No
one left to blame.
Era
semplicemente freddo in quella notte, che sembrava assuefarsi di quel
sibilo confuso che proveniva dai polmoni di quel pover'uomo costretto
ad una scomoda sedia traballante.
La stanza era buia, nonostante
un filo di luce speranzosa filtrasse attraverso le pesanti tende
nere.
La giornata ormai aveva perso la sua florida brillantezza,
le luci distratte delle auto si scontravano con le gocce di pioggia
che lente bagnavano l'ambiente all'esterno, anche i cani avevano
perso la voglia e le forze di abbaiare sotto quel cielo pesante.
Anche
lui non aveva più voce in gola e speranza nel cuore per implorare
aiuto.
La sua unica compagnia era la figura zoppicante del terrore
che gli appannava i sensi, gli stringeva la cassa toracica intorno al
cuore e ai polmoni, impedendogli il respiro, che fino a quel momento
gli era sembrato così poco importante da incatramarlo con le
sigarette.
Voltava
la testa ritmicamente a destra e a sinistra per capire dove fosse la
porta d'entrata, la sua unica possibilità di uscire, ma l'oscurità
fitta gli feriva solo gli occhi sforzati.
Un
attimo, una fenditura nel buio s'accese e si spense, e quando il
sipario si scosse, lui non poteva che partecipare a quella buffa
recita ch'era il giorno che lui aveva identificato come la sua fine,
senza la possibilità di un perdono o di una tranquilla ritirata.
La
figura lo slegò velocemente, l'uomo si allontanò dalla sedia,
percorse la strada che lo divideva dalla finestra annaspando e guardò
giù per la strada. Non c'era nient'altro che le stesse pigre auto
che proseguivano per la loro via.
Una
mano gli si posò sulla spalla con convinzione, e l'aria si fermò
nel gelo di quella stanza – i minuti scricchiolarono sotto i passi
incerti dell'uomo, che fu costretto a cadere perché le sue gambe non
erano più in grado di sostenere il peso di quella paura.
Lui,
il secondo arrivato nella stanza, non si mosse. Rimase con una
guancia parzialmente illuminata dalla luce di uno dei lampioni al di
fuori del vetro appannato. Sembrava che non respirasse nemmeno, a
differenza dell'altro che era così fastidioso.
Il
vento morse profondamente la quiete esterna, e con lo stesso suono di
prima, gli alberi s'inclinarono sotto gli ululati dell'aria.
«Dammi
la mano.» proferì la voce roca e profonda uscita dall'ombra avvolta
nell'oscurità.
E
atterrito, John si limitò a mettere la sua tremante estremità in
quella dell'altro. Lo aiutò ad alzarsi, e lo portò nuovamente alla
stessa, snervante sedia di prima. Lo costrinse a sedersi con una
pressione sulle spalle, e gli si appoggiò con i gomiti sulle
scapole.
«Chi
sei? Cosa vuoi da me?» esalò quello seduto, cercando di mantenere
la voce più ferma che avesse potuto.
«Siamo
curiosi.» ridacchiò l'altro «Ma hai il diritto di sapere chi sono.
Jaques Vince Cox, piacere. E quello che voglio da te... è
comprensione.»
Si
mosse rapidamente, Jaques, ed accese la fredda luce al neon che
rivelò il suo volto.
Un uomo biondo, con gli occhi di un tenue
color nocciola. I lineamenti morbidi, gli zigomi alti, un fisico
nella media. Quello che rimase impresso negli occhi di John Casbury
come su pellicola, fu la sanità mentale che fluì via in un solo
istante dalle iridi dell'altro, sostituita dalla follia, durante la
loro breve conversazione.
«Ti
ho osservato molto, a lavoro, a casa, da Chatrine. Smagliante, con
tutti, anche con tua moglie.
Ma
quello che ti chiedo ora è, come può un uomo, vigliacco e pieno di
rimorsi per natura, proseguire a macchiare la sua anima di peccati?»
«Non
credo in Dio.» rispose l'altro mantenendosi composto.
«Ti
ho chiesto se credi in Dio?» chiese nuovamente l'altro,
avvicinandosi al suo viso, e baciandogli delicatamente le labbra
scottanti.
«Non
mi sono macchiato di alcun peccato.»
«Ah,
no? Allora, non era forse adulterio quello che hai consumato prima
che ti prelevassi per questa piccola visita?
