto, mi basta…»
Mamoru sospirò, con una certa rassegnazione. «Chiamami più tardi, ok?»
«Sì…» Yuzo continuava a piangere. «…non è niente, tranquillo…» Ma nessuno dei due era più in grado di credere a quella bugia.
Il terzino non ebbe modo di replicare che la linea era già stata interrotta. Con una fitta allo stomaco, si ritrovò a fissare il display quasi avesse potuto vedere il suo amico di sempre comparire all’improvviso tra i cristalli liquidi, ma Yuzo era immerso nell’erba lungo la sponda del fiume a sentire lo scorrere dell’acqua, senza vederla: la testa nascosta nelle braccia e tra le ginocchia.

 

“Now don’t drown in your tears babe /
Ora non affogare nelle tue lacrime, tesoro
Push your head towards the air /
Spingi la tua testa verso l’aria
Now don’t drown in your tears babe /
Ora non affogare nelle tue lacrime, tesoro
I will always be there /
Ci sarò sempre.

 

«Quindi è di questo che si tratta.»
Teppei lo sospirò mentre, assieme a Mamoru e Hajime, stava camminando lentamente lungo la via di casa. Il nuovo acquisto dei Marinos aveva raccontato loro della telefonata con Yuzo; un modo come un altro per cercare, senza chiederlo esplicitamente, un consiglio.
Hajime sbuffò, calciando un sasso. «Che imbecille! Suo padre è un vero idiota! Ma non si rende conto di quello che sta rischiando?! Se continua così, presto o tardi Yuzo non vorrà più avere niente a che fare con lui!» Scosse il capo, mordendosi il labbro con stizza. «Certe volte i genitori sono talmente ciechi da non saper vedere al di là del proprio naso. Stupidi.»
I capelli di Mamoru erano nuovamente legati in una coda di cavallo e lui seguitava a guardare la strada senza realmente vederla. Tra i tetti delle case, il sole esplodeva in un mare di fuoco che si infrangeva contro scogliere di nubi grigie. Erano arrivate piano piano, ma inesorabili come l’avanzata di un esercito.
«Che hai intenzione di fare?» domandò Teppei, facendogli sollevare il capo per guardarlo. Il terzino si fermò al centro d’un crocevia; alle sue spalle, c’era la direzione per raggiungere la casa del portiere.
«A dire il vero non saprei… c’eravamo messi d’accordo per sentirci più tardi, ma io…», si girò a guardare lungo la strada silenziosa, «…vorrei passare per vedere come sta.»
«Vuoi che ti accompagniamo?» si offrì subito Kisugi, accanto a lui anche Hajime annuì.
«No, no, non ce n’è bisogno. Poi sapete come è fatto Yuzo, se vede che in tanti si preoccupano per lui, finge che vada tutto bene.»
La Coppia d’Argento si scambiò una rapida occhiata.
«D’accordo, allora noi torniamo a casa, però tu facci avere notizie, ok?»
Mamoru mollò un pugno leggero sulla spalla di Teppei, distendendo un sorriso rassicurante e complice. «Ma certo. Ovviamente senza dirglielo, se no chi se lo sente, dopo?»
I suoi compagni ridacchiarono, riprendendo a camminare verso le rispettive abitazioni e raccomandandosi ancora una volta di tenerli aggiornati. Un cenno con la mano fu il loro saluto definitivo prima di volgergli le spalle e allontanarsi nel riflesso arancio del cielo che colava su di loro simile a pittura da una tela.
Mamoru sospirò, eclissando il proprio sorriso e aggrottando le sopracciglia. I piedi tornarono a guidarlo come una barca alla deriva, conducendolo meccanicamente verso l’abitazione di Yuzo. Aveva cercato di mantenere un tono meno preoccupato di quanto fosse in realtà, ma ora che era nuovamente da solo, poteva far emergere i suoi veri sentimenti. Le espressioni sul suo viso divennero lo specchio di quello che stava provando lasciandogli le labbra tese, uno sguardo severo e l’aria di chi non voleva essere avvicinato da nessuno.
Sperò che Yuzo fosse già rientrato, perché non moriva dalla voglia di incontrare suo padre.
