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Autore: OperationFailed    07/07/2011    6 recensioni
Mycroft consegna una lettera a Sherlock, dopo anni dalla sua scrittura. E’ di Sherrinford Holmes. Ma chi è Sherrinford, e cosa simboleggia nel trionfo di allegorie che s’intrecciano in questa storia?
Il dottore inspirò il profumo del detective, e l’aria che andava nei polmoni faceva male. Quel giorno faceva male, il volto rigido di Holmes faceva male, la fragile e impalpabile natura umana faceva male. Granelli di polvere che vogliono fermare il vento, umani che lottano e lottano come titani, senza possibilità di riuscita.
[Pre slash] [angst]
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nickname: OperationFailed
Titolo: Not a case. A person
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: Sherlock Holmes, John Watson, Mycroft Holmes, altro personaggio
Rating: Pg13
Avvertimenti: Pre-slash, angst 
Conteggio parole: 2499  ( fiumidiparole )
Riassunto: Mycroft consegna una lettera a Sherlock, dopo anni dalla sua scrittura. E’ di Sherrinford Holmes.
Ma chi è Sherrinford, e cosa simboleggia nel trionfo di allegorie che s’intrecciano in questa storia?
Note:  Questa fic partecipa allo sherlockfest_it e, a discapito del prompt, non ha nulla di romantico.
I sottointesi sono più delle parole, perciò drizzate le antennine e impegnatevi, scoprirete in fondo se li avrete captati *w*
E vi prego, se non avete voglia di una lettura un minimo impegnativa, non leggete.
Prompt: Sherlock/John, such a big, big heart
Disclaimer:
 I personaggi di John Watson, Sherlock Holmes e Mycroft Holmes non mi appartengono, per loro fortuna, in quanto sono stati ideati da Sir. Arthur Conan Doyle, senza il quale noi non saremmo qui a consumarci cuore e cervello. Sherrinford Holmes appartiene al già citato Doyle ed a William S. Baring-Gould, autore di “Sherlock Holmes of Baker Street: A life of the world's first consulting detective”. Londra appartiene a se stessa. Questa fanfiction non è a scopo di lucro (anche perché ci guadagnerei ben poco) e non intende offendere la sensibilità di nessuno.




















Aveva dimenticato qualcosa? Controllò le buste salendo gli scalini di Baker Street, ripassando mentalmente quel che mancava in casa. E’ consigliato, comunque, guardare dove si mettono i piedi, in particolar modo quando si è alle prese con una rampa di scale, ma forse nessuno si è mai preso la briga di dirlo a John Watson, quando era ancora un bambino. Il dottore, perso a contare le bottiglie di latte e i pacchi di uova – per assicurarsi  di aver preso tutto – inciampò nello spigolo di uno scalino, ritrovandosi in ginocchio sulla spesa. Con un’imprecazione, si risollevò in piedi e controllò le buste, illese grazie a chissà quale miracolo. Impegnato a cercar le chiavi, scomparse nei meandri di tasche che sembravano avere la stessa magica proprietà della borsa di Mary Poppins, John non si accorse che il portone gli si era aperto davanti, occupato da una figura imponente, appoggiata in tutta la sua altezza ad un ombrello a punta.

«John» lo salutò Mycroft, inclinando il capo in un gesto di cortesia. Il dottore, le mani occupate dalle buste alla rinfusa, schiuse le labbra in un sorriso stupito, ebete persino, talmente era meravigliato di vederlo.

«‘Giorno Signor Holmes. Qual buon vento?»

«Sono passato per un saluto» rispose alzando le spalle.

Il giorno in cui Mycroft Holmes sarebbe “passato per un saluto”, sarebbe stato probabilmente l’ultimo vissuto dal pianeta Terra, e John lo sapeva. La spesa però gli pesava, e oltrepassò la soglia diretto alla cucina, non prima di aver lanciato un saluto rivolto al divano. Nessun segno di vita dal cervello che vi era appollaiato in cima.

