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Autore: Hiromi    09/06/2011    11 recensioni
Takao e Karen, Mao e Rei, Max e Maryam, Hilary e Kai... Pezzi di puzzle che si incastrano alla perfezione, complicati e piccolissimi, finissimi e ricercati... Ma non ci mancherà qualche pezzo? Sarà il caso di rimediare...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Wonderwall

A Hilly89.

Perché le dichiarazioni d’amore e le proposte di matrimonio non si scordano mai.

Perché mi adora e io adoro lei (Lord compreso!)

Perché è una pervertita: proprio come me!

 

Wonderwall

 

 

 

 

 

 

There are many things that I

would like to say to you 
but I don't know
how 
Because maybe 
You're gonna be the one that saves me ? 
And after all 
You're my wonderwall 

 

Wonderwall – Oasis

 

*******************

 

 

Essendo uno degli aeroporti di una delle città maggiori del mondo, quello di Mosca era sempre strapieno, colmo di gente che andava e veniva, simbolo di persone che si ritrovavano o che si lasciavano per poco tempo, un po’ come quel giorno.

In compagnia della famiglia da poco riunita, la ragazza camminava su e giù per la sala d’attesa, aspettando le persone che, da un momento all’altro, sarebbero spuntate fuori dalla porta scorrevole con su la scritta arrivals.

 

Tentò di calmarsi pensando che, in effetti, vista dall’esterno, la situazione poteva parere comica: c’era lei che, a furia di girare in tondo, stava quasi scavando una buca lì intorno - in modalità cane che marca il proprio territorio – c’era sua sorella che pareva un’indiana pellerossa in attesa dell’ardua sentenza, suo padre che era andato placidamente a prendere un caffè al bar – ma tanto quello non si smuoveva nemmeno se gli cascava un meteorite a due centimetri di distanza...! – e, infine, sua madre che sbraitava contro qualcuno di non ben definito al telefono.

 

Non bianco, non panna, non avorio: viola, okay?” la sua voce aveva un ché di isterico che avrebbe intimidito chiunque ma, a quanto pareva, l’interlocutore doveva essere qualcuno che amava il brivido dell’avventura. “Non voglio colori che ricordino nemmeno lontanamente il bianco: santo cielo, ho due figlie!”

Sorrise brevemente all’ultima sparata della donna, per poi tornare a concentrarsi sulle persone che uscivano da quella dannata porta scorrevole: i passeggeri del volo Londra-Mosca erano atterrati da più di un quarto d’ora, era solo questione di istanti…

 

Ma dove diamine sono?

 

Sospirò, alzando gli occhi al cielo: era destino che ogni volta che si trovava lì le dovesse sembrare di aspettare giorni e non una manciata di minuti.

 

Non è che se fai così arrivano prima.”

Eccola lì, la neo campionessa del mondo: da quando il torneo di beyblade era terminato, e lei era tornata a casa, festeggiata con tutti gli onori, rompeva le palle ancora di più.

 

“Ah, sta’ un po’ zitta.” sbottò, sbuffando, mettendo le braccia conserte.

Era Giugno inoltrato, a Mosca vi erano una ventina di gradi e la neve aveva iniziato a sciogliersi da poco – sì, proprio quella neve che in Russia permaneva fino a Maggio inoltrato: per quanto si sforzasse non si sarebbe mai, mai abituata!

 

Un urlo lancinante le fece alzare lo sguardo di scatto: sorrise largamente, correndo a zig zag verso due ragazze della sua età ed abbracciandole di slancio.

Charlie’s Angels, siamo forti, siamo belle, siamo amiche per la pelle!” le loro voci si unirono in un coro allegro e scanzonato, e furono molte le persone che si fermarono a guardarle.

 

“Dov’è, dov’è la campionessa?” Sam si guardò intorno, socchiudendo gli occhi verdi. “Per colpa sua mi sono fatta maledire da mio padre, tifando Russia per tutto il campionato!”

 

“Eccola lì.” Daphne prese a braccetto le amiche, finalmente serena: avevano passato un mese intero a pianificare il loro arrivo a Mosca e, finalmente, era divenuto realtà: sarebbero state con lei venti giorni, e sarebbe stato un periodo puramente distruttivo.

 

Nad!” Samantha sgranò gli occhi non appena vide la gemella della sua migliore amica: se Daphne aveva delle extension che le stavano benissimo e che acuivano la sua femminilità, Nadja si era tagliata i capelli ancora più corti, in un carré liscio appena sotto l’orecchio che le sfilava il viso.

 

“Ragazze.” la moscovita le salutò con un sorriso riservato ma sincero, salvo poi venire subito stretta dalla bionda in un abbraccio che le fece girare la testa.

 

“Sei stata mitica: quando alla finalissima hai battuto Carlos Fernandéz in tutti e tre i set, mi sono messa a correre per tutta la casa urlando io conosco quella ragazza!” non appena Liz lo disse, tutte scoppiarono a ridere.

 

“Ah, non le fate più complimenti o si monterà la testa!” Daphne mostrò la lingua con fare scherzoso.

 

“Quella sei tu, non lei!” la rimbeccò Sam.

 

“E me? Non mi salutate?”

Eccola lì: trentasette anni, fisico da paura, serici capelli castani che le incorniciavano il viso, Hilary Tachibana presto in Hiwatari era magnifica stretta nel suo soprabito Chanel.

 

“Come stai?” Sam era tutta un sorriso. “Mia madre ti fa gli auguri e ti manda un regalo; appena siamo in un posto più comodo lo prendo.”

 

La donna rise. “Ringrazia tua madre e dille che non c’era bisogno di preoccuparsi; Liz, tutto bene?”

 

La bionda ridacchiò. “Sto solo pensando che mancano dieci giorni: dieci!”

 

Hilary rise e Daphne batté le mani, contenta come una bambina il giorno di natale. “Mamma ha fatto impazzire tutti con i preparativi per le nozze: ormai è quasi tutto pronto.”

 

Liz scosse la testa. “Io non ci credo che la donna irraggiungibile, quella a cui al sol sentire la parola matrimonio veniva una crisi isterica… Si sposa!”

 

“Ora sì che sono tranquillo.”

 

Le ragazze fecero tanto d’occhi quando si videro comparire davanti un uomo che, per eleganza ed imponenza, avrebbe potuto essere tranquillamente un divo del cinema: alto, elegante, di bell’aspetto, non aveva niente da invidiare rispetto ad un modello.

Fu uno choc quando lo videro andare verso Hilary e posizionarlesi accanto.

 

Liz, Sam…” Daphne trattenne a stento un sorriso alla vista delle loro facce. “Vi presento Kai Hiwatari: mio padre.”

 

La bionda e la rossa si scambiarono un’occhiata nel silenzio più assoluto, dopodiché Liz mise le mani sui fianchi, con espressione omicida.

“Okay, perché tu devi avere un padre così, e il mio deve essere pelato?”

 

 

 

 

 

Aggrottò le sopracciglia, fissando l’abito che stava provando: un semplice – elegante, ma semplice – abito avorio non firmato, abbinato a delle altrettanto semplici decolleté tacco sette.

In qualità di damigella assieme a Sam – Daphne e Nadja sarebbero state le damigelle d’onore – si aspettava da Hilary qualcosa di un po’ più sontuoso e non…

 

“Ti piace?” alla domanda della donna, la bionda arrossì: per carità, era bello, ma niente a che vedere con l’ultima creazione di Karl Lagerfeld che pensava la donna avrebbe scelto.

 

“E’… Molto minimalista.” ammise. “Capisco la filosofia del non strafare, ma...

 

Hilary sorrise: conosceva le migliori amiche di sua figlia da quando avevano quattro anni, sapeva cosa stava pensando la ragazza. “Sarà un matrimonio celebrato al comune, non in chiesa. Mi conosci, Liz: non amo le sontuosità pacchiane, ma le cose con gusto e stile. La sala, vedrai, non sarà mica spoglia e triste: è pur sempre il mio matrimonio!” aggiunse, vedendo la sua faccia scandalizzata.

 

A quel punto Sam uscì dal camerino, rivelando un abito identico all’amica. “Mi piace.” dichiarò, facendo una piccola piroetta. “Per una volta non sembro una meringa glassata.”

 

La donna ridacchiò brevemente. “Gli abiti di Daphne e Nadja sono così, ma color oro, e hanno un girocollo con un fiore sulla destra.”

