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Autore: CowgirlSara    03/03/2006    0 recensioni
Fanfiction partecipante alla 20° edizione del concorso di EFP. - La mia "personale" versione del primo incontro tra Patroclo e Achille, all'ombra di un Destino che li unirà fino alla morte.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fanfiction partecipante alla 20

Fanfiction partecipante alla 20° edizione del concorso di EFP

 

NOTA DELL'AUTRICE: sono perfettamente a conoscenza che questa storia si discosta dal canonico incontro tra Achille e Patroclo e che il linguaggio usato risulta troppo moderno e semplificato per i personaggi e l'epoca in cui si svolge,ma la cosa è voluta allo scopo di rendere più potabile la storia. Anche la scoperta dell'omosessualità da parte dei due protagonisti può sembrare "leggera", in realtà volevo solo che fosse naturale, poiché si parla sempre di due persone destinate a stare insieme e ad amarsi per tutta la vita.

Questi personaggi appartengo al Mito (ed a vari grandi autori che li hanno utilizzati), la mia storia è scritta senza scopo di lucro e chiedo perdono per aver utilizzato caratteri tanto conosciuti e amati.

Grazie per la pazienza, buona lettura.

 

 

Il destino di Achille

 

L’alba aveva appena schiarito il cielo ad oriente, una nebbiolina rosa vagava a pelo d’acqua, mentre il vento li spingeva verso l’isola. Un uomo dai corti capelli neri e dai lucenti occhi verdi osservava la costa che si avvicinava, posando le mani sul parapetto della nave; un’altra figura, avvolta in una coperta, gli si avvicinò sbadigliando.

“Mi ripeti perché siamo qui?” Affermò il ragazzo avvolto nella coperta, con voce ancora impastata.

“Per il volere di Atena.” Rispose quello più anziano.

“Fa un freddo cane.”

“Ti passerà appena sorgerà il sole.” Dichiarò l’uomo dai capelli neri. “Piuttosto, Patroclo, ricordi tutto della nostra copertura, vero?” Gli domandò poi, girandosi verso di lui; il ragazzo roteò i grandi occhi castani.

“Sì, sì che ricordo, me lo hai ripetuto almeno un centinaio di volte!” Rispose esasperato, allontanandosi dal compagno di viaggio. “Siamo dei mercanti ateniesi…” Borbottò, mentre scendeva le scalette della prua; Ulisse lo guardò sorridendo divertito.

“Sei troppo giovane…” Mormorò il sovrano di Itaca.

 

Scesi dalla nave si recarono, come da piano di Ulisse, alla dimora di Licomede: una grande casa bianca in cima ad una collina, circondata da un bellissimo giardino. I due uomini si fermarono all’inizio del sentiero che conduceva al palazzo; Ulisse lanciò un eloquente sguardo a Patroclo.

“Mercanti ateniesi, sì!” Sbottò il ragazzo, ancor prima che l’altro gli facesse la domanda; Ulisse sorrise. “Ascolta, ma sei sicuro che sia lì?”

“Perché chiedi questo, ragazzo? Atena in persona mi ha rivelato dove trovarlo.” Rispose l’uomo, mentre camminavano lentamente verso la casa.

“Dovrebbe essere un potente guerriero, ma, a quanto dici tu, vive qui travestito da donna…” Affermò incerto il ragazzo dai capelli castani.

“Solo per volere di sua madre.” Spiegò Ulisse.

“Sì, ma che razza di guerriero accetterebbe una situazione simile… per quanto possa non dispiacermi l’idea di vivere in mezzo a tutte queste fanciulle in fiore…” Dichiarò Patroclo, concludendo la frase con uno sguardo malizioso.

“Dammi retta, figliolo, tu non ti preoccupare, segui le mie indicazioni e tutto andrà come previsto dalla dea.” Lo rassicurò l’uomo, dandogli una pacca sulla schiena; nel frattempo erano arrivati al portone della casa.

Un grande cancello di legno scuro si apriva sul candido muro di cinta e consentiva l’accesso ad un lussureggiante cortile interno, dove crescevano piante e fiori di ogni tipo. Il portone era aperto, così i due visitatori lo attraversarono tranquillamente; qualcuno stava annaffiando le piante.

Patroclo si guardava intorno, cercando inutilmente di riconoscere qualcuno di quegli arbusti misteriosi, mentre Ulisse pareva sapere dove dirigersi; il ragazzo non aveva proprio notato il rumore della carrucola del pozzo, finché non ci furono più vicini, distratto dagli abbacinanti colori dei fiori del giardino.

C’era una fanciulla di spalle, vicino al pozzo; aveva capelli lunghi fin oltre la schiena, lucidi, morbidi come onde di un mare calmo, intrecciati semplicemente, indossava un abito con le maniche lunghe, candido. La ragazza si girò veloce, quando avvertì i loro passi, e Patroclo rimase folgorato dalla sua bellezza.

Il suo viso era di una nobiltà severa, con gli zigomi e la mascella ben disegnati, la pelle era bianca come madreperla, le labbra imbronciate erano splendidamente morbide e di un color rosa pesca, ma la cosa che lo colpì di più furono i suoi occhi: sotto i riccioli ribellatosi alla treccia spuntavano due specchi di mare aperto, blu, e verdi, e d’oro, del colore scuro e meraviglioso del mare all’orizzonte, come se qualcuno ne avesse preso una parte, la più lucente, e l’avesse travasata in quelle iridi di liquida fiamma.

Il suo sguardo, però, era diffidente.

“Chi siete?” La sua voce era profonda, severa come il suo aspetto.

“Non temere, fanciulla.” Le disse Ulisse, mentre il ragazzo si sentiva incapace di pronunciare parola. “Siamo dei mercanti ateniesi, vorremmo parlare con il padrone di casa.” Aggiunse; lei li squadrò ben bene, prima di rispondere.

“Mio padre Licomede è in casa, ve lo chiamo.” Lei e Ulisse si scrutavano negl’occhi, ma Patroclo era totalmente rapito dalla sua voce. Erotica, ecco com’era quella voce; il ragazzo non ricordava un’altra donna che gli avesse provocato un tale sommovimento emozionale.

La fanciulla, dopo un ultimo, altezzoso, sguardo ad Ulisse, si voltò salendo gli scalini che portavano all’interno della casa. In quel momento, Patroclo desiderò afferrarla, abbracciarla, baciarla, possederla, sposarla… e tutto nel tempo dei suoi prossimi due passi. Lei scomparve oltre la porta.

“Oh Dei! Ulisse l’hai vista?!” Esclamò il ragazzo entusiasta.