John rinunciò ad appoggiare le buste sul tavolo, poiché il caos che vi regnava sopra non avrebbe neppure permesso di ospitare uno spillo. Andò quindi davanti al frigo, tentennando un istante prima di aprirlo. Niente teste per fortuna quel giorno, solo scaffali vuoti e molto più freddi del normale. Quante volte gli aveva ripetuto che quella non era una cella frigorifera, e che piuttosto che riempirla di residui umani sarebbe stato meglio rifornirla di cibo! John infilò le buste nelle scaffalature, senza nemmeno curarsi di fare ordine. Ci avrebbe pensato più tardi. Tornò in salotto per salutare Mycroft, ma lui non c’era già più. Vederlo a Baker Street era tanto sconcertante quanto raro, conoscendone la natura. Per questo John si voltò verso il divano, pronto a chiedere spiegazioni. Su di esso meditava Sherlock Holmes, lo sguardo fisso innanzi a sé, impegnato a rigirarsi una lettera tra le mani.  Se non fosse stato per quel gesto, lo si sarebbe potuto scambiare per una statua. Non era tanto un movimento ansioso, quanto più quel riflesso incontrollabile che ci agita quando si è alle prese con un tizzone ardente. Tentava solo di salvarsi la pelle dalle ustioni, Sherlock.

«Avevano finito l’acido salicilico…» tentò John.

Parlare ad un muro sarebbe stato più produttivo, e il dottore si chiese per un istante se avesse acquistato d’improvviso il dono dell’invisibilità, visto che lo sguardo di Sherlock lo trapassava, intento a catturare chissà cosa in chissà quale dimensione.

«Va tutto bene?» chiese poi, facendo un passo avanti. Attese una risposta per qualche secondo, poi sollevò le sopracciglia e andò in cucina a sistemare. Un atteggiamento simile non era di certo cosa a cui il dottore era estraneo, specie se il detective era alle prese con un caso.

John uscì di casa, andò in ambulatorio, passò in banca e comprò un paio di pizze, ma al suo ritorno, Sherlock era nella stessa, identica posizione del mattino. La sola differenza era nella lettera, usata ora da Sherlock per grattarsi il capo.

«Sei lì da otto ore. Non dovresti mangiare, o alzarti, o andare in bagno?»

Ancora, nessuna reazione. John lo guardò di traverso, indeciso se fosse stato il caso di arrabbiarsi o preoccuparsi. Solo dopo essere andato in cucina ed aver addentato un quarto di pizza – ed erano passati diversi minuti – una voce si levò dal divano.

«Le hai contate?»

Sherlock appoggiò i piedi scalzi sul tappeto con un movimento fluido.

La voce era arrochita dal silenzio, e quando John la sentì, quasi si strozzò con il boccone che stava masticando.

«Cough–cosa?» biascicò, entrando in salotto.

«Le ore»

John alzò le spalle. «Ho solo pensato che facendo, che so, una passeggiata, arriveresti prima alla soluzione»

«A questo non c’è soluzione, John»

Il dottore lo guardò, chiedendosi se davvero potesse esistere un caso irrisolvibile per Sherlock Holmes. Rispostosi che no, non era possibile – e che comunque Sherlock non l’avrebbe mai ammesso – decise di cominciare a preoccuparsi. Facendo il giro del divano, John si sedette per terra a gambe incrociate, in fondo ai piedi di Sherlock, e lo guardò negli occhi. Nulla di diverso su quel volto così caro ed enigmatico. Sherlock, da parte sua, ignorò John e ruotò il capo, come per sgranchirlo.

«Stento a crederci, Sherlock. Non ci crederei nemmeno se lo vedessi con i miei occhi»

«Non un caso» rispose l’altro con voce tagliente, «una persona.»

John ebbe il buon senso di non proferir parola, nonostante non fosse d’accordo con Sherlock, che era un abile osservatore, al quale nessun gesto sfuggiva, nessun pensiero. Cosa – chi, a quel punto – era in grado di eludere il suo genio e risultare irrisolvibile?

