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Autore: elrohir    22/02/2006    5 recensioni
"Un giorno un Uomo mi disse che noi Elfi non conosciamo la Morte.
Quell’Uomo era bello, e alto, e forte, eppure il dolore l’aveva spezzato. Aveva perso da poco un compagno, un amico, un fratello. Aveva da poco perso tutto.
E tra le mie braccia, piangendo di rabbia e frustrazione, sibilò quelle parole sferzanti, quelle parole avventate. Scontate. Sbagliate.
Sbagliavi allora, mio Isildur segnato. Sbagliavi, eppure scelsi di non contraddirti, perché pur nel tuo errore, eri nel giusto."
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Elladan, Elrohir
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UN ANGELO IN MENO



Oggi c’è un angelo in meno su questa terra
Oggi c’è un angelo in meno che non atterra
Nevicherà dentro il mio cuore tutto l’inverno
Nevicherà sopra quel pane, su quest’inferno



L’inverno è più freddo del solito, a Imladris. Lo sento, lo sento farsi strada dentro le mie ossa immortali. Questo ghiaccio. Questo gelo.
La neve non è mai sembrata più bianca, eppure è un bianco orribile, malato. Sporco. Di una sporcizia infida, crudele. Sbagliata.
Un giorno un Uomo mi disse che noi Elfi non conosciamo la Morte.
Quell’Uomo era bello, e alto, e forte, eppure il dolore l’aveva spezzato. Aveva perso da poco un compagno, un amico, un fratello. Aveva da poco perso tutto.
E tra le mie braccia, piangendo di rabbia e frustrazione, sibilò quelle parole sferzanti, quelle parole avventate. Scontate. Sbagliate.
Sbagliavi allora, mio Isildur segnato. Sbagliavi, eppure scelsi di non contraddirti, perché pur nel tuo errore, eri nel giusto.
Noi Elfi non conosciamo la Morte mortale. Non conosciamo la Signora Oscura, la Mietitrice, non conosciamo la lama della sua falce.
La nostra Morte è diversa. Non ha colori. Non li conosce. Non conosce niente.
Ma Isildur, sapessi quanto fa male. Sapessi quanta rabbia ho in corpo, quanta voglia di gridare. Gridare. Ai Valar, a Ulmo, al cielo.
A mio padre, a mio nonno, a mia nonna, al mio mago. A tutti coloro che avrebbero dovuto prevedere, e invece rimasero con gli occhi bendati.
Vorrei gridare. E invece resto muto, resto muto e remoto, lontano. Non parlo. Non piango. Non vivo.
Sono morto anche io. Lo so.
Lo seppi quell’esatto momento, quell’assurdo momento, quando il suo cuore cessò di battere. E con sgomento, mi accorsi che il mondo non sbiadiva.


Oggi c’è un angelo in guerra
Oggi c’è un angelo in meno e nemmeno una stella




La spada è solida nella mia mano, la spada è fredda, leale, la spada è vuota e giusta. La spada è mia amica.
È mia amica mentre la sollevo e l’abbatto sul collo dell’Orco, mentre la estraggo da quella carne putrida e mi volto per cercare un altro bersaglio. Solo. Per sempre, solo.
Stoccata.
Seduti sulle pietre, con l’acqua che leggera scorre e canta. La sua testa posa sulla mia spalla, capelli d’inchiostro scivolano sulla mia pelle. Che delizioso contrasto devono creare, nero su bianco, buio su neve. Ha gli occhi chiusi, lo so. Lo sento.
Fendente.
Sorride. Le sue labbra si schiudono sopra la mia pelle, e poi parla.
Quella voce… Quante notti l’ho ascoltata, quante volte ha scandito il mio sonno, quando ero turbato o stanco, quante volte ha accompagnato il mio passo, quando ero allegro o irrequieto. Quella voce… Suono famigliare, tintinnio di specchi. Quella voce. La mia musica.
Parla.
Parata.
Parla. E tiene gli occhi aperti, e guarda il cielo, guarda le cascate, le nostre cascate. Guarda Imladris davanti a noi, come l’abbiamo sempre conosciuta, come l’abbiamo abitata. Dal primo momento, quando uscimmo insieme dal ventre caldo di mamma e insieme cominciammo a camminare il mondo.
Parla.
«El, mi sposo.»
Affondo.
Mi scosto immediatamente, per guardarlo. Ha gli occhi pieni di luce. Allungo una mano per scostargli una ciocca. I suoi capelli sono seta tra le mie dita.
«Come, ti sposi?»
La testa mi gira, le vertigini mi assalgono. Roh, Roh che si sposa. Assurdo. Roh, il nostro Roh, il mio Roh: si sposa.
Impossibile.
Stoccata.
Caleidoscopio di immagini veloci e confuse. Mio fratello incapace di star fermo, incapace di star calmo. Mio fratello, instancabile amante, irrequieto guerriero, cavaliere del vento. Mio fratello… Mio fratello sposato.
Roh tra le braccia di un elfo bruno, biondo, rosso, castano, avvinghiato a un galadrhin e addormentato sulla spalla di un elfo di Mirkwood. Legolas, Rumil, Haldir, Orophin, Cirdan, Melpomaen… Nomi di amici, fratelli giurati, amanti con cui dividere una notte prima di tornare a combattere insieme, amanti da scottare con il fuoco del tuo sorriso, il fuoco dei tuoi occhi, e poi abbandonare di nuovo al buio… Amanti da amare come fosse l’ultima volta, come fosse l’ultimo istante, l’ultima vita, pur sapendo che il cerchio non poteva concludersi, non poteva spezzarsi.
Roh, la libertà personificata. Insofferente a regole, leggi, costrizioni e legami. Insofferente alle formalità. Roh. Il mio Roh. Sposato.
Fendente.
«E con chi?»
Parata.
Sorriso. Sorriso sognante, sorriso tenero e innamorato. Quante volte l’ho visto, quel sorriso? Ma adesso è diverso. Adesso è reale.
«La figlia di Eowyn e Faramir.» Affondo.
«Una mortale.»


