Minato
ha sempre pensato, precisamente dal loro primo incontro, che Kushina
fosse la ragazza più bella, spiritosa e femminile che avesse
mai visto.
Tutti hanno storto il naso all'udire il suo punto di
vista su di lei, che comunque, pur sempre nell'intimità degli
amici, non ha mai oltrepassato la soglia del complimento vago.
Tuttavia, è stato solo quando ha sentito parlare allo stesso
modo di Mikoto che ha capito quanto la cosa potesse essere
estremamente soggettiva.
Minato è un ragazzo intelligente,
con il sorriso facile e la testa sulle spalle, ed è riuscito a
capire quasi subito che quello che sente verso la ragazzina dai
lunghi capelli rossi non può essere solo rispetto. Anche a
distanza di anni, è rimasto fermo sulle sue convinzioni per
quanto riguarda Kushina, e con il passare del tempo è sempre
più convinto di aver avuto una gran fortuna a essere
ricambiato.
È sempre stato un osservatore e nella sua breve
vita ha avuto modo di verificare, guardando non troppo lontano da sé,
che le cotte si infiammano subito e durano poco; ha scoperto che
generalmente l'altra persona viene elevata a un livello superiore e
quando si scopre invece che ha più difetti che pori è
una cocente e devastante delusione. Pertanto, è andato sul
sicuro quando si è accorto di non riuscire a vedere quella
ragazzina priva di difetti. Il fatto che li vedesse, e soprattutto
che si rendesse conto di tollerarli, gli ha dato in breve la misura
di ciò che si stava formando tra le sue mani, facendo sì
che lui riuscisse a proiettarsi in un ipotetico futuro soltanto con
quella persona accanto. Poi, quando è stato chiaro che Kushina
ricambiava i suoi sentimenti, si è sentito lusingato,
fortunato e molto felice.
Per questa serie di eventi e
coincidenze, nonostante la sua giovane età, si è
permesso di dare per scontato che nella vita o si hanno cotte rapide
e dolorose o siamo innamorati e felici per sempre. La cosa che per
prima ha fatto vacillare questa apparentemente granitica convinzione
è stata una terza persona: Sarutobi Asuma.
Nessun rimpianto, nessun rimorso
Minato
porta le braccia sopra la testa, stirandosi.
“Domani andrò
in missione,” dice, prima di voltarsi verso il suo
interlocutore, “starò via per mesi, probabilmente, o
forse non tornerò più,” conclude,
accigliandosi.
“Smettila Minato, non ti bacerò,”
dice Shikaku, scoprendo le sue intenzioni con una facilità
disarmante.
“Ma uffa!” bercia lui, alzandosi a sedere,
“Tu non sei curioso di sapere?” chiede, allargando le
braccia.
Shikaku lo osserva per un momento, poi scuote la testa in
un gesto poco convinto, vagamente negativo.
In quel luogo c'è
sempre una gran pace e, anche se l'altro è davvero rumoroso,
si sta meglio con lui intorno. Certo, il fatto che cerchi di baciarlo
da mesi non lo rende la persona più adatta con cui
addormentarsi, tuttavia Shikaku sa che non farebbe mai qualcosa del
genere senza il suo permesso. A guardarlo così, controluce,
con i capelli biondi quasi bianchi e quegli occhi di un blu denso, fa
davvero un certo effetto e ammette che ha pensato a lungo alla
richiesta che gli è stata fatta. Trattiene un sorriso, a
questo pensiero, perché effettivamente Minato gli piace, la
sua figura gli procura un rimescolio dentro e l'uomo che sta
diventando lo irretisce, gli fa venire voglia di seguirlo. Shikaku sa
che cos'è quello che sente.
“Ci ho pensato e credo
che mi piacciano le ragazze,” e mente solo in parte: a lui non
interessano i ragazzi o le ragazze, solo Yoshino e Minato.
Namikaze
sgrana gli occhi e poi sembra entrare nei suoi stessi pensieri così
come si entra in una cortina di fumo.