 

Scusami, Hilary, ma… Avorio per le damigelle?” Liz aggrottò le sopracciglia. “Ciò che si avvicina anche solo lontanamente al bianco spetta alla sposa, non a-

 

Quella ridacchiò, bloccandola. “Io ho capovolto le cose: voi avorio; le gemelle oro. Io… In viola.”

 

Gli occhi della bionda raggiunsero le dimensioni di due palline da tennis, e Sam prese a ridacchiare. “Viola!”

 

“Oh, non guardarmi così: non è mica un viola purpureo tipo rockettaro. E’ un viola molto bello… Più sul lilla.” annuì, compiaciuta. “Sono sempre stata contro la stronzata dell’abito bianco.”

 

“E hai deciso di far vestire le damigelle in questo modo per sconvolgere gli schemi, geniale.” osservò Sam, rimirandosi allo specchio, compiaciuta. “Mh, mi sa che l’abito ha bisogno di essere accorciato di due centimetri.”

 

Quella aguzzò la vista. “Hai ragione…”

 

La sarta sopraggiunse due minuti dopo, prendendo le misure e dicendo alla presto-sposa, in un russo fluente, che una delle gemelle avrebbe voluto farsi aggiungere una decorazione sul vestito.

 

Daphne, che c’è?” la donna si costrinse a mantenere la calma: girava come una trottola da diciotto ore, e la stanchezza cominciava a farsi sentire, per non parlare dello stress che aveva cominciato a far capolino in lei da giorni.

 

“Niente, ho solo pensato che magari con un fiocco o un fiore in più avrei potuto distinguermi da lei.” rispose, con aria innocente.

 

Sua madre sospirò stancamente. “No; ci penseranno i tuoi capelli a farti distinguere da Nadja. Le damigelle d’onore hanno sempre abiti uguali, e questo è quanto.

 

Liz inarcò un sopracciglio. “Per niente stanca, eh?”

 

 

 

 

 

 “Vuoi che ci pensi io?”

 

Maryam fissò l’amica, scettica: capelli scompigliati, occhiaie, sguardo stanco… No, Hilary Tachibana – tra nove giorni in Hiwatari – non era esattamente in uno stato che si poteva definire rilassato.

“Faccio da sola.” rispose quindi, continuando a cullare il piccolo Jason, il nuovo arrivato di casa Mizuhara.

 

“Sicura? Sei lì da un’ora e mezza, e-”

 

“Hilary.” il suo tono era irremovibile. “Vai a farti una bella dormita.”

 

Dapprima la fissò sconvolta, poi sospirò. “Oh, Mary, ma tu come diamine hai fatto ad organizzare tutto questo, allora?”

 

Lei scrollò le spalle, non smettendo di cullare il figlio, un frugoletto di undici mesi. “Non l’ho fatto.” rispose, tranquilla. “Ci hai pensato tu per me; ricordi?”

 

Si perse nel ricordo di sei anni prima, quando Max e Maryam avevano deciso di sposarsi a Londra e, in effetti, era stata proprio lei ad organizzare tutto: banchetto, fiori, invitati – non che ne avessero molti, allora: con il gruppo diviso si erano ridotti a poco meno di cento persone – e tutto quello che seguiva. Ma perché questo le sembrava molto più difficile e complicato?

 

“Le cose sono sempre molto più semplici quando non sono le nostre.” fece Maryam, quasi leggendole nel pensiero e ponendo Jason nella culla. “Se no perché esisterebbero quelli che, per professione, organizzano queste cose?”

 

Hilary ridacchiò. “Oh, Mary, sei un guru!” sorrise, abbracciandola.

 

“Lo so: altrimenti perché mi avresti scelta come testimone?”

 

La bruna sorrise, continuando a stringerla forte: scegliere lei e Max come testimoni era stato qualcosa di istintivo e assolutamente doveroso: erano stati la sua famiglia, il suo rifugio, la sua ancora di salvezza per anni e anni. Quello era il minimo.

 

Un rumore di passi le fece voltare entrambe: Karen entrò in cucina, con tanto di pancione all’ottavo mese e sorriso stanco.

Entrambe le donne stettero bene attente a non trattarla come un vaso di porcellana: stava affrontando una gravidanza difficile, non avrebbe nemmeno dovuto presenziare al matrimonio del fratello in Russia, se lo aveva fatto era perché ci teneva troppo, e perché aveva sentito di potercela fare.

Guardandola, Hilary non poté fare a meno di ricordarsi quante lacrime, quanta sofferenza, quante parole non dette c’erano state tra lei e Takao circa un anno prima, quando avevano perso il loro primo bambino… Era stato anche per questo motivo che lei e Kai avevano deciso di rimandare il loro matrimonio ad un periodo più consono e tranquillo per tutti…

 

Entrare in una stanza e trovare Karen per terra, in lacrime, che stringeva un orsacchiotto di peluche e singhiozzava… Lo ricordava ancora: non aveva potuto far altro che sdraiarsi con lei e prendere le mani tra le sue, fino a quando non era stata lei stessa, ore dopo, a decidere di rialzarsi, tremante.

E con Takao… Lo aveva trovato vestito in tuta da kendo, nel garage di casa sua… E lì si era sentita catapultare a venticinque anni prima, quando nonno Jay svegliava lui con le bastonate e si complimentava con lei per l’agilità.

Lo aveva visto fendere l’aria a colpi di spada e, poco dopo, lo aveva sfidato, con patetiche reminescenze che aveva da ragazza; quando gli aveva fatto volare via la spada di legno, era stato allora che aveva visto delle lacrime ai lati degli occhi; lo aveva abbracciato, abbracciato forte, ed erano crollati entrambi, in ginocchio, così, come dei ragazzi, come fratelli.

Quella era stata la prima crisi dei coniugi Kinomiya, che si erano visti allontanarsi sempre di più, per poi ritrovarsi per un banale litigio, come al loro solito.

 

“Ciao, avevo voglia di una tazza di camomilla, vi disturbo?” con un sorriso spontaneo, la bionda prese a sedersi su una sedia, aiutata da Hilary.

 

Maryam si mosse subito. “Te la preparo.

 

La bruna accarezzò molto delicatamente il pancione della quasi cognate, sorridendole. “Stai bene, Kary? Oggi hai dormito tutto il giorno…”

 

Lei sbadigliò. “Mi sa che deve aver confuso il giorno con la notte, perché è da un paio di minuti che si è svegliato, tirando calci a più non posso…Mi fa dormire solo di giorno; è inutile che Takao si preoccupi, va tutto bene.”

Il marito della francese era molto, troppo apprensivo con lei, e veniva puntualmente mandato a quel paese, ma di certo la brutta esperienza che avevano passato non aveva contribuito ad essere d’aiuto.

 

“Ah, non star lì a crucciarti, sai che è uno zuccone, ancora una manciata di settimane e basta.” fece, schiacciandole l’occhiolino.

 

Karen roteò gli occhi. “Se non uccido il tuo amico prima.” puntualizzò.

 

Hilary le rivolse uno sguardo divertito. “Perché quando combina qualcosa è sempre amico mio?”

 

Maryam pose una tazza fumante davanti la futura mamma, poi si sedette. “Per la stessa ragione secondo la quale i figli quando combinano qualcosa di buono sono miei, e quando mi fanno dannare sono figli di Max.” le donne sghignazzarono.

 

Hilary si perse in un sorriso, soffocando, però, uno sbadiglio. “Interessante teoria.”

 

Karen sorseggiò la camomilla, lanciandole uno sguardo. “Sei stanca morta… Come procedono i preparativi?”

 

Mh, ormai mancano le ultime cose… E non so perché, ma aspetto solo che un fulmine si abbatta sulla mia testa.” rise con fare nervoso. “Mi sembra tutto troppo perfetto… Certo, tranne Kai che ancora non ha scelto i testimoni, ma va bene così.” fece, sarcasticamente.

 

Le donne si fissarono. “E’ arrivato fino a questo punto e ancora niente?” la sorella del russo era incredula. “Io pensavo che, ora come ora, avesse scelto Rei visto che Takao non ne sapeva nulla.”

 

“No, lo conosci; è molto preciso e non è mai indeciso, il che mi sconvolge…” ammise. “Però non sa chi scegliere tra Takao e Rei: entrambi gli sono stati molto vicini in questi anni, e un po’ lo capisco… Teme che uno dei due ci possa rimanere male… Vuol ponderare bene la scelta.” proferì. “Invece per me, non c’è stata storia: quando si è parlato di testimoni la mia mente è volata subito a Max e Maryam.” la mora annuì, scrollando le spalle e facendo ridere le due donne.

