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Autore: Marziolin    23/06/2011    10 recensioni
Sono i nostri ricordi, le nostre esperienze passate a renderci quello che siamo oggi.
Questa era una delle frasi preferite di mio padre.
Quando ero poco più di un ragazzino, adoravo sedermi sul tappeto ai piedi della poltrona accanto al camino, dove mio padre era solito leggere il giornale.
Ogni sera, quando rientrava dal lavoro, si sedeva su quella poltrona verde scuro, esausto come non mai, chiudeva gli occhi e si abbandonava ai suoi pensieri.”
[Colin Canon]
Prima classificata al contest "Find your Inspiration" di Jules_Black e vincitrice del premio stile.
Prima classificata al contest "La mia Perla Edita" di .Pad. e vincitrice del premio stile.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Colin Canon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Nick Autore (sul forum e su EFP):  MissBlackspots
Titolo: L’attimo per sempre
Personaggi: Colin Canon
Pacchetto scelto: Ricordo
Genere: Introspettivo, generale.
Rating: Verde
Avvertimenti: One Shot
NdA (eventuali): Con questa storia navigo prettamente in acque inesplorate. È la prima volta che scrivo su Colin Canon, nonostante lo apprezzi come personaggio. Il titolo vuole indicare il valore di una fotografia, ossia un istante di una vita che è immortalato per sempre, rimanendo tale per l’eternità. Tengo a precisare che questa storia è assolutamente un esperimento, spero di non essere andata fuori tema.
 

L’attimo per sempre

 

Cos'è un ricordo?
Qualcosa che hai o qualcosa che hai perso per sempre?
(Woody Allen)


Sono i nostri ricordi, le nostre esperienze passate a renderci quello che siamo oggi.
Questa era una delle frasi preferite di mio padre.
Quando ero poco più di un ragazzino, adoravo sedermi sul tappeto ai piedi della poltrona accanto al camino, dove mio padre era solito leggere il giornale.
Ogni sera, quando rientrava dal lavoro, si sedeva su quella poltrona verde scuro, esausto come non mai, chiudeva gli occhi e si abbandonava ai suoi pensieri.
Quando poi riapriva le palpebre e si destava dal suo attimo di pausa, abbassava lo sguardo verso di me e mi sorrideva come solo lui sapeva fare.
C’erano volte, specialmente nelle gelide serate invernali che Londra regalava ai suoi abitanti, in cui mio padre decideva di prestare poca attenzione al suo giornale o ai suoi numerosissimi libri e mi dedicava il suo tempo.
Mi ricordo che amava parlarmi dei suoi trascorsi, di tutti i viaggi che aveva fatto durante la sua vita, delle sue avventure, dei suoi amici e dei suoi amori.
Ascoltavo le sue parole come fossero acqua nel deserto, pronte a colmare quella sete di curiosità che da sempre avevo e che, con l’aumentare degli anni, cresceva sempre più.
La mia storia preferita però, non raccontava di un viaggio o rocambolesche avventure; non era nulla di eccezionale, ma io l’adoravo.
La prima volta che me la narrò era il mio undicesimo compleanno. L’autunno stava per giungere al termine, abdicando a favore del rigido inverno.
Quel giorno io e mio padre eravamo andati a fare un giro in centro, mentre mio fratello era rimasto a casa con la mamma.
La giornata era abbastanza fredda, ma non m’importava. Mio padre aveva preso un giorno di ferie dal lavoro per stare con me; ero il bambino più felice del mondo.
La mattina uscimmo presto da casa, decisi a evitare il traffico dell’ora di punta.
Quando finalmente arrivammo a Londra, mio padre mi propose di andare a fare un giro per i negozi; in fin dei conti era il mio compleanno e lui era deciso a farmi un bel regalo. Nonostante ciò, nulla di quello che vedevo mi attirava davvero.
All’ora di pranzo andammo in un ristorante poco distante dalla confusione cittadina, dove io e mio padre eravamo soliti mangiare fin da quando ero un bambino.
Passammo il tempo a parlare della scuola, del suo lavoro e di tutto ciò che ci riguardava da vicino, come fossimo due amici più che padre e figlio.
Terminato il pranzo, papà propose di andare a fare una passeggiata in un parco poco vicino.
Mentre camminavamo tra gli alberi spogli, il vento iniziava a calmarsi.
Dopo qualche centinaia di metri, trovammo una panchina libera, vicino a una piccola fontana da cui sgorgava acqua cristallina.
Stavamo per sederci quando si avvicinò a noi un giovane ragazzo.
Teneva in mano una macchina fotografica, legata al collo tramite un lungo laccio nero. Sorridendo, chiese a mio padre se poteva scattare una foto a lui e il suo gruppo di amici, che lo aspettavano poco più avanti. Mio padre annuì, prendendo tra le mani la fotocamera. Il giovane raggiunse gli amici e, dopo essersi messi in posa, si lasciarono fotografare. Una luce abbagliante uscì dalla macchina fotografica, facendo chiudere gli occhi ai ragazzi che risero entusiasti. Il giovane ringraziò mio padre, il quale rispose con cortesia e si sedette finalmente vicino a me, mentre il vociare dei giovani andava via via allontanandosi.
-Papà, ma perché ogni volta che si scatta una foto dalla macchina fotografica esce un flash? A cosa serve?- chiesi, osservando i ragazzi da lontano.
-Oh, è un dettaglio prettamente tecnico- rispose con semplicità.
-Cioè?
-Insomma, serve per non far venire le foto scure, altrimenti non si vedrebbe nulla, non credi anche tu?- mi chiese, osservandomi di sottecchi.
-Oh bene.
-Effettivamente…- iniziò mio padre.
-Effettivamente cosa?- chiesi guardandolo dal basso verso l’alto.
-Mi è sempre piaciuto pensare al flash in un ambito diverso da quello tecnico.- disse. Lo guardai perplesso, esortandolo a continuare. –Insomma, hai presente che quando clicchi per scattare la foto, il flash ci mette un secondo prima di uscire dalla macchina fotografica? Ho sempre pensato che quell’attimo, quel momento in cui il flash acceca i soggetti della fotografia, rappresenti la cattura di un momento. Un momento che non tornerà. È come se il flash chiamasse a sé tutta la luce di quell’istante, sovrastandola, come a dire “ehi, tu ci sei solo adesso, mentre io durerò per sempre”. Non so se riesco a spiegarmi- disse infine, imbarazzato.
-Non proprio,- confermai –ma forse sono io che non ci capisco nulla.
-Oh no Colin, forse sono io che penso troppo. Magari un giorno, capirai.