Shikaku non è sicuro
di riuscire a intortare una mente brillante e attenta come la
sua, però spera di non dover mai trovarselo troppo vicino. Non
che non sappia controllarsi, in quanto ninja sarebbe imbarazzante, ma
per natura lui è indubbiamente ed estremamente pigro e, di
conseguenza, anche abbastanza arrendevole. Minato ha colto nel segno,
inoltre: la cosa lo incuriosisce, lo attrae, il pensiero di stargli
vicino in modo diverso da un amico lo alletta.
Minato è un
bel ragazzo, lo ha sempre pensato trovandolo un pensiero normale
nella sua oggettività; quando però si è accorto
che gli procurava reazioni fisiche inusuali si è fatto domande
che non avrebbe mai dovuto porsi. Quel ninja ha un'energia pura,
luminosa, libera, che riempie una stanza e invade gli altri. Il suo
sorriso abbaglia, dà forza, sprona, e la sua voce gli procura
sempre un caldo senso di famiglia. Fisicamente Shikaku non riesce a
non sentirsi attratto e a volte, convinto anche che non dipenda da
lui, nella sua stanza, prima di dormire, si lascia sopraffare dal
piacere che lo avvolge pensandolo. Si è chiesto se fosse una
malattia, si è chiesto se fosse giusto o corretto, si è
anche chiesto cosa ne pensasse l'interessato e quando un Minato
ubriaco gli ha confessato che probabilmente gli piacevano anche
i maschi - in confidenza, perché era sicuro che la sua
intelligenza non li avrebbe allontanati - si è sentito molto
confuso.
È inusuale per un Nara sentirsi confuso, perché
il loro QI è molto alto, in genere, e le lacune vengono
colmate dalla loro capacità analitica per mezzo delle poche
informazioni fornitegli. Ma l'amore, ha scoperto Shikaku quando ha
visto sorridere Yoshino la prima volta, è qualcosa che
sconvolge tutti, e loro più degli altri. L'amore non è
razionale e se non interessa la mente rispondere con quella non ha
senso.
“E magari chiamerai tuo figlio Shikamaru, eh?”
ride Minato, stesosi nuovamente accanto a lui.
Già.
Purtroppo
molti di loro hanno dei cammini già scritti da regole più
antiche del villaggio stesso. Non vivono da soli sui monti senza
doveri e possono puntare il dito solo su una delle poche opzioni che
verranno scelte da altri. Gli anziani dei Nara lo hanno già
informato che dovrà scegliere una delle ragazze in età
da marito all'interno del clan. Lo hanno già incatenato a
loro, perché i suoi figli dovranno essere Nara al cento per
cento. Perché dovrà avere figli.
Essere un ninja
retto, impegnato e coraggioso è un dovere che ha verso il
villaggio, avere figli è un dovere nei confronti del
clan.
“Mh, forse,” sospira, beandosi dei bassi raggi
del tardo pomeriggio.
“E allora che mi dici di Sarutobi?”
salta su Minato, come se avesse trovato la leva dove fare forza,
tornando senza filo logico alla questione precedente.
Shikaku si
volta di lato, dandogli le spalle, e un sorriso increspa le sue
labbra. Minato è un bel ragazzo, l'uomo che sta diventando gli
fa venire voglia di seguirlo e ascoltare la sua gelosia gli gonfia il
petto di luminosa felicità.
“Che palle...”
biascica, mettendoci più irritazione possibile.
“Oh,
scusa, ti sto dando fastidio? Molto maturo, Nara!”
“Disse,
quello geloso...”
“Non è gelosia è un
dato di fatto: quel... quel... coso, lì, ti sta sempre
appiccicato, ci giochi pure a shogi nonostante non sappia nemmeno
dove mettere le pedine,” abbaia Minato, gesticolando.
“Sta
imparando,” tenta di inserirsi l'altro, invano.
“E se
anche fosse gelosia sarebbe solo colpa tua che non dividi le tue
attenzioni equamente! Io so giocare a shogi, non devo imparare, ci
giochi mai con me?”