“Cambiando discorso, è normale non riuscire a dormire, o fare incubi, oppure arrabbiarsi per niente? Non ho nemmeno il ciclo…”

 

Le due si fissarono. “Ansia da matrimonio.”

 

Lei sbuffò, grave. “Mi aspetto che lui scappi con la testimone, o con la mia migliore amica, o-” la interruppe la risata squillante di Karen – che scoppiò letteralmente a ridere rovesciando indietro la testa – e le sopracciglia inarcate di Maryam, che si sopraelevarono talmente da finirle tra i capelli, facendole assumere un’aria talmente minacciosa da farla zittire all’istante.

 

“La tua testimone sarei io.” chiarì. “E la tua migliore amica è Mao. Sai bene di chi stai parlando? Altro? Tipo le tue damigelle d’onore, che sono le tue figlie?” Karen rise nuovamente.

 

“Ragazze, so di essere ridicola, ma non mi era mai capitato di farmi così tante paranoie…

 

“Tipico.” la bionda finì di sorseggiare la camomilla e sorrise. “Tranquilla, mia quasi cognatina: è normalissimo. Poi, prendi esempio da mio fratello: è uno tutto d’un pezzo, non si scompone… Sono sicura che sta puntando dritto al gran giorno senza farsi inutile flash.”

 

 

 

 

 

“Sto sudando.”

 

Rei era il migliore amico di Kai Hiwatari da oltre vent’anni, e lo conosceva come le sue tasche.

Già il solo aver ammesso una parziale difficoltà costituiva un passo avanti, per quel testone orgoglioso.

Gli voleva bene, e sapeva quanto fosse felice da un anno a quella parte quando, per quella che doveva essere una normale vacanza a Parigi da Takao e Karen, era partita sua figlia Nadja, ed era tornata la sua gemella.

Da allora il suo mondo si era sconvolto, rimescolato, ed erano rientrate a far parte della sua vita persone che aveva pensato di non vedere mai più.

Sapeva quanto fosse felice da quando stava nuovamente con Hilary, e questa volta era un rapporto costruito su basi solide, resistenti; il fatto poi, di vederlo nervoso per il matrimonio imminente, beh, era un qualcosa di assurdo e assolutamente divertente insieme.

 

Ma dov’è la telecamera, quando serve?

 

“Per qualche ragione in particolare?” chiese, facendo lo gnorri, e beccando un’occhiataccia a cui rispose con un sorrisetto.

 

Si trovavano dalla sarta per l’ennesima prova smoking, e Kai si fissava allo specchio sbuffando ogni due per tre come fosse sulle spine: non era difficile capire cosa lo stesse tormentando.

“Non va.” sbottò, mandando al diavolo, con un ringhio, il tutto.

 

Rei era quasi divertito: non avrebbe mai pensato di vederlo in quello stato. “Cosa, esattamente?”

 

Kai fece una smorfia, allentandosi la cravatta, e guardandosi allo specchio, storse il naso. “Tutto.” sbuffò. “Questa roba da pinguino, tutta questa cosa che stiamo organizzando… Ogni cosa.”

 

Il cinese annuì. “Fosse per te manderesti tutto affanculo, andresti a prendere Hilary, e la sposeresti in questo momento senza inutili fronzoli.”

 

Il moscovita lo fissò, poi annuì. “Sì, esatto.”

 

Rei alzò gli occhi al cielo, sorridendo. “Eh, sono un mago, io.” sorrise.

“Il matrimonio è un passo importante, e ho sempre creduto vada fatto con la persona con cui ti senti di condividere le gioie e le difficoltà della vita, proprio perché è quella che meglio ti capisce, ti supporta e, talvolta, sopporta.”

 

Lui annuì. “Sì, anch’io la penso così.”

 

“Non credere che quando mi sono sposato io non abbia avuto paura. Certo, conoscevo Mao da una vita, ma ero terrorizzato: mi chiedevo se il nostro rapporto sarebbe cambiato, se lei avesse smesso i panni della ragazza che conoscevo per indossare quelli di casalinga disperata…” ridacchiò. “La routine fa paura; tranquillizza, talvolta, ma la si teme.”

 

“Se Hilary scappasse un’altra volta non ce la farei.” confessò Kai. “Se mi abbandonasse sull’altare. Lei fin da ragazzina è stata sempre contraria al matrimonio, cosa-

 

“Il voler dare maggiore stabilità a voi, al vostro rapporto.” lo interruppe Rei. “Il fatto che ti ama. Sono motivi sufficienti a farle cambiare idea: non scapperà. Il moscovita abbozzò un sorriso.

 

“E’ lo stesso motivo per cui, anni fa, hai seguito qui Mao?” chiese, tornando serio: era una domanda che, in tanti anni, non gli aveva mai posto, e che lasciò Rei sorpreso.

 

“Sì.” rispose l’altro, dopo alcuni secondi di riflessione.

“Adoro la mia patria, ma mi è presto piaciuta Mosca; e poi, subito dopo che Hilary se ne andò, Mao si catapultò qui, e si innamorò letteralmente di Nadja, te lo ricordi: sai com’è fatta, quando si mette in testa una cosa non si ferma neanche se la preghi in ginocchio, e poi secondo le regole della tribù aveva bisogno di qualcuno che le stesse accanto. A me piaceva qui, quindi cedetti il posto di capo villaggio a Lai – tanto mi era sempre stato stretto come ruolo – e le proposi di sposarmi.

 

Kai si sentì colpito da quel racconto: fino ad allora Hilary l’aveva implicitamente preso in giro per il fatto di essere così confuso per non saper chi scegliere tra Takao e Rei come testimone, ma con il racconto di quel momento non aveva più dubbi.

Entrambi erano stati fondamentali negli ultimi anni, i migliori amici che avesse mai potuto desiderare, ma non aveva mai considerato il trasferimento di Rei e Mao dalla loro ottica.

 

“Mi faresti da testimone?”

 

Ecco: lo conosceva come le sue tasche, e poi faceva o diceva qualcosa che lo spiazzava completamente: Rei inarcò le sopracciglia per poi ridere, piano; sapeva che era la sua maniera di ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per lui in quegli anni, quindi non gli restava che sorridere e annuire.  

“Certo, amico.”

 

 

 

 

 

Sbuffando, indossò la vestaglia sopra il pigiama, mettendosi a leggere qualcosa dei classici che aveva amato sempre fin da ragazza: quella sera ci voleva qualcosa di leggero, nulla di troppo impegnativo tipo Dostoevsky; la Austen sarebbe andata benissimo con il mal di testa che aveva.

 

Arrivò a stento alla trentesima pagina, quando la porta si spalancò, facendole alzare lo sguardo. “Ehi.” Incredibile come si trovasse a Mosca da un anno e soffrisse ancora maledettamente il suo clima freddo, secco e gelido, mentre Kai in quella stagione – estate – girasse per casa in maniche corte.

 

“Ciao, uomo caliente.” fece, modulando la voce, rendendola bassa e sensuale.

 

“Amo queste prese in giro.” ribatté lui, inarcando un sopracciglio e prendendo a cambiarsi per mettersi a dormire.

 

Hilary gettò via il libro con un gesto deciso, e uno sguardo malizioso si fece largo sul suo viso. “Sai cosa dice Mao?”

 

“Sentiamo.”

 

“Che tecnicamente questa sarebbe l’ultima sera a nostra disposizione, dopodiché da domani scatta il meno sette.” fece, seria.

 

Kai inarcò le sopracciglia. “Cioè?”

 

“I quasi sposi non devono vedersi sette giorni prima del matrimonio: porta sfortuna.”

 

Lui sbuffò pesantemente. “Già non ci vediamo mai.” la fissò con le sopracciglia aggrottate. “Da quando sei superstiziosa?”

 

Hilary sorrise in maniera birichina, dopodiché accavallò le gambe in maniera teatralmente sensuale. “Non lo sono: teoricamente ho capito che è una cosa per portar bene; praticamente è per fare astinenza una settimana e saltarsi addosso per benino la prima notte della luna di miele.”

 

Lui la fissò scettico. “Non occorre: ti salto benissimo addosso in qualsiasi circostanza.”