«Si chiamava Sherrinford e ha fatto parte di ogni giorno della mia vita»

Una pausa s’insinuò tra le labbra di Sherlock, che a mento alto fissava il nulla. La fierezza gli raffreddava il volto, gli occhi erano un mare di piombo. Le braccia, abbandonate in grembo, ne spezzavano l’immagine rigida, come alghe senza forze in balìa dell’oceano. John incrociò le braccia sulle gambe del coinquilino e vi poggiò sopra il capo, teso in lunghezza quanto più possibile. Non voleva farsi sfuggire quello che stava per raccontargli Sherlock, qualunque cosa fosse.

«Era speciale. Troppo. Aveva nel petto quel cuore che non mi è mai appartenuto veramente. Un cuore doppio»

John impallidì appena, incassando il capo tra le spalle.

«Questo significa che voi eravate–»

«–fratelli»

Il dottore sollevò il capo, guardò fin dentro gli occhi di Sherlock, per cercarci la verità – o meglio, l’anima. Quella però era nascosta da qualche parte in fondo a lui, forse dietro una costola, o dentro a qualche vena. Fingendo di non esistere.

«Non me l’hai mai detto!»

Sherlock si accigliò appena, forse rincorrendo un ricordo lontano, forse irritato dall’interruzione di John.

«Non me l’hai mai chiesto. Sherrinford Holmes, appena più vecchio di me. Un miocardio grande almeno quanto il suo genio. E ti assicuro che la sua intelligenza andava ben oltre quella mia e di Mycroft»

John boccheggiò. Più intelligente di Sherlock, più intelligente di Mycroft?

«Cosa è successo?» gli chiese, ormai calamitato dal racconto del coinquilino. Sherlock, da parte sua, parlava come se fosse stato impegnato nell’analisi di un cadavere, con la distaccata obiettività di un medico legale. Non un’inflessione in quella voce atona, che poteva fare concorrenza ad una mitragliatrice, tale era la velocità con cui sparava le parole. Esaminava la situazione, esponeva i fatti, pareva quasi pensasse ad alta voce.

«La stenosi aortica sopravalvolare non è esattamente una cosa da nulla, dovresti saperlo»

John stava per interromperlo, ma Sherlock lo precedette.

«Parlavo di miocardio grande non a caso. Il suo aveva dimensioni doppie rispetto a quelle di un giovane adulto in normali condizioni di salute»

«M–ma esistono i trapianti, le–»

«Il coefficiente di rischio era elevato, e lui non ci teneva particolarmente a vedersela con un rigetto. Quando i medici gli proposero l’intervento, lui sorrise e disse loro che non aveva tempo per le scemenze. Io non mento quando dico che non ho un cuore. L’aveva lui per entrambi, e con la sua morte io sono rimasto senza»

John gli strinse un ginocchio, forse voleva dargli un po’ di conforto, forse il conforto lo cercava per se stesso. Rimasero un po’ in silenzio, sospesi nella condizione di galleggiamento che sempre avvolge il ricordo di un triste passato.

«Inizialmente era come noi. Correva e giocava e rideva e faceva tutte quelle cose stupide tipiche dell’infanzia. Un cuore grande è un cuore lento, però. Ha smesso di correre. Poi di camminare. Mycroft inventava casi e io li risolvevo, così da distrarlo e – soprattutto – farlo ridere un po’. Sherrinford diceva che eravamo divertenti, ridicolmente ciechi… Per un po’ ci guardava sbattere contro i muri come pipistrelli senza sonar– come diceva lui –  poi ci rincorreva con la sedia a rotelle, gridandoci che eravamo troppo lenti e ottusi e lanciandoci qualsiasi oggetto avesse a portata di mano. Credo di avere ancora la cicatrice della vecchia sputacchiera del nonno, da qualche parte dietro l’orecchio»

Un sorriso tradì la tensione di John, che con la mente rincorreva quelle immagini radiose. Nascose poi il volto contro le gambe di Sherlock, che gli immerse una mano tra i capelli. Non c’era traccia di veemenza in quel gesto, che sembrava piuttosto l’agonia di una formica risucchiata dalle sabbie mobili.