Del signor Baiko avrebbe potuto dire di tutto: che gli era antipatico, che era insopportabilmente cinico e distaccato, che era freddo come un blocco di ghiaccio, ma in definitiva di lui sapeva così poco che non era riuscito davvero a inquadrarlo bene. Sapeva solo che Yuzo teneva tutti gli amici lontano da lui, come se se ne vergognasse o si sentisse a disagio. Non che al signor Morisaki la cosa importasse chissà quanto; da che lo conosceva, non aveva mai chiesto nulla di loro, non si era mai interessato alle compagnie frequentate da suo figlio, anche solo a titolo informativo. Yuzo portava a casa buoni voti? Ok, andava bene, il resto era inesistente o, quantomeno, non importante. Nemmeno che Yuzo avesse giocato nel mondiale giovanile di calcio era importante per lui. Mamoru non l’aveva mai visto assistere a una loro partita, non aveva mai sentito Yuzo parlare dei commenti di suo padre, cosa che, invece, gli altri membri della squadra facevano sempre.
Baiko Morisaki era quasi associabile a una figura mitologica, che se non era rinchiusa nell’alto edificio della ‘Golden Gun’, allora restava rinchiusa nello studio di casa, a lavorare ugualmente per l’azienda.
Il Minotauro e il suo labirinto.
Per il giovane calciatore, era quasi Baiko Morisaki a essere inesistente. E, a dirla tutta, non ricordava nemmeno che faccia avesse.
«Mamoru?»
Il terzino dei Marinos sobbalzò nel sentirsi chiamare; troppo perso nei propri pensieri non si era nemmeno reso conto dei passi alle spalle e, quando si volse, non seppe che espressione fare.
«Signora Morisaki!»
La madre di Yuzo gli stava sorridendo cordiale, aveva delle buste ricolme di spesa e un’espressione serena che gli fece capire che era all’oscuro di quanto accaduto. Cazzo.
«Ciao, Mamoru, stai venendo a casa? Non sei con Yuzo?»
Cazzo due volte. No, non lo sapeva.
Lui cercò di mostrarsi tranquillo e sorridente e ignorò volutamente la domanda. «Ah! Salve! Lasci che l’aiuti!» s’offrì con cortesia e la donna ridacchiò, divertita.
«Oh, sei sempre tanto galante!» Gli cedette i due pesi che, per il giovane, non erano nulla di speciale e ripresero a camminare assieme verso la villetta. «Yuzo ti ha lasciato indietro?» domandò di nuovo e il terzino si rese conto di non poter far finta di nulla, però cercò ugualmente di sorridere.
«Beh, ecco… io…»
«Avevate allenamento, vero? Me l’ha detto Yuzo prima che uscissi a far compere.»
«Sì... sì, noi… noi avevamo…»
«Qualcosa non va?»
Di fronte a quello sguardo un po’ accigliato, Mamoru si ritrovò a capitolare, assumendo un’aria mesta, quasi colpevole.
«Yuzo non è venuto ad allenarsi.»
«Cosa? E per quale motivo?»
«Al telefono mi ha detto… di aver avuto una discussione col signor Morisaki…»
Haruko non rispose, ma Mamoru le vide trattenere un’esclamazione frustrata e girare il viso, le mani vennero intrecciate in grembo. Era visibilmente esausta di quella situazione che sembrava non riuscire a trovare il giusto equilibrio e fine, così il difensore tentò di non farla preoccupare oltre, sorridendo e alzando la testa con decisione.
«Ma… ma stia tranquilla, signora, sono sicuro che si sistemerà tutto-»
«L’avevo sempre creduto anche io, lo sai? Ero davvero convinta, all’inizio, che sarebbero riusciti a trovare un punto di incontro, sono pur sempre padre e figlio, doveva esserci una soluzione.» La signora Morisaki sollevò lo sguardo al fondo della strada, inquadrando la sagoma della propria abitazione e avvertendo i passi farsi improvvisamente più pesanti. Sembravano volessero impedirle di arrivare. «E invece oramai ho capito che l’unica soluzione è tenerli separati. Non sono in grado di poter andare d’accordo. Yuzo non è più un bambino e mio marito non accetta il fatto di non poterlo controllare come faceva un tempo.» Con un sorriso triste, che le accentuò una ruga al lato della bocca, Haruko rivolse lo sguardo al terzino. «Forse ti sembrerò una cattiva madre, ma spero che questo mese passi in fretta così Yuzo si trasferirà a Shimizu-ku. Una volta lontano da qui, potrà finalmente tornare a sorridere come faceva prima che suo padre si mettesse in testa di voler dettare legge nella sua vita.»