 

Lei inclinò il viso. “Amore, come sei tenero… Ma da domani dormirò nell’altra stanza.” Kai imprecò tra sé e sé contro le stupide credenze femminili, facendola ridacchiare. “Beh, se vuoi puoi sempre saltarmi addosso ora.” lui le lanciò un’occhiataccia, e Hilary scrollò le spalle, ostentando un’espressione contrita e dispiaciuta. “Beh, peccato, davvero, perché-

 

Un bacio famelico la fece smettere di parlare: le aveva artigliato i polsi e l’aveva stretta a sé, facendole provare un brivido, una scarica di desiderio irrefrenabile.

Ricambiò il bacio con entusiasmo, prendendo a tuffare la mano nei suoi capelli, e fu naturale rovesciare indietro la testa e lasciarsi sfuggire un gemito quando prese a baciarle il collo come solo lui sapeva fare-

 

“Mamma, dove- ODDIO!!

 

Si staccarono l’uno dall’altra come se avessero preso una scarica elettrica ad altissimo voltaggio e, con tanto d’occhi, fissarono la porta dove una Daphne palesemente sconvolta li stava guardando come se avesse visto svolgersi l’apocalisse sotto i suoi occhi.

 

“Stavamo…” Hilary iniziò gracchiando, cercando lo sguardo di Kai. “Pulendo.”

“Parlando.”

Si fissarono basiti, come a chiedere l’uno implicitamente all’altra che razza di cazzata avesse appena sparato.

 

“Oh, andiamo: parlando?” la voce della donna era talmente isterica da risultare stridula. “Ti sembra possa sembrare plausibile dire che stavamo parlando? Che mi stavi facendo, una gastroscopia?!”

 

“Pulendo è meglio, eh? Certo, c’è il sinonimo, ma è meglio che non lo dica ad alta voce.” ribatté lui, piccato.

 

Fu a quel punto che Daphne esplose: “VI STAVATE ACCOPPIANDO! VI STAVATE ACCOPPIANDO E… E A ME SI E’ BLOCCATA LA CRESCITA!”

 

“Che diamine sta succedendo qui?” Nadja arrivò due secondi dopo, e la scena che le si presentò davanti le fece incrociare le braccia al petto e scuotere la testa, nonché desiderare di non essersi mai intromessa: c’era sua madre con i capelli scompigliati e le labbra gonfie (e una parvenza di succhiotto sul lato destro del collo), suo padre con i capelli altrettanto scompigliati e l’aria di una persona scocciata, e per finire, sua sorella che pareva avesse appena visto babbo natale in perizoma.

“Okay, non voglio saperlo.” fece poi, alzando le mani in segno di resa.

 

Daphne si voltò a fissarla con tanto d’occhi. “M-Ma tu… Ma loro…”

 

Lei sbuffò. “Oh, andiamo: cosa credevi facessero qui, insieme?”

 

“Che diamine ne so!” esplose l’altra. “Ogni figlio vorrebbe credere alla storia della cicogna o del cavolo!”

 

La moscovita roteò gli occhi. “Certo.” disse, spingendola via. “L’analista per i prossimi vent’anni è a carico vostro.” fece, rivolgendosi ai genitori, dopodiché si chiuse la porta alle spalle.

 

Kai e Hilary dapprima si fissarono, poi la donna scoppiò a ridere, sollevata e divertita allo stesso tempo, e lui la fissò, scuotendo la testa e concedendosi un sorriso.

“Che famiglia di pazzi.”

 

 

 

 

 

Daisy fece una piroetta molto elegante atterrando, con un saltello, sul gradino inferiore della scala e finendo direttamente tra le braccia del suo papà, che se la coccolò tutta, abbracciandola e sbaciucchiandola.

Maryam scosse lievemente la testa nell’osservare la scena, sempre reggendo ago e filo: quando, in famiglia c’erano momenti come quelli, non restava altro che goderseli tutti.

“Daisy, vieni qui, devo sistemarti il vestito.” Sorrise, richiamandola all’ordine; la bambina non smise di reggersi al collo del papà, affondando il visetto nell’incavo della sua spalla.

 

“Dai, mammina, basta provare vestitini…” piagnucolò, strizzando gli occhioni.

 

Maryam sospirò: in quei giorni, tra andare da parrucchieri, sarte e compagnia bella, era più esaurita che mai, e sua figlia non aveva torto, ma… Era per una buona causa. “D’accordo, ma almeno vieni qui, e poi ti vai a cambiare, okay?”

 

Max baciò la fronte a sua figlia, che gli rivolse un sorrisone. “Dai, principessa: fai come dice la mamma e poi papà ti porta a nanna e ti racconta la favoletta, va bene?” lei annuì freneticamente, andando di buona lena verso Maryam e lasciando che la donna prendesse le misure per gli ultimi punti e modifiche.

 

“Andiamo?” quando la sua bambina lo guardò con degli occhi verdi tanto simili a quelli che, da anni, lo stregavano, non seppe far altro che annuire.

 

Donne… Croce e delizia…

 

Maryam li osservò andar via con un mezzo sorriso stampato in faccia, pensando a quanto fosse fortunata, dopodiché prese il vestitino di sua figlia e cominciò a lavorarci su, in modo da finirlo entro quella sera e togliersi definitivamente il pensiero.

Qualche secondo dopo venne interrotta da Daphne che entrò nella stanza con il piccolo Jason in braccio che pareva lamentarsi a gran voce. “Ehi, qui credo ci voglia la pappa.”

 

La donna controllò l’ora, dopodiché annuì, iniziando a preparare i vasetti di omogeneizzato. “Sì, hai proprio ragione.”

 

Daphne non smise di cullare il piccolino, ma si guardò intorno. “Stai preparando il vestito per Daisy?”

 

“Sì, e sono a buon punto, devo solo finire le ultime cose.” Maryam si fece passare suo figlio, e iniziò a dargli la pappetta. “Grazie per avermi aiutato con lui, oggi.”

 

Lei scrollò le spalle. “Quando vuoi.”

 

“Ah, ma… In questi giorni ho visto un sacco di mazzi di fiori finiti nella spazzatura.” Fece, aggrottando le sopracciglia. “Anche Hilary non ne sapeva niente, ed è strano…

 

Daphne impallidì vistosamente, serrando le labbra. “Non ne so nulla.” Biascicò. Dopodiché, uscì.

 

 

 

 

 

Mao sfogliò molto attentamente i grossi cataloghi – così voluminosi che avrebbero potuto essere scambiati tranquillamente per enciclopedie o dizionari –  assieme alle gemelle: per il gran giorno era tutto pronto, solo una cosa mancava; qualcosa di molto, molto importante… L’addio al nubilato.

 

“Lui.” Daphne sorrise, indicando un giovanotto biondo, palestrato e con la mascella squadrata.

 

La cinese annuì. “Devono essere due; questo lo teniamo in considerazione. Altre proposte?”

 

Nadja sbuffò per la centesima volta. “E’ necessaria questa cavolata dello spogliarellista?”

 

“Stai scherzando, vero? Gli ultimi giorni da nubile di mamma… Certo che è necessario!” replicò la gemella, continuando a cercare, interessata.

 

Ma è una cosa fittizia, assolutamente inutile, una pagliacciata! Praticamente è come se fosse già sposata! Ha papà, ha noi… E’ una grande-”

 

Che palle!” Daphne la guardò male, chiudendo il volume di scatto. “E’ una cosa per stare insieme, per divertirsi tra donne, e bere qualche cocktail.”

 

Nadja arricciò il naso, incrociando le braccia. “A me sembra infantile e assolutamente deleterio.”

 

L’altra perse le staffe. “Solo perché tu non ti sai divertire non significa che debbano essere tutti come te.” replicò, con tono tagliente.

 

Mao fece per intervenire, ma era ormai troppo tardi: Nadja aveva gli occhi fiammeggianti. “Ah, dimenticavo che sto parlando con la signorina li-bacio-e-poi-li-butto, non importa se sono membri della squadra di beyblade della sorella e ne usciranno a pezzi.”

 

Daphne incassò il colpo serrando la mascella. “Per favore, Dimitrij Ivanov se ne fa una al giorno, io gli ho solo dato una piccola lezione.” fece, cercando di minimizzare.

 

Ma la sorella spalancò occhi e bocca con aria indignata. “Avevamo la finale contro la Spagna! Per colpa tua abbiamo perso il primo round!