«Andavate d’accordo?»

La mano di Sherlock fermò la sua avanzata. John e le sue domande idiote…

«Noi Holmes ci detestiamo, è una tradizione di famiglia. Sherrinford, poi, aveva una particolare concezione della sfera emotiva, totalmente contrastante con la mia. Più adatta ad un sentimentale come te. Sosteneva che fosse di vitale importanza l’emozione provata dall’assassino e dalla vittima al momento dell’omicidio, e che ancor più importante fosse il coinvolgimento emotivo di colui che analizza il caso. Era incredibilmente intelligente, ma su questo fronte non sono mai riuscito a fargli aprire gli occhi. Era un tale testardo!»

Sherlock sentì sulla pelle l’ombra di un sorriso – attraverso il tessuto dei pantaloni. Erano le labbra di John, schiusesi dopo aver sentito la sua ultima affermazione. Sherlock sembrava il bue che dice cornuto all’asino!

Il dottore inspirò il profumo del detective, e l’aria che andava nei polmoni faceva male. Quel giorno faceva male, il volto rigido di Holmes faceva male, la fragile e impalpabile natura umana faceva male. Granelli di polvere che vogliono fermare il vento, umani che lottano e lottano come titani, senza possibilità di riuscita.

John era ormai pervaso dal desiderio di vedere quel terzo Holmes, teso nel bisogno di sfiorarne il volto di pellicola, come se accarezzare Sherrinford gli avrebbe fatto scoprire di più su Sherlock.

«Hai una fotografia?»

Sherlock ritirò la mano dai capelli di John – mietendo qualche vittima nella ritirata – e la strinse a pugno, nascondendola tra le pieghe del divano, accanto alla busta ancora sigillata.

«Non mi serve. Non corro il rischio di dimenticarlo,»

John sollevò il capo e fissò lo sguardo sul viso di Sherlock. Con uno slancio, si tirò su dal pavimento e rimase in ginocchio, le gambe non più incrociate sul tappeto. Appoggiò una mano sul polso di Holmes e continuò a guardarlo senza capire, in attesa.

«lo vedo tutti i giorni,»

Sollevatosi del tutto da terra, John si alzò in piedi, appena inclinato verso Sherlock. Soffriva, dietro quegli occhi d’acciaio lui soffriva – credeva John. Vedeva ancora il fratello, lo scorgeva ogni giorno in allucinazioni ed immagini sfocate. Era comprensibile. Il suo cuore, il dolore, la mancanza…

«nello specchio...»

La mano di John mollò la presa, il braccio scivolò via con un suono pieno di silenzioso sconvolgimento. Si lasciò cadere sul divano, accanto a Sherlock. Questa volta Watson aveva capito troppo in fretta per poterlo digerire. Il sangue gli picchiava nelle tempie, la testa gli girava come calzetti in una lavatrice.

«Gemelli…» sussurrò, sfinito.

«Due gocce d’acqua, sì»

C’era silenzio tra le pieghe di Baker Street. Il tacito sconcerto di un cuore impazzito, il freddo ricordo di riccioli identici. Furono molte le bolle d’aria che John Watson dovette inghiottire per riemergere dall’immagine di due paia d’occhi grigi, duri e luccicanti come perle in mezzo al cielo.

«Perché–perché non mi hai mai detto nulla?»

Con un gesto secco e del tutto improvviso, Sherlock si alzò, la busta bianca stretta in mano. Percorse la stanza sino alla mensola del camino, dove lanciò la lettera con un gesto stizzito.

John seguì a bocca aperta il suo repentino cambio d’umore.

«Non ero a conoscenza delle tue doti di stregone» ribatté seccamente Sherlock.

