La me stessa che
non voglio ricordare
Tu starai sempre
con me, vero?
Sentendo
quelle parole, Elliot ebbe bisogno di inspirare profondamente e fare appello a
tutta la propria pazienza: di testardi ne aveva incontrati molti finora, ma –
parola sua – Bezarius li batteva veramente tutti. Anche chi era mosso
dall’orgoglio o spinto dal desiderio di vendetta prima o poi,
irrimediabilmente, veniva fermato dal buon senso di fronte ad una situazione
pericolosa. Al contrario, Oz era mosso da sentimenti teoricamente più deboli,
ma nemmeno l’eventualità di essere ferito anche in maniera piuttosto seria
sembrava preoccuparlo o costituire un impedimento per lui.
«…Elliot?» tentò il biondo, preoccupato dell’improvviso e
totale silenzio che aveva sostituito il naturale sbraitare dell’altro che si
era aspettato. Tuttavia, la sua preoccupazione non era destinata a durare a
lungo: uno scappellotto si abbatté implacabile sulla sua testa, e ad esso seguì
la voce di Elliot in risposta all’istintivo «Ahi, ma perché?!» sfuggito ad Oz.
«Mi
snervi!» sbottò l’altro ad alta voce: «Ogni volta che parliamo finisci col
blaterare a proposito di Glen Baskerville, come se non ti avessi già fatto
capire come la penso sulla faccenda. Me lo fai apposta?!»
Oz
rimase per un attimo imbambolato a quelle parole; fino ad allora, a dire il
vero, non ci aveva mai badato ma quello che diceva Elliot era vero. Da quando
aveva iniziato a parlare di Glen quasi solo con lui? Ma perché poi? Ci pensò
per la prima volta: forse in parte era stato per la morte di Alyster, l’unica
con cui ne aveva discusso senza sentirsi ogni volta sotto esame.
Forse
era stato anche perché sapere che Elliot, seppur da bambino, lo aveva
incontrato aveva reso il castano qualcuno con cui condividere qualcosa che si
era tenuta nascosta a tutti gli altri. Sì, doveva essere proprio quello il
punto.
Elliot
era l’unica persona per la quale Glen Baskerville non era solo il nome di un
morto o uno spirito che nessun altro aveva mai visto oltre lui.
Si
portò una mano alla nuca con fare un po’ impacciato ed Elliot rabbrividì: non
era mai un bene se uno con la faccia di bronzo di Bezarius faceva il timido.
«Beh,
che c’è?!» lo incalzò, un po’ sgarbato in realtà.
Oz
abbozzò un sorrisetto: «È che non ci avevo mai pensato. Lo avevo…
sempre fatto istintivamente. Però è vero che sono quasi sempre finito a
parlarne con te.» diede voce al ragionamento appena concluso nella propria
testa. Elliot sospirò quasi esasperato, iniziando a perdere il filo: «E quindi?»
«Grazie.»
disse solo Oz, sincero.
Toccò
ad Elliot sorprendersi, ma durò molto meno; portò lo sguardo a vagare per la
stanza e si limitò a mettere su una specie di broncio, limitando la risposta ad
un burbero: «Tch. Non che avessi altra scelta a parte ascoltarti.» proprio
tipico di lui.
«Ad
ogni modo non è questo il punto.» riprese subito il castano, ritrovando una sua
compostezza: «Devi veramente piantarla con questa storia. Anche se hai buone
intenzioni, credi davvero che dopo l’avvertimento che ti ha dato Glen starebbe
ad aspettare che gli spieghi la situazione? Che poi, più che avvertimento
immagino suonasse molto più come una minaccia.» aggiunse non senza una leggera
ironia. Oz si morse nervosamente il labbro inferiore, conscio che Elliot avesse
ragione almeno in parte.
«Lo
so, però…» altro scappellotto: «E questo per
cos’era?!» sbottò portando la mano a massaggiare la parte lesa. Ma Elliot non
sembrava affatto dispiaciuto: «È perché continui a cercare una scappatoia! “È
così, ma…”, “Hai ragione, però…”,
però un corno!» gli sbraitò di nuovo contro.
«Non
ci sarà alcun “se” o “ma” che terrà se andrai di nuovo di fronte a Glen
Baskerville. Ti stai facendo l’idea che quell’uomo sarà preso da un momento di
comprensione, ma è un’idea totalmente sbagliata! Per non dire folle. Una
persona che non ha esitato un solo istante ad uccidersi non ha paura della
morte e non ha nulla da perdere. E tu pensi davvero che uno così avrebbe degli
scrupoli? È già tanto che ti abbia risparmiato ben due volte!» esclamò.
Oz
avrebbe mentito se avesse detto che trovava le parole di Elliot delle idiozie
prive di fondamenta, o che non aveva
sentito una sensazione di paura attanagliargli lo stomaco in presenza di Glen.
Tuttavia, dopo aver finalmente compreso i sentimenti di Jack, non voleva
nemmeno lasciare nulla di intentato.
«Io
non posso rinunciare tanto facilmente.» mormorò «Non dico che hai torto, ma
anche Glen aveva un profondo affetto per Jack. Se gli dico che è un suo messaggio…»
«Sei davvero così ingenuo da credere a quello
che stai dicendo?» lo interruppe Elliot, lo sguardo incredulo su di lui. Oz si
sentì preso in giro, ed assunse un’espressione quasi indispettita.
«Come
puoi essere sicuro del contrario invece?» rimbrottò, fissandolo.
«Cos’è,
hai dimenticato chi ha trovato Glen Baskerville morto?» rimbeccò sardonico
Elliot: «O la parola mia e di Gilbert non basta?!» alzò la voce, iniziando a
perdere completamente quel briciolo di calma mantenuto – chissà come – fino a
quel momento.
«Tu… e Gil?» fece eco Oz, perplesso. Elliot sgranò appena
gli occhi: mai se l’era lasciato
sfuggire con qualcuno. Persino Reo lo aveva saputo molto tempo dopo essere
diventato il suo servitore.
«Ah… quello…» iniziò il castano,
ma Oz non seppe dire se fosse per dirgli cosa intendeva o per smentirlo. In
quell’istante la porta si aprì, rivelando Reo e Noah, il primo rimasto
evidentemente fuori per tutto quel tempo, l’altro con il fiatone. Vedendo Oz
sveglio e con un colorito umano, Keynes si ritrovò fra il felice, il sollevato
e l’imprecazione probabilmente dovuta al polmone perso nella corsa che si era
fatto – e aveva trovato l’infermeria vuota. Maledetta vecchia.