 

Colpa mia?! Non è colpa mia se Ivanov è uno smidollato che non sa dividere sentimenti e sport: lo sanno tutti che gli emotivi non possono essere anche sportivi!

 

Lo sguardo di Nadja era quasi disgustato. “Sei qualcosa di allucinante.”

 

“Perché? Perché ti ho permesso di vincere e di portare la Russia ad essere la numero uno al mondo? Non sei contenta?” ringhiò, la voce impastata dalle lacrime. “Ora sei tu l’eroina, la più acclamata.” fece, andandosene e sbattendo la porta.

 

 

 

 

 

“M-Mi dispiace, io…” Mao si portò le mani alla tempia, scuotendo la testa. “Stavamo parlando e all’improvviso eccole che se ne dicevano di tutti i colori. Ero lì che le guardavo sconvolta… E non sapevo cosa dire loro…

 

Hilary fissò la sua migliore amica e si prese la testa tra le mani: i preparativi di un matrimonio erano allucinanti e qualsiasi coppia che gli sopravvivesse meritava davvero di stare insieme per la vita.

“Bene: ci mancavano solo loro.” sbottò, gelida. “Non ce l’ho con te, è solo che…Ho bisogno di sostegno, non di altri pensieri in testa…” fece, sbuffando.

 

“Me ne rendo conto.” Mao sospirò. “Io non sapevo nemmeno per che diamine litigassero. Sono passate dal divertimento, agli ultimi mondiali, a Daphne che se ne è andata sbattendo la porta dichiarando che era Nadja la più acclamata.”

 

“Ecco.” Hilary si passò stancamente una mano tra i capelli, poi sbuffò. “So quello che è accaduto tra loro mesi fa ai mondiali, ma non pensavo…” si morse le labbra. “Ne parlerò con Liz e Sam, vediamo cosa ne pensano loro.”

 

“Per caso ad entrambe piaceva il figlio di Yuri?” provò Mao, aggrottando la fronte.

 

Hilary scosse la testa. “No, è che Daphne ha preso da me riguardo la mia ottica di vedere gli uomini. Ricordi com’ero io alla sua età, a sedici anni?

 

Lei inarcò le sopracciglia. “Se è per questo ricordo com’eri anche fino all’anno scorso.”

 

Ridacchiò. “Va beh.” ammise. “Comunque, ha totalmente preso da me, e dopo aver stregato mezza Londra, ci ha provato con il figlio di Yuri. Durante il campionato.”

 

Mao ridacchiò. “Povero Dimitrij.” storse la bocca, pensierosa, poi annuì. “Ma sai cosa? Non li vedo assolutamente male insieme.”

 

“Che rimanga tra noi, anch’io la penso come te; Dimitrij, sotto quell’aria da duro, mi sembra un tenerone, meno spigoloso rispetto al padre. Daphne potrebbe rivitalizzarlo.”

 

“Però non ne vuole sapere, eh?” Mao si ricordava com’era stata Hilary a sedici anni, e se la figlia aveva preso da lei, allora stavano a posto.

 

“No, c’è stato un flirt, qualche bacio e l’ha scaricato; esattamente come facevo io alla sua età. Il punto è che, in base alle cose che mi hai raccontato tu, e a quello che so io, Nadja dev’essere furiosa perché ai tempi, fu proprio a causa di questo giochetto che lui perse il primo round della finale.

 

La cinese scrollò le spalle. “Non è mica colpa di Daphne: sarà lui un po’ più… Sensibile e-

 

“Lei lo scaricò dieci minuti prima che giocasse.”

 

“Ti offendi se ti dico che tua figlia è proprio un po’ stronzetta?”

 

Hilary prese a ridere. “Nah, con tanti lo sono stata anche io; bisogna perfezionare la tecnica e capire chi merita e chi no.” fece, sospirando.

“Da una parte è comprensibile che Nadja se la sia presa quando Daphne le ha rimbrottato contro il fatto di non sapersi divertire, e che sia esplosa per il fattore della finale, troppo a lungo taciuto; dall’altra…  Non so, una parte di me si aspettava che Daphne si sentisse trascurata: abbiamo sempre festeggiato Nadja – lei è la campionessa, la studentessa modello – mentre Daph… Ha un grande senso dell’umorismo, scherza su se stessa, sui suoi brutti voti, ad esempio, ma spesso ci si dimentica che anche lei avrebbe bisogno di un complimento, ogni tanto.” sospirò profondamente, prendendosi la testa tra le mani.

“Merda, che madre sono? Io adoro la mia Daphne, è stata la mia sola ragione di vita per quattordici anni, e… Il fatto di aver ritrovato io Nadja e Kai lei, ha fatto decidere a me e a lui di non avere altri figli. Abbiamo fin troppo tempo da recuperare con le gemelle, troppe lacune da colmare… Un altro figlio sarebbe un torto – l’ennesimo – che faremmo loro.

 

Mao si morse le labbra, non sapendo esattamente cosa dirle. “Effettivamente credo tu abbia ragione sul fatto del terzo bambino.” cominciò, qualche secondo dopo. “Ma… Pensaci: sei ancora giovane, hai trentasette anni, e le gemelle ne hanno sedici, tra un po’ andranno al college, costruiranno una vita tutta loro… Io non penso che tra due o tre anni la prenderebbero male, un’eventuale nascita di un fratellino o di una sorellina.”

 

Hilary ammutolì: non ci aveva pensato. Quando lei e Kai ne avevano parlato, si erano limitati a pensare agli anni a loro vicini, non pensando minimamente a quando Nadja e Daphne li avrebbero lasciati per andare all’università.

“Oddio, non lo so, mi metti in difficoltà.” ridacchiò, storcendo il naso. “Sai che da un lato mi piacerebbe e dall’altro, al sol pensare a ricominciare da capo con pannolini, pappette e levatacce alle due di notte, mi viene da urlare?” non appena lo disse scoppiò a ridere, seguita dall’amica.

 

“Ci credo: i bambini sono bellissimi, ma fanno impazzire.” proferì, pensando ai suoi e alla fatica che aveva fatto. “Però dai: perché non lo fai? Dai, dai! Lo voglio proprio vedere una piccola versione tua e di Kai!” e rise, prendendola in giro. “Un maschietto, stavolta!”

 

Hilary la fissò male, poi le rivolse un sorriso vendicativo. “Lo faccio solo se lo fai anche tu con me! Come due ottime migliori amiche.”

 

Mao le dedicò un gestaccio che la fece scoppiare a ridere, poi si riprese. “Anzi no, sai cosa? Li facciamo, e facciamo partorire i nostri carissimi mariti!

 

Hilary si illuminò. “Ci sto!” e si schiacciarono il cinque come avevano sempre fatto sin da quando, all’età di quattordici anni, si erano conosciute.

 

 

 

 

 

Stesa sul divano a sgranocchiare degli ottimi biscotti al cioccolato, Karen aspettava che qualcuno le venisse a fare un po’ di compagnia: erano tutti al lavoro, usciti per impegni vari – prova abito, ultimi compromessi con il pasticciere, chi con le amiche – e lei era lì, come al soliti stesa su un qualcosa di morbido a mangiare.

Per qual bambino era ingrassata dodici chili, ma non li rimpiangeva affatto. Ne sarebbe ingrassata altri venti, se fosse stato necessario.

 

Un calcio la fece sobbalzare, e sbuffò. “Ehi, tu: so che sei lì, quindi ciao, io sono mamma, ma non farmi male.” per tutta risposta, ci fu un altro calcio. “Ma sei monello!” facendo leva sui gomiti, la francese osservò la sua pancia, perfettamente rotonda. “Certo che lo sei, sei figlio di tuo padre! Spero solo tu non mi faccia impazzire come lui o, davvero, sarò nei guai!” abbassò la voce, per poi prendere a sussurrare. “Ma come dobbiamo chiamarti, mh? Sei un maschietto, sei sano come un pesciolino… E non abbiamo un nome da darti. Io un’idea ce l’avrei, ma non la dico, no, no…” si accarezzò il pancione con la mano, disegnando forme a caso con le dita, fino a quando non ricevette un altro calcio in risposta. “Ah, lo sapevo che sei monello!”

 

“Sì, ma dare la colpa a me non è ingiusto?”