Ed oggi sono due anni che non ho pace
E oggi avresti dieci anni, piccola voce
E ghiacceranno le parole dentro il quaderno
E copriranno il mio dolore come neve d’inverno




Quella notte venne a me con gli occhi pieni di paura. Scivolò sotto le coperte e si rannicchiò contro il mio corpo, come faceva da bambino. Io gli carezzai i capelli e aspettai che parlasse.
Amore mio, mio dolce fratello. Mio specchio, mio sogno, mio gemello.
Elrohir.
«Non voglio farlo.»
Silenzio. Carezze sulla testa, come per calmare un micino. Lui schiacciò la bocca contro la mia spalla.
«Ho paura.»
«Paura di che, fratellino?»
La mia voce nel buio, così simile alla tua. Anche nel tremore ci eguagliavamo.
«Se mi legherò a lei, sarà tutto diverso. Se mi legherò a lei, non saremo più noi.»
Attimo di silenzio. Ripresa sussurrata. «Non potrò seguirti a Mandos, se dovessi cadere.»
Brivido lungo la spina dorsale. Incubo, incubo mai nominato, per timore di renderlo reale. Incubo opprimente, ombra stretta sul nostro abbraccio, sul nostro letto. Su noi due, cuccioli infreddoliti.
La promessa era lontana, memento di una notte in cui tutto sembrava fatto di ghiaccio. I suoi occhi parevano cristalli di nebbia, mentre si feriva la mano per mischiare il suo sangue al mio. Il suo sangue, il mio sangue. Gocce rubino, identiche e brucianti. In fondo, già erano lo stesso.
Quella notte avevamo giurato, chiamando Namo e Irmo a testimoni, che Arda non avrebbe mai visto le nostre lacrime solitarie. Se uno fosse partito, l’altro l’avrebbe seguito. Se uno avesse scelto l’umana vestigia, l’altro sarebbe caduto con lui. Se uno fosse morto, l’altro non avrebbe esitato. Le Aule di Mandos ci avrebbero accolti insieme, mano nella mano.
Era un giuramento solenne, antico e potente. Ma nessun Elfo può prendere i voti e restare legato a un altro. E anche se la moglie di Roh apparteneva agli Uomini, il sangue di mio fratello era sangue immortale.
Lo strinsi forte, come se volessi avvicinare un po’ di più le nostre anime. Le nostre anime che, in fondo, erano una sola. Lo strinsi forte, come se volessi aiutare quelle due metà a fondersi, a sciogliersi insieme.
«Non c’è bisogno di aver paura, fratellino. Non morirò, lo sai.» Sorriso, tra i suoi capelli neri. «Cercherò di fare attenzione con gli Orchi, se è questo che ti spaventa. Vedrò di non farmi uccidere quando non sei al mio fianco.»
Bacio tenero sulla mia fronte. «Non potrei mai separarmi da te, El.»
«E mai lo farai, fratellino.»