Restammo qualche momento in silenzio, con il soffiare del vento che si accompagnava allo scorrere del traffico.
-Sai Colin,- iniziò mio padre guardando fisso davanti a sé –quando avevo circa la tua età avevo una macchina fotografica molto simile a quella del ragazzo. Era il mio oggetto preferito-
-Davvero papà?- domandai, addentando lo zucchero filato che avevamo comprato poco prima.
-Si, certo –confermò con tono sereno -Me la comprò mio padre per come regalo di Natale. Sinceramente, non so perché acquistò proprio una macchina fotografica; forse perché era convinto che i ricordi andassero conservati non solo nella memoria, ma in maniera più pratica. In fondo, cosa c’è di più evocativo di una fotografia?- disse, guardando verso di me e aprendosi in uno dei suoi candidi sorrisi.
-Non saprei…- risposi esitante, messo in soggezione da quelle domande che mi erano estranee.
-Insomma, non credi anche tu che le fotografie siano pezzi della nostra vita? Guarda…- disse, mettendo il braccio dietro la schiena e tirando fuori dalla tasca dei pantaloni scuri il suo portafoglio. Lo aprì e iniziò a cercare nei vari scomparti, finché non trovò quelle che desiderava –Vedi questo ragazzo? Quello accanto all’albero?- mi domandò, mostrandomi una vecchia foto in bianco e nero; era tutta stropicciata e con varie screpolature. –Questo qui sono io,- mi disse, indicando un ragazzo con il cappello in testa e un sorriso ampio sul volto –questo accanto a me invece –aggiunse - è Jesse.
-Non lo conosco, chi è?- chiesi, con la tipica curiosità di un ragazzino della mia età.
Mio padre sospirò, riposando la foto al sicuro, dentro il portafoglio –Era il mio migliore amico.
-Era? Cos’è successo?- domandai, sempre più preso dalla storia.
-Ha avuto un incidente quando aveva ventisette anni- mi disse con aria cupa; probabilmente pensare a quel giorno ancora gli faceva male.
-Mi dispiace papà- risposi, realmente affranto.
-Oh dai, non pensiamoci adesso- sorrise mio padre, con un’alzata di spalle –Quello che volevo farti capire è che, anche se Jesse non c’è più, io mantengo il suo ricordo. Magari con il tempo potrei non ricordarmi le sfumature che assumevano i suoi capelli al sole, o il modo in cui storceva il naso quando non gli piaceva qualcosa. La memoria umana è fragile, Colin, ed è soggetta a mutamenti. Una fotografia invece sarà sempre la stessa, anche a distanza di decenni. Nulla cancellerà quel ricordo, quel piccolo pezzo della tua vita.
-Ehi papà,- dissi, dopo aver assimilato le sue parole –credo di aver deciso cosa voglio come regalo di compleanno.


