C’erano
i papaveri
Il giorno in cui sei morta era primavera e
c’erano i papaveri.
Ti piacevano; dicevi che ti mettevano allegria, così sgargianti, così rossi in infiniti prati monotoni.
Poi sei morta, e il mattino dopo i papaveri erano ancora lì. Nessuno li aveva presi e decapitati e fatti a pezzi, e io mi chiedevo come fosse possibile. Come potevano far finta di niente? Come potevano i fiori essere ancora fiori, i prati ancora prati, il sole ancora sole? Quanto sfoggio di esistenza impassibile. Era così orrendamente crudele.
Così ci pensai io, almeno con i papaveri. Andai in un campo che ne era pieno e mi misi a decapitarli, cento, mille, tutti quelli che vedevo. Li decapitai e poi con la suola delle mie scarpe ne feci poltiglia, aspettando che non diventassero altro che polvere rossa. E li seppellii, alla fine, cenere nella terra, cenere nella terra. Risi all’aria mentre lo facevo.
Quando fui esausto, le mani graffiate a furia di scavare, sollevai la testa e vidi altre centinaia di papaveri, ritti; vivi. Per quanto potessi spezzarli e soffocarli nella terra, ce ne sarebbero stati sempre altri che avrebbero continuato a vivere, e io non potevo fermarli.
Non potevo chiedere che il mondo degli altri cambiasse solo perché era cambiato il mio.
Da quel giorno è passato un anno. È primavera e ci sono i papaveri, anche lungo il viale che porta al cimitero. Non ho pensato di prenderti dei fiori quando ho deciso di venire qui – non mi piacciono i fiori. Neanche tu ci andavi pazza, però per i papaveri sì. Senza pensarci mi chino e ne raccolgo un mazzetto. I petali mi tingono le mani di rosso.
Misty, guarda, ci sono i papaveri.
Sempre così sgargianti, sempre così rossi; sempre così uguali. Non capiranno mai che tu non ci sei.
Ti piacevano; dicevi che ti mettevano allegria, così sgargianti, così rossi in infiniti prati monotoni.
Poi sei morta, e il mattino dopo i papaveri erano ancora lì. Nessuno li aveva presi e decapitati e fatti a pezzi, e io mi chiedevo come fosse possibile. Come potevano far finta di niente? Come potevano i fiori essere ancora fiori, i prati ancora prati, il sole ancora sole? Quanto sfoggio di esistenza impassibile. Era così orrendamente crudele.
Così ci pensai io, almeno con i papaveri. Andai in un campo che ne era pieno e mi misi a decapitarli, cento, mille, tutti quelli che vedevo. Li decapitai e poi con la suola delle mie scarpe ne feci poltiglia, aspettando che non diventassero altro che polvere rossa. E li seppellii, alla fine, cenere nella terra, cenere nella terra. Risi all’aria mentre lo facevo.
Quando fui esausto, le mani graffiate a furia di scavare, sollevai la testa e vidi altre centinaia di papaveri, ritti; vivi. Per quanto potessi spezzarli e soffocarli nella terra, ce ne sarebbero stati sempre altri che avrebbero continuato a vivere, e io non potevo fermarli.
Non potevo chiedere che il mondo degli altri cambiasse solo perché era cambiato il mio.
Da quel giorno è passato un anno. È primavera e ci sono i papaveri, anche lungo il viale che porta al cimitero. Non ho pensato di prenderti dei fiori quando ho deciso di venire qui – non mi piacciono i fiori. Neanche tu ci andavi pazza, però per i papaveri sì. Senza pensarci mi chino e ne raccolgo un mazzetto. I petali mi tingono le mani di rosso.
Misty, guarda, ci sono i papaveri.
Sempre così sgargianti, sempre così rossi; sempre così uguali. Non capiranno mai che tu non ci sei.
Note:
Volevo scrivere qualcosa di deprimente e l’ho
fatto xD Mi era venuta in mente letteralmente dal nulla la frase C’erano i papaveri,
e siccome mi piaceva il suono – e siccome i papaveri per me
hanno un significato particolare che non sto qui a spiegare o facciamo
notte – ho deciso di lasciar correre la fantasia e farmi
trasportare ovunque lei volesse. Tant’è che ho
scritto questa drabble in cinque minuti scarsi, più o meno
xD E miracolosamente le parole erano 300 già quasi al primo
colpo.