“L'ultima volta ti sei infilato il
Re nelle mutande e volevi che lo prendessi!” e torna a
guardarlo, finalmente, cogliendolo di sorpresa.
“Be'...”
dice Minato, voltando il viso nella direzione opposta, “avevo
bevuto, quella sera...” bofonchia, abbassando lo sguardo.
Nara
si ricorda bene com'è andata quella sera. Si ricorda bene che
è stato molto vicino a baciarlo.
Namikaze è una
persona equilibrata, con un'educazione impeccabile e un'empatia quasi
Inuzukiana, conosce i propri spazi e vede fin dove può
arrivare a invadere quelli degli altri. Conosce bene i suoi amici,
così come conosce bene lui e se non si è mai spinto
oltre, da sobrio, è proprio perché non vuole
trascinarlo fuori, bensì che si esponga da solo.
Quando
Minato beve, invece, dimentica questi confini, questi pali che ha
messo lì giusto per impedirsi di degenerare, e sembra che non
importi più il mezzo che usa per raggiungere le sue priorità.
Allunga le mani sui suoi fianchi, gli offre da bere, lo bacia sulla
guancia, gli accarezza i capelli, lo abbraccia, e quel che è
peggio è che trova un muro molle fatto di sbuffi e mugolii
contrariati che lo fanno sorridere. Quel muro molle sembra eccitarlo
e sentirsi Minato eccitato addosso non aiuta ad accettare le proposte
del clan. Shikaku ogni volta spera che non si spinga oltre, tutte le
volte che tocca il limite è molto tentato di sorpassarlo, di
lasciarsi toccare, di lasciarsi baciare e poi dare la colpa
all'invadenza e all'irruenza altrui. Ma per fortuna, almeno fino a
ora, è sempre riuscito a portare del senno nella sua testa e
in quella bionda ebbra di alcolici.
Quella sera, per esempio, dopo
aver avuto le sue labbra a pochi centimetri dalle proprie, lo aveva
convinto a giocarsela sulla scacchiera: se avesse vinto lo avrebbe
lasciato fare.
Un Namikaze sbronzo e un Nara sobrio? Mi chiedo
chi vincerà, avrebbe celiato Uchiha se fosse stato
presente - e al corrente della situazione. Però ovviamente
avrebbe avuto piena ragione, e la partita era finita presto con la
sconfitta di Minato. Dopo c'era stato un momento in cui aveva pensato
che non avrebbe più rivisto il Re.
“Senti, come va
con Kushina?” butta lì per risolvere la situazione,
almeno momentaneamente, imprimendosi nella memoria quel rossore sotto
gli occhi blu.
Minato lo osserva, aggrottando la fronte, poi si
alza, teso, e sembra arrabbiato.
“Che stronzo!”
ringhia, marciando in salita sulla collina in direzione della strada
che passa poco lontano da lì.
Shikaku
si stende nuovamente, osservando come il tempo scivoli via al ritmo
delle nuvole che gli passano davanti.
Come va con Kushina?,
come se c'entrasse, e allo stesso tempo come se fossero cose
diverse.
Kushina è per Minato quello che Yoshino sta
diventando per lui, sono cose diverse perché lontane da loro
due, ma sono parallele a quello che sentono. Shikaku prova la stessa
cosa per entrambi in modi diversi ed è facile supporre che sia
così anche per l'altro. Quella domanda, in quel contesto,
tende a sminuire l'uno o l'altro, è odiosa, lui l'ha odiata
fortemente e l'ha usata con Minato per chiudere la conversazione.
Sì,
è uno stronzo.
Lo
ha sentito quello, anche quello prima e quello prima ancora. Li ha
sentiti tutti, ma non ha voglia di alzarsi. Lo sa chi è.
Si
tira le coperte sulla testa e aspetta che l'ubriaco in strada gli
sfondi la finestra a sassate.
Improvvisamente c'è silenzio
e quando avverte la finestra cedere con un colpo secco alza la testa
di scatto.
“Sei impazzito?” urla, sussurrando.