 

Karen si volse verso l’ingresso, e sorrise vedendo il marito: era stato tutto il giorno fuori, trascinato da suo fratello per gli impegni del matrimonio – ora erano a meno sei giorni e l’intera villa Hiwatari circolava nell’agitazione più completa! – e vederlo a quell’ora le faceva uno strano effetto.

 

“Mah, non saprei, visto che il signorino, qui, è tutto il suo papà.” rispose, facendogli la linguaccia.

 

Takao la raggiunse in pochi passi, sedendosi di fianco a lei, e inarcando le sopracciglia alla vista dei biscotti. Ci trattiamo bene…”

 

“Ovvio.” concordò, prendendone uno e smezzandolo, per offrigliene una parte. “A lui piacciono.”

 

L’uomo mangiò la sua parte con gusto, poi annuì quasi compiaciuto. “Anche a me.”

 

“E’ assodato: ti assomiglia, e io sono fregata.”

 

Prese a ridere. “Cosa ti fa pensare che assomigli a me?” chiese, con un sorrisetto stampato sul volto.

 

Karen roteò gli occhi. “Praticamente è uguale a te: impossibile, irritante, ama farmi arrabbiare, adora mangiare e dormire-” delle labbra sfiorarono delicatamente le sue in un bacio casto e dolcissimo, come avessero paura di farle male ma, allo stesso tempo, avessero disperatamente voglia di stabilire un contatto con lei.

 

Il bacio finì pochi secondi dopo, e fu lui stesso a staccarsi. “Ti ho fatto male?” le chiese, apprensivo.

 

Karen roteò gli occhi, sbuffando. “Oh, sta’ zitto! Se lui fosse già sgusciato fuori, ti avrei fatto vedere cosa avrei voglia di farti in questo momento, signor Kinomiya… Sai che gli ormoni di una donna incinta sono il doppio di quelli di una donna normale?

 

Lui le diede un altro breve bacio. “Interessante… Ma se ne parla tra uno o due mesi. Mi farebbe un po’ senso con il terzo incomodo. Non è esattamente il ménage a trois che ogni uomo sogna.

 

Karen scoppiò a ridere. “Immagino di no.” arricciando il naso e sporgendosi lievemente, gli fece capire di aver voglia di un altro bacio, e fu subito accontentata.

“Ma tra un paio di settimane non mi scappi, bello mio. Passino i primi giorni, mi rimetterò in forma non appena potrò e… Voglio una tata e una baby-sitter: subito dopo il primo o il secondo mese ce ne andiamo in vacanza anche per un solo weekend!”

 

Takao sghignazzò: ecco uno dei motivi per cui amava Karen; il suo essere libera, imprevedibile, così fuori dagli schemi, erano cose che insieme costituivano un mix unico e letale per lui.

Nessuna neo mamma avrebbe proposto al marito di assumere degli aiuti per non perdere la loro complicità, per tener viva la passione, che aveva da sempre caratterizzato il loro rapporto.

Stavano per diventare genitori, ma questo non significava che avrebbero dovuto smettere di essere amici, amanti, sposi, marito e moglie.

 

“Va benissimo, amore.” rispose, baciandola ancora, e sorridendo contro le sue labbra.

 

 

 

 

 

Liz fece tanto d’occhi quando guardò Sam in segno di richiesta d’aiuto ma, per tutta risposta, la rossa scrollò le spalle. Erano due giorni che Daphne e Nadja si ignoravano, fingendo l’una che l’altra non ci fosse.

Avevano sperato che si chiarissero da sole, e non era accaduto. Avevano sperato facessero finta di nulla, e avevano fatto finta di nulla nel modo sbagliato. Avevano provato a parlare loro per far smuovere la situazione, ed era stato peggio che andar di notte… E si erano ridotte a non sapere più dove sbattere la testa.

 

In quel momento Daphne si stava preparando per uscire con Alexander, un compagno di scuola due corsi più avanti, e stava decidendo cosa mettere, ma aveva un’espressione truce per il semplice fatto che Nadja, anche lei nella stessa stanza, con un libro in mano, la fissava di sottecchi con uno sguardo sarcastico e disgustato insieme.

 

“Tra due giorni c’è l’addio al nubilato: come ci dobbiamo vestire?” Sam provò con un argomento che considerò neutro, ed entrambe le gemelle si voltarono verso di lei.

 

“Non è una festa a tema, saremo in un ristorante prenotato da zia Mao, ma è abbastanza elegante.” le rispose Daphne. “Credo che indosserò il mio vestito viola con il fiocco sul davanti, quello che ho messo a Londra per uscire con Jake Daniels.”

 

“Allora peccato sia una festa tra donne.” sibilò Nadja. “No, aspetta… Magari ai tavoli vicini qualcuno lo trovi.”

 

Liz e Sam fecero tanto d’occhi, mentre Daphne diveniva rossa per la troppa rabbia. “C’è chi può e chi non può… Si dice così, giusto?”

 

“Probabile.” ribatté lentamente la moscovita. “Dipende dal grado di morale insito in chi può.”

 

Lo sguardo di Daphne era gelido come mai lo era stato in tutta una vita. “Non preoccuparti per me: io vado oltre la morale, come Nietzsche. Sono un’oltredonna.”

Una volta udite queste parole, Nadja la fulminò con lo sguardo, chiuse il libro, e uscì dalla stanza.

 

 

 

 

 

Essere il dirigente della palestra più famosa di Mosca e dintorni – nonché, probabilmente, dell’intera Russia – era, talvolta, un vero stress; comportava avere a che fare con onori e oneri, rogne, noie, persone che volevano sapere che fare per qualsiasi cosa, e raramente si era lasciati in pace per più di una manciata di minuti.

Quel giorno, quando, dopo esser riuscito a rintracciare il tecnico per risolvere un problema di una sala d’allenamento, ricevette un sms da parte della sua fidanzata ufficiale che lo invitava – cioè gli ordinava – a connettersi via chat, aggrottò le sopracciglia.

 

Hilary sapeva quanto detestasse la tecnologia ed evitasse di usarla, - certo non era una schiappa proprio come lei, anzi, se la cavava, ma il rifiuto rimaneva comunque – quindi doveva esservi un’ottima ragione per un invito così perentorio.

Impiegò qualche secondo a connettersi, e quando Hilary lo contattò, andò subito al sodo. Fortunatamente.

 

Mi serve un’idea per far fare pace alle gemelle. è.é

 

Kai sospirò; sapeva che le sue figlie avevano litigato, ma la cosa non lo preoccupava più di tanto. Avevano sedici anni, si volevano palesemente bene, secondo lui sarebbe stato risolto tutto in qualche giorno.

Lasciale stare e non ti immischiare.

 

La risposta giunse poco dopo: Hiwatari, col cazzo che non mi preoccupo! Liz e Sam mi hanno riferito che la situazione è anche peggiorata! Manca poco che vengano alle mani!

 

Sospirò: eccola, la solita distruttiva. possibile che dovesse sempre ingigantire le cose?

Che vorresti fare? Sgridarle e metterle in punizione come avessero due anni?

 

Sei impossibile.

 

Sulle sue labbra apparve un sorrisetto trionfante.

No. Ho ragione, è diverso.

 

Ti ci ho mai mandato affanculo?! D=

 

Scosse la testa, sbuffando. Touché; ora posso andare? Ho una palestra da portare avanti.

 

Tutto qui? Non ci vediamo da giorni, dormo in un’altra stanza, siamo lontani… Potrei essere benissimo con il mio boytoy in questo istante...! è.e

 

Non sapeva se ridere o prendersi a testate: possibile che lei, sa sempre, gli facesse questo effetto? Era una persona che si trovava a proprio agio nella seriosità, nella freddezza… Il calore, la risata, gli abbracci e i loro derivati gli avevano sempre fatto storcere il naso.

Poi era arrivata lei e con tante risate, allegria e spontaneità era riuscita a buttare giù parte del muro che si era costruito, entrando nel suo mondo. Era riuscito a farlo ridere, e non solo una volta: innumerevoli. ma lei era così: lei era Hilary, lei era il suo miracolo.

 

…Certo.

 

Guarda che a momenti ho la stessa età di Demi Moore! Sai quanto mi ci vuole a trovarmi un Ashton?! U_U

 

Chi?

 

Va beh, parlare di cronaca rosa Hollywoodyana con te è come parlare di astrofisica con Takao. T___T

 

Temo di si.