In
silenzio percorse con Reo il corridoio per poter tornare alla propria stanza.
Il moro non aveva chiesto nulla riguardo la presunta conversazione tra lui e il
biondo – di cui certamente doveva essergli arrivato qualche stralcio se era
rimasto per tutto il tempo fuori dalla stanza – né di cosa portasse Elliot a
chiudersi ora in quel silenzio meditabondo.
Nel
mentre, nella mente del castano tornavano di tanto in tanto le parole
pronunciate da lui stesso, quell’ammissione sulla presenza di Gilbert al
ritrovamento del corpo di Glen. Aveva finto di averlo dimenticato, come se il
trauma l’avesse rimosso dalla sua memoria, in un modo simile a quello in cui
Gilbert era stato colpito dall’amnesia qualche anno prima. In quel modo,
evitare di parlarne era stato facile; persino col Duca Nightray, che vantava
non poco ascendente sul suo figlio minore.
Perdonatemi padre, aveva mormorato mortificato,
non riesco a ricordare.
Ma in
realtà non aveva mai dimenticato. E d’altra parte come avrebbe potuto, se
quello scenario tornava a fargli visita in sogno quasi periodicamente?
Entra quasi senza pensare,
senza badare troppo a quale stanza sia – quella casa è immensa, e lui ci entra
per la prima volta. Perciò non fa caso al fatto che si trova nell’ala privata,
dove ci sono le stanze del padrone e della famiglia Baskerville.
Entra, e se fosse un adulto
istintivamente guarderebbe la stanza nell’insieme: ma Elliot dopotutto è solo
un bambino ancora, e dell’accortezza di un adulto non sa nulla. Lui è preso dal
magnifico pianoforte sulla sinistra, e quasi incantato si muove istintivamente
verso di esso.
Sfiora il nero lucido dello
strumento e sorride emozionato come se ne vedesse uno per la prima volta.
«…Elliot?»
è un mormorio così impercettibile che, se solo non ci fosse tutto quel
silenzio, è sicuro che non lo sentirebbe.
Lo sguardo cerca
istintivamente la fonte del richiamo, e non impiega molto a trovarla: è alla
sua destra, un po’ in avanti rispetto al punto in cui si trova lui. È Gilbert,
che lo guarda con un misto di tantissime cose – ma Elliot è solo un bambino
dopotutto, e non è in grado di riconoscerle tutte.
Vede il fratello maggiore, e
se c’è una cosa che capisce è che è spaventato; quello che non coglie è il
desiderio quasi disperato nello sguardo dell’altro.
“Portatemi via.”
“Non guardarmi.”
“Vattene da qui.”
“Non guardarmi, non guardarmi,
non guardarmi.”
Elliot si sente confuso, e
davvero non capisce finché non rientra nel suo campo visivo.
Il corpo senza vita di Glen
Baskerville giace a terra: sotto di lui il sangue ha impregnato la moquette, e
più lui si avvicina quasi ipnotizzato dalla paura che si fa strada in lui, più
Gilbert trema e sembra provare il forte istinto di alzarsi e scappare via.
Ma sono le gambe che non glielo
concedono, che hanno ceduto inchiodandolo lì a terra; Elliot la vede, la
pistola che Gilbert ha tra le mani, e che è troppo grande per lui.
Però Elliot è solo un bambino:
mentre il sangue gli sporca le mani, non pensa nemmeno per un istante che suo
fratello sia un assassino.
«Vorrei
sapere dove accidenti è Elliot.» bofonchiò Gilbert, il passo spedito che
percorreva il corridoio del dormitorio maschile.
«Quando
saprò dov’è Oz lo ridurrò in pudding.»
sbraitò Alice, priva di una qualsivoglia delicatezza, camminando quasi al
fianco di Gilbert che le scoccò un’occhiataccia a quella specie di minaccia.
«Beh,
che hai da guardare?» chiese subito lei sulla difensiva, notandolo: «Niente,
niente.» la blandì scocciato lui, senza la minima voglia di mettersi a litigare.
Oltretutto, avrebbe voluto sapere anche lui dove fosse Oz: specie da quando
Echo – che poi, cosa ne sapeva se in teoria era sempre con Vince? – aveva detto
che ultimamente il biondo era spesso con Elliot.
Cosa
che gli sembrava di aver sentito dire anche ad Ada, recentemente – in tutto ciò
non aveva ben capito nemmeno se lei e Oz si fossero tacitamente riappacificati
o se avessero parlato chiarendosi.
…Non
che fosse geloso, comunque.
«Ohi»
richiamò l’attenzione di Alice, indugiando per cercare le parole adatte a
spiegarsi al meglio senza essere frainteso: «non vieni a casa nemmeno alle
prossime vacanze?» buttò lì. Era un argomento di cui non avevano mai parlato
per scelta di entrambi.
E
dire che sarebbe stato più comodo e del tutto legittimo che ogni tanto tornasse
con loro. Ma Alice non lo aveva mai fatto, finché non era stata praticamente
obbligata. In pessimi rapporti con Vincent – per motivi che ignorava – senza
particolari legami con Elliot, scambiava qualche parola (meno sgarbata del
solito) solo con Reo.
Quanto
al resto, un atteggiamento arrogante e supponente l’aveva sempre
caratterizzata, e resa insopportabile a Gilbert per partito preso quasi.
«…Cos’è, ti hanno fatto il lavaggio del cervello?!» sbottò
Alice fissandolo allucinata dalla proposta; Gilbert tossicchiò: non che potesse
darle torto, viste le premesse del loro pseudo rapporto tra cugini.
«Ho
solo pensato che ogni tanto male non ti fa. Presto andremo quasi tutti a casa,
Oz compreso probabilmente. Considerando che i tuoi rapporti si limitano quasi
del tutto a lui e Keynes, piuttosto che annoiarti qui non sarebbe più sensato?»
fece notare, voltando l’angolo.
Alice
lo imitò e mise su un’aria stizzita: «E che ci verrei a fare? Restare qui
sarebbe lo stesso, stupido idiota.» rispose. Giorni interi con Vincent per casa
e tutti i pasti da consumare con lui?
Piuttosto
si faceva adottare da Break.
«E
allora?!» rimbeccò Gilbert – la pazienza lasciata al corridoio prima forse: «Saresti
almeno in famiglia, idiota!» sbraitò, aumentando appena il passo.
Alice
non lo raggiunse di proposito: quel cretino aveva osare dire qualcosa di
imbarazzante cogliendola alla sprovvista!