Minato
ridacchia, forse contento di avergli rotto la finestra senza aver
svegliato i genitori o più semplicemente di avergli rotto la
finestra e basta.
“Non ti svegliavi...”
“Sono
sveglio dalla prima sassata: è vetro, idiota!”
“Non
chiamarmi idiota, domani andrò in missione e al ritorno mi
sposerò.”
Shikaku vorrebbe dirgli che proprio per
questo motivo non è una bella idea trovarsi in camera sua, di
notte. Però per quanto si sforzi non riesce a dire niente.
“Ti
ho portato una cosa!” dice l'altro, ignorando il silenzio e
porgendogli un sacchettino.
Lui ci guarda dentro, aprendolo, poi
lo fissa e fissa la bottiglia che ha in mano.
“Mi hai
portato degli onigiri alle tre del mattino? Quanto hai bevuto, per
curiosità?”
Minato ride, sedendosi sul suo
letto.
“Che c'entra l'ora? Sono buoni, assaggiali!”
propone, sporgendone uno nella sua direzione.
“È
unto.”
“Finiscila di fare il mestruato!”
Shikaku
suo malgrado si lascia sfuggire uno sbuffo divertito e si passa una
mano sulla faccia, sedendosi accanto a lui. Prende l'onigiri che gli
viene offerto e lo assaggia.
“Ok, è vero: è
buono. Te lo concedo.”
Minato sorride, bevendo dalla
bottiglia.
Poi osserva l'altro tenere le dita unte per aria mentre
finisce di masticare l'ultimo boccone e gli prende il polso
portandosele alle labbra.
“E dai...” brontola Shikaku,
cercando di riappropriarsi delle falangi.
Minato ride, tenendolo
con fermezza, e avvicina il viso al suo.
“Perché non
puoi accettare sempre quello che ti offro, senza tutte queste
storie?”
“Perché uno dei due deve tenere i
confini,” risponde, pronto. Quella domanda se l'è fatta
molte volte da solo e la risposta è stata costruita ad arte
per potercisi aggrappare, anche se, in realtà, a dirla ad alta
voce si accorge che non è poi così efficace.
“Dei,
che palle...” Minato abbassa la testa, strizzando gli occhi
come se avesse dolore da qualche parte. Poi la rialza, mischiando il
blu dei propri occhi con il nero dei suoi.
“Shikaku,
promettimi che nella prossima vita staremo insieme giorno e
notte!”
Lo dice con una serietà che aumenta in modo
esponenziale il valore di quello che la frase rappresenta di per sé,
la rende una promessa vera, solenne, da rispettare. E Shikaku
annuisce, serio, prima ancora di rendersene conto.
Poi spalanca
gli occhi, sorpreso di trovarsi le labbra di Minato premute contro le
proprie. Sorprendentemente sa molto poco d'alcool.
La prima cosa
che pensa è che avrebbe dovuto farlo secoli prima, la seconda
è che ci sono i suoi genitori due stanze più là
e la terza la esprime a parole appena le labbra dell'altro scendono
sul suo collo.
“Siamo già nella vita dopo?”
sussurra, scioccato e rincitrullito.
Minato ridacchia sotto il suo
orecchio e un brivido caldo gli corre giù fin dentro le
viscere. Istintivamente sposta la testa di lato, si sbilancia e mette
un braccio dietro per non cadere.
L'altro dà un colpetto
proprio all'interno di quel braccio per far cedere il gomito e
Shikaku si trova sdraiato nel suo letto con le labbra di Minato sulle
proprie.
Non va bene, pensa, stringendo incoerentemente la
maglia dell'altro.
“Ehy, mh... Aspetta, sei ubriaco!”
lo accusa, cercando di trovare un modo di spostare la sua
attenzione.
Ma poi succede quello che non si sarebbe mai
aspettato.
Namikaze interrompe le sue azioni, lo fissa negli occhi
e poi si abbassa su di lui: i loro corpi combaciano e quello che
sporge cozza.