“Eccome se l’ho vista…” Rispose l’uomo con un tono indefinibile.

“E’… è… stupenda…” Mormorò Patroclo; nella sua mente la missione di Ulisse era già passata in secondo piano.

In quel momento, però, un rumore di passi numerosi lo distrasse dai suoi nuovi pensieri; rialzò lo sguardo in tempo per vedere arrivare un uomo dal nobile portamento, seguito da un’orda di fanciulle di età diverse, ma tutte dalla bellezza leggiadra, che cominciarono a lanciargli occhiatine maliziose. Tutte, tranne quella che gli interessava, la quale ricominciò a pulire il cortile, senza degnarli più di un’occhiata.

 

La sera, dopo che Ulisse ebbe ottenuto di essere ospite di Licomede, e dopo che Patroclo ebbe risposto a più sguardi di fanciulla possibile, i due si sistemarono; L’uomo ripeté ancora una volta il piano, sembrava che lui sapesse già tutto, mentre il ragazzo aveva decisamente la testa altrove.

Durante la cena cercò in ogni modo d’incrociare quegl’occhi di mare, ma fu inutile: lei era abilissima ad evitare l’attenzione; al contrario, le sue sorelle, si arrangiarono in tutti i modi per essere carine con lui. Patroclo, però, non si arrendeva tanto facilmente.

Era notte, ormai, ed il ragazzo notò un’ombra nell’orto dietro la casa, non fu difficile riconoscere Altea (questo era il suo nome); la raggiunse immediatamente.

“Cogli le spezie?” Le domandò avvicinandosi; lei si voltò facendo balenare il coltello affilato alla luce della lanterna; Patroclo spalancò gli occhi, sbalordito dai suoi riflessi.

“Sei fortunato, mi sono accorta che eri tu, altrimenti saresti già morto.” Rispose calma la leggiadra fanciulla, tornando a piegarsi sul cespuglio di rosmarino.

“Mamma mia, come sei cattiva!” Esclamò il ragazzo ridendo e alzando le mani.

“Sì, scherza pure, ma hai rischiato la vita.” Affermò Altea senza ironia, rialzando su di lui il profondo sguardo.

E Patroclo si sentì travolgere dalla marea; fino a quella mattina credeva impossibile provare tanta attrazione per una persona, ed ora era lì, a fremere, a bramare un contatto anche minimo con la pelle di lei. La fanciulla lo fissava, come se il suo sguardo lo potesse tagliare in due, e lui sentiva un calore crescere nelle sue viscere, e quella sensazione conosciuta al basso ventre… Eccitarsi per uno sguardo freddo era proprio da scemi, ma avvertiva, percepiva il fuoco in fondo a quegl’occhi…

“Sei coraggiosa.” Riuscì soltanto a dire, mentre cercava di controllare le reazioni del proprio corpo; lei roteò gli occhi, poi sbuffò annoiata.

“Mettiti una cosa in testa, presunto ateniese.” Gli disse continuando a fissarlo. “Io non sono come le mie sorelle, perciò ti conviene cambiare aria.” Aggiunse minacciosa, scotendosi i capelli dalla fronte con alterigia. Patroclo le sorrise dolcemente.

Ci mancava soltanto questo finto ateniese impertinente! La sua vita era già abbastanza complicata così, cercando di mantenere sempre il controllo, soffocando gli istinti e la sua natura, senza poter soddisfare i desideri, sfogare le inclinazioni. Ma che cosa voleva? Perché quello sguardo… quello sguardo pieno di desiderio? Era qui per farle la corte? Non aveva idea di cosa l’aspettava…

“Presunto ateniese?” Chiese il ragazzo dopo un po’, cambiando espressione all’improvviso.

“Sì, e secondo me non siete neanche mercanti.” Rispose Altea; lo sguardo di Patroclo si fece leggermente preoccupato.

“E cosa te lo fa pensare?”

“Basta guardarti, non indossi abiti sfarzosi, com’è in uso ai mercanti, sei magro e muscoloso, di solito sono grassi, e poi… né tu né il tuo compare avete un accento ateniese.” Spiegò serissima; il ragazzo trasse un profondo sospiro: aveva ragione.

“Sei attenta ai particolari…” Mormorò.

“Hm…” Sospirò lei, stringendosi nelle spalle, poi si piegò e raccolse il cesto con le spezie. Patroclo, riprendendosi improvvisamente dallo stupore, le si avvicinò subito. Quale occasione migliore?

“Posso aiutarti?” Si offrì, mettendo le mani sulle sue, intorno al bordo del cesto; lei gli lanciò un’occhiata di rabbia incendiaria, strappando violentemente il canestro e le mani dalla presa del giovane.

“Non credo.” Rispose, cercando di non far capire la sua rabbia; dopo un ultimo sguardo offeso si allontanò, rientrando in casa.

Patroclo rimase immobile nell’orto, ancora sbalordito da quella donna, dal suo carattere, dalla sua decisione, dalle sensazioni inspiegabili che gli faceva provare, dall’attrazione incontrollabile che provava per lei, e preda dei battiti accelerati del suo cuore, che gli pulsava in gola. Il ragazzo si guardò le mani; riusciva ancora a sentire la morbidezza della sua pelle di madreperla…

 

“Ehm…” Sospirò Patroclo appoggiato allo stipite della finestra da cui si vedeva anche il mare; Ulisse gli lanciò un’occhiata d’ironico sospetto, mentre l’altro perdeva lo sguardo nell’orizzonte.

“Perché sospiri?” Gli chiese poi.

“Sono stato nell’orto, e ho parlato con Altea…” Terminò la risposta con un altro sospiro.

“Spero per te che non ti abbia lanciato qualche ortaggio andato a male!” Affermò ridendo l’uomo.

“Oh, Ulisse non scherzare!” Ribatté il ragazzo buttandosi sul letto. “Lei è così… così…”

“Corazzata!” Patroclo gli rivolse un’occhiata tra il divertito e l’offeso.

“Smettila! È vero che non ha un carattere proprio malleabile, ma è molto intelligente.” Rispose l’altro, rialzandosi in piedi e dandogli le spalle. “Ha capito che non siamo ateniesi…” Non vide il volto di Ulisse, mentre pronunciava quelle parole.

“Cosa?!” Esclamò l’uomo, facendolo voltare di scatto. “Come ha fatto?” Domandò poi; il giovane lo osservava stupito.