Entrambi si fermarono una volta arrivati davanti al cancelletto. Mamoru le sorrise caldamente e con sincerità, mentre il cielo s’era fatto improvvisamente cupo; le nubi avevano coperto i resti del tramonto.
«Non è affatto una cattiva madre, signora Morisaki. Anzi, è l’esatto contrario. E comunque non deve preoccuparsi, Yuzo non è da solo. Ci siamo io e gli altri ragazzi; avrà sempre noi dalla sua parte.»
Haruko appoggiò la mano sul suo braccio e in quel tocco, nell’espressione più rilassata, c’era profonda gratitudine.
«Sono davvero felice che Yuzo abbia incontrato un bravo ragazzo come te.»
Mamoru arrossì, cercando ugualmente di sorriderle, ma camuffando l’imbarazzo.
La donna sembrò tornare di buonumore. Armeggiò con le chiavi di casa e aprì il cancello. «Ma perché non ti fermi a cena da noi? Sono sicura che anche a mio figlio farebbe piacere.»
Il terzino non avrebbe mai voluto rifiutarle quella richiesta, soprattutto vista la situazione, però proprio in virtù della stessa, e dell’eventuale presenza del signor Morisaki, tentennò. «Non vorrei sembrarle scortese, ma… forse non è una buona idea» sospirò, mortificato. «Di solito, Yuzo tende a evitare di farci incontrare suo padre; teme che possa metterci in imbarazzo.»
Per fortuna o per dispiacere, Haruko parve comprendere i punti di vista di Mamoru e suo figlio, ma cercò ugualmente di trovare una soluzione. Insieme si avvicinarono ai pochi gradini che conducevano all’ingresso.
«Allora potreste uscire a mangiare fuori! A Yuzo farebbe bene prendere un po’ d’aria e magari sfogarsi un po’.»
Quell’ipotesi lo trovò concorde, tanto già sapeva dove portarlo: l’avrebbe trascinato a fare due tiri a pallone, ché aveva saltato l’allenamento, e poi sarebbero potuti andare al loro chiosco di okonomiyaki preferito.
«Sì! E’ un’ottima idea, vedrò di convincerlo anche se dovrò usare le maniere forti.»
La donna rise divertita, cercando la chiave della porta principale tra le altre che tintinnavano appese al mazzo. Dentro di sé era fermamente convinta che, fintanto che Yuzo avesse avuto amici come Mamoru, le cose si sarebbero potute sistemare, senza precipitare del tutto.
Ma lo sparo improvviso la gelò all’istante, facendole perdere la presa sulle chiavi. Caddero al suolo con un sonoro ‘tlin’.
Entrambi volsero lo sguardo alla porta chiusa, con gli occhi spalancati.
«Che… che cos’era?»
Mamoru lo domandò ingenuamente, sul viso un’espressione incredula e confusa. Si volse a cercare risposte negli occhi della signora Haruko che erano enormi, terrorizzati e fissavano l’uscio come fosse l’ingresso di un antro stregato. Svelta si chinò per raccogliere le chiavi e cercare quella della porta, ma l’apprensione e la paura rendevano i suoi movimenti frenetici e ingestibili. Mamoru mollò di schianto le buste e il borsone.
Come impazzito cominciò a suonare il campanello, ma nessuno comparve in quei lunghissimi secondi.
«Yuzo! Signor Morisaki! Aprite!»
Driiiiin. DrinDrinDrinDrinDrinDrin. Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin.
Quello stridente tinnire gli penetrò nel cervello, ma non smise fino a che Haruko non riuscì ad aprire la porta e insieme si precipitarono all’interno dell’abitazione.
Di fuori un tuono cupo anticipò le prime gocce di pioggia.