Shikaku apre la bocca e inarca la schiena, Minato
sospira, carezzandogli i capelli sciolti sul cuscino.
“Ho
bevuto solo quello che bastava per farti sentire che avevo bevuto...”
e sorride quando l'altro lo fulmina con un'occhiataccia. Poi si muove
e l'espressione del ragazzo sotto di lui cambia.
A Shikaku scappa
da ridere se pensa che si è immaginato tante versioni di
quello che stanno facendo da averne una vasta scelta, eppure non c'è
niente che lo diverte nelle emozioni che sente. Vengono da un posto
in profondità, dentro di lui, tanto intense da farlo
tremare.
Ha un moto di riso solo quando le dita di Minato gli
toccano la pancia nuda mentre lo spoglia, l'altro sorride
appuntandosi il fatto che soffra il solletico, da qualche parte nella
sua testa in un piccolo spazio razionale che non è occupato
dalla sua pelle, le labbra, i sospiri.
Forse avrebbe avuto senso
resistere fino a quel punto solo se si fossero almeno fermati a quel
bacio, se avesse fatto qualcosa per evitare di sentire l'altro
ovunque sopra di sé, tuttavia nemmeno il leggero dolore che
prova quando lo sente scivolare con fatica all'interno del suo corpo
riesce a farlo pentire. È invece felice, come non pensava di
potersi sentire con qualcuno diverso da Yoshino.
Il pensiero della
ragazza lo coglie impreparato, per un momento la sua attenzione corre
da lei, prima di avere le labbra catturate in un bacio umido,
esigente, prima di realizzare che, quando è con Minato,
avverte esattamente lo stesso calore che sente con lei. Non può
essere sbagliato se fa così bene, dopotutto.
“Vuoi
che chiami Kushina e Yoshino, per darci una mano?” lo sgrida
quell'idiota di Namikaze.
“Finiscila...”
“Allora
resta qui con me, Nara!”
Shikaku stringe la mano sul suo
fianco mentre lui aumenta la velocità dell'amplesso. Si sente
esplodere, sente qualcosa comprimere dall'interno, che vuole uscire,
e quando arriva alla gola un gemito lascia le sue labbra. Minato
stringe gli occhi e i suoi muscoli si rilassano quando anche lui non
riesce a trattenere un gemito, poi gli frana addosso, affondando la
testa nei suoi capelli neri.
“Non è esattamente come
farlo da soli,” constata semplicemente Minato, con voce roca e
affannata.
Shikaku ride, facendolo traballare sopra di sé.
“No,
decisamente,” ridacchia ancora, prima di essere baciato con
veemenza.
Qualche minuto dopo Minato è ancora lì,
sul suo stomaco, ad ansimare mentre si muove sulla sua erezione,
invertendo i ruoli di qualcosa che per loro, ormai da molto tempo,
non ha più confini definiti.
Non
ci sono state altri momenti come quello. Dopo, le responsabilità,
sia che riguardassero il lavoro o la famiglia, li hanno occupati e
tenuti lontani, ma niente gli ha impedito di essere grandi
amici.
Minato sorride, avvicinando il bicchiere alle
labbra.
“Incredibile, i nostri figli saranno
coetanei!”
“Sono sette mesi che lo dici, quando
nasceranno smetterai?”
“Uffa! Mi piacerebbe che tuo
figlio badasse al mio...”
Shikaku versa da bere a
entrambi.
“Hai poca fiducia nei tuoi geni.”
“Mh,
ti ho fatto capo dei jounin per le tue capacità, ma anche
perché ci sono pochissime altre persone di cui mi fido così
tanto. Vorrei che mio figlio potesse contare sul tuo come posso
permettermi di fare io con te!” sorride, bevendo alla sua
salute.
Il barista cambia la bottiglia di sake, spezzando il
discorso e i loro pensieri per un momento mentre ne mette una piena,
poi torna a fare quello che stava facendo alla cassa, a qualche metro
di distanza.
“Be', mi piacerebbe che si guardassero le
spalle a vicenda, ecco... O il culo, se gli dovesse piacere!”
ride Minato, versandosi altro sake.