John si arrese, evitando di cercare un senso nei gesti del coinquilino. Le sue rispostacce avevano l’effetto di un secchio d’acqua gelata, lasciandolo spesso incapace di ribattere. Aveva scoperto cose incredibili quella sera, e forse proprio per quello John evitò lo scontro. Rimase sul divano, aspettando che le idee diventassero meno rumorose. Lasciando vagare gli occhi per l’appartamento, il suo sguardo s’incagliò nella lettera che Holmes aveva abbandonato così sgraziatamente. Era tutto il giorno che se la teneva stretta, e John era certo che centrasse con la storia di Sherrinford. Non poteva essere altrimenti.

«Non la leggi?» gridò rivolto alla cucina, in cui Holmes si era rifugiato.

Tra il clangore di vetro e pentole, Sherlock rispose che sarebbe stato superfluo.

«So già cosa c’è scritto»

«E io posso leggerla?»

«Non c’è motivo per cui tu lo faccia»

Il tono di Sherlock non ammetteva repliche – come sempre – e John deglutì. Anche qualche parola andò giù con la saliva, e fu forse una fortuna. Si strinse la gola con una mano e allungò il collo, in cerca d’aria, poi scivolò fino al petto e vi si fermò sopra, esitante. Spinse un po’ sul cuore, e quello rispose. Era lì, pronto a fare il lavoro di due. Se Sherlock non aveva più un cuore, John gli avrebbe prestato metà del suo. Almeno quella sarebbe stata una buona scusa per stare sempre l’uno accanto all’altro.

«Allora, vogliamo andare a farla questa passeggiata?»

Sherlock comparve sulla soglia, impegnato ad allacciare l’ultimo bottone del cappotto. Era sconcertante la velocità con cui poteva scomparire e riapparire, perfettamente vestito, scarpe ai piedi, sciarpa in mano, preghiera muta nelle labbra appena incurvate dall’ombra di un sorriso. John si alzò con fatica dal divano, fatica non tanto fisica quanto più mentale ed emozionale. Raccolse la giacca da una sedia e guardò il coinquilino. L’altro lo fissò in risposta, e negli occhi c’era la tempesta. Venti fortissimi che s’intrecciavano, lottavano e scivolavano via, sconfitti. E negli occhi si vedeva la forza, e il genio, e per un istante – il tempo del bagliore fuggevole di una lucciola infuocata –  l’anima. John sorrise, come per dirle “ben arrivata!”. Poi il portone si chiuse alle loro spalle, e la lettera rimase sul camino. Rimarrà lì per molto tempo, sarà coperta di polvere, altre carte, vecchi orologi e nuovi pensieri.

La verità è che Sherlock Holmes provava per quelle parole sigillate lo stesso anelito ansioso che ha l’uomo nei confronti delle fiamme. Bramoso di sfiorarla, è bloccato però nel timore di bruciarsi, conseguenza naturale ed inevitabile, prezzo da pagare per una carezza al calore. Impaurito dalla carne che diventa cenere, e dalle parole che diventano tizzoni ardenti.

La verità è che Sherlock Holmes non aveva letto quella lettera – non l’avrebbe mai fatto – perché che aveva paura del puzzo dolciastro di ferite da inchiostro.


“Mio caro Sherlock,

Prima o poi arriverà questo momento.

Non vorrei privarti del tuo cuore, ma sono certo che potrai affittare un po’ di spazio nel petto di qualcun altro…

Ricordi quando–






_

Rieccomi qua! Se si tratta di rompere le scatole io sono sempre in prima linea :D
Bando alle ciance, partiamo subito con le note (:

1. Non so dire con certezza come sia nata questa fanfic, ma ricordo che tra i vapori dell’acqua calda della doccia ho intravisto Sherlock e John che parlavano, quest’ultimo chiedendo una fotografia. Sherlock gli rispondeva che non ne aveva bisogno, non avrebbe mai potuto dimenticarlo. E da qui, la mia mente ha fatto il resto.