 

“When you fall and you can’t find your way /
Quando cadi e non riesci a trovare la tua strada,
push your hand up to the sky /
solleva la tua mano verso il cielo.
I will run just to, to be by your side /
Correrò subito per essere al tuo fianco,
don’t you ever bat an eye /
non temere.

EditorsPush your head towards the air


 

Le Canzoni del capitolo:

- Stop crying your heart out (Oasis): mi sono sempre piaciuti gli Oasis, ma preferivo quelli degli inizi. Infatti il mio album preferito è “What’s the story? (Morning Glory)”. Ciò non toglie che abbiano fatto delle altre belle canzoni, tra cui questa. Lo scelta perché sottolinea la scelta di Yuzo di andare avanti, di alzare la testa definitivamente e prendere la propria strada, non importa quello che è accaduto o quello che potrà accadere (il rancore di suo padre è paragonato al verso ‘perché tutte le stesse si stanno spegnendo’).

- 66 (Linea 77 feat Subsonica): questa canzone è stata cambiata in corsa, proprio all’ultimo secondo. Al suo posto, c’era “Come as you are” dei Nirvana, poi mi sono ricordata di questa dei Linea 77 e, beh, ci stava a pennello. Canzone arrabbiata per un momento arrabbiato, le parole sembravano descrivere proprio Yuzo e suo padre, nella stanza in penombra – e cioè lo studio –, nella voglia di libertà individuale, nella voglia di fuggire, e nelle distanze che ormai sono diventate abissi (La canzone che cantano nel video è però la versione ridotta dell’originale! X3 E comunque Samuel dei Subsonica era davvero un gran bel tipo, peccato stia invecchiando male! XDDD )
Però vi consiglio tantissimo di vedere anche il video di “Come as you are” (*clicca qui* ) perché, oltre alle parole, ha anche un elemento importante. :D Provate a indovinarlo!

- Father and Son (Cat Stevens): oh, beh. In una storia che parla di rapporti burrascosi tra genitori e figli, questa canzone non poteva mancare. Mi è sempre piaciuta, e la preferisco nella sua versione originale che in quella cantata da Ronan Keating e Yusuf (anche se il video è bellissimo *_*, con tutte quelle fotografie! ** ve lo devo linkare, vale la pena: *clicca qui* ). Ovviamente, i versi citati si spiegano da soli. XD

- Push you head towards the air (Editors): premetto che non sono una grandissima fan degli Editors, me ne piacciono solo alcune canzoni, tra cui questa. Però devo ammettere che il cantante ha una voce che non ti aspetti, data la sua fisionomia. E’ molto profonda e particolare. A vedere il tipo non l’avrei mai creduto/pensato, giuro. XD
Mi sembrava adatta per parlare della presenza di Mamoru, del suo supporto continuo, della sua vicinanza e del legame che ha con Yuzo di affetto e protezione.

:D anche per questo capitolo è tutto.
Grazie a tutti coloro che hanno deciso di seguirmi in questa storia.

   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Melanto