Il
moro nel frattempo rallentò, indeciso se proseguire per le scale raggiungendo
il piano di Elliot, o se accompagnare prima la cugina da Oz – sempre che fosse
nella propria stanza.
…Glen!
Chiuse
un occhio per riflesso alla fitta improvvisa alla tempia.
È tutta colpa di Glen!
Si
bloccò, portando una mano alla testa, lasciandosi sfuggire un mugolio di dolore
quasi impercettibile. Alice lo fissò spaesata: «Ohi, che hai adesso?» indagò,
quasi guardinga. Gilbert fece per scuotere appena il capo.
È colpa sua! Se sei così
arrabbiato, allora perché non lo uccidi?!
Impallidì,
boccheggiando appena.
Non
riusciva assolutamente a riconoscere la voce – il dolore alla testa la faceva
arrivare quasi ovattata – eppure era sicuro di conoscere la persona a cui
apparteneva. Era un ricordo vago, tenuto inconsapevolmente sigillato fino a
quel momento, e ancora annebbiato; tuttavia non gli dava una sensazione di
estraneità.
«Ehi,
che cavolo ti pren—»
«Gil?!»
sentì esclamare, e spostando lo sguardo verso le scale individuò Vincent che
con espressione preoccupata si avvicinava a loro, Echo al seguito.
Il
moro intanto si era poggiato leggermente al muro alla propria sinistra,
inspirando nella speranza che qualunque cosa fosse, passasse in breve.
Vincent
gli fu subito accanto: «Ti senti bene?» chiese, nel tono la preoccupazione
evidente.
Gilbert
annuì appena: «È solo mal di testa, una delle solite fitte. Ora mi passa.» assicurò.
Il biondo annuì senza scostarsi, ma spostò lo sguardo su Alice: un’occhiata
penetrante e piena d’odio la colpì come una secchiata d’acqua gelida.
Accusatoria, sembrava minacciarla di fargliela pagare, come se la colpa di quel
malore fosse sua.
Indietreggiò
di qualche passo, borbottando quindi un: «Io vado da Oz.» con sguardo basso,
iniziando ad allontanarsi.
Le
aveva messo i brividi.
Se
per l’occhiata in sé, per tutto l’odio condensato in un solo sguardo o perché
le sembrasse terribilmente familiare nonostante Vincent non gliel’avesse mai
rivolta prima, questo Alice non avrebbe saputo dirlo.
E non
lo voleva nemmeno scoprire; come se a quella sensazione di gelo fosse suonato
un campanello d’allarme nella sua testa.
Non
si prese nemmeno il disturbo di alzare lo sguardo dal libro che stava leggendo
quando sentì la porta del proprio alloggio sbattere nel venire richiusa. Non
c’erano molte persone che entravano a quel modo lì dentro: nello specifico o si
trattava di Xerxes Break in uno dei suoi (numerosi) momenti migliori, o di
Vincent Nightray, come in quel momento.
L’unica
differenza fra i due era che Xerxes era molto più rumoroso. E meno
sopportabile.
Alzò
finalmente lo sguardo sul biondo, notandone l’espressione: era decisamente
furioso, in quel momento.
«Se
hai intenzione di sfogare la tua irritazione sui miei soprammobili, potrei
finire con lo sfogare il mio conseguente disappunto su di te. Giusto per
avvisarti.» disse con tutta calma, tornando con lo sguardo sul libro e
voltandone una pagina.
Vincent
le lanciò un’occhiataccia, ma lei non parve rendersene conto; il biondo affondò
su una poltrona dove spesso faceva i suoi comodi quando – arbitrariamente –
decideva di dover andare a trovare la sua docente.
Né
lui né Charlotte Baskerville, comunque, si erano mai presi la briga di definire
il loro rapporto: Vincent si recava lì probabilmente per pura noia. Si era
scherzosamente definito più volte attratto dalla giovane docente, e aveva fatto
persino più di qualche avance
apparentemente seria. Charlotte, tuttavia, lo aveva sempre respinto: magari in
maniera sarcastica il più delle volte, mentre altre lo aveva lasciato giocare a
fare lo studente innamorato della sua professoressa, ma c’erano limiti
precisamente imposti da lei che a Vincent non era permesso ignorare.
E in
ogni caso, lui non era mai stato davvero serio – e a Charlotte non
interessavano i marmocchi.
Ultimamente,
tuttavia, quel ragazzo non aveva fatto altro che parlarle di Oz Bezarius,
specie in relazione al fratello Gilbert – ma quel brother complex, al contrario, non era affatto una novità.
Inoltre,
ogni volta che Bezarius aveva inconsapevolmente minato all’equilibrio emotivo
di Vincent – che già di suo non era propriamente “stabile” – il giovane si
presentava lì, sbatteva la porta, e poco dopo si slanciava in esclamazioni
rabbiose nei confronti dell’altro studente.
Seriamente,
che ragazzino complicato.
«Quando
finisce la tua crisi di isterismo, fai un cenno.» disse solo, sottilmente
provocatoria. Cosa voluta, neanche a dirlo.
«Risparmiati
il sarcasmo, Lottie.» replicò,
calcando il nomignolo.
La
cosa gli sarebbe costata un libro in pieno viso, se non avesse avuto la
prontezza di alzare un braccio e deviare quindi l’oggetto: «Ti ho già detto che
quel nome non devi usarlo o pronunciarlo. Vedi di stare al tuo posto, o quella
è la porta.» chiarì, fissandolo quasi minacciosa.
Non
che sperasse di spaventarlo, sarebbe stato inutile; ma Vincent aveva un
carattere tutto particolare. Non aveva ancora capito se apprezzasse chi gli teneva
testa o se invece capiva dal tono altrui fin dove potesse spingersi.
Ad
ogni modo il risultato ottenuto era comunque positivo per lei e la sua scarsa
pazienza. Vincent lasciò che le proprie labbra si incurvassero in un sorrisetto
scherzoso e infantile – e falso.
«Allora,
in che modo Oz Bezarius ti avrebbe irritato, oggi?» domandò quasi annoiata dal
ripetersi di una solita, identica situazione. Ma fu costretta a stupirsi e ad
abbandonare il libro concentrandosi su Vincent quando questi rispose stizzito: «Lascialo
perdere, per una volta che non c’entra.»
«Questo sì che è strano.» buttò lì casualmente, studiando l’espressione
dell’altro.