2. Chi è Sherrinford Holmes? Faceva parte della cricca di nomi presi in considerazione da Doyle per il suo consulting detective. E’ diventato poi un ipotetico fratello maggiore, mai apparso nel canone. William Baring-Gould lo utilizzò in seguito nella biografia "Sherlock Holmes of Baker Street". Qui viene svelata l’utilità del personaggio di Sherrinford: i genitori degli Holmes pare fossero signorotti di campagna. Il fratello maggiore avrebbe quindi avuto il dovere di occuparsi della casa, e l’esistenza di Sherrinford liberava Mycroft da questo obbligo, permettendogli così di avere il ruolo che noi tutti conosciamo.

3. Nella fanfiction, la data della morte di Sherrinford non è specificata, ma nella mia testa risale già a parecchi anni prima rispetto a quanto narrato, diciamo intorno ai vent’anni di Sherl. Mycroft consegna la lettera a Sherlock solo ora perché sa che prima non l’avrebbe letta, e che forse non la leggerà mai. Potete pensare che gliela dia in occasione dell’anniversario della morte, ma potrebbe anche essere un giorno qualsiasi.

4. Il comportamento di Sherlock potrebbe esservi apparso troppo freddo e distaccato. Io non credo sia così. Sta raccontando, esponendo i fatti, e che Sherrinford sia suo fratello non ha importanza, in quel momento. Questo non significa che a Sherlock non manchi. Checché ne dicano, anche lui è umano e in quanto tale preda facile delle emozioni. E’ l’approccio con esse che differisce rispetto a tutti gli altri esseri umani. E’ tra le righe che si coglie l’affetto che provava per il gemello. Sherlock dice che è stato parte di ogni giorno della sua vita, che era importante, e che si faceva rincorrere e lanciare oggetti pur di farlo divertire. A chi altri credete che lo avrebbe permesso? Bisogna rendersi conto della grandezza della confessione di Sherlock: Sherrinford era il suo cuore. E’ anche questo il motivo che lo spinge ad affermare di non averne uno, ed è questo che fa tremare John dalla voglia di dirgli “puoi fare a metà con il mio”.
John, invece, non si accorge immediatamente che c'è qualcosa di diverso. Dà per scontato che Sherlock sia alle prese con un caso, e questo è il motivo per cui tarda tanto a prestae attenzione a Sherl. 
Tutto questo discorso sottintende però che Sherlock, prima della morte del fratello, fosse diverso rispetto ad ora. Prima un cuore ce l’aveva anche lui, ora non più. Potete immaginare la differenza tra i due periodi? Credo sia questo il motivo che lo spinge verso John: il dottore è il primo palpito che il detective sente nel petto dopo una lunga assenza. Con lui è come avere nuovamente un cuore.
Da non dimenticare poi il legame fortissimo che lega due gemelli, e che se spezzato si porta via qualcosa con sé, sempre e per sempre.

5. «Questo significa che voi eravate–»
John, sentite le premesse, crede che Sherlock stia per parlargli di un amante. Sherl immagina che, come al solito, il dottore sarebbe andato fuori strada, e non gli dà neppure il tempo di parlare, bloccandolo sul tempo.

6. La stenosi aortica sopravalvolare è una malattia congenita che colpisce il miocardio, curabile con un intervento di cardiochirurgia valvolare. Sherrinford non ha intenzione di sottoporvisi, scegliete voi il motivo. Perché ne ha paura, perché non gli interessa continuare a vivere, perché la malattia è in uno stadio così avanzato che non ha possibilità di riuscita? A voi la scelta ;)

7. Sherlock salta a piè pari il racconto dell’angoscia di quei giorni. “Ha smesso di correre. Poi di camminare.” Due immagini visive che alludono a un mare di cose. Ma è Sherlock che parla, mica un sentimentalone qualunque.  

