The Evidence
DISCLAIMER: Questi personaggi non mi appartengono, ma appartengono alla CBS e ai suoi autori. Ogni riferimento a
fatti o persone reali, vive o morte, è puramente casuale.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
RATINGS: R
SPOILER: Nessun riferimento agli spoiler
della sesta stagione, dato che questa storia prende vita su una “strada
parallela” dopo l’ultima puntata della quinta serie, “Sepolto vivo”. Chi non ha
ancora visto la quinta serie e non vuole sapere com’è andata, potrà avere
qualche problema nel leggere questa ff.
·
Capitolo I
Gli occhi azzurri di
Gil Grissom erano immobili. Fissavano con l’intensità di sempre la prova più
pazzesca con cui gli era capitato di avere a che fare. Era entrata nella sua
vita provocando lo stesso effetto che può avere un terremoto su una casa di
marzapane: aveva scaraventato tutto a terra. Vedere le proprie certezze
spazzate via in così poco tempo, dopo averle consolidate con fatica, ed essere
costretti a ripartire da zero era un evento traumatico di non poco conto.
Perfino per lo stoico Gil Grissom.
Continuava a guardarla senza riuscire a trovare un modo per organizzare
i suoi pensieri. Era sempre così. Ogni volta che posava gli occhi su di lei, il
suo emisfero sinistro veniva sistematicamente sabotato
e ridotto all’inefficienza. Era sempre stato
così, dalla prima volta che l’aveva vista. Non riuscì a
trattenersi, così si chinò verso di lei per darle un bacio sulla fronte,
scostandole i capelli. La luce calda e
soffusa del tramonto dava un colore dorato alla pelle di Sara, che dormiva
placidamente accanto a lui, supina. La stava guardando da almeno un’ora, girato
su un fianco e con la testa poggiata su un mano. Non
si era ancora stancato di vedere il suo petto andare ritmicamente su e giù, e
le sue mani cercare un contatto con lui. Svegliarsi accanto a lei gli faceva desiderare
di tornare indietro nel tempo, solo per prendere la decisione di stare insieme
molto prima di quanto non avesse fatto. Da quando avevano iniziato quella
relazione, Gil non era più lo stesso. Non per i sentimenti,
quelli c’erano sempre stati, ma perché aver dato una possibilità al suo amore
aveva sbriciolato le sue paure iniziali. Ora si sentiva come…come un
cinquantenne che è sempre stato innamorato di una ragazza con uno splendido
sorriso, e che solo dopo anni di sofferenza, negazione e limiti
auto imposti è riuscito a lasciare al suo amore la libertà di esprimersi. Ma lei non era una ragazza qualunque. Era la prova che
neanche la logica di uno stimato entomologo e affermato criminalista poteva
vincere contro l’amore, un sentimento che non segue leggi
scientifiche ma che le demolisce tutte. Ormai si era talmente legato a lei che
si ritrovava ogni giorno a sperare di non fare mai errori. Perderla l’avrebbe sprofondato in un inferno, per usare una metafora
ottimistica. Bastava pensare a come affrontasse
traumaticamente le ore che non passavano insieme, solo perchè temeva che
lasciandola andare si sarebbe rivelato tutto un sogno. Ironicamente la loro
relazione era stata scandita dagli eventi traumatici, che il più delle volte
l’avevano indirizzata su una strada completamente opposta a quella che lui si
era prefissato di percorrere.
Evento traumatico
numero uno: sparano a Holly Gribbs. Lui chiama Sara per aiutarlo nell’indagine,
lei arriva in un batter d’occhio, come se stesse aspettando la sua chiamata con
le valigie già pronte. Rivederla gli aveva ricordato che nella vita ci sono
molte cose belle per le quali vale la pena vivere. Come il suo splendido
sorriso. Ne bastava uno per trascinarlo all’istante nel mondo delle favole:
tutto più luminoso, più colorato, più bello.
Evento traumatico
numero due: l’incidente dell’hamburger. Lei minaccia di
andarsene, lui le manda una pianta. Da quel momento era iniziato un
periodo di permesso straordinario per le dolcezze, che includevano sguardi,
sorrisi e frasi incantevoli tipo “Sono interessato al bello da
quando conosco te”.
Evento
traumatico numero tre:
Hank. Inizio del periodo di tensione. Gil distolse per un attimo lo sguardo
spostandolo sulla finestra di fronte a lui. Era meglio non pensarci. Ritornò a
guardarla e le prese una mano intrecciando le dita con le sue.
Evento
traumatico numero quattro:
l’esplosione del laboratorio. Lui l’aveva chiamata tesoro,
lei lo aveva invitato a cena. Sfortunatamente il tutto era coinciso con
un altro evento traumatico: l’otosclerosi. Si era sempre chiesto se senza la
“scusa” della malattia avrebbe davvero risposto di no.