«Si tratta di Alice. Di nuovo, è sempre di mezzo, sempre! Tutte le volte che
succede qualcosa di sgradevole a Gil, lei è sempre coinvolta!» sbottò nervoso –
e Charlotte aveva avuto modo di notare che gli scatti nervosi di Vincent
Nightray non erano esattamente qualcosa da prendere sottogamba. Un po’ come
accadeva con tutte quelle persone che erano sempre calme o che si mostravano
costantemente sorridenti in qualsiasi circostanza; finiva sempre che il loro
perdere quella naturale tranquillità aveva un che di inquietante e – in casi
particolarissimi – di pericoloso.
«Alice,
eh? Che ultimamente è sempre con Bezarius. Buon sangue non mente, sempre
circondati da donne.» osservò, il tono irritato; palesemente non tanto da Oz,
quanto dall’esempio di Bezarius che lei aveva avuto modo di conoscere per anni.
Vincent spostò lo sguardo su di lei, lasciando stare per un attimo la questione
Alice: non era la prima volta che Charlotte si lasciava andare a commenti di
quel genere, ma mai una volta aveva risposto chiaramente a qualche sua domanda
in proposito. Non sapeva bene se fosse una sorta di riguardo, ma aveva quasi
subito eliminato quella possibilità: innanzitutto Charlotte non era proprio di
quelle persone che si curavano di fare attenzione a quello che dicevano per
paura di ferire il proprio interlocutore, inoltre dubitava fortemente che
sapesse che lui e Gilbert erano stati a contatto con Jack Bezarius prima che
morisse.
«Non
ho mai capito cos’hai contro Jack Bezarius, anche se sto iniziando a puntare
sull’opzione di una giovane ragazza abbandonata dall’amore della sua gioventù.»
ammise, in una palese insinuazione in cui poi, in realtà, non credeva nemmeno
lui.
Più che altro, non gli sembrava di ricordare che Jack avesse mai accennato a
Charlotte in quel modo; anzi, non ricordava nemmeno che ne parlasse così
spesso, per la verità.
Era stata solo una questione di nomi già sentiti, quando incontrandola a
Latowidge per la prima volta si era ritrovato a pensare “Ah, lei deve essere Lottie”.
L’altra sembrò non apprezza quell’insinuazione, a prescindere da quanto il
biondo ci credesse o meno; gli lanciò infatti un’occhiata gelida: «Di quel
traditore? Mai.» sibilò a metà fra la
rabbia e il puro disgusto alla sola idea.
Vincent ne fu piuttosto perplesso: aveva conosciuto Jack e non si poteva certo
dire di lui che tradisse abitualmente le persone. Ne fu anche un po’
infastidito, forse: nei suoi ricordi di ragazzino, Jack Bezarius era stata una
persona molto importante, di quelle che rimangono sempre come sono nei tuoi
ricordi, e di cui non vuoi che venga mai detto nulla di male anche se fosse la
verità.
«Se Padron Glen è morto… è stata solo colpa sua.»
aggiunse Charlotte, nel tono del palese risentimento, mordicchiandosi
nervosamente il labbro inferiore. Glen Baskerville sembrava essere sempre
l’unica cosa in grado di scombussolarla e farle perdere quell’aria di arrogante
calma che sembrava ostentare quasi.
«Glen Baskerville si è suicidato.» osservò atono Vincent, neanche dovesse
farglielo notare lui per la prima volta.
Di
nuovo, lei lo guardò con odio – un odio che, con ogni probabilità, non era
davvero rivolto a Vincent.
«Ma
Jack lo sapeva! Jack aveva capito cosa stava per fare Padron Glen e nonostante
questo non ha nemmeno pensato di fermarlo! Ha lasciato che si uccidesse,
nonostante fosse il suo migliore amico! Se non è questo un tradimento, allora
cosa dovrebbe esserlo, eh?!»
Elliot
prima di andarsene con Reo si era raccomandato almeno tre volte di non fare
idiozie – dove “raccomandarsi” nel vocabolario del giovane Nightray collimava
casualmente con “sbraitare” – tanto che Oz si era sentito trattato come un
ragazzino da tenere d’occhio.
Anche
se, effettivamente, non avrebbe potuto dargli torto.
Quando
poi i due se ne erano andati, Noah aveva raccomandato ad Oz di riposare.
«Se
decidi di alzarti» aveva aggiunto «assicurati di trovare Gilbert ed Alice.
Credo che ti stessero cercando, e Elliot magari gli dirà che non stavi bene se
li incontrerà prima di te. Si preoccuperanno.»
Dopodiché
Oz aveva cercato di stendersi e riposare, ma troppe cose gli affollavano la
mente e addormentarsi era diventato in breve pura utopia. A quel punto, si era
detto che tanto valeva andare a cercare i due compagni.
Perciò,
il tempo di sistemarsi e indossare nuovamente la divisa ed era uscito dalla
stanza.
Certo,
in alcun modo si sarebbe potuto immaginare di trovare Alice voltando l’angolo… o almeno di trovare qualcuno che, di primo impatto,
avrebbe preso per Alice. E che, ad un’occhiata più attenta, fosse semplicemente
qualcuno che le somigliava in modo impressionante, come una goccia d’acqua.
Ma al
tempo stesso, ad Oz bastò esserle abbastanza vicino da vederla in volto per
rendersi conto che non si trattava dell’amica; la sensazione nell’osservare
quella Alice era tanto simile e diversa al tempo stesso, una confusa
opposizione tra il desiderio di prenderla per mano e rassicurarla e quello di
allontanarsi più in fretta che poteva.
E –
visti i recenti avvenimenti e le ultime rivelazioni su Latowidge – si era forse
convinto ad optare per la seconda scelta quando quella Alice parve notarlo. La
vide mutare espressione, dapprima in una evidentemente sorpresa di vederlo, e
poi con uno sguardo che sembrava esprimere una certa urgenza mentre si
avvicinava a lui.
Oz si
rese conto dell’effettiva diminuzione della distanza tra loro solo quando si
sentì prendere la mano tra quelle della ragazza. Portò lo sguardo su di esse,
per poi tornare sul suo viso.
Sembrava
quasi che lo avesse cercato ovunque per chissà quanto tempo, preoccupandosi
sempre di più per lui, e che soltanto ora lo avesse finalmente ritrovato.
Oz
assunse un’aria confusa, perplesso da quell’atteggiamento, cercando di restare
all’erta.
«Cosa…?»
«Perché
non sei più tornato?» lo interruppe lei, il tono un misto di ansia, preoccupazione
e speranze disilluse.
«Eh?»
fece eco il biondo, senza capire.
Tornato
dove, esattamente? Lì dove si trovava Glen?
«Avevi
promesso che saresti tornato ancora tante, tante volte. Che saresti venuto a
giocare, e a bere del tea, e che poi saresti rimasto finché avessi voluto…» riprese lei, il tono sempre più dispiaciuto «Però
non sei mai più venuto.» concluse, abbassando lo sguardo.