Quando rientrammo a casa, era ormai sera inoltrata.
Mia madre mi accolse con un abbraccio, aiutandomi a togliere il cappotto. Mio fratello più piccolo invece mi venne accanto e, mettendosi in punta di piedi, mi diede un piccolo bacio sulla guancia, sussurrando un allegro “Buon compleanno, fratellone”.
-Allora, dove sono andati i miei ragazzi oggi, a fare compere?- chiese mia madre, incominciando ad apparecchiare la tavola.
-Esattamente, tesoro- rispose mio padre, afferrando i piatti che mia madre gli porgeva.
-E cosa avete comprato?- domandò curiosa.
-Tra poco lo vedrai- disse mio padre, facendomi un cenno.
Prontamente, andai in salotto, portando mio fratello con me.
-Ehi Dennis, dammi una mano- dissi, esortando il piccolo di casa a prendere una sedia poco vicina.
-Cosa devi fare Colin?- domandò, trascinando la sedia fino a me.
-Lascia fare a me- gli risposi, guardandomi intorno soddisfatto –Vammi a chiamare papà e mamma, Dennis-
-Vacci tu!- protestò mio fratello.
-Per favore piccoletto- dissi, sorridendo. Dennis sbuffò, incamminandosi verso la cucina.
Pochi secondi dopo tornò indietro, e con lui c’erano sia mia madre sia mio padre.
-Cosa c’è Colin?- domando mia madre perplessa –E perché quella sedia è vicina al divano?
-Perché Dennis è ancora troppo basso!-
-Ehi!- protestò il mio fratellino.
-Non puoi negarlo, microbo- risposi, scompigliandogli i capelli.
-Troppo basso per cosa? Che cosa stai combinando, Colin?- domandò mia madre sospettosa.
-Allora, mamma e papà, voi mettetevi lì, e tu Dennis, sali sulla sedia.- dissi io, ignorandola –Io torno tra un momento.
Mia madre guardò con aria perplessa papà, che rispose con una complice alzata di spalle.
-Eccomi.- dissi rientrando in salotto, tenendo in mano la mia nuova macchina fotografica. –E ora, fate un bel sorriso!- esordii, poggiando la macchinetta fotografica sul mobile accanto a me e correndo per raggiungere la mia famiglia.
Un flash uscì dalla camera, accecando tutti i presenti, seguito da un sonoro “click”.
Avevo scattato la mia prima foto.