“A me non piacerebbe per
niente,” dice l'altro, serio, abbassando la testa.
Minato lo
guarda con un'espressione confusa, con il sake a mezz'aria.
“Stavo
scherzando...” spiega, nel vedere la faccia dell'amico,
“pensavo fosse ovvio.”
“No, non lo è,”
replica nervoso Shikaku, alzando la testa di scatto.
Namikaze lo
osserva di sottecchi, beve il sake con dei pensieri in testa troppo
complicati per non intrecciarsi tra loro. E si blocca, spalancando
gli occhi, con un'accusa sulla lingua.
“Un momento,”
dice voltandosi verso l'altro, “cosa vorresti dire? Cioè,
tu... Vuoi dire che se tornassi indietro tu non... ?” Minato si
passa una mano sulla faccia, poggiando il bicchierino sul piano del
bancone.
“Non dire idiozie, non è quello che
intendevo,” spiega l'altro, buttando giù il contenuto
del suo, “hai idea di quanto sia complicato e... triste, a
volte...”
“Vaffanculo, Nara! Perché, pensi che
per me non lo sia? Ma rifarei tutto, daccapo!”
Lo sgabello
sfrega per terra, l'Hokage si alza e si volta. Barcolla fino
all'entrata, apre la porta del locale e l'umido lo avvolge subito, in
strada.
Shikaku rimane dentro, a bere e a pagare da solo.
Pochi
giorni dopo Inoichi sta dicendo a Chouza che non si mangia in
ospedale, che sua moglie, due stanze più avanti, li pesterà
tutti a sangue se insiste a fare tutto quel fracasso con le buste
delle patatine. Chouza ribatte che anche lui ha avuto a che fare con
una donna incinta e quando Yamanaka si presenta rossa di collera, con
l'asta della flebo in mano, lui sorride e le fa un complimento.
Questo causa un enorme sorriso di lei, un suo rilassamento improvviso
e di conseguenza uno sgretolamento parziale della realtà. Ma
fortunatamente i bisticci di quei due cessano per qualche minuto,
almeno fino a quando non è permesso vedere i neonati dal
vetro; dopo infatti cominciano a battibeccare su quanto dovrebbero
mangiare i neonati.
Shikaku sbadiglia, poggiando la schiena alla
sedia e nel farlo si accorge di avere due figure di
fianco.
“Kushina!” dice all'improvviso, mettendosi
composto.
“Buongiorno papà,” sorride lei,
contagiandolo, mentre illumina l'ospedale da sopra quel pancione
ingombrante. “Posso entrare?” chiede indicando la stanza
di Yoshino.
“Certo che puoi, le farà
piacere.”
Kushina bussa, spostando il mazzo di fiori da una
mano all'altra. Poi entra, salutando la neo mamma con epiteti idioti,
come solo lei riesce a inventare.
“Allora, com'è
diventare padre?” chiede Minato, sedendogli a fianco.
“Assurdo:
ero un bambino anch'io solo ieri,” risponde lui, vago.
Minato
abbassa la testa, cercando i suoi occhi e facendolo così
voltare verso di sé.
“Senti, mi dispiace, la scorsa
settimana avevo bevuto decisamente troppo e ho frainteso, ok?”
dice Namikaze, gesticolando come fa quand'è nervoso.
Ma
Nara si volta dall'altra parte, ignorando la poca voglia che si sente
addosso di tenere il punto, specialmente in quel momento.
“Andiamo!
Non fare l'Uchiha!” celia l'altro, con poca convinzione. “Lo
so cosa volevi dire, lo so perché ti piace bere, lo faccio
anch'io,” sussurra poi, serio.
Shikaku abbassa la testa per
non doverlo guardare negli occhi.
“Penso che sia proprio
come hai detto tu, in fondo,” dice sforzandosi di rimanere
serio, ora che sente la voglia di cedere aumentare.