Le
sue mani guidarono quella di Oz vicino al proprio viso, fino a portarla a
contatto con la propria guancia: «È stata colpa mia? È perché…
sono stata cattiva con Gilbert?»
Fino
a quel momento Oz aveva taciuto, senza riuscire a capire a cosa quella “Alice”
si riferisse. Aveva pensato di dover ascoltare e basta, forse, e poi magari sarebbe… svanita da sola.
Perché
la vera Alice era viva, e quello non poteva essere il suo spirito; ne
conseguiva che Oz sapesse ancora meno come trattarla. Tuttavia, sentendole
pronunciare quel nome non aveva potuto evitarsi un: «Gilbert?», sorpreso di
sentirglielo nominare.
Mai
avrebbe potuto prevedere la reazione che ne seguì: fu conscio che si trattava
di lacrime vere solo quando, rigandole le guance, finirono per bagnare anche la
sua mano.
«Mi dispiace…» prese a pronunciare, scossa da qualche leggero
singhiozzo: «Mi dispiace tanto… non volevo essere cattiva,
ma è stata anche colpa sua.» parlò, il tono simile ad una bambina che è stata
sgridata duramente e fra le lacrime cerca di spiegare le proprie ragioni
anziché ascoltare semplicemente il rimprovero.
Oz le
prestò la massima attenzione però: non aveva idea di quanto le sue parole
potessero essere attendibili o dovessero essere considerate tali, ma se fossero
state parte di quel passato che né Gil né Alice ricordavano?
…Forse entrambi avrebbero voluto saperlo, se gliene fosse stata data la
possibilità.
Fu
per questo che non si ritrasse, nonostante ormai avrebbe dovuto sapere che
restarle così vicino non poteva essere una buona idea. Lo sguardo ancora su di
lei, si ritrovò a pensare per un attimo a quanto quella Alice sembrasse… fragile. Una fragilità che l’altra che aveva
sempre al proprio fianco, quella che lui conosceva, era brava a nascondere e a
mascherare, e che forse in fondo proprio “sua” non era.
Probabilmente,
i ricordi se l’erano portata via lasciando in lei solo quella risolutezza un
po’ sgarbata, ma che lo aveva tirato su nonostante non sfruttasse parole
gentili o tipiche di espressioni di conforto.
“Cos’è
successo con Gilbert?”, aveva pensato di chiederle; tuttavia ci aveva
riflettuto su, bloccandosi sul nascere. Chiunque fosse quella ragazza, era
chiaro che doveva averlo scambiato per qualcuno – o, per quanto ne sapeva,
anche “un altro Oz” non sarebbe stato strano a quel punto.
A
prescindere da chi fosse questa persona, però, lei sembrava dare per scontato
che sapesse di cosa parlava: e non sarebbe stato strano, dunque, se lui avesse
fatto domande in quel senso?
«Perché
ti sei comportata male con lui?» chiese quindi, sperando che suonasse più come
un volerla capire che non come un’accusa: «Volevi farlo arrabbiare?» azzardò
quindi, andando un po’ alla cieca.
Parve
però aver colto nel segno con entrambe le domande, a giudicare dall’espressione
di lei; lo guardava spaventata, e colpevole.
Non
dispiaciuta per Gilbert, quanto più all’idea di essere mal giudicata proprio da
Oz.
Il
biondo non la incalzò oltre, lasciandole il tempo di articolare la risposta,
non volendo causarne né l’irritazione, né tantomeno un’eventuale fuga.
«Quando
non sei più tornato… mi sono sentita così sola.»
mormorò lei in quella che, inizialmente, ad Oz non parve affatto una risposta.
«Nemmeno
Gilbert veniva più da me. Ero sola, e aspettavo, sempre. Ma non tornava più
nessuno. Poi un giorno Gilbert è arrivato… ma a lui
non importava niente!» cambiò improvvisamente tono, facendo sobbalzare Oz a
quella nuova sfumatura rabbiosa e inaspettata, piena di quello che gli sembrava
inequivocabilmente… odio.
«Lui
non era stato solo per tutto quel tempo!» lo accusò, agitata: «Lui era rimasto
insieme a Vincent! E loro due si erano dimenticati di me! Perché solo io dovevo
stare così? Perché loro avevano una famiglia e io no?! È stata colpa loro, se
tu non sei più venuto… hanno portato via anche te!»
alzò il tono della voce, ed Oz fu sicuro di aver visto i vetri delle finestre
in quel corridoio tremare pericolosamente.
È colpa tua, tua e di Glen Baskerville!
Quella
frase, che non era stata pronunciata dalla Alice di fronte a lui, ma da una
voce che già una volta gli era arrivata all’orecchio senza che ci fosse nessuno
in vista, lo fece rabbrividire. Allo stesso tempo, sembrò che anche la ragazza
di fronte a lui si fosse momentaneamente interrotta udendola. A meno che non si
trattasse solo di un caso.
Se sei tanto arrabbiato,
allora vai a prendertela con lui…
«Non
era tornato per me…» sussurrò Alice, quasi a voler
spiegare quelle parole che riecheggiavano nel corridoio senza una spiegazione
logica: «Nessuno dei due era tornato per me.» continuò, ed Oz immaginò che si
riferisse a Gilbert e Vincent.
Vai ad uccidere Glen Baskerville,
no?!
«Erano
venuti solo per arrabbiarsi con me… e allora li ho
mandati via!» esclamò scoppiando a piangere, senza più limitarsi alle lacrime
silenziose che c’erano state fino a quel momento, e cogliendo Oz di sorpresa
ancora una volta.
Quella
Alice non l’aveva detto chiaramente, quindi forse era solo una supposizione
errata, ma… sembrava proprio che per la tristezza,
avesse spinto Gilbert a fare qualcosa di orribile.
Anche
se Oz quasi non riusciva nemmeno ad immaginare un Gilbert – specialmente se più
giovane di quello di ora – che si macchiava di una cosa come l’omicidio.
Soprattutto
considerando quanto sapeva della morte di Glen Baskerville, ossia che era stato
suicidio.
È solo colpa di Glen, se Jack
non c’è più! Ed è anche colpa tua!
«Oz!»
si riscosse, sentendosi chiamare e voltandosi in direzione della voce; impiegò
poco a riconoscere la figura di Alice – la solita Alice – che gli si faceva in
contro, l’espressione decisa. L’altra, che fino a quel momento non aveva mai
lasciato le mani di Oz, arretrò di un passo, quasi atterrita da quella nuova
presenza.