Evento traumatico
numero cinque: lei viene quasi arrestata per guida in
stato di ebbrezza, lui va ad offrirle il suo appoggio…e la sua mano. Fine del
periodo di tensione. Tutto di quella sera era inspiegabile. Era entrato nella
sala e le si era seduto accanto, senza che lei avesse
fatto un cenno, come se non si fosse neanche accorta della sua presenza.
L’aveva vista così triste e sola che darle la mano gli era
sembrato una cosa quasi naturale. Dopo aver azzittito la parte razionale
di sé, ovvio. Da quel giorno avevano iniziato a ricostruire pian piano la loro…
“amicizia”, più volte messa a dura prova dai vari Hank, Lady Heather e frasi
taglienti.
Evento
traumatico numero sei:
Ecklie divide la squadra. Se ripensava alla
possibilità che il neo assistente direttore avrebbe potuto dividerlo da Sara,
mandandola nell’altra squadra, provava un senso di smarrimento quasi
spaventoso. Dopo qualche settimana lui si scusa per averla messa nelle
condizioni di coprirlo, lei ribatte che è sempre stato molto più di un capo. La
risposta era stata uno sguardo meno sorpreso del previsto, in fondo non aveva
detto niente che lui non sapesse già. Stava finalmente per dirle qualcosa che non
fosse banale…ma lei l’aveva interrotto. Ottimo
tempismo.
Evento traumatico
numero sette: lei è a un passo dal licenziamento, lui
va a casa sua. Ufficialmente come suo superiore,
trasformatosi poi in amico nel corso della conversazione. Risultato:
seconda stretta di mano volontaria nel giro di sei mesi, e carriera messa in
pericolo osando contraddire un ordine di Ecklie. Tutto
per salvarla e continuare ad averla accanto a sé.
Evento traumatico
numero otto: Sara viene quasi uccisa da un pazzo. L’incubo della sua vita: vedersela portare via da qualcuno senza
poter fare niente per evitarlo. Dopo aver scampato
il pericolo, il sollievo di averla ancora viva e fisicamente sana lo aveva
mandato in narcosi. Avrebbe voluto abbracciarla…forse anche baciarla…Poi aveva
capito che non era quello di cui lei aveva bisogno in quel momento, ma di un
amico che la ascoltasse e che sapesse quando voleva
stare da sola, anche se lui non avrebbe voluto lasciarla neanche per un
nanosecondo, dopo quell’episodio.
Evento traumatico numero
nove: Nick viene rapito…Il pensiero che il rapimento
era stato casuale e che in quella bara di plexiglas avrebbe potuto esserci lei,
era bastato a convincerlo che frequentarla un po’ di più fuori dall’ufficio non
era affatto un suicidio, come poteva sembrare alla sua mente, troppo occupata a
dare più peso ai pochissimi contro che ai moltissimi pro. Il modo in cui lei lo
aveva aiutato a riprendersi dallo shock aveva fatto il
resto. E così, undici mesi e numerosi mini eventi traumatici
dopo, eccoli insieme nel suo letto. Ed eccolo
di nuovo a combattere contro le sue paure. Mentre
iniziava a sfiorarle la guancia con il dorso delle dita, si sforzò di non
sentire tutte le domande che gli facevano eco nelle orecchie: “E se sto
correndo troppo? Se la spavento? Se
in realtà non sono pronto?”. Guardò la sveglia, permettendo al puntino
lampeggiante di ipnotizzarlo e di avere un’azione calmante su di lui. In una
storia, come in un caso, non si va avanti con le incertezze, ma basandosi sulle
cose certe. Lui la amava, ecco una cosa certa. Gli riusciva sempre più
difficile stare senza di lei, ecco un’altra cosa certa. E
non aveva bisogno di porsi domande sui sentimenti di Sara.
Il suono delle
lenzuola sfregate lo spinse a tornare a guardarla. Stava lentamente aprendo gli
occhi con la stessa fatica che fa un orsetto a
svegliarsi dopo un letargo durato mesi. Non si mosse, dandole il tempo di
ambientarsi e guardandola con un sorriso quasi divertito. Quando
Sara mise a fuoco il suo volto, ricambiò il sorriso e lo guardò negli occhi
così profondamente che Gil sentì il bisogno di darle un bacio sul collo.
<
Che bel risveglio… > disse Sara dopo aver prodotto un mugolio di piacere.
Gil tornò a
guardarla. < Dormito bene? > le chiese. Il giro delle carezze era
arrivato ai capelli.
< Mhm mhm. Hai un effetto soporifero su di me. > rispose con un
sorriso ancora più grande, pregustando la risposta del suo compagno. Aveva
sempre avuto qualche difficoltà a dormire, ma stando con lui riusciva
tutte le volte a prendere sonno abbastanza pesantemente.
Gil alzò le
sopracciglia. < Beh, almeno dividire il letto con me ha un vantaggio. >
< Più di uno.
>
Gil chiese spiegazioni con lo sguardo, e per tutta risposta lei
ridacchiò. Come al solito, l’aveva lasciato senza
parole. Adorava la sua risata, il modo che aveva di scherzare sulla loro
intimità…e l’odore della sua pelle. Puntò di nuovo sul suo collo
mentre infilava una mano sotto la maglietta e le accarezzava il ventre.