“Mi sono meravigliato anch’io.” Rispose dopo un attimo di smarrimento. “Sostiene che non abbiamo l’accento ateniese, e poi ha anche capito che non siamo mercanti, perché non siamo grassi, pensa!” Ulisse non seguiva più le parole intrise d’entusiasmo di Patroclo, ora era assorto nei suoi pensieri e si reggeva il mento, misurando la stanza con i passi. “Qualcosa non va?” Chiese timidamente il ragazzo, vedendolo così assorto; Ulisse rialzò lo sguardo sull’amico, con aria seria.

“Non innamorarti di quella ragazza, Patroclo.” Gli consigliò; l’altro gli rivolse un grosso sorriso, poi si gettò supino sul letto, alzando lo sguardo sognante sul soffitto.

“Troppo tardi, sono già innamorato…” Mormorò rapito da un’immagine che vedeva solo lui.

Non dovevo portarlo con me, spero che non sia un errore irreparabile. Atena guidami tu, mia dea… si disse il re di Itaca.

 

Il mattino era splendente, ma non c’era nessuno in giro, quando Patroclo uscì nel cortile; era stupido negare che si era alzato così presto solo nella speranza di vederla, ma il giardino era vuoto. Il ragazzo uscì allora nel parco esterno alla casa, dominato da grandi pini; poiché lei non c’era, sarebbe stato meglio fare un po’ d’esercizio, o magari una nuotata. La sua attenzione fu però attirata da un piccolo particolare.

Uno dei pini, molto frondoso, formava con i rami una specie di culla; lì, tra le fronde verdeggianti, stava accoccolata una figura vestita d’azzurro: era sicuramente lei; chi altro avrebbe potuto nascondersi in un posto simile? Patroclo ringraziò i suoi sensi sviluppati da soldato, per essere riuscito a notare quel lembo di stoffa azzurra tra i rami del grosso pino. Decise immediatamente di raggiungerla.

Era decisamente il rumore di qualcuno che saliva, che violava il suo posto preferito; addio alla riflessione quotidiana, alla pausa della mente, erano riusciti a disturbare anche lì. Roteò gli occhi, quando vide spuntare la testa dai bei capelli castani del suo spasimante. Eppure era carino, ma perché non andava a cercarsi una ragazza come si deve?!

Il ragazzo si issò su un ramo dirimpetto a quello su cui stava lei, ma decisamente meno robusto, facendo scuotere tutta la pianta. Altea sospirò esasperata: che doveva fare con questo tizio? Lui le sorrideva soddisfatto.

“Scendi di lì, non vedi che quel ramo è troppo fragile per reggere il tuo peso?” Fu la prima cosa che gli disse.

“Ma no.” Rispose lui, mentre valutava al tatto la consistenza del suo sedile. “Regge benissimo.”

“Fai un po’ come ti pare.” Sbottò la ragazza, voltando il capo dall’altra parte.

“Ti disturbo?” Le chiese.

“Sì!” Rispose subito Altea, tornando a guardarlo.

“Dai, sono sicuro che non è vero! Te ne stai sempre per conto tuo, avrai voglia di scambiare quattro parole…”

“Ma tu non sei esattamente ciò che sceglierei.”

“Certo che hai la risposta pronta!”

“Più pronta del tuo cervello, comunque, che non ha ancora capito che non è aria.” Patroclo adorava come gli rispondeva per le rime, con quella sua voce che risvegliava istinti e appetiti inconfessabili.

“Eh sai, non sono molto sveglio in certe cose…” Ribatté malizioso.

“Questo lo avevo capito.” Uno scricchiolio preoccupante li distrasse dalla loro discussione, facendogli portare gli occhi sul ramo di Patroclo. “Io te lo avevo detto…” Non fece in tempo a finire la frase che il ramo si spezzò, facendo cadere nel vuoto il giovane, sotto lo sguardo divertito della fanciulla.

Quando Altea scese dal pino trovò Patroclo ancora a terra, dolorante. Cominciò a ridergli in faccia, incurante dei lamenti di dolore del ragazzo, che tentava invano di alzarsi.

“Aiutami…” La supplicò, con quello sguardo da cucciolo indifeso che piaceva tanto alle donne; per tutta risposta lei gli sorrise malignamente.

“Ma non ci penso neanche… Ahahahah!” Ricominciò invece a ridere, con le mani sui fianchi. Gli faceva rabbia, quella sua risata crudele, ma il suo volto… quando rideva era come se s’illuminasse. Meravigliosa e distaccata come una dea; il cuore di Patroclo ricominciò a battere più veloce, e non a causa della caduta.

“Ci vediamo… ateniese!” Lo salutò ironica, e sempre ridendo prese ad allontanarsi.

“Sei crudele!” Le gridò il ragazzo.

“Oh, sì, lo sono.” Rispose soddisfatta Altea, girandosi solo per guardarlo negl’occhi mentre glielo diceva.

Patroclo sbuffò deluso, preparandosi ad alzarsi da solo, e continuando a seguire l’andatura elegante della fanciulla che rientrava nel cortile interno.

“Oh, Patroclo ti sei fatto male?!” Un coro di voci preoccupate lo circondò in un attimo, mentre era ancora concentrato su Altea; si ritrovo accerchiato dalle sue sorelle, con sguardi e sorrisi apprensivi sui volti.

“No, grazie, sto bene…” Mormorò il ragazzo, massaggiandosi il sedere. “Ho solo un po’ male alla schiena, sapete la caduta…”

“Non preoccuparti di nulla, ora ci pensiamo noi a te…” Lo interruppe una voce, mentre le ragazze lo aiutavano a sollevarsi.

“Ora ti facciamo un bel massaggio…” Disse un’altra voce. “…così la smetti di pensare a quella strega di Altea…” Le figlie di Licomede lo trascinarono con sé.

 

La scoperta che nella casa c’era un bagno termale fu interessante; soprattutto per come passò il tempo in quella particolare stanza della dimora. L’aria era impregnata di vapore, i marmi candidi rendevano tutto limpido e le fanciulle, con i fini abiti aderenti al corpo per l’umidità, erano uno spettacolo veramente educativo.

Lo spogliarono completamente e lo fecero stendere su un giaciglio, evidentemente fatto apposta per i massaggi; poi cominciarono a frizionargli la schiena con oli profumati

“Hmmm…” Patroclo socchiuse gli occhi, sospirando al piacere di quei movimenti di mani sul suo corpo; le dita delle ragazze erano fresche, delicate e… ardite… non temevano, infatti, di avventurarsi nei punti più nascosti del suo corpo, ed erano particolarmente “stimolanti” quando raggiungevano l’interno delle cosce, l’incavo alla fine della schiena, le natiche…

Lo stavano toccando in una maniera che non lasciava adito a dubbi sulle loro intenzioni; gli ultimi sparirono quando cominciò a sentire anche delle labbra, che si aggiungevano alle mani.