Oggi c’è un angelo in croce
Oggi c’è un angelo in meno e nemmeno una luce




E invece accadde, del tutto imprevisto. Sedevo tra le stanze di Imladris, camminavo nei corridoi. Un libro tra le mani, sfogliavo le pagine.
Sentii il suo urlo.
Mi ustionò la testa, come aria bollente. Un dolore mai provato prima, un dolore di vuoto e di perdita.
Non ebbi bisogno di altro, per sapere.
Arrivai nella città a lutto in meno di una settimana. Sentivo mio fratello aggrappato alla terra, le forze che sbiadivano lente, la volontà sempre più sciolta.
La stanza che lui e sua moglie avevano diviso era gelata, e buia. Lui stava sdraiato nel letto, i capelli neri un contrasto terribile con il candore delle lenzuola e della pelle.
In quello stesso letto lei era morta. Era morta in silenzio, il sangue che scorreva lento tra le sue cosce. Suo figlio sciolto in quella vita liquida.
Non sappiamo curare l’aborto, noi elfi. Non conosciamo tale calamità.
Elrohir non aveva potuto fare altro che guardare, mentre sua moglie si spegneva, e il suo cuore perdeva luce.
Sapevo già tutto, mentre mi avvicinavo al letto. Mentre scivolavo sotto le coperte e mi rannicchiavo contro il suo petto, ripetendo i suoi gesti quell’ultima sera.
Sapevo che colore avrebbero avuto i suoi occhi, aprendoli. Argento fuso, stelle nel cielo.
Sapevo la curva triste delle sue labbra, del suo ultimo sorriso.
Sapevo il movimento languido delle sue mani, mentre le posava sulla mia tempia. Della sua bocca, mentre sfiorava il mio zigomo.
Non ebbe bisogno di parlare, di dirmelo. Il suo sussurro nell’oscurità fu velluto ghiacciato.
«Amin mela lle, El nin.»
Sapevo cosa significava tutto questo.
Sapevo che il nostro tempo su Arda era giunto alla fine.


E saliremo le nuvole su ascensori di lacrime
Vedremo questo tempo
Che ci sbianca le pagine
Ci bombarda di grandine
Ci scortica di vento




Sono gli Uomini, a non conoscere la Morte. Sono gli Uomini a non conoscere il dolore di aprire gli occhi e scoprirti solo. Solo. Tu che solo non sei stato mai.
Solo. Tu che sai, anche se sembra assurdo, che lo sarai per sempre.
Solo. Incredibilmente solo.
Perché così mi svegliai. Immaginai i muri spogli delle Aule di Mandos, l’aria gelida di quella dimensione parallela. Le dita di Roh intrecciate alle mie.
Immaginai l’incertezza dei primi passi, la paura dei primi sguardi.
Immaginai il futuro sfilacciato davanti a noi.
E gli occhi bianchi di Namo.
Invece, mi trovai ancora nella stanza di Elrohir. Nel suo letto.
Con il suo corpo ancora caldo tra le braccia, le sua labbra ancora morbide accostate al mio orecchio.
E nessuno, nessuno vicino. Perché lui, lui, il mio Roh, il mio specchio, il mio altro, la mia costante, il mio sempre, mio fratello, se n’era andato.
Senza di me.
E ricordai i suoi occhi mentre il nostro giuramento veniva spezzato, per lasciare il posto al voto d’amore che lo legava per l’eternità a una donna mortale. Ricordai i suoi occhi, e mi scoprii incapace di piangere.
Elrohir morendo si è portato via le mie lacrime. Si è portato via il mio cuore, la mia anima, la mia luce. Perché quella luce era sua.
E adesso guardo questo inverno gelato e bianco, questo inverno buio e malato, e lascio che sia il sentiero a guidare i miei passi. Accanto alle cascate mi fermo un attimo. Stalattiti ne hanno ghiacciato il corso. È come se anche il tempo si fosse fermato, fosse rimasto a quel giorno di sole, quando sedevamo insieme vicini, insieme vivi.
Se chiudo gli occhi posso crederlo. Posso sperarlo
E non importa che il cielo sia nero, non importa che le stelle sembrino precipitate tutte nel buio. Non potrebbero comunque illuminare la mia strada.
Perché la mia luce, la mia stella, è tramontata.
Non sorgerà di nuovo.
Ma un sorriso curva le mie labbra. Perché sento, nel profondo del sangue, che presto anche per me giungerà la notte. Portando via il freddo.
Il mondo si è rovesciato fratello. E ho capito una cosa.
Roh, non sarà la primavera a sciogliere il mio gelo.
Quel che aspetto io, è un altro inverno.



Credits: Un angelo in meno, Massimo Bubola.

   
 
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