“Certo,
certo! E come hai chiamato tuo figlio?” chiede Minato. E ride
mentre il neo papà si porta una mano sul volto per celare il
suo sorriso, invano.
“Hai proprio ragione: se tornassi
indietro...” bisbiglia Namikaze, facendo una pausa ad effetto
con finti brividi, “...che schifo!” celia poi, scorrendo
di un posto sulle sedie.
“Idiota!”
La
pioggia cade fitta. O forse il cielo piange.
Shikaku stringe i
pugni, ma non ha le unghie sufficientemente lunghe per farle
penetrare dentro la pelle. Digrigna i denti, frustrato.
Minato non
esiste più.
Crateri ed enormi crepe devastano il paesaggio
davanti a lui, kunai e altri segni di lotta sono presenti ovunque fin
dove può spaziare con lo sguardo. Il verde dell'erba è
sostituito da un nero che fuma e puzza; tutto quello che resta è
terra bruciata.
È arrivato tardi. È arrivato giusto
in tempo per vedere in lontananza i ninja medico che portavano via i
corpi. E adesso non c'è che terra bruciata e il vagito di un
bambino, intorno a lui.
“Shikaku-san, la prego lo tenga un
momento,” dice il ninja medico lì vicino, senza
lasciargli il tempo di negarsi.
In un attimo Nara si trova un
bambino biondo tra le braccia. Spalanca gli occhi stringendoselo
addosso appena l'altro ninja lascia la presa.
Sfiora quei capelli,
assorto nella contemplazione, pentendosene quando li sporca di
sangue. Si stupisce che il bambino smetta di piangere, ma è
vederlo aprire gli occhi, scoprendo un blu denso, chiaro e pulito
come il cielo d'estate, che il respiro gli viene meno per qualche
secondo. Rimane immobile, con i sensi impigliati nei versetti e i
piccoli movimenti del neonato, a fissare quella che sembra la stessa
vita che è appena scomparsa tanto da dare quasi un senso a
tutto quello, almeno per il tempo in cui si perde in quegli occhi.
Poi il ninja medico pretende il bambino indietro, allora la pioggia
ricomincia a occupargli l'udito, l'aria fredda gli punge la pelle e
dentro non ha che la stessa terra bruciata che osserva intorno a
sé.
Minato non camminerà più su accanto a
lui, non lo rischiarerà più con la sua solida volontà
del Fuoco. Non lo vedrà mai più.
Quel bambino non
conoscerà la dolcezza e la forza di sua madre e nemmeno la
grandezza di suo padre, quella del semplice uomo che era tutti i
giorni e non quella delle gesta eroiche che lo hanno ucciso.
La
loro morte ha permesso al villaggio di sopravvivere, ha permesso a
lui di sopravvivere. Dovrebbe essergli riconoscente, quindi.
Dovrebbe ringraziarli.
Sì, dovrebbe.
Ma l'acqua porta
via le sue lacrime e non c'è niente che trascini via quel
dolore urlante che filtra così in fondo da non saper come fare
a tirarlo fuori, perciò adesso non vuole ringraziare
nessuno.
A essere sinceri c'era stato un tempo in cui aveva
creduto che Minato sarebbe stato il più grande Hokage di tutti
i tempi. Adesso sa che si sbagliava.
È stato uno
stupido, si ripete, mordendosi la lingua con forza, uno
stupido che si è buttato in uno scontro come un genin, senza
chiedere aiuto né prepararsi un piano decente: ha dovuto
ripiegare sul sigillo del diavolo... quel cretino!, pensa,
digrignando i denti tanto da sentirli scricchiolare sopra al rumore
della pioggia.
Ma è solo quando un ANBU si presenta alle
sue spalle che si accorge di aver passato ore con i muscoli tesi, i
pugni stretti e il capo chino, a insultare Minato. Dopo, l'ANBU gli
rivela che il Sandaime non vuole che l'orfano sappia dei suoi
genitori, né che la notizia venga divulgata ad altri.