“Perché non ti volti?” Gli suggerì una voce melodiosa e maliziosa. “Il massaggio non ti farà male nemmeno lì.” Anzi! Pensò il giovane. È proprio lì che mi farà bene! E si voltò, riaprendo gli occhi solo per vedersi sovrastato da decine di fanciulle dagl’occhi vogliosi, con i capelli madidi ed i vestiti resi trasparenti dall’umidità appiccicati ai seni turgidi. Convinto di essere, ormai, nei campi elisi, Patroclo rilasciò la testa dai lunghi capelli castani all’indietro, rilassandosi e riabbassando le palpebre.

Le mani delle ragazze ricominciarono subito ad esplorare il suo corpo: il collo, il torace, l’addome muscoloso, le gambe… e il resto…

La situazione cominciava a farsi notevolmente eccitante: mani, bocche, dita su di lui, il calore del vapore, il profumo degl’oli e delle fanciulle… Non riuscì a capire mai se fossero state più di una, a toccare, baciare, addirittura mordicchiare la sua intimità, ma ricordava bene di aver emesso più di un gemito di piacere.

Perse totalmente la cognizione del tempo, visse quei momenti in uno stato di limbo; quando uscì dalla sauna gli si leggeva la beatitudine sul volto. Pensò che gli ci sarebbe voluto tutti i giorni un “massaggio” simile.

Ulisse lo incontrò nel cortile, mentre usciva di casa e gli rivolse un’occhiata curiosa, sorridendo, divertito dall’espressione del compagno di viaggio.

“Che ti è successo, sembri molto rilassato.” Gli chiese.

“Le figlie di Licomede mi hanno fatto un massaggio…” L’altro alzò le sopracciglia, trattenendo un sorriso.

“Anche la tua Altea?” Ipotizzò Ulisse.

“No, lei no.” Rispose serio il ragazzo, ma tornò subito all’espressione beata.

“Tanto mi sa che sono bastate le altre…” Patroclo annuì profondamente sorridendo.

“A proposito, sai lei dov’è?” Domandò poi all’amico.

“Mi hanno detto che nel pomeriggio va ad assistere una vecchia zia…” Dichiarò dubbioso Ulisse.

“Oh! E’ anche generosa!” Esclamò il fortunato giovane, tornando a pensare al suo prezioso bene. “E’ stupenda!”

“Ascoltami, cerca di tornare con i piedi per terra, io mi devo assentare per qualche ora, non voglio che combini qualcosa.” Lo mise in guardia l’uomo.

“Sta tranquillo, per oggi ho già fatto troppo.”

“Sembra anche a me, perciò occhi aperti.” Patroclo annuì con aria responsabile, ma una vocina raccomandava ad Ulisse di essere prudente.

 

Il tramonto infiammava già il cielo d’occidente, facendo baluginare il mare all’orizzonte; il colore del cielo e della terra si confondevano, mentre si rilassava tra le onde.

Nuotare era una cosa meravigliosa, quella che amava di più; immergersi nell’acqua trasparente e calda della sera riconciliava la mente col corpo. Nuotare, sforzare i muscoli nell’acqua fino a sentirsi scomparire tra la schiuma, fino a perdere il contatto con la realtà, riportava alla pace come nient’altro. La vita era una frustrazione continua, mai si poteva realizzare i desideri, essere se stessi, essere accettati per ciò che si è, non assecondare la necessità di altri di trasformati in ciò che non sei. Il mare era un’altra cosa, nel mare tutto è più puro, semplice, solo il tuo corpo nudo e l’acqua, e la sensazione di pace.

Quella nuotata solitaria era il momento più bello delle sue giornate, con la libertà di pensare a nulla; anche se quel giorno non riusciva a vuotare del tutto la mente. Il pensiero tornava su quel ragazzo impertinente, che l’osservava con una sfrontatezza infantile ed un sorriso disarmante, nonostante le sue risposte sprezzanti; era testardo, molto testardo, ma era innegabile che fosse anche simpatico. Che stupido! Si ritrovò a ridere, ed a bere, quando un’onda gli colpì la faccia.

I suoi vestiti erano ormai asciutti quando raggiunse il sentiero che portava alla casa di Licomede; portava con sé un cesto, che alla partenza era pieno di dolci, lasciati all’ospite. Non lo vide subito, era appoggiato ad un pino lungo il vialetto; se lo trovò davanti all’improvviso.

“Ciao!” La salutò allegro; Altea prese un lungo respiro.

“Non mi avrai aspettato?” Chiese la fanciulla, con tono adirato.

“Non ti arrabbiare subito…” La blandì Patroclo.

“Non sono arrabbiata, solo non riesco a comprendere come tu non capisca che con me non hai speranze.” Rispose lei.

“E perché non dovrei averne?” Lui continuava a sorriderle; aveva un bel volto, dalle linee morbide, pelle olivastra, lunghi e corposi capelli castani, e due grandi e vellutati occhi scuri.

“Sei caparbio, eh?” Sbottò Altea, superandolo. “Lasciami stare, io non faccio per te, credimi.” Aggiunse senza guardarlo, mentre procedeva verso la casa.

“Secondo me, invece, un po’ ti piaccio…” Ipotizzò Patroclo, serio.

“Illuditi pure, se ti fa piacere.” Dichiarò lei, senza fermarsi, con tono spietato. Riusciva a fargli perdere il controllo, ma stavolta non lo avrebbe mollato lì, come le altre volte. La raggiunse in pochi passi.

Successe tutto in pochi istanti: una stretta forte che la fece girare, il cesto per terra, una mano sul suo collo, due labbra sulle sue… un bacio estremamente sensuale… una lingua che si fece spazio nella sua bocca, piccoli morsi e saliva sulle labbra. Gli occhi rimasero spalancati dallo stupore, era il suo primo bacio…

La fanciulla spinse via Patroclo con forza, mandandolo a sbattere contro un albero, poi gli rivolse uno sguardo offeso, stupito e… impaurito. Il ragazzo stava per scusarsi, ma lei fuggì veloce verso casa, e lui si rese conto di essersi dato la zappa sui piedi.

 

“Temo di aver fatto una cosa molto stupida.” Affermò Patroclo; Ulisse si girò subito verso il ragazzo, maledicendo la sua voce interiore.