 

Ne parlerò al mio boy toy. u.u

 

In quel momento bussarono alla porta e, una volta aver dato il permesso di entrare in russo, una segretaria annunciò l’arrivo di una coppia proveniente da una provincia piuttosto lontana intenzionata ad iscrivere i loro figli.

Ciao.

 

Ciao, antipatico. =P

Inarcando le sopracciglia e con un sorriso lievemente accennato sulle labbra, Kai si riscosse, prima di dedicarsi al suo lavoro, come sempre.

 

 

 



Con i capelli rossi come suo padre e gli occhi verdi come sua madre, Dimitrij Ivanov era ben diverso da Yuri: certo, come lui era freddo, duro, spigoloso, non dava facilmente confidenza… Ma sua madre gli aveva insegnato il valore dell’amicizia, della lealtà, delle emozioni.

 

Dai il tuo cuore solo a chi merita.

 

Come primogenito di Yuri e Tanya, aveva dovuto essere all’altezza delle aspettative di suo padre e non sempre era stata una cosa semplice. Fortunatamente, era riuscito a guadagnarsi il ruolo di capitano nella squadra che avrebbe rappresentato la Russia ai mondiali, e allora si era promesso che niente avrebbe interferito con i suoi propositi.

Peccato che quando si sentiva dire in giro la frase fatta mai dire mai, non fosse esattamente una cazzata; perché qualcosa aveva interferito con i suoi piani, qualcosa mandato direttamente dal demonio per farlo impazzire. Anzi no: qualcuno.

 

Aveva commesso l’errore di pensare che Daphne Hiwatari fosse uguale a tutte le ragazze che, fino ad allora, avesse incontrato: era bella, si interessava alla moda, e sbatteva le ciglia ripetutamente.

Ragazze così era semplice abbordarle, semplice sedurle, semplice farle cadere ai suoi piedi per poi sbarazzarsene quando aveva ottenuto quello che voleva.

 

Peccato che avesse scoperto che la gemella di Nadja fosse molto più di tutte le altre: erano usciti insieme per metà campionato e, più si succedevano le uscite, più restava colpito dal mix di quella ragazza: grintosa, spiritosa, energica, vitale, esuberante, gioiosa…Del tutto diversa da lui.

 

Ma, quando ad un certo punto stava iniziando a scoprire anche un altro lato –  quello nascosto, malinconico, profondo, triste – lei l’aveva scaricato di getto, come scottata, fulminata… Spaventata.

E la cosa ironica era che aveva utilizzato le stesse modalità che generalmente utilizzava lui per mollare le ragazzine: poche, gelide parole e via, via come l’aria.

 

Peccato fosse accaduto una manciata di minuti prima del round della finale, che aveva perso.

 

E ora si ritrovava, a tre mesi di distanza, a pensarla ancora, a fissare Nadja come fosse lei e a sospirare come una patetica femminuccia.

Tutto per un’inglesina che lo aveva giocato fregandolo al suo stesso gioco.

 

Dai il tuo cuore solo a chi merita.

 

“Potresti sempre fregartene e uscire con qualcun’altra.” A volte Andreij dava consigli scontati.

 

Dimitrij incrociò le braccia. “Risolverei il problema?”

 

“Si chiama Chiodo schiaccia chiodo, il successo è assicurato al sessanta per cento. Il rischio esiste.”

 

Il rosso fece una smorfia. “Sono già uscito con altre, e non ho visto alcun risultato.”

 

Andreij non smise di sorridere in maniera sarcastica. “Lei ti ha respinto, è per questo che adesso sei interessato: è una cosa carnale.”

 

Dimitrij aveva solo diciassette anni, ma non era del tutto immaturo; aveva capito che quando pensava a Daphne – oltre ai soliti pensieri – ci pensava in una maniera completamente diversa rispetto al solito, assolutamente differente e molto distante da quello che intendeva l’amico.

“Non so.” borbottò. “So solo che se lei pensa che non mi debba spiegazioni, si sbaglia di grosso.”

 

Dai il tuo cuore solo a chi merita… E se te lo rubano?

 

 

 

 

 

Daphne si incantò a guardare il vuoto, cosa che, in quei giorni, le accadeva piuttosto spesso. Avrebbe dovuto andare dal parrucchiere a scegliere un’acconciatura per il gran giorno, ma non le andava: si sentiva piuttosto apatica, e non era da lei.

Liz e Sam erano in camera a parlare con Nadja, e lei aveva preferito rifugiarsi in sala da pranzo, cosa che, lo sapeva, generalmente faceva la sua gemella.

Imbronciata, apatica e malinconica, stava tutto tranne che bene. Aveva solo voglia di una bella dose di shopping, o di una festa con musica sparata a palla, all’interno della quale avrebbe potuto confondersi e ballare, ballare fino a quando i piedi non avrebbero protestato, innalzati sui tacchi tredici che aveva intenzione di indossare.

 

Daphy!” Daisy entrò nella stanza sorridendo, e alla sedicenne venne subito da ridere vedendo quella bambina di cinque anni e mezzo, tutta allegra, trotterellare verso di lei con due codini biondi che facevano su e giù e il sorriso gioioso aperto e sincero.

 

“Ehi, Daisy.” sorridendole, cercò di mostrarsi allegra, abbracciandosela tutta.

 

“Oggi io e mammina andiamo a fare i capelli: io mi devo fare bella bella.” disse solennemente la bambina, sorridendole e mostrando i denti davanti mancanti.

 

“Brava!” Daphne sorrise, dandole un bacio sulla fronte. “Mi raccomando: bella bellissima, però!”

 

In quel momento nella stanza entrò Maryam, che lanciò un’occhiata severa alla figlia. “Ti ho detto di non correre qui: è grande, se poi non so dove sei, come si fa?”

 

Ma c’era Daphy…” protestò la bambina, aggrottando le sopracciglia bionde con aria contrita.

 

“Tutta suo padre.” la donna alzò gli occhi al cielo, per poi prendere dal pensile della cucina una merendina, che diede alla figlia. “Hilary sta praticamente esaurendo con questo matrimonio.” iniziò, sedendosi accanto alla nipote. “Sembra che l’universo giri attorno a questo evento.”

 

Daphne le sorrise. “E’ giusto così: ricordi quanto abbiamo faticato per far sì che accadesse? Ora che è successo sono contenta.”

 

La donna le lanciò un’occhiata ironica. “Sì, proprio contenta. Una pasqua.” fece, inarcando le sopracciglia. “Hai la stessa faccia di quando scopristi di dover fare gli esami di terza media.”

 

Daphne ridacchiò. “Io sono contenta per mamma e papà. E’ che ci sono altri… Fattori in mezzo.”

Maryam stette lì, immobile; da sempre era stata la confidente di sua nipote, la spalla su cui contare, la psicologa, il parere più maturo su cui fare affidamento, la perla di saggezza a cui attingere… Non poteva credere che ci fosse qualcosa che la ragazza non le potesse dire.

“Zia, io non ce la faccio più.” quando la ragazza alzò lo sguardo, fissandola con le lacrime agli occhi, Maryam capì che effettivamente, qualcosa non andava. “Non so che mi sta succedendo.”

 

“Ti ascolto.” le rispose semplicemente, avvicinandosi e guardandola dritta negli occhi.

 

 

 

 

 

Liz e Sam decisero di andare a fare una passeggiata nell’area circostante quando Hilary bussò alla porta della stanza di Nadja: era appena tornata da uno dei suoi immensi giri e, tempo un’ora, avrebbe dovuto riprendere, tanto per cambiare.

“Posso?”

 

Nadja aveva i-pod e cuffie ad altro volume, la musica rock la si percepiva distintamente anche da lì; Hilary conosceva il fastidio che si provava quando si era immersi nella musica e qualcuno veniva a rompere, ma aveva assolutamente bisogno di parlarle.

Nadja?” andandole vicino e facendole ombra, la ragazza si accorse di lei, e si tolse le cuffie, spegnendo l’i-pod. “Mi dispiace, ho bussato… Forse non mi hai sentita.” la vide scrollare le spalle, come a dire che non importava. “Posso sedermi?” chiese, indicando il letto, e la figlia le fece posto senza dire una parola.

Hilary dapprima stette in silenzio una manciata di secondi, dopodiché pensò divertita che buon sangue non mentiva: le sembrava di aver a che fare con Kai, in quel momento. “Da quando è iniziata questa storia del matrimonio, in questa casa si corre e basta.” iniziò. “Ho bisogno di riposarmi, respirare, di rilassarmi… Possibilmente assieme alle mie bambine.” si accoccolò con la testa sulla sua spalla, aspettando che lei dicesse qualcosa, ma nulla. “Nad, se qualcosa non ti va giù è okay.” puntualizzò. “Tirala fuori e ne discuteremo.”