O forse, non era guidata dall'ira quella soffiata sugli orari
irregolari del tuo collega?»
Sbuffò
un semplice “cosa te ne frega?” e fu quello il momento in cui gli
occhi di Jaques persero quanto di umano avessero mai potuto avere.
Il
biondo gli si avvicinò, lo prese per la stessa mano che aveva usato
per condurlo sulla sedia, e lo fece uscire per una piccola porta che
John non aveva notato fino a quel momento, poiché dipinta dello
stesso colore perlaceo delle pareti.
Il
nuovo locale era più piccolo del primo, ma era sufficiente a
contenere il lettino che vi regnava in mezzo. Jaques intimò il suo
compagno a sedervisi, e come incantato da un ossequioso rispetto,
Casbury eseguì.
«Ti
chiedo di nuovo, amico mio, come hai potuto continuare a macchiare la
tua anima di peccati?»
«Non
credo che esistano i peccati. Dovrei essere religioso per crederlo.»
Lo
esortò a sdraiarsi, e John quasi divertito da quella pantomima che
per il momento era innocua, lo fece con aria di sfida.
«E
dunque tu non credi a niente...»
«Esattamente.
A niente che non riguardi me.» L'interruppe sorridendo beffardo il
moro.
Cox
arricciò il naso, «Tu, quindi, non hai mai pregato?»
«Da
piccolo, quando mi costringevano ad andare in chiesa.»
L'altro
si lasciò scappare un sorriso, e si chinò sotto il lettino ad
estrarre un piccolo tubetto di plastica che tenne aderente alla
propria coscia, iniziò poi a fermare i polsi di quello sdraiato.
«Lo
sai che differenza c'è fra questo posto e la chiesa in cui andavi
quando eri piccolo?»
John
lo guardò stranito, e sussurrò di non saperlo, cercando di
liberarsi gli arti.
«Qui
pregherai per davvero.»
Il
bisturi che fino a quel momento era stato scaldato dalla coscia di
Jaques aderì velocemente alla bocca dello stomaco di Casbury, che fu
costretto a soffocare la richiesta di spiegazioni in un urlo
disperato.
«Ipocrita.
Ti
ho osservato predicare buoni propositi, parlare di fedeltà,
abbracciare tua moglie, e venti minuti dopo andare a letto con
l'altra.» finì d'incidere, e il ventre era bianco mentre una
sottile linea rossa lo attraversava, in attesa.
Pochi
secondi, e l'odore del sangue si diffuse in tutta la stanza.
«Perché?»
riuscì appena a proferire l'altro, prima di inarcare la schiena in
una contrazione dolorosa che aprì ancora di più quel taglio netto.
«Meriti
la morte. Ti sto dando quello che meriti. Ti piace il concetto di
'merito', no?» Jaques si leccò le labbra e affondò nelle viscere
dell'altro le mani, e le estrasse rapidamente.
Prelevò,
dallo stesso punto dove aveva preso l'arma bianca, del sale e ne
liberò alcuni cristalli nel corpo vivo dell'altro.
Casbury
ipotizzò per un momento che se lo meritasse, prima che l'osmosi
prendesse a corrodergli i tessuti.
Nei
suoi ultimi attimi, mentre il suo Giudice gli stava infliggendo la
pena capitale, voltò le sue memorie a quello che il tempo gli
permise.
Aveva
visto Chatrine, e avevano passato quindici minuti in paradiso, come
sempre, da quando andavano a letto insieme. Provava qualcosa per lei?
Forse. Ma era una bella donna, e questo gli bastava.
Il lavoro...
aveva fatto licenziare quel suo collega. Quel mattino, sua moglie lo
aveva baciato e gli aveva detto che non vedeva l'ora di rivederlo
quella sera.
E
pian piano, focalizzò la presenza di sfondo di Jaques, in ogni
angolo, fra la folla.
Come
aveva potuto non rendersene conto?
Che
stupido.
Il
suo corpo si contrasse per l'ultima e più sofferente volta, mentre
sentiva distintamente che qualcosa, sul suo lato destro gli stava
venendo estratto da quella sagoma che con il passare del tempo si era
fatta così sfocata.
Il
suo urlo di dolore gli parve lontano, come se non fosse nemmeno
uscito dalla sua stessa bocca.
Vedo ancora una luce.