“Non può essere più stupida di quella di stamattina…” Si augurò l’uomo, rivolto più a se stesso che all’amico.

“Lo è, credimi.” Rispose mesto il giovane.

“Sentiamo che cosa hai combinato.” Affermò rassegnato Ulisse, mentre Patroclo gli sedeva di fronte.

“Ho baciato Altea.” Dichiarò senza preamboli il ragazzo; l’espressione dell’altro rimase fissa, imperscrutabile, per un lungo momento.

“Hai fatto una cosa davvero molto, molto, stupida.” Gli confermò poi sicuro.

“Grazie, questo lo sapevo…” Mormorò Patroclo reggendosi la fronte.

“Ma non per il motivo che credi tu.” Continuò Ulisse; il ragazzo gli rivolse un’occhiata interrogativa. “Sarà meglio che non ci giri tanto intorno, tanto se devi sconvolgerti.”

“Aspetta un momento, che cosa stai cercando di dirmi?” Domandò preoccupato Patroclo.

“Sto cercando di dirti che se tu avessi ragionato di più con la mente, e meno con il basso ventre, ti saresti reso conto da solo che quella ragazza non era da corteggiare.” Gli rispose ironico Ulisse.

“Ulisse…” Sussurrò sempre più preoccupato il giovane.

“Patroclo, quella ragazza non è una ragazza, bensì il guerriero che stavamo cercando, Altea è il Pelide Achille!” Gli urlò in faccia. “E sarebbe bastata un po’ di logica per capirlo, visto come vive, sempre isolata, senza condividere le scorribande erotiche delle sorelle.” Patroclo si guardava intorno, con aria smarrita.

“Tu come… lo hai…”

“L’ho osservata, ascoltata, ho guardato bene il suo corpo… Non l’hai abbracciata, vero?” Il ragazzo negò col capo. “Sennò ti saresti accorto che non ha il seno, né la vita sottile.” Patroclo si passava nervosamente una mano sulla nuca. “Poi mi sono informato. Sai chi vive dall’altra parte dell’isola, dove lei va il pomeriggio?” Il ragazzo negò di nuovo. “Non la sua vecchia zia, ma bensì suo padre Peleo, colui che lo ha addestrato alle armi, come previsto da Atena.” Le parole di Ulisse lo stavano turbando, ma riusciva ancora a sentire il sapore delle sue labbra, morbide labbra.

“Io… io…” I suoi occhi, i suoi capelli, la sua pelle, il suo bacio… Gli girava un po’ la testa.

“E’ ora che io riprenda in mano le cose.” Affermò Ulisse, poi si avvicinò e prese il ragazzo per le spalle, scuotendolo. “Tu, domani lo seguirai, senza farti vedere, e mi riferirai tutto. Capito? CAPITO?!” Patroclo annuì, ancora un po’ stranito. “Bene, ora fattici una dormita sopra.” Gli ordinò, indicandogli il letto.

 

Dormire quella notte fu impossibile, e anche passare quella mattinata; non vide Altea… non vide Achille per tutta la mattina, e nemmeno a pranzo, come svanito nel nulla. La fortuna lo assisté nel primo pomeriggio; lo vide uscire di soppiatto dal portoncino laterale, e lo seguì con prudenza.

Era strano come, ora che sapeva la verità, riuscisse a notare particolari che la sua infatuazione gli aveva impedito di scoprire prima: le spalle larghe, la mascella volitiva, le mani decisamente troppo grandi per una donna, ma non c’era nulla da fare, la sua bellezza restava immutata, e anzi, acquistava un fascino particolare.

Achille raggiunse una casa isolata, situata su uno strapiombo sul mare, protetta da fitti arbusti; Patroclo rimase nascosto tra i cespugli mentre l’altro salutava un uomo robusto e affascinante, probabilmente suo padre, avevano lo stesso profilo.

Il giovane si spogliò dei suoi abiti femminili, togliendo a Patroclo l’ultimo dubbio sul suo sesso, lasciandosi solo un peplo a coprire i genitali. Era decisamente un uomo, oltretutto dotato di una muscolatura di tutto rispetto. Ecco spiegata la facilità con cui lo aveva sbattuto contro l’albero.

Il resto del pomeriggio passò tra allenamenti con la spada, con la lancia, esercizi per potenziare le gambe, corsa; il Pelide s’impegnava con costanza, ed era bravo, specialmente con la spada.

Patroclo, osservando i suoi muscoli imperlati di sudore, si rese conto che il fatto di sapere che era un maschio non attenuava minimamente l’attrazione provata nei suoi confronti; così, nella sua vera veste, impegnato in attività consone a se, era ancora più bello, si leggeva l’entusiasmo nei suoi meravigliosi occhi di mare, sorrideva soddisfatto. Sorrise, vedendolo così, anche colui che lo spiava.

C’era mai stato qualcosa, o qualcuno, che gli avesse fatto battere il cuore più forte? Si trovò ad incitarlo silenziosamente, mentre il padre ordinava ai suoi uomini di attaccarlo tutti insieme; avrebbe voluto gridare e saltare di gioia, quando Achille se ne liberò in pochi istanti.

Ora capiva cos’era quel fuoco nel suo sguardo, era la virtù guerriera, la voglia di combattere, la passione di chi era stato costretto a rinunciare alla sua natura, alle sue attitudini.

Non gli interessava, non gli importava un accidente, se era un uomo; aveva gli stessi occhi, lo stesso volto, la stessa voce, di cui si era infatuato, era la stessa persona, che differenza faceva qual’era il suo sesso?

L’addestramento finì, Achille salutò suo padre e gli altri uomini che lo avevano aiutato, poi raccolse le sue cose e lasciò la casa; naturalmente Patroclo lo seguì.

Seguì un’altra strada per il ritorno, e si fermò ad una spiaggetta isolata, circondata da aguzzi scogli scuri; lì si spogliò completamente e si gettò in acqua, cominciando a nuotare con foga.

Ha ancora parecchia energia, per aver affrontato quel duro allenamento. Pensò l’altro giovane, che l’osservava da dietro gli scogli. Patroclo era titubante, aveva promesso ad Ulisse di non farsi vedere, ma qualcosa gli diceva che doveva essere sincero con Achille, o avrebbe compromesso l’amicizia che poteva nascere. E quell’amicizia contava molto per lui. Scese lentamente dagli scogli e camminò sulla spiaggia, fino agli abiti di Achille, fermandosi accanto ad essi.

