N.d.A. E' passato
molto tempo da quando
ho scritto questo brano...
Per qualche motivo oggi spulciando in uno scatolone l'ho ritrovato
insieme ad
altri ed ho deciso di condividerli sperando di farvi cosa gradita.
L'ho scritto ascoltando "Someday" dei Nickelback, ma le parole sono
nate solo dalla musica e non centrano con il testo.
Potete ascoltarla qui: http://www.youtube.com/watch?v=-VMFdpdDYYA
SOMEDAY
Driiiiin.
Il
suono della campanella decreta
la libertà di tutti. Ognuno può tornare alla
propria vita...
...Chi dal proprio ragazzo che
aspetta fuori da quel cancello, controllando continuamente
l’ora, preoccupato
che vada sprecato anche solo uno di quei pochi minuti rubati prima che
il
telefonino squilli per un genitore che si chiede che fine abbia fatto
la
figlia...
...O chi si trascina lentamente
chiedendosi come fare a parlare dell’ennesimo brutto voto o
come salvare
l’anno...
...Chi fa progetti per il
pomeriggio e chi non ha nessun programma, nessun obbiettivo. O forse ne
ha
troppi e così finisce per non sceglierne nessuno.
Ma la libertà fa paura e, a
volte, può diventare una condanna...
Perché la scuola, le lezioni e i
professori ti occupano la mente, ma quando cala il sipario ed attori e
spettatori se ne vanno, rimani solo tu, e i pensieri che hai tenuto a
freno,
presa da altro, ti riassalgono all’improvviso e allora subito
gli auricolari
nelle orecchie.
L’inizio della prima canzone
copre lo spegnersi di quel suono che annuncia il silenzio.
Musica. Musica a palla per
riempire il vuoto immenso della tua testa.
Nickelback. Someday.
Il mondo attorno si annulla.
I pensieri rimangono intrappolati
tra batteria, basso, chitarra e voce. Non trovano la strada.
O forse sì e così quasi per caso
un pensiero arriva nitido e a quel punto è la musica a
sparire.
Nonostante il volume, nonostante
la tua volontà, nasce una speranza che travolge tutto.
“E se lui fosse là
fuori?O ci fosse una lettera nel cestino della
bicicletta?”
Almeno qualche parola, qualche
risposta per capire quella e-mail così breve e criptica.
E, allora, la lotta diventa
quella di rallentare il cuore e il passo, perché le
illusioni non possono
trasformarsi in realtà, ma solo deludere e fare male.
Cercare il suo volto tra persone
spesso sconosciute e non trovarlo. Raggiungere la bicicletta e nessun
frammento
di carta ad aspettarti.
La speranza si trasforma, diventa
una lama affondata nel cuore. E quindi alzare ancora di più
il volume e
partire.
Giù per quella discesa piena di
buche di cui quel giorno nemmeno ti accorgi, cercando di eliminare ogni
traccia
di quel pensiero dalla tua mente, mentre il vento cancella
l’unica traccia dal
tuo volto. Quella sola lacrima, l’unica che puoi permetterti
senza allarmare
gli altri, perché allora inizierebbero le domande e tu non
hai voglia di
parlare, ma solo di fare a pugni con il mondo perciò
è meglio che nessuno
sappia perché non vuoi ferire nessuno.
Arrivare a casa ed indossare una
maschera, senza più la musica ad isolarti.
Il cibo perde sapore e ti sembra
di essere in gabbia. Allora fare tutto di fretta e poi fingere un
incontro con
le amiche e fuggire verso il centro.
Lasciare la bici al solito posto.
Chiudere quel lucchetto che non ha nulla di romantico. Calare il
cappuccio sul
volto, rialzare il volume abbassato per prudenza mentre percorrevi le
strade
affollate.
Senti la musica invadere ogni
recesso, ma non basta e le lacrime iniziano a scorrere.
Non un sospiro, non un
singhiozzo. Nessuno si accorge di nulla.
Sola, eppure in mezzo alla gente.
Era questo che volevi, ciò nonostante la conferma di essere
invisibile fa male.
Un urto di spalle e alzi lo
sguardo, ma è come se non vedessi.
“Mi scusi” E di nuovo giù.
Continui a camminare, ma poi
decidi che non serve a nulla e così ritorni viva. E sei di
nuovo tu.
Così inforchi di nuovo la bici e
via veloce, mentre il vento, metro dopo metro, ti alleggerisce di quel
dolore
che è stato fedele compagno per lunghi mesi.
Le ruote girano velocissime.
Cancello, chiavi, garage,
cavalletto, di nuovo chiavi e finalmente...
“Mamma, sono tornata!”
In ogni senso. Ma questo lo tieni
per te.