Adesso riguardo con nostalgia quella vecchia fotografia che ritrae me e la mia famiglia.
Un sorriso sereno ci dipinge le labbra, mentre ci abbracciamo saldamente, come se da quell’abbraccio dipendesse la nostra vita.
Mio padre e mia madre sorridono mestamente, mentre io e mio fratello ci esibiamo in una perfetta linguaccia.
Sorrido, ripensando a quei giorni.
Mi alzo dal tappeto, proprio ai piedi della poltrona vicino al camino della Sala Comune; sarò anche cresciuto, ma l’abitudine di sedermi per terra non cambierà mai.
Guardo un’ultima volta la foto, quando una voce alle mie spalle mi sorprende, facendomi sobbalzare -Ehi Colin, hai sentito la notizia?
-Idiota- rispondo, mettendomi una mano sul cuore –mi hai quasi fatto prendere un colpo Dennis!- rispondo a mio fratello, che si era come materializzato alle mie spalle.
-Sei troppo sensibile, fratellone!- risponde, allargando le braccia in un gesto esasperato.
-Comunque no, cosa è successo?- domando incuriosito.
-A quanto pare Harry Potter e i suoi amici sono riusciti a entrare alla Gringott, e ne sono usciti a cavallo di un drago!-
-Cosa?- esclamo sorpreso.
-Si! Me l’ha appena detto Neville, non credi sia grandioso? Ce la sta facendo Colin, stiamo vincendo! Presto o tardi, questa dannata guerra sarà finita!- esclama euforico.
Sorrido, scompigliandogli i capelli come quando eravamo bambini, non senza una lieve protesta da parte sua.
-Speriamo sia la volta buona- rispondo.
-Lo sarà. Nessuno dovrà più rimetterci per questa guerra. Tu-Sai-Chi la pagherà, ne sono certo.
-Lo spero davvero Dennis. Ma adesso andiamo,- dico, cingendogli le spalle –ho una fame pazzesca.
-Come se fosse una novità- risponde Dennis borbottando, dandomi una piccola botta sulla spalla.
Stiamo per oltrepassare il buco del ritratto quando, volgendomi indietro, individuo la fotografia sulla poltrona.
-Tu vai avanti, ti raggiungo subito.- gli dico, fermandomi.
-Prima dici che hai fame, poi ti fermi. Sei proprio strano, Colin.- afferma Dennis, scuotendo la testa con fare affranto, come per prendermi in giro. –Ci vediamo giù.
Aspetto che Dennis oltrepassi il ritratto e poi torno indietro, afferrando la foto tra le dita.
“Questa guerra finirà presto, non è solo un’utopia” penso, riponendo la fotografia nella tasca della divisa.


Corri a perdifiato nei corridoi della scuola, bacchetta alla mano e sguardo vigile.
Ti aspettavi di dover combattere prima o poi, ma mai ti saresti aspettato che quel giorno sarebbe stato così vicino.
Vedi uno studente di Corvonero a terra, mentre un Mangiamorte lo sovrasta. Senza pensarci un attimo, punti la bacchetta verso di lui e lo schianti talmente forte da mandarlo a sbattere contro la parete, facendogli perdere conoscenza. Porgi la mano al ragazzo, che a fatica si alza.
-Andiamo- lo esorti, cingendogli la vita per aiutarlo a camminare –Forza, bisogna sbrigarsi!-
Iniziate a procedere a passo più svelto, mentre i suoni della battaglia raggiungono le tue orecchie.
Infili la mano libera nella tasca della divisa, tastando un pezzo di carta.
La fotografia della tua famiglia è lì, dove l’hai messa l’ultima volta.
La stringi saldamente, come a non volerla lasciare andare.
Serri per un momento gli occhi, prendendo un gran respiro.
Puoi farcela, ti ripeti.


L’aria calda di fine giugno forma una cappa sopra i presenti, rendendo loro difficile respirare.
Le lacrime offuscano gli occhi della coppia in prima fila, accompagnata da un ragazzo di circa quindici anni.
Una tomba bianca spicca in mezzo al verde, mentre la luce colpisce di taglio la lapide.
L’uomo in prima fila si avvicina, le spalle che si muovono in maniera irregolare.
S’inginocchia davanti alla tomba, infilando la mano nella tasca della camicia blu che indossa quel giorno, estraendone una fotografia.
È la stessa che tu, poco tempo prima, stringevi tra le mani.
Piangendo, la guarda; una lacrima sfiora la superficie.
L’uomo si asciuga con il braccio le lacrime che scendono copiose, prima di poggiare la fotografia sulla lapide, lì dove una macchinetta fotografica faceva già bella mostra.

 

 

 

 


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Salve gente!
Sono così felice che ho gli occhi a cuoricino, ve lo dico.
Perché?
Semplicemente perché, per la prima volta, sono arrivata prima ad un contest!
Qui sotto riporto il giudizio della giudicia (la storia ovviamente è stata modificata con le opportune correzioni), spero possa piacervi!
Alla prossima, Marzia.