8. «lo vedo tutti i giorni,» dice Sherlock, e come al solito John non capisce. Pensa che Sherl si stia sbottonando, pensa che alluda a delle allucinazioni. Crede che veda il fratello per la mancanza. La questione è molto più semplice ed agghiacciante: Sherlock vede Sherrinford semplicemente perché i due hanno lo stesso aspetto. “Like two peas in a pod”, ovvero Come due piselli nello stesso baccello, che noi traduciamo con Come due gocce d’acqua. Per questo John si alza per andargli più vicino, per consolarlo, e poi ricade accanto a lui sul divano, privo di sostegno, sconvolto. Non se lo sarebbe mai aspettato. E voi?

9. «Andavate d’accordo?»
No, ora ditemi. John poteva fare una domanda più idiota? Non perché la risposta sia ovvia – anche se effettivamente, come gli ricorda Sherlock, lo è – ma piuttosto perché è una domanda cretina. Il tuo BF ti dice che aveva un gemello e tu gli chiedi se ci andavi d’accordo? xD John! Io gli avrei detto che so, che mi dispiace, che è tristissimo, che doveva essere bello avere un gemello, che… Boh! Sta di fatto che la domanda di John è stupida, stupida! xD
Anche questo però ha la sua spiegazione. John è incredulo e balbetta le prime cose che gli passano per la mente, comportamento più che comprensibile. Dai, per questa volta John è scusato…

10. «Non ero a conoscenza delle tue doti di stregone»
Quel che intende Sherlock è che, anche avendone parlato a John, la situazione non sarebbe cambiata. Non avrebbe riportato in vita il fratello e Sherlock glielo fa notare con il suo solito tono tagliente.

11. La particolare concezione della sfera emotiva di Sherrinford cui Sherlock fa riferimento è molto semplice, anche se non sembrerebbe. Sherl considera le emozioni granelli di sabbia che rovinano gli ingranaggi della sua mente finissima, Sherrinford no, anzi! E come poteva essere altrimenti, con quel cuore grande in petto?

12. Sherl finge di aver già letto la lettera. Dapprima non può separarsene, la rigira tra le mani come un tizzone ardente. Poi la nasconde tra le pieghe della poltrona, ha bisogno di raffreddarsi le dita o rischia di prender fuoco. Infine, la abbandona tra il disordine di Baker Street. Per quale motivo mente a John, e a se stesso?

Stesso discorso per l’anima, nascosta tra qualche costola come se giocasse a nascondino. Sherlock è indifferente alle vite umane con le quali gioca, per esempio, Moriarty, e se ne frega di tante altre cose di cui normalmente ci si preoccupa. Ma un’anima ce l’ha lo stesso, nascosta da qualche parte, che finge di non esistere, che trattiene il respiro.

13. E per finire… Sherrinford è l’incarnazione di qualcosa che in Sherlock spesso viene negata, annegata. Sapete dirmi cosa simboleggia Sherrinford, e qual è di conseguenza il ruolo di cui John è investito?  *prega che qualcuno capisca*


Ringrazio tutti quelli che sono arrivati illesi fin qui, tutti coloro che maledirannorecensiranno e seguiranno, ricorderanno, preferiranno, odieranno. Ah, quest’ultima opzione non esiste? Dovremmo proporla ad Erika…
Ringrazio anche coloro che hanno letto-recensito-preferito-ricordato-seguito la mia ultima fic sul fandom, Black Out. Siete stati carinissimi ^^
Infine, dedico questa fanfictioncosa alla persona che meno sopporto al mondo, a quella che mi fa più incazzare, che mi fa venir voglia di uccidere e di distruggere. Questa fic la dedico a me stessa.



... E per coloro che masticano l'inglese, nel prossimo capitolo trovate i dialoghi in lingua  ^^
Una sorta di director's cut, con la musicalità impareggiabile della meravigliosa lingua anglosassone <3
La storia di fatto è finita, quello che trovate nel capitolo successivo è solo una chicca che personalmente amo
*w*

   
 
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