Con
il tempo le persone odiano quel bambino biondo, che è la copia
esatta di Minato con la forza e la dolcezza di Kushina, e raccolgono
tutto il disprezzo di Shikaku, in un insulso circuito di dolore e
paura. Paura che i sussurri arrivino al bambino, paura che si decida
di andare oltre le malelingue, paura di non essere lì a
proteggerlo.
Ma allo stesso tempo Shikaku non si avvicina, non lo
aiuta, non lo difende. Non ce la fa.
Naruto lo intossica, i suoi
occhi, il suo sorriso, la sua luminosità, gli ricordano
qualcosa che è rimasto solo dentro di lui. Un pezzo di
qualcosa che, una volta spezzato, si è perso dentro di lui.
Adesso
Naruto è un eroe.
Tutti lo rispettano, molti lo fermano per
strada per ringraziarlo, anche ora, a distanza di tempo, e lui si
stupisce ogni volta. Spalanca quegli occhi chiari, limpidi, e sul suo
viso si fa strada un'espressione seria che fa venir voglia di
abbracciarlo, di ricordargli che va tutto bene, che se lo merita, che
li ha salvati tutti.
Adesso Naruto sa chi erano i suoi genitori,
li conosce entrambi.
Suo figlio Shikamaru una sera d'estate gli ha
riferito quello che il jinchuuriki, in confidenza, gli aveva rivelato
tempo prima: l'incontro con suo padre e, dopo, quello con sua madre,
sì, ma anche quanto fosse stato arrabbiato con loro e
frustrato e felice e quanto fosse, e sia tutt'ora, orgoglioso di
essere loro figlio. Quando Shikamaru ha concluso Shikaku lo ha
ringraziato. Suo figlio non capirà mai perché, ma
sapere quelle cose in un qualche modo contorto lo ha alleggerito, è
stato come rendere giustizia a qualcosa che era rimasto in sospeso da
troppo tempo per sperare che si potesse risolvere.
Shikamaru
gli si affianca, sull'engawa, sedendosi poco distante da lui.
“Asuma
non era male a shogi, sai?” dice, prima di sbadigliare.
“Ti
batteva?”
“I primi tempi sì... Ma tu sei un
avversario peggiore,” sbuffa, mettendosi un sandalo.
Lui fa
un mezzo sorriso, mugolando in risposta.
“Esci?”
chiede poi, catturato dai suoi movimenti.
“Sì, è
il compleanno di Kiba,” dice, massaggiandosi una tempia mentre
con una mano si infila anche l'altro sandalo.
“Non sembri
molto contento,” lo scruta il padre.
“Ma no, è
solo che lui e Naruto diventano molesti quando bevono...” dice,
buttando la testa all'indietro quando vede Chouji entrare nel
vialetto.
Shikaku ride, osservando Naruto e Kiba bisticciare oltre
la staccionata.
“E scommetto che la tua flemma li rende solo
più audaci, mh?” dice, mentre il sole cade lentamente
dietro gli alberi e la risata di Naruto riempie l'aria, chiara e
trascinante.
Shikamaru lo osserva, sorridendo.
“Già,”
dice, abbassando la testa, prima di alzarsi, “non capisco come
'non arrampicatevi sul muro di cinta di quella casa' possa diventare
'imbrattate i muri altrui pisciandoci sopra', nelle loro teste!”
Owari
Erano
mesi che volevo scrivere una cosa del genere.
Diciamo che sono in
un certo senso stupita di quello che è venuto fuori mentre,
dall'altra parte però, credo che non si veda - senta? -
ugualmente tutto quello che avrei voluto. Non so dire se mi ci stia
avvicinando o meno, per ora so che questo è il mio limite e
spero che si intraveda almeno un briciolo di quello che volevo ci
fosse, della bellezza di questi personaggi, dell'amore che nutro per
loro. Bah. Sono sempre chiara come un tuorlo, eh? Bene. Ottimo,
direi.
Spero vi piaccia, almeno, e che non offenda gli amanti di
questi personaggi che io, ci tengo a ribadire, stimo moltissimo.
I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro. Gisgdiadgvaid!