Il ragazzo in acqua si accorse di lui solo quando decise di uscirne, mentre il tramonto già infuocava la spiaggia; venne fuori dalle onde con estrema naturalezza. Patroclo non aveva mai visto niente di più bello: i lunghi capelli bagnati aderivano come alghe alla sua pelle candida, il fisico magro ed i muscoli perfetti erano imperlati di piccole gocce d’acqua, che il sole faceva brillare come gioielli. Le divinità marine dovevano essere così. Achille lo guardò con espressione seria.

“Beh?” Gli disse; Patroclo era immobile davanti a lui, davanti al suo corpo nudo.

“Cosa?” Riuscì solo a rispondere, distogliendo gli occhi di scatto da quello splendido spettacolo.

“Ora sarai pentito di avermi baciato.” Dichiarò risoluto Achille, con la sua bella voce bassa.

“No.” Rispose l’altro, ed era la verità.

“Sapevi che ero un uomo?” Gli chiese, mentre si toglieva i capelli bagnati dal petto.

“No, te lo giuro, l’ho saputo solo ieri notte.”

“E non sei pentito…” Achille evitava di guardarlo negl’occhi, stava cercando di valutare la sua sincerità dal tono di voce.

“Mentirei se lo dicessi, ma mi dispiace, sono dispiaciuto di quello che ho fatto, ma non sono pentito.” Rispose ancora una volta Patroclo; l’altro lo guardò negl’occhi e lo giudicò sincero.

“Perché siete qui?” Altra domanda.

“Non posso dirtelo…” Lo sguardo del Pelide divenne freddo, poi cominciò ad avanzare verso il ragazzo.

“Che cosa fai? Aspetta un attimo…” Lo aveva praticamente addosso, e quegl’occhi cominciavano a fargli paura; si ritrovò con le spalle contro gli scogli. Achille lo afferrò per la veste, sollevandolo con entrambe le mani, lo spinse contro le rocce. “Lasciami…” Implorò il ragazzo.

“Dimmi perché siete qui.” Insisté l’altro, con aria truce; faceva veramente paura, Patroclo cominciava a pensare di avere davanti davvero un guerriero.

“Cercavamo te, Ulisse dice che lo ha mandato Atena…” Affermò il giovane in un sussurro.

“Atena?” Patroclo annuì, reggendosi ai polsi di Achille; il Pelide lo lasciò andare e lui cadde sulla sabbia, tossendo violentemente. “Ho capito, lui sa della predizione delle Moire.” Dichiarò Achille, dandogli le spalle.

“La… predizione delle… Moire?” Balbettò allibito Patroclo.

“Sì.” Rispose Achille, iniziando a raccontare. “Le Moire predissero a mia madre che sarei divenuto un guerriero più forte di mio padre, ma che se avessi scelto la vita dell’eroe sarei morto presto. Le davano un’alternativa, però…” Continuò. “Sarei vissuto a lungo, e in pace, se avessi scelto di condurre una vita anonima, lontana dai clamori della gloria…” Patroclo cominciava a capire perché la madre aveva costretto Achille a nascondersi tra le figlie di Licomede.

“Per questo ti nascondi?” Domandò il ragazzo; l’altro si voltò con espressione rabbiosa.

“Io non mi nascondo, lo faccio solo per mia madre, essa teme per la mia vita!” Gli rispose gridando.

“Ma ti infiammi subito, accidenti a te.” Ribatté Patroclo massaggiandosi il collo. “Non volevo insultarti, è solo che ti ho visto combattere oggi, e non mi sembra che il tuo stile di vita ti piaccia troppo… o non saresti sempre di cattivo umore…” Achille lo fulminò con gli occhi, ma lui non si spaventò, anzi gli sorrise.

“Cosa ne vuoi sapere tu…” Provò a protestare, indebolito dal sorriso disarmante di Patroclo. “A mia madre si spezzerebbe il cuore, se decidessi di seguirvi.” Aggiunse, abbassando lo sguardo.

“E’ una dea, non morirebbe certo per quello…” Achille rialzò gli occhi e stavolta Patroclo si spaventò davvero.

Il pugno che gli arrivò sulla faccia fu violento e lo fece cadere a terra; Patroclo si pulì il sangue che gli era uscito dal labbro col dorso della mano, poi reagì. Si alzò e si gettò addosso ad Achille, sbattendolo a terra e colpendolo con un paio di pugni sul volto; l’altro lo fermò, afferrandogli le braccia lo spinse, scansandolo da se, poi gli mollò una ginocchiata nello stomaco. Patroclo ruzzolò sulla sabbia, ma non ebbe il tempo di riprendersi, perché Achille gli era già sopra e gli mollava altri pugni al viso; il ragazzo dovette fare un grosso sforzo per toglierselo di dosso. Cominciarono a rotolare sulla sabbia, continuando a picchiarsi; arrivarono fino al bagnasciuga, l’acqua salata faceva bruciare le ferite. Non dissero una parola, si picchiarono fino al crepuscolo, sulla riva del mare.

 

Arrivarono a casa a notte fonda, doloranti e stanchissimi, sostenendosi a vicenda; fortunatamente non li vide nessuno, dormivano già tutti. Entrambi si sentivano stranamente leggeri, come se si fossero tolti un peso dalla coscienza; si salutarono e, appena toccato il letto, si addormentarono pesantemente.

 

“Patroclo!” Una voce si ostinava a chiamarlo ed una mano a scuoterlo, provocandogli dei dolori lancinanti; c’era luce nella stanza, ma lui si ostinava a non voler sollevare le palpebre.

“Mh…” Mugolò il ragazzo, stentando ad aprire gli occhi. “Cosa c’è…”

“Svegliati.” Era decisamente la voce di Ulisse; Patroclo si voltò, sollevandosi leggermente su un gomito. “Santi Numi! Ma che t’è successo?!” Domandò allibito l’uomo, trovandosi davanti la faccia pesta del giovane.

“Non è niente, ma non toccarmi che mi duole tutto.” Rispose biascicando il giovane.

“Ascolta, cosa hai scoperto ieri?” Gli chiese allora, in fondo era quello che gli premeva.

“Avevi ragione tu, va da suo padre ad allenarsi, ci passa tutto il pomeriggio, poi si fa una nuotata in mare e torna a casa.” Gli raccontò Patroclo.

“Ti ha picchiato lui?” Domandò insospettito Ulisse; il ragazzo lo scrutò pensoso.

“No, lungo la strada mi hanno aggredito, mi sono saltati addosso in tre, mi hanno pestato, poi siccome non avevo denaro se ne sono andati.” Gli parve di essere stato convincente, ma con Ulisse non si poteva essere mai sicuri; dal suo viso non si poteva dedurre cosa pensasse.