Sara rise di nuovo mentre diceva: < È tardi! >
Gil sollevò la
testa. < Hai un appuntamento? > le chiese serio.
Non riusciva a
smettere di ridere. < Si, con il mio appartamento. > disse sgusciando dal
suo abbraccio e alzandosi dal letto.
< Devi andarci
per forza? > le chiese, mentre un’espressione poco felice si materializzava
gradualmente sulla faccia.
Lo guardò
combattuta per qualche secondo. L’espressione che faceva in quelle situazioni
aveva il potere di farle cambiare idea all’istante e lanciarla tra le sue
braccia. Ma non quel giorno. < Si. > rispose
quasi sofferente. < Devo ritirare la posta, o inizieranno a darmi per
dispersa. Sono giorni che quando vado a casa non ho il tempo sufficiente per
occuparmene. > Raccolse i suoi vestiti dalla sedia e aggiunse, sparendo
sotto il letto alla ricerca delle scarpe:
< Né di questo, né di altro. Come riempire il frigorifero, per
esempio. >
< D’accordo, ma
ceniamo insieme? > le disse mettendosi a sedere sul letto. Il movimento fece
scivolare le lenzuola scoprendo il suo petto nudo. Sara si tirò su e rimase
immobile per qualche istante, con uno strano sorriso sul volto. Gil capì che la
causa scatenante era stata la visione dei suoi pettorali, così assunse
un’espressione contrariata.
Sara rise ancora
una volta e riprese la sua ricerca. < Ehm…sì…sì, ceniamo insieme, hai visto
le scarpe? >
< Sono in bagno.
Potremmo mangiare qualcosa di salutare come…una pizza… >
Sara si drizzò nuovamente, ancora con un sorriso stampato sul volto.
< …o una coppa di gelato. >
< Perché non entrambe? > Si diresse verso il bagno
chiudendo la porta a metà.
< Perché non vengo a casa con te? > le chiese con un tono
innocente. La risposta tardò ad arrivare, e la immaginò sorridere
mentre si rivestiva.
< Se passi tutto il tempo con me, ti sarà difficile starmi
lontana durante l’orario di lavoro. E a tal proposito… > Si esibì in uno dei
suoi numeri da circo mentre cercava di rimettersi i
jeans senza cadere. < Dovresti evitare di farci lavorare insieme così
spesso. Se non lo hanno già capito, qualcuno inizierà a chiedersi perché noi
siamo quasi sempre insieme sullo stesso caso, mentre
l’unica persona che ruota è il terzo incomodo. > Tirò su la
zip, si infilò le scarpe e mentre si cambiava maglietta riprese a
parlare. < E questo non vuol dire che io non voglio
stare con te. > Nessuna risposta, nessun rumore.
< Gil? > Quando la testa sbucò dalla maglietta se lo ritrovò davanti.
Aveva avuto il tempo di alzarsi
e andare da lei senza fare il minimo rumore e con i boxer addosso. Solo con i boxer. La sua espressione
era seria, ma un secondo dopo le sorrise.
< D’accordo.
> le disse abbracciandola. < Vorrà dire che stasera lavoreremo su un caso
da soli. >
Sara lo strinse
forte sospirando con un sorriso. < Sei dolcissimo. Ma
devo andare. > Gil la strinse ancora più forte facendole emettere una
risatina. < Se mi soffochi troveranno il tuo DNA su
di me, sei incastrato. >
Gil la lasciò
andare solo per darle un bacio così dolce e intenso, che Sara ebbe
l’impressione di avere le gambe della stessa consistenza di un budino. La
abbracciò di nuovo e, mentre sentiva le mani di Sara affondare nei suoi capelli
arruffati, ripensò a quanto fosse difficile lasciarle
il suo spazio e non soffocarla, pur sentendo crescere il bisogno di stare con
lei il più possibile. Timidezza iniziale a parte, da quando stavano insieme si
era sempre dimostrato molto tenero, un lato di lui che
era difficile immaginare frequentandolo solo sul lavoro. Perfino di notte
voleva avere per forza un contatto con lei, anche minimo, una necessità che
aveva trasferito a Sara. Lo strinse più forte un’ultima volta prima di dirgli:
< Anch’io ti amo tanto. > disse, conoscendo la difficoltà che aveva Gil
di manifestare i suoi sentimenti con le parole. Nonostante
fossero insieme quasi da un anno, preferiva ricordarle quanto l’amava con i gesti,
e lei lo capiva. E lo amava anche per quello. <
Resisti almeno per un’ora, prima di venire, ok? > disse divertita. Ancora
una volta aveva tradotto alla perfezione il messaggio che le stava mandando.
< Ok. > rispose
poco convinto, lasciandola andare. La accompagnò alla porta e la vide dirigersi
verso la macchina mentre ripensava a quella domanda
che non era riuscito a porle.
CONTINUA….