 

La ragazza la fulminò con lo sguardo. “Sei venuta qui per girarci attorno e per costringermi a far pace con Daphne?”

 

Okay: territorio minato.

“Non è che se ciò accadesse mi impiccherei per il dispiacere, ma no.” rispose lentamente. “Una delle cose che tuo padre mi ha insegnato sin da quando ci siamo conosciuti, è ad andare dritto al sodo nei discorsi, quindi fidati.” fece, guardandola dritto negli occhi. “Sono qui perché, sapendo che sia tu che Daphne avete qualcosa di cui siete insoddisfatte, vorrei provare a sbrogliare la situazione.” sospirò, ravviandosi i capelli.

“Mi aspettavo che tua sorella prima o poi manifestasse questa forma di… Gelosia nei tuoi confronti.” sbuffò. “Ma cosa possiamo pretendere? Riempiamo di complimenti te e lasciamo perdere lei.”

 

“Questo non è che sia un buon motivo per farsi tutti quelli che incontra.” sibilò con voce tagliente.

 

Hilary alzò gli occhi al cielo. “Dio, qualche bacio non è la fine del mondo! E poi, al posto di pensare alla finale – che poi è stata pure vinta – perché non pensi a quello che può esserci sotto?”

 

Nadja la fissò di sottecchi. “Cioè?” chiese, con fare scettico.

 

“Ho motivo di pensare che tra tua sorella e Dimitrij possa esserci stato un po’ più di un flirt, prontamente stroncato da Daphne.”

 

La moscovita era perplessa e scettica insieme. “E perché mai l’avrebbe-”

 

Ma per lo stesso motivo per il quale io, l’anno scorso, sono fuggita a Londra per qualche giorno, no?” fece, come fosse ovvio. “Ricorda, tesoro: la paura fa fare un sacco di stronzate, alle persone.”

 

 

 

 

 

Quando Karen entrò, Takao e Max stavano cercando di mettersi in contatto con il locale di strip-tease più in voga di Mosca: lanciata un’occhiata perplessa ai due, ridacchiò quando riuscì a sbirciare il biglietto da visita dal quale stavano attingendo per il numero.

Una volta che il biondo riuscì a confermare il tutto per la sera dopo, la francese si sedette su una delle poltrone del salotto, sorridendo, sarcastica. “Addio al celibato, eh? E bravi…”

 

Il marito inarcò sarcasticamente le sopracciglia. “Non fare così, tanto lo sanno tutti che avete organizzato anche voi qualcosa per Hilary.”

 

Max aggrottò la fronte. “E il fatto che non si sappia esattamente cosa mi spaventa a dir poco…

 

La Hiwatari appoggiò pigramente i piedi su un pouf, poi sbadigliò. “Ah, non statevi a crucciare; nessuno si farà male.” poi le sue labbra si curvarono in un sorrisetto malefico. “Almeno spero.”

 

Takao scosse la testa. “No, no, eh.” fece, deciso. “Ci saranno minorenni, donne sposate, donne sposate e incinte… Non scherziamo.”

 

Karen si sporse a prendere un cioccolatino con aria noncurante. “E chi scherza.”

 

Max la fissò con tanto d’occhi. “Non avrete mica intenzione di strusciarvi al palo, bere o fare quelle cose lì che si vedono nei film, vero?!

 

Lei sbuffò. “Riguardo bere, io non lo posso fare; non so ciò che intendi per quello che si vede nei film, e a strusciarsi al palo ci penserà lo spogliarellista.”

 

Takao assunse un’espressione quasi ferita. “Avete lo spogliarellista?!

 

Karen lo fissò con aria scettica. “Non mi farete credere che voi non ne avrete!”

 

Gli uomini si fissarono con tanto d’occhi, come in cerca d’aiuto per dir qualcosa che suonasse convincente. “Una.”

“Mezza.”

 

La bionda rise. “Sì, anche noi ne abbiamo uno e mezzo.”

 

Takao sospirò, capendo che, per l’ennesima volta, era stato fregato. “Senti, ma ti va davvero di andarci? Al di là di tutto, sarà una serata in cui, a parte la cena, starete in piedi, o sbaglio?”

 

La moglie gli rivolse un sorrisetto vispo. “Sì, sbagli. Staremo sedute tutto il tempo: dobbiamo dare i regali pornografici a Hilary, lasciare che gli spogliarellisti ci facciano delle avances, e tante altre cose che non posso dire perché vi verrebbe un attacco di cuore..!”

 

Max cominciava a sentire caldo. “Io non credo che di qui a domani sopravvivrò.”

 

 

 

 

 

Riprendendo il suo bey in mano, Nadja sospirò, cercando di scacciar via le parole di sua madre dalla mente, e di nuovo maledisse il suo orgoglio che le impediva di andare dalla gemella a chiedere spiegazioni.

Erano passati mesi dalla fine del campionato, e c’era qualcosa in lei che le impediva di perdonarla per la scelta di sedurre proprio il capitano della sua squadra, e di lasciarlo una manciata di minuti prima del round decisivo, che avrebbe potuto compromettere l’esito della finale. A parer suo era stata una cosa del tutto infantile.

 

“Secondo me questa cosa è cresciuta talmente tanto in te da divenire enorme ed esplodere in una volta sola” le aveva detto Sam poche ore prima. “Se ci pensi, ti accorgerai che non è poi così grave: in fondo avete vinto, la Russia è campione del mondo di bey grazie a te; ma tua sorella sta male, e non sappiamo cos’ha. E questo mi spaventa.”

 

Era vero: tutto quello che aveva detto Sam era vero. Ma lei non riusciva a metterlo fuori. Non riusciva ad accettarlo.

 

Maledetto orgoglio.

 

Un rumore di porta la fece saltare in aria, e quando si vide davanti i capelli rossi di Dimitrij Ivanov, aggrottò la fronte: eccola lì, la risposta a tutte le sue domande.

 

Il ragazzo fece per uscire, ma lei lo fermò. “Ho finito di allenarmi.”

 

Quando si trovarono l’uno accanto all’altra, si squadrarono per diversi secondi, come due leoni dominanti nello stesso territorio pronti a vedere chi sarebbe stato il nuovo capo.

“Cos’è successo tra te e mia sorella, questo Aprile?”

 

Lui si irrigidì per poi tornare ad indossare la maschera neutra di sempre. “Quello che hai visto.”

 

“E cos’avrei visto?” Nadja inclinò la testa, studiando ogni sua minima espressione facciale.

 

“Due persone che uscivano insieme?” ora il tono di lui era sarcastico e strafottente.

 

La ragazza incrociò le braccia. “Che si sono lasciate per…?”

 

Dire che la fissò male era un eufemismo: Dimitrij la gelò con lo sguardo, ma venne abbondantemente ricambiato. “Se non lo sai tu, Hiwatari…” sibilò. “E’ finito l’interrogatorio? Non credevo potessi diventare pettegola…”

 

Nadja inarcò freddamente le sopracciglia. “Stavo cercando di ricostruire cosa possa esservi alla base dell’inquietudine di mia sorella, ma, evidentemente, non si tratta di te.”

 

Fece per andarsene, ma fu bloccata dalle sue parole. “Non l’ha detto esplicitamente, ma credo si sentisse bloccata dalla sua stessa personalità. Una sera era triste e la mattina dopo mi ha scaricato. Lei lo fissò un attimo, gli rivolse un cenno, e andò via.

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Ed eccoci qua con una sorta di epilogo di RMA: avete visto? Daphne e Nadja sono tornate! *___* Non so a voi, ma a me sono mancate tanto! *rotola*

 

 

Per chi si aspettava di leggere come fosse nata la KxH rispondo… “Shame on you!” e.e  Dovreste saperlo: nell’ottavo capitolo di Russie Mon Amour si spiega perfettamente. u.u

 

 

Anyway, io spero che questa prima particina vi sia piaciuta, io mi sono sentita come tornata a casa quando l’ho scritta… *sospira, beata*

 

Ci vediamo giorno diciannove per l’ultimo appuntamento con i missing! (Lily92, sto guardando te!)

 

Un bacione,

 

 

Hiromi

   
 
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