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Autore: Selene Silver    26/06/2011    1 recensioni
Ecco cosa non avrebbe mai detto a un giornalista su ciò che aveva provato alla notizia della morte di Keith Moon.
Rimpianto, perché se si fosse ricordato prima di quell'istante forse ci sarebbero stati altri anni da passare insieme per davvero, e forse sarebbe finita in un altro modo più tardi. E poi. Un'altra cosa, ancor più segreta.
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Cos'hai provato quando ti hanno dato la notizia della morte di Keith Moon?»

«Cos'ho provato…» si picchiettò due dita sulle labbra, come gli veniva spontaneo ogni volta che gli rivolgevano una domanda alla quale non sapeva o non voleva rispondere. Poi John sospirò e pose fine a quel gesto, intrecciando le mani sulle ginocchia e chinando il capo; i folti capelli scuri gli coprirono gli occhi come una cortina d'inchiostro. «Mi è sembrato che un mostro dalle zampe artigliate mi avesse squarciato il petto, cavato il cuore e se lo fosse mangiato davanti ai miei occhi.» Un modo come un altro, per il tetro John Entwistle, di dire che aveva fatto male, più male di quanto non avrebbe mai potuto spiegare a quello stupido giornalista. Ma in qualche modo avrebbe pur dovuto soddisfare la sua curiosità idiota, e non ci trovava niente di male o di strano ad ammettere che la morte di una persona importante ci distrugge.

Ciò che non avrebbe mai detto a nessuno, né a quei famelici impiccioni, né a Pete o Roger o altri, era ciò che era venuto dopo quel dolore straziante. 

Sotto i suoi piedi si era come aperta una voragine; tutto il suo io urlava che non era possibile, Keith non poteva essere morto: non con tutta quella voglia di vivere che gli sprizzava fuori da tutti i pori, non… non lui. Non il suo piccolo lunatico. Non il ragazzo spaccone nei pub di sera, né quello che di notte andava a bussare alla sua porta perché aveva fatto un incubo “e stare col signore dei mostri dovrebbe proteggermi dal babau, no, Johnny?”

Mai più. Quelle due parole erano rimbombate nelle sue orecchie come il suono di un gong. Mai più la sua batteria tonante. Mai più i suoi colori sgargianti. Mai più la sua presenza irruenta. Mai più la sua voce frettolosa. Mai più quei suoi occhi scuri che aveva provato a disegnare tante volte e ogni volta miseramente falliva, perché sì, erano quasi neri, ma luminosi, e John non era mai stato bravo a disegnare la luce.

E mentre la voragine del mai più lo risucchiava nel suo vortice come un vorace buco nero, per un attimo il suo senso di conservazione l'aveva proiettato in un prima che aveva quasi dimenticato, forse per imbarazzo, o forse pensando che Keith ci sarebbe stato sempre, e che quindi ci sarebbero sempre stati nuovi momenti da ricordare.

Nel "prima" erano dietro le quinte del palco del Monterey Festival; non ricordava dove fossero Roger e Pete, forse stavano begando da qualche parte, e non ricordava nemmeno cosa stesse facendo lui quando Moony era piombato nel suo angolino di backstage, afferrandogli una mano e tirandolo con sé, i capelli elettrizzati in testa, una risata in gola, gli occhi sgranati: «John, vieni!»

L'aveva portato quasi a forza fino al sipario e l'aveva scostato di pochi centimetri: a entrambi era morto il fiato in gola, quando avevano visto tutta quella gente che riempiva il prato e anche le colline tutte attorno; certo mezzi sbronzi e fatti oppure semplicemente ebbri di gioia e libertà, ma in attesa di sentir suonare proprio loro.

Aveva stretto la mano di Keith, ancora nella sua, in un gesto nervoso. «Accidenti. Non ce la farò mai.»

«Ehi, non sparar calzate! Te ne starai nel tuo angolino e sarai fantastico come al solito.» Lo fissava con una certezza incrollabile negli occhi che l'aveva fatto sorridere con condiscendenza, come ad un bambino. Keith s'era imbronciato. «Non mi credi, eh? E va bene, re delle tenebre, scommettiamo: se ci ameranno… farai ciò che voglio io. Se invece andrà male… mi farai fare ciò che vorrai.»

«Affare fatto» aveva replicato, ma solo perché non gli aveva creduto davvero.

Eppure, quella sera stessa, dopo che avevano fatto fuoco e fiamme (e la chitarra incenerita di Jimi ne era una prova) Keith s'era presentato alla porta della sua stanza d'albergo. «Ho vinto, Johnny.» 

E lui aveva iniziato a sudare freddo per la salute del suo basso. «Cosa vuoi, Moony?»

«Voglio, voglio…» aveva roteato gli occhi, s'era morso le labbra, poi ci aveva passato su la lingua, il tutto dondolando sui talloni: l'immobilità era una caratteristica (o una virtù) che di certo non aveva. «Voglio un bacio.» E prima che lui potesse dire alcunché: «Andiamo, hai appena suonato di fronte a più di un milione di persone, che sarà mai dare un bacetto sulle labbra al tuo amico batterista?»

«Devi essere sbronzo, Moony.»

«Invece no, e finché non mi bacerai rimarrò perfettamente sobrio - altrimenti potrei dimenticarmene, sai… Perciò sbrigati!»

E quindi, John l'aveva fatto. Non era niente più che un contatto, aveva pensato; niente di più allarmante che sfiorargli il gomito. Aveva tenuto gli occhi aperti, mentre le loro labbra si toccavano, e l'aveva fatto anche Keith: i suoi, di occhi, splendevano di una più luce intensa di quella di mille palchi, di mille ribalte, e anche se il bacio era stato breve e casto per quello sguardo John si era sentito le ginocchia molli e la testa vuota.

Poi si erano separati, uno confuso, l'altro sorridente. «Perché me l'hai chiesto?»

Keith aveva riso, voltandosi verso il corridoio. «Perché lo volevo, ovvio. Ci facciamo un bicchierino, re delle tenebre?»

 

Ecco cosa non avrebbe mai detto a un giornalista su ciò che aveva provato alla notizia della morte di Keith Moon. 

Rimpianto, perché se si fosse  ricordato prima di quell'istante forse ci sarebbero stati altri anni da passare insieme per davvero, e forse sarebbe finita in un altro modo più tardi. E poi. Un'altra cosa, ancor più segreta.

Quando aveva saputo della morte di Keith, uno delle certezze che aveva su sé stesso - di essere una persona incapace di provare sentimenti più forti della semplice amicizia - era crollata, e aveva scoperto di essere capace di amare.



Uhm. Sì. Insomma. *S'inginocchia chiedendo pietà* È la prima MoonEntwistle che scrivo, oltre che la prima ff sugli Who e... e mi è difficile parlare di Moony perché era così fottutamente bello e speciale e... XP Okay, potete venire a fustigarmi.
Mi è presa la fissa dei titoli fatti con photoshop, perciò perdonatemi per la roba lì sopra, ho solo scritto "Nevermore" sul pezzetto di carta XD. Che poi è una citazione voluta a Poe, eh u.u L'ho trovata adatta per "il tetro John Entwistle".
Be'... ditemi che ne pensate - ma sappiate che non vi rivelerò mai dove vivo, nel caso voleste uccidermi, dopo ciò
  
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