Il
biondo spostò lo sguardo dall’una all’altra più volte, finché Alice non fu
abbastanza vicina da allungare la mano fino a raggiungere il polso di Oz,
afferrandolo.
«Allontanati
da lei!» esclamò quasi arrabbiata: «Quella lì non sono io! Non so chi sia, ma
non mi piace!» aggiunse. Oz la osservò un po’ spaesato da quella “doppia
presenza”.
«Ma Alice…» tentò inizialmente, senza poter concludere la
frase; allontanarsi maggiormente, alla vista di Cheshire che si frapponeva tra
loro e l’altra Alice, divenne la priorità.
Istintivamente,
Oz si mise davanti alla castana almeno in parte: sapeva per esperienza che la
presenza di Cheshire non era affatto una buona cosa, mai.
Specie
se, come in quel momento, era palesemente in procinto di attaccarli entrambi,
l’espressione inferocita come se avessero oltrepassato un limite che non gli
era consentito superare.
Oz si
morse appena il labbro inferiore: aveva creduto che Cheshire fosse solo a
guardia del luogo in cui era Glen. Perciò, nell’avvicinare quella “Alice”, non
aveva minimamente considerato la possibilità che potesse rivelarsi tanto
pericoloso.
E il
fatto che ora, lì con lui, ci fosse anche l’amica rendeva l’intera situazione
ben peggiore che se fosse stato solo come la prima volta; tra l’altro, nulla
gli dava la certezza che Aedan o Sirjan sarebbero arrivati, stavolta.
Mosse
lentamente un passo indietro, portando Alice a fare lo stesso, senza
distogliere lo sguardo da Cheshire. Questi, intanto, sembrava irritarsi ad ogni
singhiozzo che sfuggiva tra le labbra della ragazza dietro di lui, che a quanto
pareva tentava di proteggere.
Per
un istante Oz si chiese se il compito di Cheshire nei confronti degli spiriti
non fosse un po’ come quello di Sirjan per i vivi, e se non fosse questo il
motivo alla base di quella non sopportazione che provavano l’uno per l’altro.
«Cheshire
aveva detto che ti avrebbe lasciato stare» sibilò il felino, gli occhi ridotti
a due fessure che restavano puntati sul biondo: «ma tu sei pericoloso! Cheshire
lo aveva detto!» soffiò più forte, rabbioso.
Oz
capì che se non fosse riuscito a calmarlo… no.
Non
avrebbe nemmeno dovuto provarci, ma limitarsi ad andare via subito portando
Alice con sé.
Proprio
la castana, in quel momento, strinse appena la presa sul suo polso: «Oz…» lo richiamò a voce appena più bassa «cos’è quello?»
chiese, riferendosi chiaramente a Cheshire, che forse per la prima volta portò
lo sguardo sulla ragazza dietro il biondo. Parve studiarla, sia con gli occhi
che annusando l’aria; nel farlo, sembrò ad un certo punto turbato da qualcosa.
Tornò
con lo sguardo fermo su Oz: «Cosa hai lì?» sibilò quasi più ferocemente di
prima.
Il
biondo fece, inconsapevolmente, un errore quando si voltò pronunciando un: «Alice,
andiamocene da qui.»
Quelle
parole – o meglio, quel nome – portò al culmine la furia di Cheshire: «Alice è
dietro Cheshire!» gridò con una nota isterica nella voce «Oz Bezarius mente!
Vuole rubare Alice e le cose importanti! Vuole rubare a Cheshire!» continuò,
iniziando ad avanzare pericolosamente.
Oz
soppesò febbrilmente quanto potesse essere saggio dargli le spalle per provare
ad allontanarsi da lì il più velocemente possibile.
Tuttavia
non ebbe molto tempo per valutare razionalmente la cosa: Cheshire scattò,
veloce, con tutta l’intenzione di ferire sia lui, sia quell’Alice che sembrava
considerare falsa in qualche modo.
Oz
stava per spingere l’amica il più lontano possibile quando tra lui e il felino
si fece avanti qualcuno che inizialmente non riuscì a riconoscere e che colpì –
come, Oz non lo vide – lo spirito.
Anche
se non sapeva quanto l’espressione “colpire” potesse essere corretta, appunto.
Cheshire
fu comunque scagliato abbastanza lontano, mentre quel loro improvvisato
salvatore gli si rivolgeva: «Non sai che soddisfazione, dartele di santa ragione~» osservò
con tono derisorio quello che – a quel punto – Oz riconobbe come Xerxes Break.
Il
docente aveva un sorriso ad incurvargli le labbra, un sorriso che Oz avrebbe
definito quasi insano, però: non portava con sé alcun sentimento positivo,
infatti. Solo soddisfazione per la sofferenza altrui, per un senso di
appagamento dato da quella che sembrava in tutto e per tutto una vendetta
personale.
«Professore…?» tentò Oz, senza ricevere risposta
inizialmente. L’attenzione di Break sembrava totalmente su Cheshire, che si
stava rialzando.
Senza
idea del come o del quando, Oz notò che l’altra Alice era sparita.
«Sai,
sto cercando di ricordare il motivo per cui il signor Kolstoj si è sempre preso
la briga di proteggere entità come te.» riprese Break senza curarsi dei due
studenti dietro di lui: «Ma proprio non mi viene in mente altro. Piuttosto, sai
cosa, fantasma di un sacco di pulci?» lo apostrofò con tono di disgustato
sarcasmo, fissandolo ancora con quel sorrisetto che iniziava ad avere
dell’inquietante.
«Mi
torna in mente che oltre alla poca simpatia che già avevo allora per il
sovrannaturale, al nostro primo incontro mi hai portato via anche un occhio.»
continuò, facendo sobbalzare Oz e rabbrividire Alice: «E mi sono chiesto da
allora» proseguì avvicinandosi con tutta calma a Cheshire «non è strano che un
essere di solo spirito tocchi una persona viva al punto da ferirla così
gravemente?» domandò, ma era chiaramente una domanda retorica.
Oz, in quel momento, sembrò trovare risposta a qualcosa che era rimasto a lungo
senza una spiegazione logica nella sua mente: Cheshire gli era stato presentato
come spirito ma, tanto per iniziare, non era nemmeno del tutto umano. E in secondo
luogo, nonostante la sua natura non viva, il contatto fisico non gli era mai
stato precluso – specie in maniera aggressiva, a quanto sembrava.
Ma questo non rispecchiava esattamente l’idea di spirito; e lo stesso Glen,
dopotutto, si era approcciato ad Oz la prima volta attraverso il corpo di un
vivente.