Find your inspiration- Contest

I CLASSIFICATA

MissBlackspots- “L’attimo per sempre”

Stile: 10/10 punti
Grammatica: 8/10 punti
Caratterizzazione dei personaggi: 10/10 punti
Originalità: 9/10 punti
Gradimento personale: 5/5
Punti bonus prompt:5/5
Punti bonus citazione: 2/2
49/52

Cara Sister, come forse sai, le persone si posso odiare per tanti motivi diversi. Perché ti hanno fatto un torto enorme, perché ti hanno trattato male, perché si sono prese una parte importante del tuo cuore senza restituirtela o perché hanno scritto una storia meravigliosa, lasciando senza ritegno la giudiciA a chiedersi se aveva senso continuare a piangere. Andiamo con ordine, però. Se potessi dire qualcosa sulle stile sarebbe solo che vorrei anche io scrivere così. E non mi pare che quel 10 debba trovare più di tanto giustificazioni, dato che tutta la tua storia è scritta in maniera magistrale. La grammatica presenta qualche imperfezione che, però, ha influito sul punteggio in maniera, se consideriamo tutto il complesso, un po’ pesante. Specialmente, non capisco per quale motivo, tu abbia sbagliato alcuni tempi verbali nel terzultimo paragrafo. Mentre i due finali ho capito che sono stati scritti in seconda persona per pura scelta stilistica, nel terzultimo ci sono un paio di verbi che fanno a pugni con il resto.

"-Come se fosse una novità- risponde Dennis borbottando, dandomi una piccola botta sulla spalla.
Stiamo per oltrepassare il buco del ritratto quando, volgendomi indietro, individuo la fotografia sulla poltrona.
-Tu vai avanti, ti raggiungo subito. - gli dici, fermandoti.
-Prima dici che hai fame, poi ti fermi. Sei proprio strano, Colin.- afferma Dennis, scuotendo la testa con fare affranto, come per prendermi in giro. –Ci vediamo giù.
Aspetto che Dennis oltrepassi il ritratto e poi torno indietro, afferrando la foto tra le dita.
Questa guerra finirà presto, non è solo un’utopia” pensi, riponendo la fotografia nella tasca della divisa.”

Inoltre, la punteggiatura nei dialoghi non è sempre perfetta. Hai inserito alcune maiuscole dove non andava e mancato qualche virgola. Errori accettabili, considerato la lunghezza della one-shot. Per il resto, non credo ci sia problemi. Sapevo che non avevi mai scritto niente su Colin, ma, allo stesso tempo, ero certa che non mi avresti mai deluso. Sister, mi hai reso una fontana! Altro che il fluff dell’altro giorno, questa storia mi ha spezzato il cuore. Mi dispiace averti dovuto togliere un misero punto in originalità, ma, in tutta franchezza, mi sarei aspettata un fine diversa, meno stereotipata. Per il resto, sono stata decisamente rapita dai personaggi, dalle parole, dalle situazioni. Colin è cresciuto ed, ahimè, morto davanti ai miei occhi lucidi. E tu, tu ti sei meritata questo primo posto come non mai! Sister, bravissima.

 Premio stile: A MissBlackspots, perché non l'ho mai vista più in forma di così!

1a Classificata a pari merito:

L’attimo per sempre.
 

Grammatica e Punteggiatura:20/20
Stile:10/10
Originalità:15/15
Caratterizzazione:10/10
Gradimento personale:15/15


E’ diventato uno sport nazionale farmi piangere? No, chiedo.
Tutto perfetto: non ho notato errori in grammatica o virgole fuori posto in punteggiatura;
l’originalità a questa storia non manca di certo: ho letto un po’ si storie su questo personaggio e alcune, devo dire, sono andate a finire sulla orribile spiaggia della banalità;
la caratterizzazione dei personaggi è ottima, complimenti.
Il gradimento personale, ovviamente, è al massimo (voglio essere risarcita per la quantità industriale di fazzoletti che ho usato). Ho apprezzato molto l’acquisto della sua macchina fotografica che si ricollega al racconto del padre.

   
 
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