“Hum…” Rispose soltanto l’amico. “Presto lo faremo scoprire, non abbiamo più molto tempo.” Dichiarò poi risoluto.

“Ulisse, non possiamo andare contro la sua volontà…” Mormorò incerto Patroclo.

“Non ho detto questo, e tu cerca di farti passare l’infatuazione, è controproducente.” Ribatté prontamente l’altro, alzandosi ed uscendo dalla stanza.

Patroclo scese dalla sua stanza sul tardi, quella mattina; era ancora molto indolenzito. Mangiò un po’ di pane e latte in cucina, evitando le dolci padroncine di casa, non si sentiva in animo quel giorno; poi uscì in giardino. Achille stava annaffiando le piante, come tutte le mattine; il giovane si avvicinò, l’altro si voltò quando lo sentì. Patroclo spalancò gli occhi sbalordito vedendolo: solo pochi sbiaditi segni sul suo viso, niente ferite ancora brucianti o grossi lividi sulla sua pelle bianca.

“Cosa… Dove sono finiti i pugni che ti ho dato?!” Gli chiese poi allibito.

“Non conosci il mito?” Gli rispose noncurante lui, tornando ad occuparsi dei fiori. “Io sono invulnerabile, le ferite sul mio corpo non durano che poche ore, specie se le bagno con l’acqua di mare.” Aggiunse.

“Bella storia, io battuto come un tamburo e tu fresco come una rosa!” Sbottò il giovane. “Senza contare che ne hai prese almeno quanto me.” Precisò; Achille si voltò con un sorrisetto sarcastico.

“Scusa, ma non mi pare proprio…” Insinuò.

“E invece sì!” Esclamò l’altro offeso.

“Io te ne ho date almeno il doppio!” Sbottò allora la falsa fanciulla.

“Sì, come no…” Replicò ironico Patroclo. “Ma se ti ho fatto nero!”

“Non mi sembra…” Affermò Achille, carezzandosi il bel volto, su cui era visibile appena un’ombra vicino all’occhio sinistro.

“Grazie! Semidio dei miei calzari!” Gridò arrabbiato Patroclo.

“Non offendere!” Ma, a stento tratteneva le risate, davanti alla faccia impermalita del ragazzo; il sorriso gli stava già increspando le labbra. Quando l’altro se ne accorse smise di lamentarsi e lo fissò negl’occhi, poi entrambi scoppiarono a ridere.

Ulisse si fermò sul porticato, aguzzando la vista, la scena era alquanto preoccupante: sotto un oleandro dai fiori cremisi, Patroclo ed Achille ridevano come bambini, tenendosi per le spalle… Allora, il suo compagno di viaggio non gliela aveva raccontata giusta…

 

Il pentimento era uno stato d’animo interessante, decisamente; in special modo quando ti trovi davanti allo sguardo truce che non avresti mai immaginato su un volto tanto angelico. Lui era pentito di aver accettato di seguirlo al suo addestramento quotidiano, pur immaginando che gli avrebbe chiesto di affrontarsi con la spada o altro; ogni colpo che parava con lo scudo era come una martellata sulle costole, ancora contuse dalla scazzottata del giorno prima. Il dolore lo stava facendo piangere, fortunatamente il copioso sudore copriva le lacrime.

Achille era una furia, potente, preciso, furbo, impossibile riuscire ad evitare tutti i suoi colpi; lo costringeva ad espedienti da codardi o a mosse non troppo ortodosse, ma era comunque difficile. Faceva sul serio, e lui che aveva pensato sarebbe stato solo uno scontro amichevole…

Il clangore delle spade che si scontravano con gli scudi stava aumentando, Achille, da qualche momento, aveva intensificato la sua azione, e Patroclo si rendeva conto di non poter resistere a lungo. Gli occhi dell’avversario erano straniati, pareva che non lo vedessero nemmeno, annebbiati dalla foga della lotta; il ragazzo cominciava ad avere paura. Peleo li osservava da un angolo, con aria severa e assorta.

Ora combattevano tra gli alberi, Patroclo sperava che attirandolo lì avrebbe avuto un vantaggio, proteggendosi tra i rami bassi, ma non era stato sufficiente a frenare l’impeto dell’avversario. Achille lo spingeva con i suoi colpi, facendolo indietreggiare sempre più, finché Patroclo non cadde all’indietro, inciampando in una radice. L’altro ragazzo, però, non si fermò, continuando a colpire con veemenza il suo scudo.

Paura, terrore allo stato puro; che cosa poteva diventare Achille con una spada in mano? Come poteva dimenticare quello che erano diventati? Erano amici… Ma non era in se, e poteva ucciderlo ora.

“Basta! Fermati!” Tentò il ragazzo, ma niente. “Fermati! Basta, BASTA!!” Finalmente il suo grido sortì un qualche effetto: Achille si bloccò con la spada sollevata in aria.

Patroclo rimase fermo a terra, con lo scudo sul petto, respirando affannosamente; altrettanto faceva Achille, in piedi sopra di lui. Gli occhi del Pelide ritornarono normali, sembrava stesse recuperando il controllo; dopo qualche istante, infatti, gli rivolse uno sguardo sorpreso e imbarazzato, poi si allontanò di qualche metro, dandogli le spalle. Il ragazzo a terra lo seguì con gli occhi, poi rivolse un’occhiata offesa a Peleo, che lo aveva convinto ad affrontare il figlio, in seguito si alzò, sfilandosi lo scudo dal braccio e scaraventandolo a terra e, reggendosi l’addome, s’incamminò nel bosco.

 

Non sapeva quanto tempo potesse essere passato, sapeva solo di aver vomitato vicino ad un leccio; aveva dolori ovunque, era stata l'esperienza più traumatica della sua vita.

Adesso era in piedi, con la spalla appoggiata ad un vecchio pino dal tronco contorto, e pensava che probabilmente la storia di Achille era troppo più grande di lui, perché riuscisse a capirla in pieno; certo capire come si poteva sentire un semidio invulnerabile, destinato a diventare un eroe, ma costretto a vivere travestito da donna, non era un'impresa semplice…

Sentì qualcosa di morbido sfiorargli la schiena nuda, si voltò e vide Achille con uno sguardo dispiaciuto; Patroclo sospirò, poi serrò la mascella. Non sapeva se provava rabbia o delusione, sicuramente un brivido gli percorse la pelle, quando la mano dell'altro si spostò sulle sue spalle.

"Stai bene?" Gli domandò Achille.

"No." Rispose secco lui, senza guardarlo.

