QUEL GIORNO CHE SALTO' IN ARIA L'APETTO
"Proseguo il mio racconto narrando la nostra prossima vicenda: un abitante del paese portava il nome di Franco, e faceva il fruttivendolo. Stranamente-per quanto facesse un lavoro modesto- possedeva una porche nera di lusso, che sfoggiava con sicurezza e sopratuttò con vanità, visto che si credeva superiore agli altri.
E guai a chi osava contraddirlo: infatti nessuno conosceva il suo nome completo. Gentil. signore Franco Corleone, ex-boss mafioso nonchè capo più potente nella storia dei Corleonesi. Ora si era ritirato a vita privata, ma era sempre un tipo pericoloso.
Stà di fatto che-con tutti gli attentati che aveva fatto-gli era rimasto il vizio di far esplodere le vetture: quello sventurato giorno toccò all'apetto di Michele. Ricordo ancora quando l'aveva cosparso di benzia e gli aveva dato fuoco: abbiamo visto fin da subito le fiamme che lo ricoprivano.
Michele è uscito dalla locanda lì affianco: -Porco *** che cazzo è successo?! -urlò mettendosi le mani sulla testa. Le fiamme continuavano a crepitare, divorando l'apetto: -Ma chi è quell'emerita merda che l'ha fatto?!
Nel frattempo, vidimo correre verso l'auto il pompiere, con un secchio della spazzatura pieno d'acqua fra le mani. -Aoh Francesco. non fà cazzate! -gli urlò Michele.
-Tranquillo, ci penso io! -gridò lui, rovesciando il contenuto del secchio sul mezzo. Le fiamme parvero spegnersi, poi una fiammata ancora più alta divampò avovlgendo in un attimo la vettura.
Il pompiere prese una goccia del liquido e l'annusò: -Benzina? Oh cazzo...-mormorò, rendendosi conto dell'errore appena commesso. Fu un attimo: l'apetto fece un
Francesco imprecava sottovoce, Michele se ne stava con gli occhi sgranati e le labbra tremolanti, pallido in volto. Da quel giorno, non sono Michele iniziò a parlare facendo aderire la lingua alla bocca e allungando il suono delle parole, ma ogni giorno, alle due del pomeriggio, si posizionò sempre nello stesso punto della sua casa, davanti alla finestra, a fissare Francesco indicandolo con il dito, e ripetendogli sempre la stessa frase: -Pooooompiere, tu m'hai distrutt' l'apett', e mò m'el devi arpagà! "
E si conclude qui il nostro secondo capitolo: vedo che questa raccolta non è molto gradita, ma dato che è breve voglio terminarla. Nulla da dire, nel prossimo racconto vedremo lo sfortunato incidente di Ferdinando.
Arrivederci a tutti!