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Autore: White Gundam    26/06/2011    1 recensioni
[Sesta classificata al contest "Di fiori e paesaggi" indetto da My Pride]
Le rose, simbolo dell'amore, e i crisantemi, simbolo della morte, diventano per Sosuke un unico ricordo per la sua amata.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ROSE E CRISANTEMI
 
Sosuke si avvicinò al marmo bianco e posò gentilmente le sue dita sulla scritta che vi era sopra la lapide. Tastò con leggerezza il nome e il cognome della fanciulla che vi era sepolta, il suo fido bastone da kendo appoggiato alla fredda pietra color della neve.
Mentre leggeva per l’ennesima volta quel nome sentì gli occhi pizzicargli con forza. Persino il suo occhio guercio sembrava prudere a causa delle lacrime, ma mentre dall’altro sarebbero scese, da lì, Sosuke questo lo sapeva bene, non se ne sarebbero mai andate.
Sospirò, carezzando ancora la gelida pietra, come cercando quel calore che non sarebbe mai tornato, perso per sempre insieme alla vita di lei.
Il giovane universitario sentì il suo cuore sobbalzare mentre, al ritmo di un triste canto funebre, i suoi ricordi tornavano a quell’estate e all’unico viaggio che avevano mai fatto insieme.
Non si erano allontanati poi molto dal Giappone e in fondo non era nemmeno una vacanza; Sosuke era andato a quel tempio Shaolin per un raduno di Kendo e lei l’aveva semplicemente accompagnato.
Il ricordo fece stringere la gola del giovane in maniera talmente forte che egli si accorse di faticare persino nel respiro, mentre le immagini diventavano nitide e il ricordo assumeva la forma della realtà.
Si trovavano su di una barca sul lago dinnanzi al tempio, doveva essere pressappoco ora di pranzo perché il sole risplendeva alto nel cielo e lui non era impegnato nei suoi allenamenti. La barca, candida quasi quanto la lapide che era ora la dimora della ragazza che egli aveva tanto sinceramente amato, veniva riflessa dal sole nell’acqua sottostante. Sosuke ricordava bene quella barca e il suo biancheggiare quasi doloroso per il suo occhio sano sotto il sole luminoso; era una barca in legno, rivestita con la vernice e uno denso strato di lacca da poco applicato, il cui odore bruciava nelle sue narici.
La piccola imbarcazione scivolava dolcemente sull’acqua e sembrava sfiorare appena la superficie liquida del lago dove il sole si bagnava sino a diventare quasi una macchia di luce simile a Dio. E sopra la barca c’erano loro. Senza alcuno sforzo di memoria, Sosuke ricordava esattamente il vestito primaverile di lei, bianco anch’esso, a mezze maniche e finemente ricamato con rose e altri fiori che la sua scarsa esperienza di botanica non gli permetteva di identificare. Le stava davvero bene quel vestito, a prescindere dal fatto che ella fosse una modella.
Di sé stesso invece ricordava ben poco, non sapeva nemmeno se era vestito in abiti quotidiani o nella sua classica divisa da praticante del kendo quale egli era. Solo una cosa ricordava con sicurezza, il suo fido bastone che egli usava giocosamente come un remo.
“Che bello che è qui.”
Aveva detto lei, volgendo il suo sguardo al grande albero le cui radici si trovavano in fondo al lago. Lui aveva sorriso, senza rispondere.
“Dovremmo tornarci una volta, magari solo noi due.”
Aveva aggiunto la ragazza dopo qualche secondo di esitazione; lui aveva voltato il viso dall’altro lato per nascondere il rossore che sentiva avvampargli sulle guancie.
“Ti piace davvero?”
Aveva chiesto, maledicendo sé stesso per quel ti piace al posto del ti piaccio che avrebbe voluto chiederle. Lei aveva annuito e aveva riso:
“A te no?”
La sua domanda era arrivata talmente veloce che lui non aveva saputo nemmeno cosa rispondere e si era deciso semplicemente per un movimento affermativo del capo.
Poi era rimasto lì, a guardarla sorridere, giurando a sé stesso che non avrebbe mai potuto scordare quel momento ed, infine, l’aveva vista tuffarsi in acqua, con una grazia che lui non aveva mai visto addosso a nessuno.
Ricordava il suo vestito bagnato, che si appiccicava al suo corpo, lasciandogli immaginare le sue forme e il suo seno; ricordava il suo volto in fiamme mentre fingeva di non guardarla e i suoi sorrisi; ricordava le sue risa divertite e le sue richieste di raggiungerla in acqua cui lui non aveva acconsentito.
Poi lei era salita sulla barca, tendendogli le mani per farsi aiutare e lui le aveva detto l’unica frase ben riuscita che fosse mai uscita dalla sua bocca:
“Non potrei vivere senza di te.”
Lo sforzo che aveva fatto per superare l’imbarazzo che lo paralizzava era riuscito a malapena a permettergli quel bisbiglio soffocato, ma in qualche modo l’aveva attratta.
“Vorrei stare con te.”
Gli aveva detto e lui aveva sentito la testa girargli e il cuore pulsargli in ogni parte del corpo; non era riuscito a fare altro che annuire ed a stringerla a sé, col terrore di romperla, di spezzarla con la sua forza.
E invece, non era stato lui a romperla ma, in fondo, la sua forza non era servita nemmeno a proteggerla.
Sosuke permise al suo occhio sano di lasciar scendere le lacrime che aveva cercato di reprimere. Quanto tempo era passato dalla sua morte, ormai? Quasi un anno, eppure, nonostante la sua frase lui era ancora lì, vivo e sano, a parte per l’occhio guercio che si portava addosso ormai da anni.
“Pensavo che non sarei stato in grado di vivere nemmeno un giorno senza di te, ma in qualche modo sono riuscito a vivere più del previsto.”
Mormorò a bassa voce, la sua mano tremante strinse più forte il mazzo di crisantemi che le aveva portato, spezzandone i gambi.
“Ti amo.”
Mormorò a bassa voce, appoggiando i fiori accanto alla lapide e maledicendo in silenzio la sua timidezza che gli aveva imposto che la sua dichiarazione fosse accompagnata invece che dalle rose dell’amore, dai crisantemi della morte.
   
 
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