Non era… strano?
«Alla
fine però, sono arrivato ad una risposta.» comunicò con tono improvvisamente –
ed innaturalmente – allegro Break: «Vuoi essere reso partecipe?» quasi lo
canzonò, muovendo verso di lui l’ennesimo passo per avvicinarlo. Cheshire era
sulla difensiva, innervosito da qualcosa di non ben comprensibile, pieno di
quell’agitazione data più dalla paura che dalla non sopportazione di qualcosa.
Quando
Break si chinò verso di lui, il felino fece per muoversi con intento piuttosto
ostile verso di lui, ma di nuovo il docente sembrò anticiparlo: «Ah-ah, io non lo farei.» lo ammonì neanche avesse a che
fare con il bambino più tranquillo del mondo.
«Non
credo proprio, che se tu ferissi ancora qualcuno, il signor Kolstoj sarebbe
propenso a lasciarti libero come sei stato finora. Ed è già così difficile
coprire questo increscioso incidente con il signor Bezarius…»
lasciò cadere, meschino, alludendo a qualcosa di ben preciso. Lo stava
palesemente mettendo in condizioni di non fare altro se non obbedirgli.
«Non
mi mostreresti quel campanello che porti al collo?» chiese quindi con falsa
dolcezza, tendendo la mano in avanti; Cheshire tuttavia sgranò gli occhi, caricando
il colpo con una delle zampe anteriori, del tutto intenzionato ad attaccare
l’albino.
Né Oz
né Alice furono in grado di dire con esattezza come si fosse mosso Break: era
solo stato estremamente veloce, tanto da ricordare un po’ Aedan al biondo che
lo aveva visto all’azione, e sempre contro Cheshire.
Il
docente sembrava aver evitato quell’attacco – forse prevedibile – senza troppe
difficoltà. Ed ora, a qualche passo di sicurezza dal felino sorrideva
soddisfatto.
Alzò
una mano, quanto bastò a far dondolare il campanello che aveva in mano e che doveva
aver chiaramente sottratto a Cheshire prima di allontanarsi da lui; questi
sembrò entrare nuovamente nello stesso stato di isterismo che aveva provocato
Oz stesso poco prima.
Si mosse nuovamente in avanti, verso Break – e nello specifico proprio verso la
mano che teneva l’oggetto rubato – con un verso grottesco che fece rabbrividire
anche lo stesso docente, sebbene non si notasse dall’espressione o simili.
Xerxes
evitò l’impatto diretto, lasciandosi però sfuggire di mano il campanello, che
cadde con un leggero rumore metallico accompagnato dal tintinnio dovuto al
contatto con il pavimento. Il docente fece schioccare le labbra con fare
seccato, imprecando a mezza bocca.
Oz
non seppe precisamente cosa lo portò a farlo, ma si ritrovò ad allungare una
mano verso l’oggetto conteso; forse qualcosa gli suggeriva che prendendolo, o
facendo almeno in modo che non tornasse in possesso di Cheshire, tutto quello
che ancora necessitava una risposta sarebbe stato anche solo un pochino più
chiaro.
Forse,
sperava soltanto che potesse essere così.
Notandolo,
Cheshire cambiò bruscamente direzione, scagliandosi non più contro Break, ma
contro Oz: «Restituitelo!» gridò «Restituitelo a Cheshire!»
«Oz!»
si sentì richiamare da Alice, cercandola con lo sguardo ed individuandola
appena prima che le dita della ragazza si stringessero attorno al campanello,
sottraendolo sia alla presa di Oz, che a quella di Cheshire.
Ci fu
qualche istante di stallo totale, in cui nessuno disse nulla, né mosse un solo
muscolo; poi, in un momento di immobilità totale…
Alice cadde in ginocchio.
Oz le
fu immediatamente accanto, l’espressione preoccupata in viso: «Alice!» la
chiamò «Alice, che hai?!»
«Che…
diamine è questo affare?!» sbottò lei, il tono sofferente e gli occhi chiusi,
quasi nella speranza di alleviare il dolore alla testa che si stava facendo
sempre più forte.
Non
c’erano cambiamenti evidenti in ciò che li circondava – almeno per ora – se si
escludeva l’assenza di Cheshire. Eppure Oz aveva addosso la pessima sensazione
di essere in un posto diverso. Sembrava, per quanto assurdo potesse suonare, di
respirare la stessa aria e percepire la stessa atmosfera che c’era stata in
presenza di Glen.
L’inspiegabile
consapevolezza di essere nel posto sbagliato, in un luogo che non ti
apparteneva e che non avresti nemmeno dovuto vedere; stavolta, però, Oz non
aveva né idea di dove si trovasse, né di come si fosse spostato.
«Siamo
ancora nel corridoio…?» mormorò, più a se stesso che
non agli altri due, venendo interrotto dalla voce di Break che era a pochi
passi da lui, una mano posata contro il muro quasi a sorreggersi.
«Non
è Latowidge.» disse «Non quella che conosci tu, almeno. È molto più simile a
quella che io e Rufus abbiamo vissuto.» chiarì,
affiancando il biondo.
Oz
era però confuso da quella spiegazione: «Quella che avete frequentato da
studenti? Come fa ad esserne così sicuro guardando solo un corridoio?» diede
voce a quella domanda legittima.
Break
portò lo sguardo su di lui, l’espressione divertita e il sorrisetto furbo sulle
labbra, mentre un dito indicava un quadro. Oz, tuttavia, non avrebbe saputo
affermare con certezza se ci fosse già o meno. L’altro però non sembrava aver
bisogno della sua conferma.
«L’ho
accidentalmente fatto sparire durante
il mio terzo anno ♪» ammise tutto tranquillo; Oz non riuscì proprio a
mascherare un’espressione che era un misto tra l’allucinato e il comprensibile
dubbio su quali fossero i limiti comportamentali di Xerxes Break.
«…Seriamente, lei come ha fatto a diventare insegnante?» si
lasciò sfuggire, con quella sfumatura di arroganza che si era sempre ed
inevitabilmente ritrovato ad usare con lui, ricevendo in risposta quel
sorrisetto tipico del docente – che mentalmente stava probabilmente prendendo
in considerazione di tentare di strozzare il caro signor Bezarius e farlo
apparire come un tragico incidente.
Oz
non aggiunse nulla, Alice che sembrava essersi ripresa in quel breve lasso di
tempo: «Va meglio?» le chiese il biondo, osservandola. La ragazza scosse appena
la testa, confusa.