"Mi dispiace… io…" Tentò di giustificarsi il Pelide.

"Lascia stare, non dire nulla." Lo interruppe bruscamente Patroclo. "Credo che non riuscirei a capire, quindi è meglio che… Comunque..." Si girò verso di lui e lo guardò negli occhi. "Promettimi una cosa." Achille annuì. "Se mai dovessimo scontrarci ancora, ti prego, cerca di non perdere il controllo, va bene?"

"D'accordo." Rispose il ragazzo dagli occhi blu oceano, chinando il capo. "Scusami di nuovo."

"Ti scuso." Patroclo tornò a scrutare l'orizzonte.

"Vieni con me, ho qualcosa che ti può far diminuire il dolore." Il ragazzo gli lanciò un'occhiata poco convinta. "Eddai, non fare il sospettoso!" Lo rimproverò Achille sorridendo.

"Mi posso fidare?"

"Ma sì!" Dichiarò l'altro dandogli una pacca sulla spalla.

"Ahhhhhhh! Ma sei impazzito!" Gridò Patroclo, piegandosi in due dal dolore, mentre si teneva la spalla.

"Ora non esagerare..."

"Non sto esagerando, parli bene tu..."

"Dai, andiamo." Achille gli porse la mano, per aiutarlo; una volta che Patroclo si fu alzato, l'altro gli fece passare un braccio intorno alle sue spalle e lo sostenne per la vita, aiutandolo a camminare.

 

Mai avrebbe pensato di guardare un uomo come guardava lui adesso; la causa non era certo il vapore che emanava dalla vasca di acqua calda in cui stava languendo. Achille era seduto sul largo bordo di marmo bianco, fissando chissà cosa, con i gomiti posati sulle ginocchia piegate; il suo corpo perfetto era, in quel momento, l'unico paesaggio interessante. Magnifico corpo, e pensare che mai avrebbe immaginato di usare tale aggettivo per un corpo che non fosse di donna... effettivamente, ancora, lui pensava che le donne fossero magnifiche, ma non come lui...

"Perché mi hai fatto fare il bagno?" Gli domandò; quel silenzio gli faceva venire troppi pensieri contrastanti.

"Così la tua pelle si ammorbidisce, e l'unguento si assorbirà più velocemente." Rispose Achille, voltandosi verso di lui.

"Ah..."

"Adesso esci e siediti sul bordo." Gli ordinò poi, mentre lui prendeva qualcosa da una credenza; Patroclo ubbidì. "Ecco qua." Achille gli mostrò un piccolo vaso decorato.

"Puzza?" Chiese il ragazzo storcendo il naso.

"No, anzi." Rispose l'altro.

"Allora... dove devo darmela?" Domandò poi, rassegnandosi.

"E' meglio se faccio io." Dichiarò Achille, mentre apriva il vasetto; Patroclo cominciò immediatamente a preoccuparsi.

Guardò le bianche, lunghe dita di Achille, prelevare un po' di unguento dal vaso, poi le seguì nel loro spostamento, finché non toccarono, calde, la sua pelle e cominciarono un delicato movimento rotatorio sulla sua spalla dolorante. I battiti del suo cuore subirono una leggera accelerazione, mentre le mani di Achille percorrevano la sua schiena e le braccia, gli era talmente vicino da sentirne il respiro. Che mi succede? Credevo fosse passato...

"Potresti spostare il braccio? Così non posso raggiungere l'addome."

"S... sì... ecco, forse se mi sposto in questo modo..." Balbettò Patroclo in preda ai brividi; poi passò il braccio destro oltre la testa di Achille, il quale alzò il capo. Si ritrovarono con i volti a pochi centimetri l'uno dall'altro, in una posizione decisamente compromettente...

Si fissarono negli occhi per qualche secondo, poi Patroclo prese un respiro e Achille chinò nuovamente gli occhi, come per riprendere il suo lavoro.

"E' meglio se continui da solo." Disse però, all'improvviso, alzandosi. "Tanto hai capito come si fa." Aggiunse allontanandosi e lasciando il vasetto dell'unguento vicino al ragazzo.

Patroclo sospirò intensamente, poi abbassò gli occhi, e si accorse del motivo per cui Achille se ne era andato tanto di fretta... Se avesse potuto, in quel momento, sarebbe morto dall'imbarazzo...

 

"Qualcosa non va?" Domandò Peleo al figlio, che aveva raggiunto sulla scogliera.

"No." Rispose ermetico Achille, guardando il mare.

"Non mentirmi, vieni sempre qui quando sei turbato, quel ragazzo ti ha detto qualcosa..."

"Non è successo nulla, padre." Lo interruppe lui senza guardarlo; l'uomo gli posò una mano sulle spalle.

"Non temere." Gli disse poi. "E' normale avere dei dubbi, quando si è giovani, col tempo passerà. Presto riuscirai a vederlo solo come un amico." Achille alzò sul padre uno sguardo sorpreso: lui aveva capito veramente il suo turbamento. L'uomo annuì sorridendo, poi si allontanò, lasciandolo solo.

Ciò che lo preoccupava non era tanto il sapere che Patroclo provava dell'attrazione per lui, del resto non glielo aveva certo tenuto nascosto, ma il fatto che lui stesso fosse attratto dal giovane; fatto accertato dal piacere provato nello spalmargli sulla pelle l'unguento curativo, ma soprattutto dal suo repentino allontanamento, quando si era accorto che, con i suoi movimenti sensuali, non aveva risvegliato solo l'eccitazione dell'amico, ma anche la sua...

Aveva avuto paura, per la prima volta nella sua vita. Paura di un desiderio sconosciuto, terrore del baratro rappresentato da quelle labbra leggermente aperte... Lui non aveva mai desiderato una donna, ma nemmeno un uomo, se era per quello... semplicemente certe cose non lo interessavano, le riteneva un fardello inutile, assegnato dagli dei all'umanità solo per renderla più simile a loro, adatte soltanto a distrarre da problemi molto più importanti. Ma ora... era apparso lui...

Forse era vero, quel mito in cui si dice che un tempo gli uomini erano creature formate da due esseri, che furono divisi, e da allora si cercano, ma spesso non si trovano; chissà, forse lui e Patroclo...

Scosse la testa, poi diede un ultimo sguardo al mare, accorgendosi che era ora di tornare a casa; diede le spalle all'orizzonte e s'incamminò verso la costruzione.

 

CONTINUA

 

Ho diviso la storia in due capitoli per comodità, ma pubblicherò il resto a giorni. Fatemi sapere cosa ne pensate!

 

   
 
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