«Che è successo?» domandò, riscuotendosi
poi in un secondo momento: «Oz!» lo richiamò agitata «quel coso, è sparito!»
esclamò poi, portando vicino ad entrambi i loro volti la mano che aveva
afferrato il campanello, che ora non c’era più.
«Abbiamo un altro problema, temo~ » quasi canticchiò
Break, accucciandosi al loro fianco ed indicando giocosamente davanti a loro.
Entrambi spostarono lo sguardo
nella stessa direzione, e Oz ebbe un senso di dejà-vu improvviso: quel luogo,
ovunque fosse, cambiava lentamente davanti ai loro occhi.
Quel corridoio anonimo si
faceva confuso e poi, tornando pian piano più nitido, acquisiva caratteristiche
che ricordavano… un giardino.
Il biondo deglutì a vuoto:
avrebbe potuto azzardare ad indovinare dove fossero, fino a poco prima di
incontrare Glen… tuttavia ora non era più certo che una distorsione dello
spazio di quel tipo indicasse per forza di essere in un ricordo piuttosto che
nella realtà.
Dopotutto era vero che quello
era stato il modo in cui lo scenario era cambiato quando Jack gli aveva
mostrato alcune cose che riguardavano lui e Glen, ma era anche vero che allo
stesso modo era cambiato quello che c’era davanti ai suoi occhi in altre
occasioni.
Volte in cui, ne era certo,
era stata la realtà tangibile di ogni giorno a diventare a quel modo per
assumere poi nuova forma.
«Che cavolo ci trovi di
divertente, idiota di un insegnante?!» sbottò Alice, che evidentemente non si
sentiva affatto a suo agio in quella situazione – come forse era normale
sentirsi, pensò Oz. Erano lui e Break a non essere “normali”, in un certo
senso. Anche se il docente lo era forse ancor meno di lui: almeno Oz aveva
dalla sua il fatto che non fosse una situazione nuova e che ci si fosse in
qualche modo abituato.
«Ma dai, signorina Lewis…» la prese bonariamente in giro Break, prima di
cambiare totalmente espressione, passando da una scanzonata ad una divertita
tanto quanto lo era stata nel ritrovarsi nella condizione di schiacciare
Cheshire poco prima: «se ci facciamo prendere del panico, non finirà bene, e
sarà la volta buona che Rufus mi ammazza. Sempre
nell’ottimistica previsione di sopravvivenza. Che, non avendo idea di dove
siamo o di cosa stia accadendo, è una cosa che non so quanto considerare certa.»
commentò, una certa serietà di fondo nella sua affermazione. Anche se più che
tranquillizzare, da bravo insegnante, rischiava di agitare gli altri due ancora
di più.
Oz abbozzò un sorrisetto
leggero, tornando poi con lo sguardo di fronte a sé: il nuovo paesaggio era
ormai definito, ma era un giardino come tutti gli altri, con nessun particolare
che potesse far intuire ad Oz se fosse o meno un posto conosciuto o visto
almeno una volta.
Questo almeno finché non fu
proprio Break a riconoscerlo, assumendo un’espressione così allibita da
risultare buffa, tanto che il biondo avrebbe ridacchiato se la situazione fosse
stata diversa: «…Ma siamo solo nel giardino di
Latowidge.» se ne uscì.
Oz stava prendendo in seria
considerazione di prepararsi ad un’aggiunta sul genere di “lo so perché a
quell’albero ho appiccato fuoco durante il secondo anno” – visti i precedenti –
quando il fiato gli morì in gola.
Inquadrò poco distanti da loro
tre figure che Break ed Alice, presi ad osservare in un’altra direzione, non
avevano ancora notato; Oz si bloccò per qualche istante, senza riuscire a fare
altro che osservarli, quasi dimenticandosi di respirare.
Poi, allungò appena una mano a
tirare una manica del docente, attirandone l’attenzione: «Non è Latowidge… è solo un ricordo.» mormorò, guadagnandosi
un’occhiata piuttosto perplessa da Break e a dir poco confusa da parte di
Alice.
«Potresti ripetere, signor
Bezarius?» lo incalzò Break, sebbene con il tono di chi ti stava seriamente
prendendo per pazzo.
«Ha capito bene.» ribatté
quasi brusco Oz, indicandogli a quel punto la direzione in cui aveva notato
quel particolare che gli aveva reso tutto più chiaro e verso cui si voltarono
anche gli altri due, proprio mentre Oz spiegava il perché di tanta sicurezza.
«Non potrebbe essere
altrimenti. Se c’è mio fratello… non può essere altro
che un ricordo.»
Note autrice (ancora viva, sebbene data per morta)
Vorrei potermi rallegrare del
fatto che sono passati esattamente 4 mesi – e quindi della mia precisione in
fatto di giorni – ma è un tempo immane.
Non c’è niente di cui rallegrarsi ;__;”
Con questo ritardo immondo, passo
alle comunicazioni di servizio.
Innanzitutto, la frase in
apertura è dell’anime “Uraboku”.
Poooi. La fine di Rinnega si
avvicina (ebbene sì, esiste la parola fine): con questo capitolo 19 concluso,
ne mancano esattamente 3 più un epilogo.
Nota dolente, è che
sicuramente ritarderanno un poco: devo cercare di non far crescere le ragnatele
anche ad un altro progetto. In più, proprio come è stato per il primo anno di
pubblicazione, vorrei festeggiare il secondo con uno special
:3 (anche se non ci sarei arrivata a due anni se non avessi rallentato i ritmi
8D ma queste sono quisquilie).
Dunque in caso che questo
secondo special ci sia, il prossimo capitolo arriverà
un pochino più tardi. Ma non passeranno 4 mesi, confido nelle mie (brevi)
vacanze dagli esami 8DDD
Nuit: sì, i nervi di Sirjan li
stiamo perdendo per strada, ma come dargli torto ormai XD Ma con lui, almeno
fino all’ultimo capitolo, si può star certi di una cosa: c’è sempre qualcosa dietro 8D
Per Alice, ormai ci siamo quasi, abbi fede. Anche se probabilmente è la persona
meno probabile…? *bello che
non lo sa nemmeno lei*
Per Lacie
non si è ancora capito nulla da questo capitolo, mentre invece almeno si è
spiegato il perché dell’odio di Lottie maturato negli anni x°
Anche se all’effettivo, quella donna più che tramare…
assiste a tutto senza muovere un dito, LOL
Anche se in mega ritardo,
spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento – anche se è forse
il più corto e con meno chiarimenti di tutti quelli scritti finora…
*e dire che avvicinandosi alla fine dovrebbe essere
il contrario*